Libri > I Miserabili
Segui la storia  |       
Autore: flatwhat    22/08/2015    1 recensioni
“Javert!”.
La figura, in piedi sul parapetto, si voltò appena alla chiamata, quasi non fosse sorpresa al suono di quella voce.
Valjean era sorpreso, invece.
Numerose volte, in tutti quegli anni, Ispettore e prigioniero, cacciatore e preda, erano stati spinti l'uno contro l'altro dal destino, e, eccezion fatta per l'incontro alla barricata di quello che era ormai il giorno prima, la situazione era stata invariata. Valjean in fuga e Javert all'inseguimento.

Javert viene salvato.
(Ma a caro prezzo).
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Cosette, Javert, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quella mattina, Javert si era svegliato un po’ prima di andare a lavoro, e, seduto sulla sedia, si era messo a contare i soldi dentro la scatola.

“Sono davvero tanti”, disse quando ebbe finito. Poi si mise a fare finta di parlare con Cosette: “Mademoiselle, questo è il denaro che vostro padre vi ha lasciato”.

Si accasciò subito dopo contro lo schienale.

E come lo sapete, Monsieur?”, disse a se stesso. “Già”. Si coprì gli occhi con le mani.

“Javert”, disse Valjean.

“Lo scrigno ce l’avevi anche a Montreuil, giusto? Lo vidi una volta nel tuo studio”.

Valjean sussultò. Che Javert stesse…?

“Ma questo non cambia nulla”, disse ancora Javert. Lasciò cadere le mani lungo i fianchi. “Forse sto diventando pazzo. Che ne dici, Valjean?”.

“Javert!”, esclamò Valjean. “Javert, puoi sentirmi?”.

Nessuna risposta. Valjean provò a chiamarlo di nuovo per nome, ma l’Ispettore non diede segno di averlo sentito.

“Eppure parlava con me”, pensò il povero vecchio, deluso. Rifletteva sul “grazie” che gli aveva detto la notte prima, e a come probabilmente non aveva sentito nemmeno quello. Ma quando Valjean gli aveva descritto la strada per arrivare alla radura, Javert doveva averla sentita, o non sarebbe mai riuscito a trovare il denaro, senza contare che non sarebbe neanche mai partito da casa.

E, indubbiamente, era questo pensiero che faceva arrovellare Javert come Valjean. Avrebbe avuto di che cercare, se avesse voluto presentare a Cosette una storia plausibile. Conoscendolo, non avrebbe mentito…

“Mi ha sentito senz’altro e forse per questo mi parla”, si disse Valjean. “O forse sta solo parlando tra sé e sé usando il mio nome. Ma io--”, e qui sospirò.

“La mia voce non ti raggiungerà mai più”, concluse. Era come se se lo sentisse dentro: se era stato un miracolo che gli era stato concesso affinché Javert potesse recuperare il denaro che serviva a Cosette, quella era stata la prima e l’ultima volta.

“Ed è sicuramente più giusto così”.

Mentre lasciava Javert alla propria meditazione, Valjean si fermò proprio prima di oltrepassare il muro, sentendosi improvvisamente paonazzo.

Sì, era davvero meglio che Javert non lo sentisse più! Valjean si rese conto di averlo apostrofato con il “tu” già diverse volte, senza averci fatto attenzione. Avrebbe potuto giustificare questa mancanza a se stesso, riconoscendo che magari era stata la consapevolezza inconscia che Javert non lo avrebbe sentito a fare in modo che Valjean non si preoccupasse eccessivamente dell’etiquette. Ma ugualmente, provava imbarazzo.

“Perdonatemi”, gli disse mentre usciva. Solo dopo, gli venne in mente che anche Javert aveva usato il “tu” nel rivolgersi a lui, quella mattina.

*

Per tutta la mattina, essendo Javert e Cosette entrambi occupati a lavorare, Valjean aveva passato il tempo gironzolando per Parigi e parlando con le persone che incontrava, non ultimo Gavroche, che incrociò per caso in un vicolo mentre i suoi fratellini erano occupati a mangiucchiare del pane raffermo che avevano trovato chissà dove. Non parlò con nessuno della possibilità di farsi sentire dai viventi e fu grato che nessuno avesse tirato fuori un’altra storia bislacca su testamenti di nonne e nipoti che si ravvedono.

Capitò così che, verso il tardo pomeriggio, mentre si dirigeva tranquillamente a piedi verso la mansione di Gillenormand – sapendo che Cosette si sarebbe ritrovata lì – venne chiamato da una persona.

“To’, una faccia conosciuta!”, gli disse il ragazzo, venendogli incontro.

Anche Jean Valjean riconobbe quel volto: era quello di Enjolras, il capo della barricata.

Valjean gli sorrise.

“Mi fa piacere rivedervi”.


“Lo stesso vale per me”, gli rispose il giovane. Sorrideva anche lui, e la sua fisionomia appariva più tranquilla e rilassata di quando Valjean lo aveva visto in vita.

A pochi passi dietro di lui, c’era un altro spettro che li stava osservando e, esattamente come loro, sorrideva. Forse era un conoscente di Enjolras.

“Buonasera”, salutò lo sconosciuto. “Mi chiamo Grantaire”.

“Io sono--”, Valjean si fermò di colpo. L’abitudine lo avrebbe spinto, di norma, a presentarsi come ‘Ultime Fauchelevent’, ma aveva poi senso mentire ai defunti? Non potevano più nuocergli, senza dubbio poco importava loro della sua storia personale, e, una volta lasciato questo mondo, lo avrebbero ugualmente conosciuto solo come Jean Valjean. E lo avrebbero amato, si disse, proprio come tutte le altre anime che si trovavano nella gloria eterna.

Così Jean Valjean si presentò con il proprio vero nome, il nome di colui che aveva rubato per disperazione e aveva portato quella colpa per tutta la vita, ma che, alla fine, era stato perdonato, e i due giovani non smisero di sorridergli.

“Degli amici ci hanno detto che avete salvato Marius”, gli disse Enjolras.

“È così”.

“State andando da lui, in questo momento?”.

“Sì. Mia figlia dovrebbe già essere arrivata”.

Si diressero insieme a casa di Marius, che era anche la destinazione di Enjolras e Grantaire. Durante la camminata, quei giovani e quel vecchio parlarono della relazione tra Marius e Cosette e dell’imminente matrimonio, senza bisogno che Valjean scendesse nei particolari e raccontasse loro tutta la problematica della dote e di come si era risolta, poiché a loro interessava sapere solo che i due fossero felici. E mentre conversavano con leggerezza, Valjean notò un particolare: quei due si erano presi per mano ed erano rimasti così per tutto il tragitto.

Scoprì di stare sorridendo: quella visione gli aveva fatto nascere una strana speranza nel cuore, sentimento di cui egli stesso non capiva ancora consciamente la provenienza. Un’altra cosa, invece, gli fece provare un misto di sorpresa e “Oh, naturalmente”: la scoperta che due spettri potessero toccarsi. Valjean non aveva mai provato a stringere la mano di qualcuno nella sua stessa condizione e, a ripensarci, neanche a dare un buffetto a Gavroche (anche se aveva il sentore che il bambino non gliel’avrebbe lasciato fare tanto facilmente). Si chiese cosa si provasse, e riflettendo su tutto quello che aveva fatto fino a quel giorno, si disse che avrebbe potuto provocare sensazioni differenti di quelle che aveva provato in vita.

Enjolras e Grantaire si tenevano per mano e, benché parlassero con lui, Valjean percepiva che i due fossero allo stesso modo completamente concentrati l’uno sull’altro. Questo lo rendeva contento e imbarazzato allo stesso modo, ma non avrebbe chiesto loro se stesse recando disturbo, poiché erano stati loro stessi a chiedergli di poter fare la strada in sua compagnia.

Quando arrivarono, anche Cosette era presente. Lei e Marius avevano presto iniziato a cinguettare tra di loro e, come succedeva di solito, Gillenormand, sua figlia, Toussaint e tutta i servi li avevano lasciati da soli quando i loro vezzeggiamenti si erano fatti troppo sdolcinati.

I due erano evidentemente di buon umore. Valjean, che ancora insisteva a guardare dall’altra parte quando i futuri sposi si baciavano, era comunque felice di questo.

“Marius ha davvero fatto colpo, eh!”, esclamò Grantaire, quando li ebbe visti. Poi si voltò di scatto verso Valjean, scusandosi per l’insolenza.

