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Autore: Dusky Doll    22/08/2015    1 recensioni
Questa è la storia di Astreya, una giovane donna dal carattere forte e dal cipiglio severo, nata in un mondo corrotto, un mondo dove bisogna crescere in fretta. Il suo mistero si cela dietro i suoi capelli neri e i suoi occhi indagatori, un segreto talmente intrigante da aver attratto le mire della casta militare e di un soldato oltremodo speciale. Ma è tutto oro ciò che luccica? E cosa deciderà Astreya: si venderà all' Esercito o deciderà di combattere da sola la sua battaglia, come un lupo solitario?
NdA: Storia illustrata... da me:) Spero vi piaccia!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 28

Non appena Fobos percepì le labbra di Ysmen sulle sue cercò di sottrarsi, ma la donna gli artigliò con le unghie affilate il volto scarno e lo costrinse a subire la sua violenza.
-Pensi di farmi del male, così? -, le chiesi, stupendomi io stessa di quanto il mio tono risultasse fermo e deciso. La realtà era ben diversa da ciò che stavo mostrando ai presenti: dentro stavo avvampando di rabbia ed era stato assai arduo anche solo decidere di aprire la bocca per parlare.
-No, era solo qualcosa che mi sentivo di fare-, bisbigliò lei, lasciando andare di colpo Fobos. Il ragazzo cadde a terra, pulendosi le labbra e imprecando pesantemente.
- Guardalo, non è un bellissimo re? Eppure quando stava con me, aveva decisamente un colorito migliore-.
La bile mi sgorgò dal fegato e un dolore sordo mi diede il colpo di grazia. Estrassi la pistola dalla fondina di Colossus, troppo molle e fiacco per accorgersi dei miei movimenti rapidi, e con l’agilità di una pantera la puntai alla tempia di Chastor. Lui sgranò gli occhi e una goccia di sudore gli scivolò lungo il collo perdendosi nell’intricato labirinto dei tatuaggi.
-Che diavolo, fai?!-, strillò Ysmen, improvvisamente meno incline a scherzare. Sorrisi e indicai con il mento il suo enorme gemello.
-Era solo qualcosa che mi sentivo di fare-, la scimmiottai e premetti con forza la canna contro la pelle dell’uomo. – Allora cosa vogliamo fare, Alpha-1? Mi spieghi esattamente cosa ci faccio qui, nei minimi dettagli, e poi aiuti Fobos… o sparo al tuo stesso sangue? -.
Colossus pose una mano sulla spalla di Ysmen, le cui labbra tremavano per la furia e la paura. I suoi dread tintinnarono quando sollevò lo sguardo, fiera.
-Sei proprio una DC-, mi concesse, tornando alla scrivania ed estraendo un fascicolo spesso e cartaceo. Era da anni che non vedevo un file in carne e ossa; era quasi antiquariato.
-Qui ci sono le specifiche che ci sono state date da Prometheo. Puoi leggerlo se vuoi. Ci sono tutte le informazioni a noi note-.
Colossus sorrise, poi raccolse la risma di fogli e me la porse.
-Carta? -, commentò Fobos, il quale, proprio come me si stava ponendo molte domande.
- Oggi come oggi è più sorvegliata la rete Wi-Fi universale che non la carta. Persino la rete pirata è soggetta a virus o hacker. Chi mai penserebbe, invece, che messaggi importanti vengano ancora spediti con un corriere? -.
Non potevamo darle altro che ragione. Afferrai quel ciarpame e velocemente gli diedi una sfogliata. Vidi una foto mia e qualcuna di Fobos, ma nessun foglio in particolare attirò la mia attenzione.
-Quindi presuppongo che nonostante la vostra accoglienza di merda, voi siate da considerare alleati-, commentò l’Ibrido, strappandomi il file di mano e analizzandolo lui stesso. Stava male e si vedeva, ma il suo temperamento combattivo non gli permetteva di fidarsi del mio giudizio e restarsene in disparte.
-Solo se la regina accetterà il ruolo che Prometheo le ha riservato-.
- Non sono forse già votata alla causa dei Figli del Vento? -, sussurrai, movimentando l’orecchino appeso al mio lobo.
Ysmen accennò piano, come se le costasse una fatica immensa.
-Non sono certa sia il caso di fidarmi, in fondo sei una anomalia. Eppure per qualche motivo Prometheo sta muovendo mari e monti per te, persino il Deserto intero; per qualche motivo lui si fida. Accetterò le tue parole, ma da donna diffidente ti chiedo un Debito. Nulla di troppo impegnativo-.
Strinsi i denti e Fobos scosse il capo impercettibilmente, chiedendomi di ignorare la donna. Anche lui nutriva dei dubbi sulla nostra setta, anche lui sospettava che in quel fascicolo ci fossero informazioni che avremmo dovuto leggere prima di accettare qualsiasi accordo.
Eppure, se non avessi accettato immediatamente, che fine avremmo fatto io e Fobos? Lui sicuramente si sarebbe spento come una candela.
-D’accordo. Consideralo fatto-, dissi fissandole la schiena con rabbia.
-Ottimo, era qui che volevamo arrivare-, commentò lei, ridendo con quei canini artificiali.
-Ma stai scherzando?!- strillò invece Fobos, urlando contro di me tutta la sua rabbia. Sapeva che, per quanto lo stessi odiando, la mia scelta era stata presa principalmente per lui, per salvarlo, e questo non gli andava giù. Odiava essere la causa per la quale io stavo accettando un simile compromesso.
-Non scherzo. E ora taci-, lo ammonii, ma non feci nemmeno in tempo a finire la frase che le ginocchia di Fobos crollarono e il giovane, portandosi una mano al volto, cadde a terra. Cominciò a vomitare sangue, tantissimo sangue, e nemmeno la mia mano fu in grado di fermare quel fiume scarlatto che scivolò come una serpe sul pavimento trasparente. Poi l’Ibrido perse definitivamente conoscenza.
-Fobos! -, lo chiamai scuotendolo, mentre la voce di Colossus chiamava il personale del pronto soccorso. Ysmen rimase a fissarmi per tutto il tempo, senza muovere un muscolo. Vide scorrermi le lacrime sulle guance e il sangue sulle mani, mi sentì urlare e imprecare, ma non fece nulla. Mi osservò incuriosita, cercando di capire cosa provassi, perché stessi così male. Ma né lei né Chastor potevano anche solo immaginare la sofferenza che provavo in quel momento. Mi sentivo dilaniare il petto, sbrindellare l’anima e il mio mostro piangeva con me, implorandomi di morire se fosse morto anche quel volto da ragazzo che stringevo convulsamente fra le braccia, bagnate del suo sangue scuro.

