Capitolo 28
Non
appena Fobos percepì le labbra di Ysmen sulle sue
cercò di sottrarsi, ma la
donna gli artigliò con le unghie affilate il volto scarno e
lo costrinse a
subire la sua violenza.
-Pensi
di farmi del male, così? -, le chiesi, stupendomi io stessa
di quanto il mio
tono risultasse fermo e deciso. La realtà era ben diversa da
ciò che stavo
mostrando ai presenti: dentro stavo avvampando di rabbia ed era stato
assai
arduo anche solo decidere di aprire la bocca per parlare.
-No,
era solo qualcosa che mi sentivo di fare-, bisbigliò lei,
lasciando andare di
colpo Fobos. Il ragazzo cadde a terra, pulendosi le labbra e imprecando
pesantemente.
-
Guardalo, non è un bellissimo re? Eppure quando stava con
me, aveva decisamente
un colorito migliore-.
La
bile mi sgorgò dal fegato e un dolore sordo mi diede il
colpo di grazia.
Estrassi la pistola dalla fondina di Colossus, troppo molle e fiacco
per
accorgersi dei miei movimenti rapidi, e con
l’agilità di una pantera la puntai
alla tempia di Chastor. Lui sgranò gli occhi e una goccia di
sudore gli scivolò
lungo il collo perdendosi nell’intricato labirinto dei
tatuaggi.
-Che
diavolo, fai?!-, strillò Ysmen, improvvisamente meno incline
a scherzare.
Sorrisi e indicai con il mento il suo enorme gemello.
-Era
solo qualcosa che mi sentivo di fare-, la scimmiottai e premetti con
forza la
canna contro la pelle dell’uomo. – Allora cosa
vogliamo fare, Alpha-1? Mi
spieghi esattamente cosa ci faccio qui, nei minimi dettagli, e poi
aiuti Fobos…
o sparo al tuo stesso sangue? -.
Colossus
pose una mano sulla spalla di Ysmen, le cui labbra tremavano per la
furia e la
paura. I suoi dread tintinnarono quando sollevò lo sguardo,
fiera.
-Sei
proprio una DC-, mi concesse, tornando alla scrivania ed estraendo un
fascicolo
spesso e cartaceo. Era da anni che non vedevo un file in carne e ossa;
era
quasi antiquariato.
-Qui
ci sono le specifiche che ci sono state date da Prometheo. Puoi
leggerlo se
vuoi. Ci sono tutte le informazioni a noi note-.
Colossus
sorrise, poi raccolse la risma di fogli e me la porse.
-Carta?
-, commentò Fobos, il quale, proprio come me si stava
ponendo molte domande.
-
Oggi come oggi è più sorvegliata la rete Wi-Fi
universale che non la carta.
Persino la rete pirata è soggetta a virus o hacker. Chi mai
penserebbe, invece,
che messaggi importanti vengano ancora spediti con un corriere? -.
Non
potevamo darle altro che ragione. Afferrai quel ciarpame e velocemente
gli
diedi una sfogliata. Vidi una foto mia e qualcuna di Fobos, ma nessun
foglio in
particolare attirò la mia attenzione.
-Quindi
presuppongo che nonostante la vostra accoglienza di merda, voi siate da
considerare
alleati-, commentò l’Ibrido, strappandomi il file
di mano e analizzandolo lui
stesso. Stava male e si vedeva, ma il suo temperamento combattivo non
gli permetteva
di fidarsi del mio giudizio e restarsene in disparte.
-Solo
se la regina accetterà il ruolo che Prometheo le ha
riservato-.
-
Non sono forse già votata alla causa dei Figli del Vento? -,
sussurrai,
movimentando l’orecchino appeso al mio lobo.
Ysmen
accennò piano, come se le costasse una fatica immensa.