“Non c’è problema”, gli disse Valjean. Dopotutto, pensò orgoglioso, era vero.

I due erano persi del tutto nella loro conversazione: parlavano di come era stata la loro giornata, del lavoro di Cosette come sarta e delle ore che Marius spendeva a origliare le discussioni dei parenti e dei servi, ma nessuno dei due accennava ai tristi eventi che avevano spinto entrambi in altrettanto tristi situazioni. Quel giorno, la tristezza era una presenza non voluta in quella casa, e le parole dolci dei giovani innamorati erano uno scudo che la teneva via, lontana dal loro paradiso personale.

Erano belli a vedersi.

“Sono contento per loro”, disse Enjolras. Incrociò le braccia. “Gli auguro il meglio”.

Un momento dopo, a Marius sfuggì un vezzeggiativo di troppo, un “tesorino” che fece ridere tutti, Cosette compresa, il riso di quest’ultima motivato da una reale felicità piuttosto che dalla stranezza del nomignolo. Anche Enjolras scoppiò al ridere, e Valjean non poté non meravigliarsi nuovamente di quella visione. Era strano ma confortante vedere quel ragazzo, che alla barricata era stato serio e quasi melanconico, lasciarsi andare a quel modo.

“Pensa se ti chiamassi così, Enjolras”, disse Grantaire fra le risa.
 
La risata del ragazzo morì di colpo.

“Grantaire..!”, esclamò.

Si voltò poi verso Valjean. “Monsieur”, sussurrò.

“Enjolras”, disse Grantaire. “Guarda che l’ha già capito. Diamo abbastanza nell’occhio”.

Enjolras portò lo sguardo nuovamente da Grantaire a Valjean, e, vedendolo annuire, gli chiese, fattosi serissimo tutto a un tratto: “Vi infastidisce in qualche modo?”.

“Assolutamente no”, gli rispose Valjean.

“Davanti ai baci di vostra figlia vi coprite gli occhi”, disse Grantaire.

“Il motivo di quello è che non dovrei vedere queste cose. Loro credono di essere soli”.

Grantaire ridacchiò sotto i baffi.

“Non avete tutti i torti”.

“Ma con voi”, disse Valjean, sorridendo timidamente. “Non ci sono problemi di questo tipo. Sono, anzi, molto contento di vedere--”.

Si fermò. Che cosa era molto contento di vedere? Fino a quel momento, non era riuscito a dare un nome e una spiegazione a quello strano sentimento.

“Insomma, è la prima volta che mi capita di vedere… amore”, ammise, infine. “Amore condiviso da persone che abitano ancora questo mondo come fantasmi”. Ripensò a Gavroche e ai suoi fratelli. Rifletté sulla sua condizione nell’osservare Cosette… e Javert.

“Finora avevo sempre visto altri spettri covare affetto e non poterlo dimostrare in alcun modo”, concluse. Non poté evitare di chiedere: “Vi conoscevate da prima?”.

Enjolras gli sorrise.

“Sì, dobbiamo precisare che questo amore non è cominciato adesso. Ma, comunque, solo a un passo dalla morte”.

“Oh”, fece Valjean, laconico. Non sapeva se continuare a richiedere dettagli fosse da maleducati, ma doveva ammettere che non ricordava che Grantaire fosse presente, alla barricata.

Grantaire, forse intuendo la domanda che Valjean non avrebbe mai posto, e evidentemente non sentendosi disturbato dall’argomento trattato, spiegò: “Mi ero addormentato dentro al Corinth perché avevo bevuto. Mi sono svegliato proprio all’ultimo momento”.

“Mi ha raggiunto e siamo morti insieme”, continuò Enjolras. Fece una pausa.

“Penso di essermi innamorato di lui pochi secondi prima di morire”, disse, guardandolo con aria… sognante? Ridiventò serio. “Lui mi amava da prima, ma io non l’ho mai capito. Fino all’ultimo”.

“E come potevi?”, gli chiese Grantaire, fattosi d’un tratto malinconico. “Come avresti potuto non prendere per vuote le mie parole? Qualche volta mi chiedo cosa avrei fatto se mi fossi svegliato troppo tardi. Sarei stato un fannullone fino all’ultimo”.

“Grantaire”, lo interruppe Enjolras. “Ne abbiamo già parlato. Sei stato coraggioso e ti sono grato, e anche se non l’avessi fatto, sarebbe cambiata solo la mia opinione su di te, non quello che sei veramente”.

Umano, con i miei pregi e i miei difetti”, disse Grantaire, come se stesse ripetendo le parole di una discussione avuta già parecchie volte. Sospirò. “Per quante volte tu me lo ripeta, mi sembra, a momenti, ancora tutto così irreale. Irreale che io sia stato in grado di prendere una decisione, che ora tu parli così di me…”.

Enjolras lo interruppe una seconda volta, sorridendogli apertamente e, da quel che sembrava, anche in segno di sfida: “Continuerò a ripeterti l’elenco delle tue qualità finché non ti entrerà, in quella zucca, che ne hai. E anche dopo”.

“Mio caro sosia di Alessandro!”, esclamò Grantaire, ritornando allegro. “La tenacia è sempre stata una delle caratteristiche degli dèi dell’Olimpo”.

Enjolras scosse la testa, lasciandosi sfuggire una debole risata.

“Piantala con i nomignoli. E non parlarmi come se fossi un angelo o un dio…”.

Stavolta fu Grantaire a interromperlo: “Lo so, Enjolras, ma--”.

“Sono umano anch’io”, disse Enjolras con tono inaspettatamente grave.

“Lo so”, gli disse Grantaire, con tenerezza. “E non lo vorrei in nessun altro modo. Ma credo che adesso stiamo alienando il nostro amico, con questi discorsi”.

Enjolras si voltò di scatto verso Valjean e – cosa incredibile a vedersi – arrossì.

“Allora è così che si vede, da un punto di vista esterno!”, pensò Valjean. “Di tutte le volte che mi è sembrato di arrossire, l’avevo fatto sul serio”.

“Mi dispiace”, disse Enjolras, abbassando gli occhi. “Non era mia intenzione… alienarvi”.

“Non mi date nessun disturbo”, gli disse Valjean. E rise di cuore.

I tre rimasero in silenzio per qualche minuto ad osservare Marius e Cosette. Anche loro avevano smesso di parlare da un po’ e si godevano la reciproca compagnia.

Inavvertitamente, qualcuno bussò alla porta della camera.

“Avanti”, disse Marius, aggrottando le sopracciglia in un’espressione infastidita.

Entrò un uomo sulla quarantina, con occhiali sul naso: era uno dei servi.

“Monsieur, Mademoiselle”, salutò. “C’è un uomo che desidera mostrare una cosa a voi e al padrone. Dice di chiamarsi Javert”.

“To’!”, esclamò Enjolras. “Un’altra faccia conosciuta”.

Cosette e Marius si scambiarono uno sguardo, perdendo sul colpo l’aria giocosa che li aveva animati fino a un attimo prima, come se il solo sentire nominare l’Ispettore minacciasse di far rientrare in un momento tutte le angosce che erano state allontanate da quella stanza.

Cosette strinse i pugni, guardò fisso il proprio fidanzato e gli fece segno di sì con la testa.

“Fatelo venire qui”, ordinò Marius.

Il servitore si inchinò profondamente e uscì.

“Javert”, mormorò Cosette. Si morse il labbro. “Cosa vorrà?”.

Non ci volle molto perché il servitore tornasse con Gillenormand, sua figlia, Toussaint e Javert al seguito.

Valjean sorrise: Javert aveva con sé la valigia che gli aveva visto portare a Montfermeil.

“Mademoiselle Cosette”, salutò Javert. “Monsieur Pontmercy. Felice di rivedervi in buona salute”, disse in tono incolore.

“Felice anch’io di rivedervi in circostanze migliori”, il tono di Marius non era diverso da quello di Javert.

Javert lo studiò per alcuni secondi, poi, con un semplice “Con permesso”, andò a posare la valigia proprio al centro della stanza.

“C’è una cosa della massima importanza che i signori presenti devono vedere”.

“Allora, che state aspettando?”, lo incitò Gillenormand, facendo gesto di sbrigarsi con una mano. “Fate in fretta”.