 

 

 

 Pareva che Fobos non avesse mentito quando aveva detto di essere immune ad ogni sorta di medicina o tossina. Lo era a tal punto che i medici giunti nell’ufficio di Ysmen per salvarlo non avevano riscontrato alcun effetto nell’iniettargli l’adrenalina dritta nel petto. Non era successo assolutamente nulla, mandandomi nel panico più totale. Erano riusciti a rianimarlo solo con il defibrillatore, ad un soffio dalla morte, e da allora si limitavano a nutrirlo e farlo respirare artificialmente, legato a un lettino con mille tubi e una mascherina per l’ossigeno. I sintomi erano quelli dell’overdose, ma al contrario. Il suo corpo, non sopportando più l’astinenza cui era stato costretto, si era ribellato e aveva deciso di lasciarsi morire, portando il padrone a una morte silenziosa e fulminante. Ma grazie agli Dei, i medici non avevano tardato a scoprire cosa lo rendesse invulnerabile ai farmaci.
-Il suo sistema sanguigno è percorso da dei Nanobot-, mi aveva spiegato l’infermiera che lo stava assistendo, paziente di fronte al mio viso stravolto. –Sono piccoli robot programmati per inglobare e sciogliere tutte le sostanze estranee che non siano la cura somministrata dal suo medico. E’ stato difficile capire come disattivarli senza usare altre sostanze, ma alla fine il dottor Omega-g è riuscito a ricreare in laboratorio dei Femtobot in grado di disattivare i piccoli intrusi nel suo corpo. Il loro funzionamento è semplice. Essendo ordini di grandezza più piccoli, essi sono in grado di circondare i Nanobot e spezzettarli in minuscoli frammenti che poi vengono filtrati tramite delle macchine collegate al sistema depurativo dei reni del paziente. Una volta terminata la loro missione i Femtobot procedono con l’esecuzione di un check-up completo dei tessuti e laddove si sono aperte ulcere o emorragie sintetizzano un bio-tessuto in grado di fare da cerotto a quelle piaghe aperte e integrarsi perfettamente con il sistema biologico dell’Ibrido-.
Erano parole che non avevano alcun senso per me. Io vedevo solo un Fobos estremamente giovane, steso nudo in un tubo di vetro, isolato dal mondo e con gli occhi chiusi. Non ero riuscita a tollerare quella visione per più di pochi minuti e, quindi, ero scappata via alla prima occasione. Mi ero concentrata su altro: sul fascicolo, su Aracne ed Eracleo e soprattutto su me stessa. La prima cosa che avevo fatto dopo essermi assicurata che Fobos fosse in buone mani, era stata riunirmi con i miei due compagni. Avevo scoperto che erano stati catturati nel Deserto poco prima che le loro scorte di acqua finissero e che, come noi, avevano scelto la via della diserzione. Mi raccontarono che Cronyos aveva dato il via a una strenua caccia all’uomo, ponendo una taglia sulle nostre teste, sulla mia e su quella di Fobos. Eravamo accusati di ammutinamento, sedizione, favoreggiamento del nemico e concorso in atto terroristico ingiustificato. Insomma, eravamo sulla bocca di tutti e sulla piattaforma internet dei Wanted.Inc, i cacciatori di taglie. Avevo anche saputo che Galeno era stato imprigionato con l’accusa di complicità in atto terroristico e favoreggiamento, e che al momento era in attesa di giudizio. Erano tutti fermamente convinti che fossi stata io la causa di quell’esplosione e che sempre io avessi convinto Fobos a sostenere la mia causa. Ero diventata il baluardo dei ribelli, tanto che questi adesso inneggiavano a me come alla loro eroina guida. Pensavano che avessi dato ordine a Galeno di evacuare la zona per amore loro, dei miei fedeli proseliti, e che volessi colpire solo le frange dell’Esercito presenti fuori e dentro il Vallum, allargando ulteriormente la breccia. Mi avevano idealizzata e tramutata in un bug a tutti gli effetti. Ma non me ne fregava nulla di quello che pensavano; quello che mi tormentava era stato scoprire quello che avevano subito i miei due amici per avermi creduta innocente tutto quel tempo. Erano stati accusati entrambi di sedizione ed erano stati costretti a lanciarsi in quella nuova e imprevista avventura.