-Non
sono certa sia il caso di fidarmi, in fondo sei una anomalia. Eppure
per
qualche motivo Prometheo sta muovendo mari e monti per te, persino il
Deserto
intero; per qualche motivo lui si fida. Accetterò le tue
parole, ma da donna
diffidente ti chiedo un Debito. Nulla di troppo impegnativo-.
Strinsi
i denti e Fobos scosse il capo impercettibilmente, chiedendomi di
ignorare la
donna. Anche lui nutriva dei dubbi sulla nostra setta, anche lui
sospettava che
in quel fascicolo ci fossero informazioni che avremmo dovuto leggere
prima di
accettare qualsiasi accordo.
Eppure,
se non avessi accettato immediatamente, che fine avremmo fatto io e
Fobos? Lui
sicuramente si sarebbe spento come una candela.
-D’accordo.
Consideralo fatto-, dissi fissandole la schiena con rabbia.
-Ottimo,
era qui che volevamo arrivare-, commentò lei, ridendo con
quei canini
artificiali.
-Ma
stai scherzando?!- strillò invece Fobos, urlando contro di
me tutta la sua
rabbia. Sapeva che, per quanto lo stessi odiando, la mia scelta era
stata presa
principalmente per lui, per salvarlo, e questo non gli andava
giù. Odiava
essere la causa per la quale io stavo accettando un simile compromesso.
-Non
scherzo. E ora taci-, lo ammonii, ma non feci nemmeno in tempo a finire
la
frase che le ginocchia di Fobos crollarono e il giovane, portandosi una
mano al
volto, cadde a terra. Cominciò a vomitare sangue, tantissimo
sangue, e nemmeno
la mia mano fu in grado di fermare quel fiume scarlatto che
scivolò come una
serpe sul pavimento trasparente. Poi l’Ibrido perse
definitivamente conoscenza.
-Fobos!
-, lo chiamai scuotendolo, mentre la voce di Colossus chiamava il
personale del
pronto soccorso. Ysmen rimase a fissarmi per tutto il tempo, senza
muovere un muscolo.
Vide scorrermi le lacrime sulle guance e il sangue sulle mani, mi
sentì urlare
e imprecare, ma non fece nulla. Mi osservò incuriosita,
cercando di capire cosa
provassi, perché stessi così male. Ma
né lei né Chastor potevano anche solo
immaginare la sofferenza che provavo in quel momento. Mi sentivo
dilaniare il
petto, sbrindellare l’anima e il mio mostro piangeva con me,
implorandomi di
morire se fosse morto anche quel volto da ragazzo che stringevo
convulsamente
fra le braccia, bagnate del suo sangue scuro.
Pareva che Fobos non avesse
mentito quando
aveva detto di essere immune ad ogni sorta di medicina o tossina. Lo
era a tal
punto che i medici giunti nell’ufficio di Ysmen per salvarlo
non avevano
riscontrato alcun effetto nell’iniettargli
l’adrenalina dritta nel petto. Non
era successo assolutamente nulla, mandandomi nel panico più
totale. Erano
riusciti a rianimarlo solo con il defibrillatore, ad un soffio dalla
morte, e
da allora si limitavano a nutrirlo e farlo respirare artificialmente,
legato a
un lettino con mille tubi e una mascherina per l’ossigeno. I
sintomi erano
quelli dell’overdose, ma al contrario. Il suo corpo, non
sopportando più
l’astinenza cui era stato costretto, si era ribellato e aveva
deciso di
lasciarsi morire, portando il padrone a una morte silenziosa e
fulminante. Ma grazie
agli Dei, i medici non avevano tardato a scoprire cosa lo rendesse
invulnerabile ai farmaci.
-Il
suo sistema sanguigno è percorso da dei Nanobot-, mi aveva
spiegato
l’infermiera che lo stava assistendo, paziente di fronte al
mio viso stravolto.
–Sono piccoli robot programmati per inglobare e sciogliere
tutte le sostanze
estranee che non siano la cura somministrata dal suo medico.