Javert aprì la valigia e ne trasse fuori lo scrigno. Lo tenne con entrambe le mani, fisso davanti a sé e lo mostro prima agli anziani e poi, avvicinandosi al letto sopra il quale Marius era ancora coricato e Cosette seduta, ai due giovani.

Aprì lo scrigno, e disse a Cosette: “Vedete quella scatola? Scoperchiatela”.

Cosette fece quanto Javert aveva richiesto e, anche da quella angolazione, Valjean poté vedere i futuri sposi trasalire.

“Mademoiselle”, disse Javert. “Questo è il denaro che vostro padre vi ha lasciato”.

Cosette spostò lo sguardo dal contenuto dello scatola solo per fissarlo su Javert.

La sua voce tremava, quando gli chiese: “Come lo sapete?”.

Javert fu colto alla sprovvista. Forse, per quanto avesse pensato tutta la mattina a cosa dire, niente di quanto aveva preparato poteva risultare del tutto credibile.

“Lo scrigno era suo, lo riconosco”, disse. Quando vide che Cosette non smetteva di guardarlo, aggiunse: “Mademoiselle, per quanti difetti io abbia, sono un servo della legge e non avrei mai rubato o estorto questo denaro,  nonostante il mio desiderio più grande sia vedervi felice. Vedete che c’è ancora un po’ di terra sulla scatola, questo vi farà capire che non ce l’ho messa io dentro lo scrigno. In futuro vi racconterò i dettagli che vi faranno capire perché questo denaro è destinato a voi. Perciò, ora, credetemi. Vi prego”.

Cosette abbassò gli occhi, e gli disse: “Va bene, ma solo se mi dite dove li avete trovati”.

“Montfermeil”.

“Montfermeil”, ripeté Cosette. “Può essere”.

Gillenormand si fece più vicino e, chinandosi su Marius, gli parlò a voce bassa ma abbastanza chiara che lo sentissero tutti lo stesso.

“Non avevi detto che era povera?”.

“Nonno!”, lo riprese Marius. “Per favore!”.

“Marius, non sgridarlo. Anche io credevo di essere povera”, gli disse Cosette in tono conciliante. Ma la sua voce non cessava di tremare.
 
“Questo era tutto quello che dovevo mostrarvi”, disse Javert, e, quando Cosette ebbe rimesso a posto il coperchio della scatola, consegnò lo scrigno a Gillenormand, che a sua volta lo affidò al servitore perché lo conservasse.

Javert richiuse la valigia, la prese e si inchinò come aveva fatto il servitore occhialuto solo un momento prima di uscire dalla stanza.

“Se volete scusarmi, adesso devo andare. Non disturbatevi, so trovare l’uscita da solo”, disse e come aveva finito di parlare era già fuori dalla stanza, con Gillenormand e le due donne che lo seguivano di filato nonostante le parole dell’Ispettore, gridandogli “Aspetti!”, forse per buona educazione o forse perché erano rimasti tutti spiazzati da quell’avvenimento singolare e non riuscivano a reagire in altro modo.

Marius e Cosette vennero lasciati soli, non meno disorientati dall’accaduto.

“Erano davvero molti soldi”, si lasciò sfuggire Cosette.

In mezzo a quello sbigottimento che aveva preso i viventi, Valjean sentì Enjolras ridere.

“Dovreste vedere la vostra faccia, Monsieur”.

Si accorse di non aver smesso di sorridere come un ebete, neanche per un secondo.

“Oh”, disse, improvvisamente imbarazzato. “Sapete, la questione del matrimonio di mia figlia mi preme molto”.

“Non ne dubito”, disse Enjolras. Lui e Grantaire si scambiarono un’occhiata, e poi Enjolras si rivolse di nuovo a Valjean: “Noi usciamo, adesso. Volete seguirci?”.

Valjean li seguì fuori dalla magione di Gillenormand, appena in tempo per scorgere Javert che si allontanava in carrozza.

“Quel Javert era la spia di cui mi avevi parlato?”, chiese Grantaire a Enjolras, una volta per strada.

“Sì”, gli rispose lui.

Valjean si strinse le mani.

“Forse dovrei scusarmi”, disse. “Vi ho ingannato e non l’ho ucciso quando mi avete ordinato di farlo”.

Enjolras lo guardò con occhi attenti, nei quali Valjean scorse una moltitudine di sentimenti, dalla solennità al divertimento.

“Non vi facevo il tipo di persona che si scusa per non aver ucciso”, disse.

“Io…”.

“Lo rimpiangete?”.

“No”, rispose Valjean, e ripensò a tutto ciò che gli era capitato dalla barricata in poi. Come non rimpiangeva di aver salvato Javert dal fiume, non rimpiangeva di averlo fatto fuggire alla barricata.

“Allora siatene fiero!”, esclamò Enjolras, con un improvviso tono passionale. “Ditemi che siete contento e che lo rifareste”.

Valjean si mise quasi sull’attenti e con il petto infuori quando rispose: “Ne sono fiero, ne sono contento e lo rifarei”.

Enjolras e Grantaire scoppiarono in una fragorosa risata.

“Vi ringrazio”, disse Enjolras, quando si fu ripreso. “Vi ringrazio davvero, per quanto mi avete mostrato oggi”.

Valjean scosse la testa.

“Sono solo un povero vecchio. Non so nemmeno cosa vi avrei mostrato”.

“Che l’amore è una forza immensa. Che era una cosa che già sapevo, ma”, guardò Grantaire con la coda dell’occhio. “È sempre bello riceverne conferma”.

Valjean poté sentire le proprie guance infiammarsi e, quel che era peggio, proprio quel giorno aveva imparato che una cosa del genere era chiaramente visibile.

“A-amore?”, balbettò.

“Sì. Amore personale, universale, o per il proprio Paese”, spiegò Enjolras. “Sono tutti ugualmente importanti. Certo, come tutti i sentimenti umani, può venire distorto ed esagerato, ma finché rimane puro, è la vera forza del genere umano”.

Socchiuse gli occhi, con Grantaire che lo osservava, entrambi persi nei loro pensieri.

“Non l’ho sempre pensata così”, disse, quando ebbe ripreso a parlare. “Una volta, ritenevo che solo l’amore per la patria contasse veramente. I miei amici mi hanno fatto cambiare idea. E anche Grantaire”.

“Mi nomini al di fuori dei tuoi amici? Guarda che mi offendo”, scherzò Grantaire.

“Stavo facendo un favoritismo, in verità. Ma hai ragione: non lo faccio più”.

“Oh, Eurialo del mio Niso, così mi commuovi”.

“Piantala”, interruppe bruscamente Enjolras. “Non alieniamo il nostro amico”.

“Scusatemi”, disse Grantaire.

Valjean gli fece un tacito gesto con la mano per dire che andava tutto bene.

“Stavo dicendo”, riprese Enjolras. “Che anche voi oggi mi avete dimostrato proprio questo: che l’amore è un veicolo per il cambiamento personale, che deve andare di pari passo con il cambiamento sociale. Poiché voi lo avete fatto fuggire, Javert, ora--”.

Valjean sospirò.

“In realtà non è andata così”, disse.

Enjolras si ammutolì di colpo. Sia lui che Grantaire guardarono Valjean con sguardo interrogativo.

Valjean, con somma angoscia nel ricordare quanto era accaduto, si mise a spiegare la sua storia: “L’ho fatto fuggire, sì, ma questo lo ha portato, alcune ore più tardi, a volersi uccidere”.

Né Enjolras né Grantaire emisero alcun suono, quindi andò avanti: “Il cambiamento c’è stato, ma con effetti disastrosi. Se non gli fossi corso dietro, sarebbe morto, e anche ora…”.

Grantaire alzò un sopracciglio, forse intuendo dove sarebbe andato a parare il discorso. Disse a Valjean: “Voi siete morto”.

“Sì”, rispose Valjean, con tono grave. “Esatto: quando si è gettato in acqua mi sono tuffato insieme a lui. Sono morto dopo averlo portato in salvo. E Javert, adesso, sta aiutando Cosette per ripagare lei di questo, ma credo che voglia ancora la morte”.

Nessuno dei tre parlò per qualche minuto.

“Poveraccio”, disse poi Grantaire. “Non lo sapevo”.

“Voi lo sapete”, disse Enjolras. “Che non è colpa vostra, vero?”.

Valjean si premette una mano sugli occhi e fece un lungo sospiro. Era quello che gli aveva detto anche Fauchelevent, giorni prima.