Eracleo, in particolare, mi era parso provato. Aveva dovuto provvedere a sé stesso e ad un’altra donna per tutto quel tempo, e quando mi aveva trovato era stato talmente felice di vedermi che mi aveva stritolato in un abbraccio soffocante e mi aveva baciato la fronte più e più volte. Aveva ringraziato gli Dei, inginocchiandosi a terra, e aveva giurato che se non fosse stato per la sua fede nelle Divinità e in me, a quell’ora sia lui che Aracne sarebbero stati già in mani nemiche.  Io non avevo creduto a tutte quelle panzane religiose e mi ero discostata dal loro atteggiamento euforico e sollevato. Non capivano che la vera guerra era iniziata e che ora, con loro tra i piedi e non più al sicuro, dovevo preoccuparmi di altre due persone. Non potevo tollerare che anche a loro accadesse qualcosa di simile a quello che era toccato a Fobos. E non potevo nemmeno più guardarli in faccia, essendo io la colpa di tutto quanto. Perciò, sebbene i Diarchi ci avessero assegnati allo stesso appartamento, io me ne stavo per i fatti miei, chiusa in uno sgabuzzino della palazzina, sotto una nuda lampadina e accovacciata su un secchio a fissare il fascicolo che Alpha-1 mi aveva consegnato. Non ero riuscita ad aprirlo, nemmeno una pagina. Non mi sembrava giusto sverginare quelle informazioni preziose senza Fobos, senza colui con il quale avevo iniziato la mia nuova vita. E di fronte a quel cartone giallastro avevo realizzato finalmente due cose. La prima era che ero libera, che adesso, pur nella solitudine dell’assenza di Fobos, avevo in mano la mia vita e tutto sarebbe dipeso dalle mie scelte. La seconda era che forse Alpha-1 non aveva avuto tutti i torti a chiamarmi Deadly Child. In un certo senso lo ero davvero: non avevo paura di morire, non avevo paura di sacrificarmi per una causa, per un’idea. L’unico punto su cui non transigevo era, però, la motivazione. Per lottare e dare tutta me stessa dovevo avere la certezza di essere nel giusto, che il mio fine giustificasse davvero i mezzi e che alla fin della fiera mi sarei sentita bene e non un veterano con un disturbo post traumatico da stress.
Per cui la scelta era stata quella di non poltrire e di affrontare l’angoscia emotiva che aumentava ogni giorno di più. E come fare? Correndo, andando in palestra e fissando il fascicolo. Mi ero messa alla prova, studiando strategie militari con Colossus, storie di complotti e ribellioni con Sigma-x, che di questo argomento era davvero esperta, e praticando esercizi di magia visto che le Cure mi erano precluse.
Volevo essere pronta per quel fascicolo una volta che Fobos fosse uscito da quel maledetto tubo. Perché lui sarebbe uscito da lì, con le sue gambe.
Occupai così i miei giorni, fino a quando un medico non chiamò nel nostro appartamento e comunicò ad Aracne che Fobos si era risvegliato e che era stato spostato dal reparto di terapia intensiva a quello di degenza. Era ancora debole e si stava abituando alla sua nuova condizione. Avevano dovuto fargli almeno una dozzina di iniezioni tra vaccini e antibiotici, tutti allo scopo di aiutare il suo sistema immunitario. Ero felice che stesse bene, ma non volli comunque andare a trovarlo. Non ci riuscivo. Stavo male al solo pensiero di rivedere quei tubi, quel corpo debole e quegli occhi sottili e spruzzati d’oro. Ma sapevo anche che non avrei potuto procrastinare a lungo perché le nostre strade non erano ancora pronte per dividersi. Presi quindi la decisione più difficile della mia vita: sarei andata dall’Ibrido quando avessi avuto il coraggio di leggere almeno il titolo del fascicolo.
Inutile dire che mi ci volle ancora qualche giorno, qualche notte insonne e almeno due litri di caffè nero. Ci riuscii una mattina, dopo essermi svegliata coperta dalla giacca di Eracleo.