E’ stato difficile
capire come disattivarli senza usare altre sostanze, ma alla fine il
dottor
Omega-g è riuscito a ricreare in laboratorio dei Femtobot in
grado di
disattivare i piccoli intrusi nel suo corpo. Il loro funzionamento
è semplice.
Essendo ordini di grandezza più piccoli, essi sono in grado
di circondare i
Nanobot e spezzettarli in minuscoli frammenti che poi vengono filtrati
tramite
delle macchine collegate al sistema depurativo dei reni del paziente.
Una volta
terminata la loro missione i Femtobot procedono con
l’esecuzione di un check-up
completo dei tessuti e laddove si sono aperte ulcere o emorragie
sintetizzano
un bio-tessuto in grado di fare da cerotto a quelle piaghe aperte e
integrarsi
perfettamente con il sistema biologico dell’Ibrido-.
Erano
parole che non avevano alcun senso per me. Io vedevo solo un Fobos
estremamente
giovane, steso nudo in un tubo di vetro, isolato dal mondo e con gli
occhi
chiusi. Non ero riuscita a tollerare quella visione per più
di pochi minuti e,
quindi, ero scappata via alla prima occasione. Mi ero concentrata su
altro: sul
fascicolo, su Aracne ed Eracleo e soprattutto su me stessa. La prima
cosa che
avevo fatto dopo essermi assicurata che Fobos fosse in buone mani, era
stata
riunirmi con i miei due compagni. Avevo scoperto che erano stati
catturati nel
Deserto poco prima che le loro scorte di acqua finissero e che, come
noi,
avevano scelto la via della diserzione. Mi raccontarono che Cronyos
aveva dato
il via a una strenua caccia all’uomo, ponendo una taglia
sulle nostre teste,
sulla mia e su quella di Fobos. Eravamo accusati di ammutinamento,
sedizione,
favoreggiamento del nemico e concorso in atto terroristico
ingiustificato.
Insomma, eravamo sulla bocca di tutti e sulla piattaforma internet dei
Wanted.Inc, i cacciatori di taglie. Avevo anche saputo che Galeno era
stato
imprigionato con l’accusa di complicità in atto
terroristico e favoreggiamento,
e che al momento era in attesa di giudizio. Erano tutti fermamente
convinti che
fossi stata io la causa di quell’esplosione e che sempre io
avessi convinto
Fobos a sostenere la mia causa. Ero diventata il baluardo dei ribelli,
tanto
che questi adesso inneggiavano a me come alla loro eroina guida.
Pensavano che
avessi dato ordine a Galeno di evacuare la zona per amore loro, dei
miei fedeli
proseliti, e che volessi colpire solo le frange dell’Esercito
presenti fuori e
dentro il Vallum, allargando ulteriormente la breccia. Mi avevano
idealizzata e
tramutata in un bug a tutti gli effetti. Ma non me ne fregava nulla di
quello
che pensavano; quello che mi tormentava era stato scoprire quello che
avevano
subito i miei due amici per avermi creduta innocente tutto quel tempo.
Erano
stati accusati entrambi di sedizione ed erano stati costretti a
lanciarsi in quella
nuova e imprevista avventura.