“Non siete il primo a dirmelo. Ma non posso evitare di sentirmi in colpa”.

Il tono di Enjolras quando lo interruppe appariva quasi frustrato.

“Mica lo avete fatto apposta, a morire”.

“No”, concesse Valjean, chinando il capo per la vergogna. “Non l’ho fatto apposta. È vero: razionalmente non ho colpa di nulla”.

“Avete agito nelle migliori intenzioni, Monsieur”, disse Enjolras.

“Sì, però davvero non riesco…”.

“E sono convinto”, lo interruppe ancora Enjolras. “Che quello che avete fatto non si rivelerà vano”.

“I semi li avete piantati”, disse Grantaire. “Tutto sta nel vedere come germoglieranno. E finché si vive, Monsieur, le possibilità sono molteplici. Non perdiamo la speranza”.

Valjean annuì. “Non la perderò”, promise.

“Si è fatto tardi”, disse Enjolras, guardando il cielo. Era ormai sera, tra un po’ anche Cosette sarebbe ritornata a casa. “Non che conti qualcosa per noi, a dire il vero, ma immagino che vi abbiamo tediato abbastanza”.

Valjean non lo aveva detto, ma era curioso di tornare a osservare Javert, per cui anche per lui era arrivato il momento di andare.

“In realtà”, si intromise Grantaire. “Per me conta eccome. Mi piace dormire”.

“Questo non è cambiato”, disse Enjolras fra i denti.

“Oh, mio caro Achille, perché tratti così il tuo Patroclo?”.

“Piantala, o ti strozzo”.

“Non ne ricaveresti nulla”.

Entrambi risero.

“Ah, Monsieur, dimenticavo di chiedervi una cosa”, disse Grantaire. “Perdonatemi, ma sono curioso: ho notato una certa confusione generale sul contenuto di quello scrigno e persino lo stesso Javert mi sembrava confuso”.
 
“Era denaro, tutto quello che ho lasciato per Cosette”, cominciò Valjean. “In passato ho avuto modo di raccogliere una grossa quantità di denaro e…”.

“Non era quello che intendevo. Per caso lo avete nascosto da qualche parte? Perché tutti sembravano dubitare che fosse realmente vostro”.

“Sì, l’ho nascosto”, ammise Valjean. Improvvisamente, capì quello che Grantaire voleva veramente chiedergli. “Non avevo rivelato a nessuno la sua locazione, e questo ha inizialmente creato difficoltà economiche a mia figlia. Ma, qualche giorno fa, dopo aver avuto una conversazione con un’anziana signora che sosteneva fosse possibile, mi sono messo a raccontare per filo e per segno tutto il percorso da seguire a Javert, mentre dormiva. Non so ancora come sia stato possibile, ma lui ha recuperato lo scrigno, seguendo esattamente le mie istruzioni”.

I due ragazzi rimasero di sasso.

“Ecco una cosa che non sapevo”, sussurrò Enjolras.

“Anche essere morti ha le sue regole, e questa cosa mi pare piuttosto inusuale persino per noi”, disse Grantaire.

“Ho l’abitudine di parlare con le persone vive, anche se non mi sentono”, spiegò Valjean. “Ma questa è la prima volta che ho visto accadere una cosa simile, e credo anche che sarà l’ultima”.

“Un miracolo”, suggerì Grantaire.

“Esatto. Voi non avete mai provato?”.

I due giovani si guardarono per un attimo, poi Grantaire fece un’alzata di spalle: “Io parlo facilmente per tre persone, per questo non mi è mai venuto in mente di parlare con un vivo”.

“Ed io”, disse Enjolras. “Pensavo fosse inutile. Grazie per questa preziosa informazione, Monsieur. Ora andiamo, Grantaire. Monsieur, non esitate a visitarci quando volete”.

“Non vorrei disturbare”.

“Siete un uomo saggio”, disse Grantaire, sfoderando un sorriso che Valjean avrebbe potuto definire sbarazzino e di cui avrebbe capito il significato se solo si fosse messo a riflettere sulle implicazioni di quelle parole.

“Nessun disturbo”, disse Enjolras, lanciando un’occhiataccia a Grantaire.

Prima che sparissero, essendosi presi per mano, Valjean chiese loro un ultimo quesito: “Per quanto ancora rimarrete sulla Terra?”.

Enjolras rispose: “Finché non vedrò una rivoluzione riuscita con i miei occhi. Nel frattempo, girerò il mondo”.

E Grantaire rispose: “Ed io lo seguirò, perché anche io voglio vedere il mondo – poca cosa sono i confini di fronte alla morte – la rivoluzione. Che non si dica che non mi interessi. E voi?”.

“Io non lo so con certezza”, disse Valjean. “Ma diciamo che anche io aspetto una rivoluzione”.

*

Dopo che Javert aveva rivelato a tutti l’esistenza della dote, sia Cosette che Marius erano rimasti pensierosi per alcuni giorni, mentre gli anziani attorno a loro fingevano noncuranza, per non turbare ancor di più l’atmosfera già tesa che si era creata nel momento esatto in cui Javert aveva fatto scoperchiare la scatola a Cosette. Ma, nonostante non la trattassero in modo diverso da prima, c’era negli occhi di Gillenormand, sua figlia e la servitù una luce diversa quando guardavano Cosette, come se cercassero di carpirne i segreti nascosti solo con un’occhiata, non avendo il coraggio di rivolgerle domande.

Del resto, niente di quanto avrebbero potuto chiederle avrebbe ricevuto risposta: essi ignoravano chi fosse veramente Cosette, ma quest’ultima lo ignorava più di chiunque altro. Fortunatamente, Marius, per quanto non meno sconvolto dalle rivelazioni di Javert, appariva quello meno interessato all’identità di Cosette, quanto più, ogni giorno che passava, si innamorava ancor di più della persona di Cosette, segreti o meno.

L’unica che aveva dimenticato presto la sorpresa e la curiosità era stata la povera, santa, Toussaint che, seguitando nelle sue mansioni regolarmente come se nulla fosse successo, aveva avuto la seguente conversazione con Cosette, qualche giorno più tardi.

Cosette le aveva detto: “Il dottore dice che Marius adesso sta bene ed è completamente guarito”.

E Toussaint aveva risposto: “Sono molto felice per lui, Mademoiselle”.

In realtà, la serva lo sapeva già, perché Gillenormand lo aveva annunciato a tutti il giorno prima. Quello che premeva veramente Cosette in quell’istante era ben altro.

“Abbiamo intenzione di vederci con Javert, una di queste sere”, disse lei, e si morse il labbro inferiore. “Mi racconterà delle cose importanti su mio padre. Volevo sapere se anche a te interessasse venire ad ascoltare ”. Cosette aveva preso a darle del tu con più facilità da quando le due erano rimaste sole.

Toussaint osservò quella ragazza che considerava come una figlia, poi scosse la testa in modo quasi agitato. “No, Mademoiselle. Quell’uomo mi inquieta e non desidero ascoltare niente di quello che potrà dire: per me il padrone era e rimarrà sempre un santo, e non mi interessa sapere altro”.

“Un santo”, aveva ripetuto Cosette a bassa voce, e Valjean aveva fatto lo stesso.

Va detto, però, che dei piani di fissare finalmente un appuntamento con Javert non era stato informato neanche Javert stesso. Cosette non aveva smesso di incontrarlo neanche in quel clima di agitazione che lui aveva involontariamente provocato, tant’è che, un giorno, Marius le aveva detto scherzando: “Se ti vedi così tanto con l’Ispettore, finirò per diventare geloso!”, e a questa giocosa accusa Cosette aveva risposto dicendogli “Per vostra sfortuna, signor futuro marito, io sono ancora una donna libera” e facendogli una boccaccia.

Per cui, Cosette aveva informato Javert di persona, prima di levare il disturbo, un pomeriggio che era passata da casa sua. Lo aveva preso sotto braccio e gli aveva detto: “Se siete libero dopodomani, io e Marius vorremmo che voi ci raccontaste tutto per filo e per segno. Vi accoglieremo nella stanza di Marius – avete visto anche voi che è bella grande – e saremo solo noi tre”. Dopo, continuando a stringergli il braccio, aveva con buona probabilità sentito di persona il tremito che era passato attraverso il corpo di Javert.