Fascicolo# caso 1. La falena notturna
Sospirai quando lo lessi e, senza ripensarci, chiusi il plico, fiondandomi fuori casa.

 

 

 

 

-Qual è il problema, Astreya? Hai detto che non mi avresti più parlato, eppure sei qui di fronte a me, con quel broncio e quella ridicola espressione-.
Depositai il mazzo di girasoli accanto al suo lettino, attenta a non schiacciarli, poi avvicinai uno sgabello a Fobos e mi sedetti in silenzio. Ero ancora arrabbiata con lui, ero ancora ferita dalle sue omissioni. Mi ero fidata di Fobos e, contro ogni aspettativa, mi ero persino affezionata a quel mostro pallido, eppure lui era distante da me anni luce, o meglio io ero distante dal suo cuore. Per Fobos si era sempre e solo trattato di ordini: gli avevano detto di seguirmi e proteggermi e lui, lui lo aveva fatto. Era doloroso, ma potevo davvero rimproverarglielo?
-Come stai? -.
-Bene, ti ringrazio-.
 Fobos era attento ad ogni mio singolo movimento, ad ogni mia singola reazione. Sembrava un cervo, così vigile e sempre pronto a sfuggire al lupo. Mi passai una mano fra i capelli, sciolti blandamente lungo la schiena e arrotolati attorno alla spalla destra in un groviglio di nodi e preoccupazioni. Non mi ero nemmeno pettinata, prima di andare lì.
-So che ti ho chiesto di non parlarmi, che ti ho detto di non volerti più nemmeno vedere, ma non è così. Capisco perfettamente le tue ragioni in realtà e forse, in fondo, lo sapevo fin dall’inizio che per te si trattava unicamente di lavoro…-, vomitai, raccogliendo tutto il coraggio che gli Dei mi avevano fornito. Ripensai ad Eracleo e Aracne, a quanto fosse semplice per me comunicare con loro, trasmettere loro le mie emozioni. Con Fobos era pressoché impossibile: mi mancava il fiato ogni volta che i suoi occhi glaciali incontravano i miei. Persino il mio mostro non sapeva che cosa fare in sua presenza. Lui, in una sola parola, era disarmante ai miei occhi.
-Non lo era-.
Cosa? La voce di Fobos era più profonda del solito e malinconica. Sollevai il capo, riuscendo finalmente a distogliere lo sguardo dai miei stivali sbrindellati, e lo vidi fissare le folate di sabbia aranciata fuori dalla finestra, i lunghi capelli a incorniciargli il viso.
-Non lo era? -, ripetei senza capire. Ero così smarrita nel mio mondo che avevo perso il filo del discorso.
-Non si è mai trattato solo di lavoro per me-.
Fobos si voltò nella mia direzione, le labbra tese e le occhiaie livide. Senza piercing e con i capelli scostati dal viso mi rendevo finalmente conto di quanto fosse giovane. Era sempre lui, con il suo cipiglio severo e la sua espressione funerea, ma in qualche modo sembrava più umano. Osservò a lungo i girasoli, sperando probabilmente che dicessi qualcosa, ma la mia bocca era serrata, i denti fermamente incollati fra loro e la lingua secca e dolorante.
-E quella donna, Ysmen, per me non ha contato nulla. E’ stata solo una donna adulta che ha mostrato dell’interesse per un ragazzino fuori dai ranghi-.
-Non me ne importa nulla di questo. Sono affari tuoi e di quella Mauriana-, risposi piccata.