Eracleo,
in particolare, mi era parso provato. Aveva dovuto provvedere a
sé stesso e ad
un’altra donna per tutto quel tempo, e quando mi aveva
trovato era stato
talmente felice di vedermi che mi aveva stritolato in un abbraccio
soffocante e
mi aveva baciato la fronte più e più volte. Aveva
ringraziato gli Dei,
inginocchiandosi a terra, e aveva giurato che se non fosse stato per la
sua
fede nelle Divinità e in me, a quell’ora sia lui
che Aracne sarebbero stati già
in mani nemiche. Io
non avevo creduto a
tutte quelle panzane religiose e mi ero discostata dal loro
atteggiamento
euforico e sollevato. Non capivano che la vera guerra era iniziata e
che ora,
con loro tra i piedi e non più al sicuro, dovevo
preoccuparmi di altre due
persone. Non potevo tollerare che anche a loro accadesse qualcosa di
simile a
quello che era toccato a Fobos. E non potevo nemmeno più
guardarli in faccia,
essendo io la colpa di tutto quanto. Perciò, sebbene i
Diarchi ci avessero
assegnati allo stesso appartamento, io me ne stavo per i fatti miei,
chiusa in
uno sgabuzzino della palazzina, sotto una nuda lampadina e accovacciata
su un
secchio a fissare il fascicolo che Alpha-1 mi aveva consegnato. Non ero
riuscita ad aprirlo, nemmeno una pagina. Non mi sembrava giusto
sverginare
quelle informazioni preziose senza Fobos, senza colui con il quale
avevo
iniziato la mia nuova vita. E di fronte a quel cartone giallastro avevo
realizzato finalmente due cose. La prima era che ero libera, che
adesso, pur
nella solitudine dell’assenza di Fobos, avevo in mano la mia
vita e tutto
sarebbe dipeso dalle mie scelte. La seconda era che forse Alpha-1 non
aveva
avuto tutti i torti a chiamarmi Deadly Child. In un certo senso lo ero
davvero:
non avevo paura di morire, non avevo paura di sacrificarmi per una
causa, per
un’idea. L’unico punto su cui non transigevo era,
però, la motivazione. Per
lottare e dare tutta me stessa dovevo avere la certezza di essere nel
giusto,
che il mio fine giustificasse davvero i mezzi e che alla fin della
fiera mi
sarei sentita bene e non un veterano con un disturbo post traumatico da
stress.
Per
cui la scelta era stata quella di non poltrire e di affrontare
l’angoscia
emotiva che aumentava ogni giorno di più. E come fare?
Correndo, andando in palestra
e fissando il fascicolo. Mi ero messa alla prova, studiando strategie
militari
con Colossus, storie di complotti e ribellioni con Sigma-x, che di
questo
argomento era davvero esperta, e praticando esercizi di magia visto che
le Cure
mi erano precluse.
Volevo
essere pronta per quel fascicolo una volta che Fobos fosse uscito da
quel
maledetto tubo. Perché lui sarebbe uscito da lì,
con le sue gambe.
Occupai
così i miei giorni, fino a quando un medico non
chiamò nel nostro appartamento
e comunicò ad Aracne che Fobos si era risvegliato e che era
stato spostato dal
reparto di terapia intensiva a quello di degenza. Era ancora debole e
si stava
abituando alla sua nuova condizione. Avevano dovuto fargli almeno una
dozzina
di iniezioni tra vaccini e antibiotici, tutti allo scopo di aiutare il
suo
sistema immunitario. Ero felice che stesse bene, ma non volli comunque
andare a
trovarlo. Non ci riuscivo. Stavo male al solo pensiero di rivedere quei
tubi,
quel corpo debole e quegli occhi sottili e spruzzati d’oro.
Ma sapevo anche che
non avrei potuto procrastinare a lungo perché le nostre
strade non erano ancora
pronte per dividersi. Presi quindi la decisione più
difficile della mia vita:
sarei andata dall’Ibrido quando avessi avuto il coraggio di
leggere almeno il
titolo del fascicolo.
Inutile
dire che mi ci volle ancora qualche giorno, qualche notte insonne e
almeno due
litri di caffè nero. Ci riuscii una mattina, dopo essermi
svegliata coperta
dalla giacca di Eracleo.
Fascicolo#
caso 1. La falena notturna
Sospirai
quando lo lessi e, senza ripensarci, chiusi il plico, fiondandomi fuori
casa.
-Qual
è il problema, Astreya? Hai detto che non mi avresti
più parlato, eppure sei
qui di fronte a me, con quel broncio e quella ridicola espressione-.