Ma non c’era più motivo di aspettare, e Valjean lo sapeva. Non rendeva la prospettiva che Cosette venisse a conoscenza di tutta la sua storia personale meno angosciante, ma non poteva fare niente per impedirlo. Per quanto avesse potuto gridare e pregare Javert di non dire nulla, non sarebbe stato ascoltato, né sarebbe stato un buon comportamento da tenere. In momenti simili, l’emotività doveva lasciare spazio alla razionalità: Valjean era morto e non poteva più pretendere di controllare Cosette. Era giusto che sapesse. Dicendosi questo, accettò il proprio destino, e venne infine il giorno dell’incontro.

Cosette e Marius, che ora poteva alzarsi e muoversi più o meno liberamente, avevano personalmente sistemato la stanza, dopo che i servi avevano portato due poltrone in più, così da averne tre in tutto. Due, quelle che avrebbero usato loro, erano vicine, davanti al letto, l’altra, che Javert avrebbe occupato, era di fronte a loro. Valjean si chiese se i due sapessero che così avrebbero creato un’atmosfera accusatoria nei riguardi di Javert, ma nessuno dei due niente per modificare quella posizione.

Quando Javert fu fatto accomodare, Gillenormand, Toussaint e gli altri aspettavano altrove, avendo promesso che non avrebbero disturbato finché il colloquio non fosse finito.

Prima di sedersi, Javert, che si era tolto il cappello all’ingresso della casa ma non il cappotto, squadrò i due innamorati con uno sguardo terrificante, facendo trattenere loro il respiro.

“Non sarà facile, quello che stiamo per fare”, disse. “Non lo sarà né per voi, né per me. Anzi, sarà odioso. Ma non risparmierò me stesso e non posso risparmiare voi, se voglio essere onesto fino in fondo: come se io mi trovassi al cospetto di un giudice umano o divino, quella che dirò stasera sarà la verità e nient’altro che la verità.”

Poi si rivolse in particolare a Marius: “In alcune parti, mi aspetto che interveniate anche voi, per completare l’intero quadro. Sapete a cosa mi riferisco”.

Marius, teso, annuì. Valjean apprese solo più tardi a cosa si riferiva Javert.

I tre si sedettero sulle poltrone. Javert si mise dritto contro lo schienale, intrecciò le mani e iniziò a narrare.

“Quella che sto per raccontarvi è una storia lunga, cominciata prima ancora che voi nasceste. Ma vi rivelerò subito chi era vostro padre, Mademoiselle”.

Cosette deglutì. Valjean si strinse le braccia, inspirò e chinò il capo davanti al fato.

“Vostro padre”, continuò Javert. “Nacque a Faverolles nel 1769. Da voi era conosciuto come Fauchelevent, ma il suo vero nome era Jean Valjean, e come mestiere faceva il potatore”.

Le labbra di Cosette si mossero mentre pronunciava silenziosamente quel nome estraneo, senza dubbio cercando di immaginare l’uomo altrettanto estraneo che lo portava.

Javert proseguì: “All’età di ventisette anni, fu portato al bagno penale di Tolone per aver infranto la vetrina di un panettiere e rubato una forma di pane. Secondo quando aveva detto lui, lo aveva fatto perché i figli di sua sorella erano rimasti senza mangiare, era inverno e non c’era lavoro”.

Ci fu un momento di silenzio, nel quale Valjean rivide davanti ai suoi occhi l’esatto momento in cui la sua mano aveva afferrato quel pane che aveva ripagato col dolore. Non aveva dimenticato la morsa della fame fisica e spirituale che aveva sentito prima di commettere quel folle gesto, lo sconforto al pensiero dei nipotini senza cibo. Non lo avrebbe mai potuto dimenticare.

Se qualcuno in un momento del genere avesse badato ad altro, poco curandosi della gravità di quelle confessioni e avesse osato scherzarci su, avrebbe potuto dire che a Marius e Cosette si erano slogate le mascelle.

“Quindi era stato in carcere”, mormorò Marius, ma sia Cosette che Javert ignorarono quel commento.

Javert proseguì descrivendo gli anni che Jean Valjean aveva passato in galera, raccontando di come dapprima gliene erano stati dati cinque, diventati infine in tutto diciannove in seguito a vari tentativi di evasione, di come in prigione egli era diventato abile a scalare le pareti, si era istruito a scuola e nelle tristi arti del fuorilegge, aveva lavorato duramente e si era guadagnato il soprannome di Jean-le-cric per la sua forza sovrumana, nonché la dicitura di “uomo pericoloso” sul proprio passaporto giallo, al momento di ricevere la condizionale. Non tralasciò neanche un particolare.

“Io lo conobbi quando iniziai a lavorare nel corpo di guardia”.

E da qui, fece una breve parentesi sulla sua vita personale, una storia che Valjean non aveva mai udito prima e di cui si stupì molto: Javert era nato da un ergastolano e una cartomante, in una cella e, crescendo, gli era parso che gli fossero permesse solo due strade, nella vita, vale a dire il crimine e la salvaguardia della legge. Scelse la seconda, animato dal disprezzo che provava per quelle persone da cui discendeva.

A sentirlo parlare così, con Cosette e Marius che lo fissavano e non osavano dire una parola, era sembrato così malinconico nel ricordare quegli anni e i suoi genitori e nel descrivere se stesso come uno scarto della società, che Valjean provò un’immensa compassione per lui, rendendosi conto di come in fondo loro due si somigliassero molto di più di come una volta avrebbe pensato. Anche Javert aveva una storia travagliata alle spalle, e aveva i suoi rimpianti. Anche Javert era un miserabile.

Javert ritornò a parlare di Valjean.

“Al momento di mettere piede fuori dal bagno penale, gli fu consegnato il passaporto con l’obbligo di recarsi a presentarlo a Pontarlier. Durante il tragitto, fu sorpreso dai gendarmi di mattina presto a Digne, mentre portava con sé un sacco sospetto, pieno di argenteria. Quell’argenteria apparteneva al vescovo che allora abitava a Digne: un sant’uomo di nome Myriel, detto Bienvenu dai suoi concittadini. Egli disse ai gendarmi che Valjean non aveva rubato quell’argenteria, ma che gli era stata regalata dal vescovo stesso. Prima che i gendarmi lo lasciassero andare, secondo le loro testimonianze, gli fece anche dono di due preziosi candelabri d’argento”.

“I candelabri di papà…!”, si lasciò sfuggire Cosette.

“Naturalmente”, continuò Javert. “Conoscendo la reputazione di Monsignor Myriel, quella faccenda puzzava. Quell’uomo era famoso per aggirare la legge in modo da dare tutte le sue ricchezze ai bisognosi, e sin da subito si pensò alla possibilità che avesse mentito per coprire Valjean. Più tardi, quello stesso giorno, un piccolo savoiardo chiamato Gervais denunciò il furto della sua moneta da parte di un uomo la cui descrizione coincideva con quella di Valjean”.

Un altro momento di silenzio. Cosette si era portata una mano alle labbra, Marius aveva conficcato le unghie nei braccioli della poltrona, entrambi avevano gli occhi spalancati e i denti serrati, e Javert li guardava fisso, non perdendosi neanche una reazione.

Valjean, ascoltando l’elenco delle sue malefatte, le viveva di nuovo come la prima volta e sentiva la vergogna attorcigliargli le viscere che non aveva più.

La voce di Javert riprese, solenne, scandendo bene le parole, senza fretta.

“A tutto questo, si aggiunse anche un’altra cosa: Valjean non si presentò mai a Pontarlier, violando così la condizionale. Questo avrebbe comportato l’arresto immediato se fosse stato riconosciuto”.

Si prese un’altra pausa, nella quale si bagnò le labbra con la lingua.

“Ma le sue tracce si persero e, di nascosto alla polizia, Valjean riuscì a stabilirsi nella cittadina di Montreuil-sur-Mer sotto il falso nome di Madeleine, e a fare fortuna”.

Raccontò di come Madeleine aveva risollevato l’economia della città costruendo una fabbrica che diede lavoro a moltissimi operai, e di come, per la sua produttività e magnanimità, era infine diventato sindaco.

Neanche stavolta, fallì nel citare il proprio ruolo nella vicenda.

“Io, a quel tempo, svolgevo i miei compiti di Ispettore proprio a Montreuil e sin da subito avevo sospettato di Madeleine”.

Si interruppe improvvisamente e, per la prima volta durante quel racconto, perse la compostezza: la sua schiena dritta si piego, e i suoi occhi apparvero meno attenti. Il tutto durò una manciata di secondi, dopodiché Javert riprese il controllo.

“Sospettavo di lui, sì, riconoscevo pure il modo in cui un detenuto avrebbe trascinato la gamba dopo diciannove anni alla catena”.

“Papà trascinava la gamba”, disse d’un fiato Cosette.

“… Ma non avevo come provare questi sospetti. Da una parte, la sola idea di essere al suo diretto servizio, una volta che divenne sindaco, mi risultava ripugnante; dall’altra, avrei provato un’immensa vergogna nell’accusare quell’uomo, se invece si fosse rivelato davvero come il magistrato intelligente e generoso che sembrava essere. Perciò, stavo attento. Solo una volta, i miei sospetti si acuirono. Fu quando, prima ancora che diventasse sindaco, salvò un uomo che rischiava di venire schiacciato da un carro, sollevandolo di peso come solo Jean-le-cric avrebbe potuto fare”.

“Cosa accadde a quell’uomo?”, chiese d’un tratto Cosette, non potendo trattenere l’inquietudine che quel racconto le stava trasmettendo.

“Lui?”, fece Javert. Ci pensò un attimo. “Mi pare che fu mandato a lavorare al convento Petit-Picpus, qui a Parigi. Era rimasto zoppo e non poteva fare altro”.

“Petit-Picpus”, ripeté Cosette, con voce tremante. “Vi ricordate per caso il nome di quell’uomo?”.

Quando Javert scosse la testa, Cosette incalzò: “Fauchelevent, forse?”.

Javert alzò le sopracciglia e d’un tratto apparve sorpreso. “Sì, era lui!”, rispose. “Ecco da chi aveva preso il cognome”.

Scosse di nuovo la testa, come a volersi distogliere da quei pensieri e costringersi a proseguire nella narrazione. Era il momento di introdurre un nuovo personaggio, nella vicenda.

“Una sera di inverno, arrestai una prostituta che era venuta alle mani con un borghese. Pensando che fosse lei la colpevole, ero intenzionato a darle sei mesi in cella, e quando sentì questa sentenza, la donna si mise a supplicare”.

Il suo sguardo,  che prima era stato fisso su Cosette, vacillò, si posò sul pavimento. Si piegò di nuovo su se stesso.

“Mi disse che non poteva andare in prigione, che se ci fosse andata non avrebbe avuto come aiutare la sua bambina”.

Nessuno commentò. Non avevano ancora capito. Valjean aveva voglia di distogliere lo sguardo da quanto avrebbe visto, ma si sforzò di non farlo.

Javert, dopo un altro, profondo sospiro, continuò. Se si fosse ascoltata attentamente, si sarebbe notato che nella sua voce c’era una punta di determinazione in meno.

“Mi disse che si era ridotta alla prostituzione proprio per aiutare la sua bambina, dopo essersi venduta i capelli e addirittura un paio di denti”, pausa, Cosette e Marius rabbrividirono. “Ma io non volli ascoltarla. Prima che potessi sbatterla una volta per tutte in cella, fece il suo ingresso in stazione il sindaco Madeleine, che mi disse che era stato il borghese a cominciare e per questo mi ordinò di lasciarla libera. La donna reagì con rabbia alla sua venuta, e gli sputò in faccia. Questo finì per fare infuriare anche me, anche se lo stesso Madeleine non se n’era curato. La donna si scagliò contro di lui, accusandolo di essere la causa di tutte le sue sventure, ma alla fine, non riuscii ad averla vinta e il sindaco la affidò alla cura delle suore, all’ospedale.”.

“Che accadde a quella donna?”, chiese stavolta Marius, domanda che fece stringere i pugni a Javert, facendogli perdere un altro pezzo della propria calma.

“Venne ricoverata. Origliando e cercando informazioni, venni a sapere che era molto malata e che il sindaco si stava muovendo per ricongiungerla alla sua bambina”.

Pausa, nella quale Javert puntò di nuovo il proprio sguardo su Cosette.

“Quella bambina eravate voi, Mademoiselle”.

 Cosette sussultò, aggrappandosi con forza ai braccioli della poltrona.

“Io?”, esclamò.

Marius si era voltato a guardarla, non meno sorpreso di lei.

“Io?”, ripeté Cosette.

Javert annuì.

“Sì”, rispose. “Da quello che so di vostra madre, si chiamava Fantine e vi aveva lasciato in una locanda di Montfermeil per timore che non avrebbe trovato lavoro, con una bambina al seguito”.

Cosette si coprì la bocca con entrambe le mani. Era chiaro che stesse cominciando a ricordare qualcosa, e nel vederla così, anche il più duro degli uomini si sarebbe intenerito. Ma Javert continuò, potremmo dire quasi “spietatamente”, a raccontare.

“Aveva in seguito trovato lavoro nella fabbrica di Madeleine, da cui poi era stata licenziata dalla sovrintendente delle operaie, dopo che si era scoperto che aveva avuto una figlia senza essere sposata”.

“Sapete nulla del mio padre naturale?”, lo interruppe Cosette.

“No”, tagliò corto Javert e riprese il racconto. “Madeleine, che lei credeva essere il responsabile, in realtà non era mai venuto a conoscenza di questo. Fantine era poi finita in miseria e costretta a prostituirsi, a seguito delle continue richieste di denaro da parte dei locandieri, i Thenardier”.

“Thenardier!”, gridò Marius.

Cosette tremava ora come una foglia e, con gli occhi umidi, riuscì appena a bisbigliare “Ora ricordo”, prima di coprirsi di nuovo la bocca con le mani.

“Cosette”, le disse Marius con dolcezza, posandole una mano sulla spalla. “Va tutto bene?”.

La poveretta scosse la testa e disse debolmente: “No. Li ricordo. Erano orribili. Mi facevano andare scalza di inverno. Anche le loro figlie mi trattavano male”.

“Eponine”, sussurrò Marius, provocando un altro sussulto in Cosette.

“Sì, la maggiore si chiamava così”, disse lei.

Marius deglutì. La sua voce era rotta quando disse: “Eponine e Azelma”

“Sì”, disse ancora Cosette, con una punta di isteria nella voce. “Si chiamavano così. Ma come lo sai?”.

“Ora”, rispose Marius, cercando di tranquillizzarla come poteva, carezzandole una guancia, nonostante lui stesso non fosse esattamente tranquillo. “Penso che dovremmo lasciare continuare l’Ispettore. Più avanti ti spiegherò”.

Entrambi si voltarono verso Javert, che rispose alla loro muta richiesta.

“Come stavo dicendo, i Thenardier continuavano a richiedere soldi da Fantine e non volevano proprio – perdonatemi – mollare la presa su di voi, Mademoiselle, tant’è che Madeleine aveva deciso di andarvi a recuperare di persona e restituirvi a vostra madre”.

“Ma non lo fece”, disse Cosette con tono glaciale.

Javert sospirò.

“No”, disse. Un altro sospiro. “E ora vi spiego perché: quando aveva impedito che io arrestassi vostra madre, io non l’avevo presa bene e mi convinsi che doveva trattarsi sul serio di un avanzo di galera, così lo denunciai”.

Prima che Cosette potesse intromettersi di nuovo, continuò: “Ma alla polizia mi dissero che ero pazzo e che il vero Jean Valjean era già stato preso”.

Spiegò poi a due increduli Cosette e Marius chi era Champmathieu, e perché si sospettava che fosse Valjean. Raccontò inoltre di aver comunicato tutto a Madeleine, che, al contrario di quanto Javert aveva sperato, non lo aveva cacciato l’Ispettore dalla polizia per l’affronto della denuncia.

“All’inizio pensai che fosse solo la sua solita generosità, che mi faceva sempre infuriare. E, in realtà, fu anche quella. Madeleine si recò poi ad Arras, dove si stava tenendo il processo contro Champmathieu, e rivelò finalmente di essere Valjean davanti a tutti. Champmathieu fu scagionato”.

Perse di nuovo parte del suo controllo. Si passò una mano sulla fronte, prima di procedere.

“Lo trovai all’ospedale, mentre cercava di convincere vostra madre che vi avrebbe rivisto. Mi chiese tre giorni per venirvi a prendere, poi, diceva, si sarebbe consegnato spontaneamente alla giustizia. Ma io gli risi in faccia, e mi misi a gridargli contro, davanti a vostra madre. E lei morì sul colpo”.

Pronunciò quelle ultime parole con voce improvvisamente soffocata.