Depositai
il mazzo di girasoli accanto al suo lettino, attenta a non
schiacciarli, poi
avvicinai uno sgabello a Fobos e mi sedetti in silenzio. Ero ancora
arrabbiata
con lui, ero ancora ferita dalle sue omissioni. Mi ero fidata di Fobos
e,
contro ogni aspettativa, mi ero persino affezionata a quel mostro
pallido,
eppure lui era distante da me anni luce, o meglio io ero distante dal
suo
cuore. Per Fobos si era sempre e solo trattato di ordini: gli avevano
detto di
seguirmi e proteggermi e lui, lui lo aveva fatto. Era doloroso, ma
potevo
davvero rimproverarglielo?
-Come
stai? -.
-Bene,
ti ringrazio-.
Fobos era attento ad
ogni mio singolo
movimento, ad ogni mia singola reazione. Sembrava un cervo,
così vigile e
sempre pronto a sfuggire al lupo. Mi passai una mano fra i capelli,
sciolti
blandamente lungo la schiena e arrotolati attorno alla spalla destra in
un
groviglio di nodi e preoccupazioni. Non mi ero nemmeno pettinata, prima
di
andare lì.
-So
che ti ho chiesto di non parlarmi, che ti ho detto di non volerti
più nemmeno
vedere, ma non è così. Capisco perfettamente le
tue ragioni in realtà e forse,
in fondo, lo sapevo fin dall’inizio che per te si trattava
unicamente di
lavoro…-, vomitai, raccogliendo tutto il coraggio che gli
Dei mi avevano
fornito. Ripensai ad Eracleo e Aracne, a quanto fosse semplice per me
comunicare con loro, trasmettere loro le mie emozioni. Con Fobos era
pressoché
impossibile: mi mancava il fiato ogni volta che i suoi occhi glaciali
incontravano i miei. Persino il mio mostro non sapeva che cosa fare in
sua
presenza. Lui, in una sola parola, era disarmante ai miei occhi.
-Non
lo era-.
Cosa?
La voce di Fobos era più profonda del solito e malinconica.
Sollevai il capo,
riuscendo finalmente a distogliere lo sguardo dai miei stivali
sbrindellati, e
lo vidi fissare le folate di sabbia aranciata fuori dalla finestra, i
lunghi
capelli a incorniciargli il viso.
-Non
lo era? -, ripetei senza capire. Ero così smarrita nel mio
mondo che avevo
perso il filo del discorso.
-Non
si è mai trattato solo di lavoro per me-.
Fobos
si voltò nella mia direzione, le labbra tese e le occhiaie
livide. Senza
piercing e con i capelli scostati dal viso mi rendevo finalmente conto
di
quanto fosse giovane. Era sempre lui, con il suo cipiglio severo e la
sua
espressione funerea, ma in qualche modo sembrava più umano.
Osservò a lungo i
girasoli, sperando probabilmente che dicessi qualcosa, ma la mia bocca
era
serrata, i denti fermamente incollati fra loro e la lingua secca e
dolorante.
-E
quella donna, Ysmen, per me non ha contato nulla. E’ stata
solo una donna
adulta che ha mostrato dell’interesse per un ragazzino fuori
dai ranghi-.
-Non
me ne importa nulla di questo. Sono affari tuoi e di quella Mauriana-,
risposi
piccata.
Fobos
sospirò, annuendo appena e tornando con lo sguardo a
spaziare per la stanza.
Non capivo perché fosse così serio,
così laconico. Ero abituata al suo fare
energico, al suo rispondere per le rime, al suo agire senza nemmeno
pensare. E
non parlavo del periodo di astinenza che aveva dovuto superare; parlavo
del
Fobos che avevo conosciuto prima, in Accademia. Il suo spirito
combattivo
sembrava momentaneamente sparito, dissolto nell’aria come i
granelli di sabbia
che stava insistentemente fissando pur di ignorarmi.