La camera sprofondò nel silenzio per alcuni minuti, durante i quali, Cosette, scossa, non riuscì a guardare Javert in faccia, e lui stesso tenne gli occhi puntati sulle proprie mani.

“Dov’è lei ora?”, chiese d’un tratto Cosette, con un filo di voce.

“In una fossa comune a Montreuil”, rispose Javert.

Quando ricominciò a raccontare, descrisse il modo in cui Valjean era evaso, aveva ritirato il suo denaro e poi era stato preso di nuovo dopo tre giorni, aggiungendo “In quei tre giorni, deve aver sotterrato il suo denaro nella foresta di Montfermeil”. Parlò di come Valjean era stato condannato al carcere a vita, e di come avesse letto su un giornale della sua morte per annegamento – su quella parola aveva tremato quasi impercettibilmente – dopo aver salvato un membro dell’equipaggio della nave Orione.

Il racconto continuò con lo spionaggio alla casa Gorbeau e l’inseguimento per le vie di Parigi, dopo che Cosette aveva confermato che sì, Valjean era andato a prenderla e le “aveva pure regalato una bambola”.

“Non vi trovai più, Mademoiselle. Posso chiedervi dove eravate finiti?”.

“Al convento Petit-Picpus”, rispose Cosette. “Papà si mise a lavorare come giardiniere insieme allo zio Fauchelevent”.

Javert si batté violentemente una mano sulla fronte: “Ma certo! Era capace di scalare un muro del genere!”.

Cosette gli disse poi di aver lasciato il convento dopo la morte di Fauchelevent.

Javert proseguì andando a raccontare l’attentato alla casa Gorbeau, con l’aiuto di Marius che gli confermò che il borghese catturato era stato proprio Jean Valjean, gli descrisse i particolari mancanti, di cui neppure Valjean era a conoscenza, e spiegò a Cosette anche il rapporto che aveva avuto con i Thenardier e in che modo fossero legati a suo padre.

“Ma se avessi saputo come ti avevano trattato, non li avrei aiutati a fuggire. Mi vergogno tanto!”.

Cosette, esterrefatta, ebbe solo la forza di poggiare una delle sue mani su quella di Marius.

“Il fatto che io abbia effettivamente salvato Valjean, quel giorno”, disse Javert. “È una magra consolazione”.

“Te ne sono comunque grato”, disse Valjean. “E anche a Marius”.

Arrivò infine il momento di parlare della rivoluzione. Marius interruppe Javert per spiegare a Cosette i motivi per cui era andato a combattere e perché non aveva letto prima la lettera che lei gli aveva lasciato prima di lasciare Rue Plummet.

“L’aveva presa Eponine. Era gelosa di te”, disse. “Ma Cosette, non odiarla. Durante il combattimento, è morta per salvarmi. Non sarei qui ora, se non ci fosse stata lei”.

Cosette annuì, negli occhi un misto di sentimenti.

“Capisco”, disse tristemente. “Pregherò per lei”.

“Prima di morire, mi diede la tua lettera”, disse ancora Marius. “Così scrissi una lettera di risposta e la consegnai a Gavroche, il fratellino di Eponine, perché la portasse a te. Ma credo che l’abbia letta tuo padre”.

“Infatti”, disse Cosette. “Io non l’ho mai letta, quella lettera”. 

“Tuo padre”, continuò Marius. “Venne alla barricata da noi”.

Da qui, riprese Javert, spiegando come era dapprima stato catturato dai ribelli e poi affidato a Valjean perché venisse ucciso.

“Quando ho sentito lo sparo”, disse Marius. “Vi ho creduto morto”.

“L’avrei preferito”, commentò Javert. “Ma sparò in alto. Mi liberò dalla corda che mi legava e mi lasciò libero”.

E Marius: “Quando Cosette mi disse che eravate vivo, pensavo che suo padre vi conoscesse e fosse un vostro amico”.

Javert fece un respiro profondo.

Il racconto proseguì con la caduta della barricata e il ritrovamento di Valjean all’uscita delle fogne di Parigi.

“Quindi è stato davvero lui, a salvarmi. Avevo ragione!”, esclamò Marius. Si rivolse poi a Cosette. “Oh, Cosette, quando questo racconto è cominciato, non ho potuto fare a meno di pensar male di lui perché era stato in carcere, e mi pento! Dopo aver sentito come si è preso cura di tua madre, di te e di come mi abbia portato in salvo rischiando la vita, non posso fare altro che ritenerlo un santo”.

“Non sono un santo”, mormorò Valjean. “Vi odiavo, Monsieur Marius. Non avrei dovuto”.

“Dicevo”, riprese Javert. “Valjean mi pregò di aiutarlo a riportarvi da vostro nonno. Feci proprio questo. Dopodiché, mi chiese di poter salire a casa sua, un’ultima volta, immagino per salutare voi, Mademoiselle”.

“Non mi salutò”, disse Cosette. “Tutto quello che mi rimane è una sua lettera--”.

“Io però”, continuò Javert, senza aspettare che Cosette avesse finito di parlare. “Me n’ero andato. Non avevo più intenzione di arrestarlo”.

Si fermò di nuovo, e pareva ora fattosi più piccolo, all’interno del suo lungo cappotto. La schiena china, con le mani si torturava le basette e pareva quasi che davanti agli occhi non vedesse più i due giovani innamorati, ma l’acqua nera del fiume.

“Per tutta la vita – l’avete sentito pure voi – avevo servito ciecamente la legge. Avevo creduto che un uomo che andasse contro di essa fosse malvagio, e non potesse venire perdonato. Le scuse, tutti i pianti che ho sentito quando mi pregavano: ‘Ispettore Javert, l’ho fatto per fame! O per i miei figli’o chissà cos’altro, non facevano effetto su di me. Ero cieco e sordo, ma in quel momento vedevo e sentivo”.

D’un tratto, chiuse di scatto gli occhi, come a voler impedire a se stesso, con quel gesto, anche di vedere con gli occhi della mente qualsiasi cosa stesse ricordando.

“Monsieur…?”, cominciò Marius, con tono sommesso.

Javert riaprì gli occhi e la sua espressione sembrò incredula per una frazione di secondo, come se si fosse dimenticato di vivere nel presente. Si sforzò di riprendere una posizione composta, appoggiando di nuovo la schiena allo schienale, e finì di descrivere con una calma spaventosa il tormento interiore che aveva provato in quella fatidica notte.

“Per tutte queste ragioni”, concluse. “Decisi di uccidermi. Mi sarei gettato nella Senna. Scrissi un’ultima lettera al prefetto sulla condizione dei detenuti nelle carceri e tornai al parapetto al quale ero stato appoggiato nella ultima ora”.

Un freddo silenzio di tomba si impadronì della stanza. Il pubblico di Javert aveva compreso che il racconto era ormai al termine, e gli occhi erano puntati su di lui senza che le bocche avessero coraggio di fiatare. Javert volse lo sguardo altrove, lontano dall’accusa di Marius e Cosette.

“Immagino che abbiate già capito come finirà questa storia”.

Chinò il capo.

“Valjean mi raggiunse”, disse. Alzò le spalle, cercando di non far notare il modo in cui la propria voce esitava. “Non so perché lo fece. Forse perché, semplicemente, era una brava persona. Mi chiese di scendere dal parapetto, e mi disse che capiva le mie sofferenze. Mi propose un tè. Ma io non lo ascoltai. Mi gettai in avanti.”.

Conficcò le unghie nel palmi e prese alcuni profondi respiri, continuando a non guardare Marius e Cosette. Quando sembrò esseri calmato, riprese.

 “Lui si tuffò con me. Quando ripresi i sensi, mi accorsi che--”.

Per quanto si fosse preparato a rimanere controllato, la sua voce si spezzò ugualmente e le lacrime presero lo stesso a scorrere. Faceva tristezza, vedere che ancora, inevitabilmente, non riusciva a raccontare quella parte senza scoppiare a piangere.

Provò a dire qualcosa che somigliava a “morto” senza riuscirci. Ma non era necessario che affermasse l’ovvio.

Anche Cosette si era messa silenziosamente a piangere, e persino Marius teneva una mano premuta sugli occhi.

Quanto a Jean Valjean, possiamo dire che il pover’uomo sentì le lacrime sul suo viso per la prima volta da quando era morto. Non caddero mai per terra.