Sentii
gli occhi pizzicare. Li stropicciai furiosamente con la mano, ignorando
il
bruciore che questo mi provocò. Quindi mi alzai, mani in
tasca e sguardo basso.
-Beh,
io vado. Spero tu ti riprenda presto-.
Sfiorai
un’ultima volta i fiori colorati che avevo comprato in
piazza, resistendo alla
tentazione di svaligiare il negozio intero, e con un mezzo sorriso feci
per
avviarmi alla porta. Solo quando le mie dita sfiorarono il freddo
acciaio della
maniglia tonda, Fobos si voltò a guardarmi, penetrandomi la
schiena con quei
suoi occhi da rapace.
-Questi
fiori sono gli stessi che hai regalato a quella donna al Tempio,
durante i
funerali…-
Arrossii
fino alle orecchie, nascondendomi nei capelli ed evitando di voltarmi.
Lasciai
solo che la mia mano mollasse la presa sul pomello e scivolasse lunga
distesa
lungo il fianco.
-Già.
Sono colorati e mi ricordano i tuoi occhi-, dissi atona, cercando di
mascherare
il mio imbarazzo. Ripensavo costantemente alle dita di Ysmen che si
intrecciavano ai capelli di Fobos, alle sue labbra scarlatte che
sfioravano la
pelle tesa della sua mandibola. E più ci pensavo
più mi sentivo male.
-
Ho sentito anche la storia che le hai raccontato-, ammise sollevandosi
appena
con una smorfia di dolore. Il ticchettio delle macchine e il continuo
fluire del
liquido contenuto nella flebo del ragazzo cominciarono a rimbombarmi
nelle
tempie sommati alla cavalcata infernale del mio cuore. Di questo passo,
avrei
avuto un attacco di panico.
-
E’ solo una storiella-, ridacchiai tesa, voltandomi appena
per fargli vedere il
mio sorriso. Così avrebbe capito una volta per tutte che si
trattava solo ed
unicamente di un regalo di pronta guarigione, nulla di più.
-
Certo, ma è anche il motivo per cui ti ho seguita fin qui-.
Il
mio cuore produsse un rumore anomalo, simile a un crack. Mi portai la
mano al
petto, cercando di tenere insieme i pezzi di quel piccolo organo
pulsante,
ormai praticamente impazzito.
-Devozione,
no? Penso si possa chiamare anche così. Non sono un uomo
affettuoso o
sentimentale, per questo non ho mai pensato di dovertelo dire. Ma il
motivo per
il quale ti ho seguita fino a qui è stato principalmente il
mio affetto nei
tuoi confronti. Gli ordini sono stati solo un utile pretesto. Ti avrei
seguita
a prescindere-.
I
suoi occhi mi fissavano fermi, senza la minima incertezza. Teneva un
girasole
fra le mani e ne accarezzava i petali come fossero di vetro, fragili e
tremendamente belli.
-Non
so cosa dirti-, ammisi, combattuta. Ero straziata dal desiderio di
abbracciarlo, picchiarlo, baciarlo. Non sapevo cosa fare, cosa provare.
Volevo
non provare più nulla, non provare rancore, non sentire quel
blocco di cemento
sullo stomaco. Eppure non potevo: stare con lui era come vivere
perennemente
sopra le montagne russe dei Gyps.
-Non
devi dirmi niente. Volevo solo che lo sapessi-.
Potevo
veramente andarmene ora? Non sapevo se il mio corpo ne sarebbe stato in
grado,
non ora che Fobos mi attirava a sé come una calamita. Che
razza di potere aveva
quell’uomo? Come poteva disgustarmi e attrarmi a lui
contemporaneamente?