Prima che potesse tendere una mano verso quelle persone, tutte in lutto per lui, Cosette si alzò di scatto dalla poltrona, e prese a percorrere freneticamente la stanza avanti e indietro, torturandosi le mani, fra i singhiozzi. Dopo un attimo di smarrimento, la raggiunse anche Marius, circondandole le spalle con le braccia. Questo non sembrò calmarla.

“Capite, adesso, Mademoiselle”, le disse Javert, con voce roca e affaticata. “Perché voglio vedervi felice? Glielo devo, e lo devo a voi. Dopo quello che ho fatto a vostra madre e vostro padre…”.

“Sì”, tagliò corto Cosette. “Lo capisco. Capisco che siete un uomo orribile”.

Fissò Javert, preso alla sprovvista da un commento del genere, e gli parlò con un tono terribile, un tono che mai Valjean avrebbe creduto  di poter udire da Cosette.

“Non voglio vedervi mai più”.

Javert sussultò e osò rivolgerle lo sguardo, e quello che Cosette, le guancie arrossate per le lacrime e la rabbia, gli offrì a sua volta fu di puro disprezzo.

“Mademoiselle…”, disse Javert.

“Andatevene”, sibilò Cosette, con un tono che non ammetteva repliche. “Sareste dovuto morire voi, non lui, non mia madre”.

“Lo so, ma…”, Javert cercò sostegno da Marius, che però non pronunciò parola.

Cosette perse la pazienza.

“Vai via!”, gridò. “Vattene! Ora!”.

Javert si alzò immediatamente, si inchinò e uscì velocemente dalla camera. Qualche istante dopo, Gillenormand e Toussaint fecero irruzione, trafelati.

“Cos’è successo?”.

Trovarono Cosette che nascondeva il viso nel petto di Marius e singhiozzava forte, disperata.

“Oh…”, gemette Valjean, nel vederla così. “Tesoro mio, mi dispiace lasciarti qui”.

Doveva assolutamente seguire Javert. Aveva un terribile presentimento.

Apparve accanto a lui e lo seguì mentre camminava, e camminava, e camminava.

Con sommo terrore, lo vide tornare al parapetto tra Pont-au-Change e Pont Notre-Dame.

“Javert!”, esclamò. “Javert, ti prego! Non farlo!”.

Javert osservava l’acqua sotto di sé. Si tolse il cappello che aveva ripreso prima di uscire e lo posò per terra.

“Javert”, singhiozzò Valjean. “Ti prego”.

Ma Javert osservava l’acqua e non faceva nulla.

D’un tratto, Valjean lo udì sussurrare queste parole: “Eppure, quella sera, sono riuscito a gettarmi”.

Javert sbatté i pugni sul parapetto e cacciò un urlo terribile, un urlo che pareva più quello di un animale ferito a morte, piuttosto che quello di un uomo.

“Ci sono riuscito! Perché ora no? Ci sono riuscito!”.

Si accasciò sul parapetto, tra il respiro affannoso, afferrandosi i capelli.

Valjean lo strinse a sé e pianse con lui, maledicendo la sua condizione che non avrebbe mai permesso a nessuno dei due di sentire quell’abbraccio.

*

Quella notte, Valjean passò tutto il tempo a controllare a turno Javert e Cosette, preoccupato com’era per loro.

Javert era infine tornato a casa, spaventando a morte, con la sua aria funerea, il povero Blanchard, che, nonostante fosse stato praticamente buttato giù dal letto a notte fonda, fece di tutto per assicurarsi che Javert fosse confortevole, e se ne tornò a dormire solo dopo che lo stesso Javert si era coricato davanti ai suoi occhi e gli aveva ripetuto per la centesima volta “Sto bene, sono solo un po’ stanco”.

Cosette aveva pianto a lungo tra le braccia di Marius, sfogando tutta la rabbia, il dolore e il senso di impotenza dopo tante terribili rivelazioni, sotto gli occhi dell’amato e degli altri presenti, preoccupatissimi. Una volta calmata, si era scambiata la promessa di vedersi con Marius la mattina successiva, per discutere razionalmente di quello che avevano udito quella sera.

Avevano tenuto la bocca cucita con gli altri su quanto gli era stato riferito. Quando Gillenormand aveva provato a chiedere dei dettagli su Javert e se c’era da fidarsi di lui, Marius aveva tagliato corto dicendo che non era momento di discuterne.

Solo una volta a casa, Toussaint commentò apertamente, dando le proprie impressioni su quanto era accaduto.

“Lo sapevo che avevo ragione a trovare inquietante quell’uomo! Non oso pensare a quali cose terribili vi avrà detto sul padrone!”

Cosette, che fino a quel momento aveva fissato il vuoto, sconsolata, si era come ridestata da un lungo sonno e aveva guardato la serva con occhi grandi, stupiti.

“No, ha detto…”.

Si era passata una mano tra i capelli. Sembrava come se avesse compreso solo in quel momento il significato di ciò che stava per dire.

“No, avevi ragione tu. Papà era davvero un santo”.

E, quando ebbe pronunciato quelle parole – Valjean non aveva dubbi – era sincera.


 
Autrice:

Quando inziai questa storia, la pensai prima come una One Shot.
Poi, accorgendomi che già il primo capitolo era diventato piuttosto lungo, dissi che avrebbe avuto più capitoli, ma non più di due o tre.
Poi, rendendomi conto che non potevo semplicemente ignorare problemi come la mancanza di denaro o di tutore di Cosette, la storia si allungò ancora di più. Fino a quel momento, sapevo già che certe scene ci sarebbero state, come Valjean che riesce a farsi sentire da Javert e Javert che racconta tutta la vicenda di Valjean a Marius e Cosette, ma erano solo flash, slegati da un contesto più grande.
"Pazienza", mi dissi. Il terzo capitolo sarà comunque il punto di svolta, da cui comincerà l'epilogo.
Mentre lo scrivevo, mi resi conto che stava diventando incredibilmente lungo.
"Lo dividerò in due", dissi. E scrissi nelle note che, probabilmente, la seconda parte sarebbe stata più corta della precedente.
..
...
:v
Come avete notato, questa parte è molto più lunga di quella di prima. Vi farà piacere (?) sapere che quello che doveva essere il capitolo tre nei piani originali, non è ancora concluso.
Visto che questa storia continua ad allungarsi, continuo anche a fare dei cambiamenti più o meno importanti nella direzione da farle prendere (l'epilogo che ora ho intenzione di scrivere, è diverso da quello che avevo immaginato prima, e può darsi che prenderà più di un capitolo). Ad esempio, non avevo pensato di inserirci la enjoltaire a tradimento! XD All'inizio, non dovevano apparire affatto, poi mi venne in mente di fare fare un cammeo a di Enjolras solo come voce, tra le anime non più sulla Terra. Poi, a seguito di una conversazione, un intervento di WandererS sulle ghost!fic mi convinse a inserire definitivamente lui e Grantaire come fantasmi, in quello che doveva essere lo stesso solo un breve cammeo. Poi si è allungato anche quello. X'D 
Ringrazio Mapi D Flourite per le battute di Grantaire su Patroclo e Niso, e la risposta "Ti strozzo" detta da Enjolras. E anche per avermi risollevato l'autostima nello scrivere di questi due idioti. ;w;
Su quella parte ho un po' il timore di essermi lasciata trascinare dai feelz che ho per i due nonostante non scriva molto su di loro, ma ehi, la storia è mia e posso permettermelo, no? Inoltre, con quello che succede nel resto del capitolo, un po' di felicità ci sta.
Parlando del resto del capitolo, non avevo neanche, inizialmente, intenzione di far reagire così male Cosette, ma mentre scrivevo mi sono detta che sarebbe stato solo normale. Non voglio fare pensare che io la ritenga cattiva o stia facendo bashing su di lei, ho solo pensato che la poveretta avrebbe anche potuto reagire con rabbia dopo aver passato una serata a sentire raccontare la morte della madre e del padre e aver ricordato le violenze subite dai Thenardier.
In ogni caso, come si risolverà questa faccenda lo vedrete - spero! - nel prossimo capitolo che - spero! - sarà finalmente la conclusione del terzo capitolo originale, ma non la conclusione dell'intera storia. Che vedo sempre più lontana. X'D
Ringrazio chi legge, chi segue, chi mette tra i preferiti ecc. Vvb. Cià.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Miserabili / Vai alla pagina dell'autore: flatwhat