Presi
la mia decisione senza nemmeno pensarci. Mi staccai dalla porta,
girando i
tacchi, e con passo svelto raggiunsi il ragazzo. Gli circondai le
spalle con le
braccia, stringendole al camice grigio scuro che indossava, e affogai
il viso
fra i suoi capelli. Profumava di disinfettante e sapone, ma
l’aroma della sua
magia mi raggiungeva comunque, famigliare e rassicurante. Non era
più così
nauseante per me.
-Stai
bene? -, lo sentii chiedermi, mentre il suo corpo si irrigidiva sotto
il mio
abbraccio.
Annuii
muovendo il capo, poi lo strinsi più forte. Volevo dirgli
che nonostante lo
avessi odiato e non mi fidassi più di lui, mi ero
preoccupata da morire, che
nonostante mi fossi sentita tradita, non avevo mai avuto intenzione di
lasciarlo. Ma non ci riuscivo: se lo avessi fatto oltre alla voce mi
sarebbero
sfuggite anche le lacrime. E nonostante tutto, io non volevo ancora
mostrarmi
così debole di fronte a qualcuno.
Mi
morsi il labbro, quando per la prima volta, Fobos ricambiò
il mio sentimento,
sollevando il braccio e circondandomi la vita. Sentii il calore
febbricitante
del suo abbraccio trapassare la stoffa della canotta e incendiarmi la
pelle.
Era da anni che nessuno mi teneva stretta a quel modo, con
così tanta forza da
non farmi nemmeno respirare.
Sembrava
che dovessimo unirci per tenere assieme i frammenti delle nostre vite,
per
mantenerci sani e lucidi in un mondo che correva verso il traguardo
della
pazzia.
-Posso
continuare a seguirti? -, mi sussurrò Fobos
all’orecchio, passando le dita tra
i nodi nei miei capelli e sciogliendoli dolcemente ad ogni passata.
Appoggiai
la fronte alla sua spalla, godendomi quel momento certa che il futuro
non ce ne
avrebbe riservati molti altri.
-Puoi
fare quello che vuoi-.
-Davvero?
-.
-Sì,
certo. Abbiamo ancora il nostro Debito-, dissi convinta, senza
realmente
accorgermi delle implicazioni logiche delle mie parole. Fobos mi
sollevò il
mento con l’indice, fissandomi negli occhi con
intensità. Rimase così qualche
secondo, come in attesa qualcosa, poi premette le sue labbra sulle mie.
Inizialmente mi venne istintivo ritrarmi, ma alla fine non resistetti e
mi
abbandonai completamente al suo bacio. Non era per nulla tenero,
né timido. Era
semplicemente frustrato, represso e tremendamente urgente. Non mi
lasciava il
tempo di respirare. Non riuscii nemmeno ad allontanarmi quando le
nostre labbra
cominciarono a scottare: Fobos mi afferrò la nuca con la
mano, lasciandomi solo
qualche istante di riposo, poi tornò a tormentarmi le
labbra, mordendole appena
e stringendole con quei canini appuntiti che avevo già
conosciuto.
Mi
sorresse il volto con le mani bollenti, mentre il suo corpo si
avvicinava al
mio, in un abbraccio di lava. Mi sfiorò con la punta del suo
naso, poi, con
delicatezza mi posò un bacio sul lato della bocca, leggero e
impalpabile.
-E
questo cosa vorrebbe dire? -, domandai con tono troppo squillante.
Sembravo io
ora quella ubriaca o in astinenza.
-Vuole
dire che volevo baciarti. E l’ho fatto. A volte anche a me
viene voglia, come a
qualsiasi altro essere maschile…-.
Storsi
il naso. Odiavo quel suo modo di fare sfrontato e disincantato. Anche
io non
credevo nel vero amore (nel nostro mondo non c’era spazio per
smancerie del
genere, né ce n’era bisogno), ma non per questo
andavo in giro a baciare ogni
uomo che avesse un bel viso o un corpo desiderabile.
-Sei
disgustoso-, mugugnai ferita, asciugandomi le labbra con il polso. Non
provavo
davvero ribrezzo, solo volevo cancellare l’impronta delle sue
labbra dalle mie,
fare evaporare il suo respiro dalla mia pelle.
-
Non mi hai nemmeno lasciato finire di parlare-, si lamentò
lui con un sorriso
infelice. Poi continuò: - La prima volta che ti ho baciata
l’ho fatto un po’
per egoismo, un po’ per vendetta. Lo ammetto: sono un essere
spregevole. Ma
dopo quei baci, non ho potuto fare a meno di desiderarti nuovamente.
Non mi era
mai successo. Mai-.
Sospirai,
giocando con le stringe sfibrate dei miei scarponi. Non capivo dove
volesse
arrivare e ogni parola che mi diceva non faceva altro che tormentarmi
ancora di
più.
-Per
me, starti vicino, toccarti, baciarti o semplicemente parlarti
è… un’esigenza
fisica. Non ha nulla a che vedere con l’istinto. E’
la mia testa che mi impone
di baciarti, non solo il mio basso ventre-.
Sollevai
lo sguardo per fulminarlo. Erano le parole meno dolci e meno romantiche
che
avrebbe mai potuto inventarsi. Tuttavia sembravano vere e questo
addolcì
perlomeno la curvatura severa delle mie sopracciglia.
-Sei
veramente diretto… non indori certo la pillola-.
-E
perché dovrei? Ti sembro tipo da cioccolatini e mazzi di
fiori? -, si oppose
lui, sollevando un sopracciglio.
No,
decisamente no. Mi sembrava più il genere di uomo che ti usa
una notte e poi ti
getta nella spazzatura, tra lische di pesce e lattuga marcia. Tossico,
ecco
come lo si poteva definire un uomo come lui.
-Mi
sembra che tu non voglia bene a nessuno, nemmeno a te stesso-, dissi,
stendendo
le lenzuola bianche con le dita. Non volevo guardarlo negli occhi,
perché ero
conscia di quanto gli avrebbe fatto male sentirsi dire una cosa del
genere.
Avevo visto con i miei occhi quello che Fobos aveva passato, sin da
piccolo, e
sapevo che parte del suo mutismo e della sua apatia derivavano dallo
stile di
vita malato che aveva condotto. Nonostante ciò non potevo
fare a meno di
constatare quanto poco interesse nutrisse per il prossimo.
-
Io ti voglio bene, Astreya-.
Mi
ingozzai con l’aria, tossendo ripetute volte. Le lacrime mi
offuscarono la
vista, mentre la mano di Fobos mi colpiva leggermente la schiena.
-Non
morire-, ridacchiò lui.
-Tu
cosa?!-, strillai, coprendo l’incessante gocciolio della
flebo.
-Non
farmelo ripetere, per favore-.
Mi
passai una mano sul volto per nascondere il rossore che lentamente
aveva preso
a colorirmi le guance. Dovevo dargli una risposta? Si aspettava che gli
dicessi
qualcosa in cambio? Ero una Custode, non avevo mai dovuto preoccuparmi
di tutto
quello che caratterizza una storia romantica, né avevo mai
pensato ad un uomo
in questi termini.
-Sarebbe
carino se almeno mi dicessi che non mi odi-.
Era
ovvio che lo odiavo. Come potevo non odiarlo? Era l’unico
uomo in grado di
farmi infuriare, gioire e preoccupare al tempo stesso.
-Sei
sopportabile… a volte-.
Fobos
rise, tenendosi il torace magro per non farlo squassare. Poi quando il sorriso
sfumò nell’aria, la sua
mano si mosse rapida verso la mia e la imprigionò nella sua.
La portò alle
labbra e mi baciò le nocche bianche.
-Farò
in modo di farti innamorare di me-, mormorò, muovendo appena
le labbra sulla
mia pelle. Poi mi morse un dito, le iridi incandescenti che risaltavano
nella
penombra della stanza.