Fobos sospirò, annuendo appena e tornando con lo sguardo a spaziare per la stanza. Non capivo perché fosse così serio, così laconico. Ero abituata al suo fare energico, al suo rispondere per le rime, al suo agire senza nemmeno pensare. E non parlavo del periodo di astinenza che aveva dovuto superare; parlavo del Fobos che avevo conosciuto prima, in Accademia. Il suo spirito combattivo sembrava momentaneamente sparito, dissolto nell’aria come i granelli di sabbia che stava insistentemente fissando pur di ignorarmi.
Sentii gli occhi pizzicare. Li stropicciai furiosamente con la mano, ignorando il bruciore che questo mi provocò. Quindi mi alzai, mani in tasca e sguardo basso.
-Beh, io vado. Spero tu ti riprenda presto-.
Sfiorai un’ultima volta i fiori colorati che avevo comprato in piazza, resistendo alla tentazione di svaligiare il negozio intero, e con un mezzo sorriso feci per avviarmi alla porta. Solo quando le mie dita sfiorarono il freddo acciaio della maniglia tonda, Fobos si voltò a guardarmi, penetrandomi la schiena con quei suoi occhi da rapace.
-Questi fiori sono gli stessi che hai regalato a quella donna al Tempio, durante i funerali…-
Arrossii fino alle orecchie, nascondendomi nei capelli ed evitando di voltarmi. Lasciai solo che la mia mano mollasse la presa sul pomello e scivolasse lunga distesa lungo il fianco.
-Già. Sono colorati e mi ricordano i tuoi occhi-, dissi atona, cercando di mascherare il mio imbarazzo. Ripensavo costantemente alle dita di Ysmen che si intrecciavano ai capelli di Fobos, alle sue labbra scarlatte che sfioravano la pelle tesa della sua mandibola. E più ci pensavo più mi sentivo male.
- Ho sentito anche la storia che le hai raccontato-, ammise sollevandosi appena con una smorfia di dolore. Il ticchettio delle macchine e il continuo fluire del liquido contenuto nella flebo del ragazzo cominciarono a rimbombarmi nelle tempie sommati alla cavalcata infernale del mio cuore. Di questo passo, avrei avuto un attacco di panico.
- E’ solo una storiella-, ridacchiai tesa, voltandomi appena per fargli vedere il mio sorriso. Così avrebbe capito una volta per tutte che si trattava solo ed unicamente di un regalo di pronta guarigione, nulla di più.
- Certo, ma è anche il motivo per cui ti ho seguita fin qui-.
Il mio cuore produsse un rumore anomalo, simile a un crack. Mi portai la mano al petto, cercando di tenere insieme i pezzi di quel piccolo organo pulsante, ormai praticamente impazzito.
-Devozione, no? Penso si possa chiamare anche così. Non sono un uomo affettuoso o sentimentale, per questo non ho mai pensato di dovertelo dire. Ma il motivo per il quale ti ho seguita fino a qui è stato principalmente il mio affetto nei tuoi confronti. Gli ordini sono stati solo un utile pretesto. Ti avrei seguita a prescindere-.
I suoi occhi mi fissavano fermi, senza la minima incertezza. Teneva un girasole fra le mani e ne accarezzava i petali come fossero di vetro, fragili e tremendamente belli.
-Non so cosa dirti-, ammisi, combattuta. Ero straziata dal desiderio di abbracciarlo, picchiarlo, baciarlo. Non sapevo cosa fare, cosa provare. Volevo non provare più nulla, non provare rancore, non sentire quel blocco di cemento sullo stomaco. Eppure non potevo: stare con lui era come vivere perennemente sopra le montagne russe dei Gyps.
-Non devi dirmi niente. Volevo solo che lo sapessi-.
Potevo veramente andarmene ora? Non sapevo se il mio corpo ne sarebbe stato in grado, non ora che Fobos mi attirava a sé come una calamita. Che razza di potere aveva quell’uomo? Come poteva disgustarmi e attrarmi a lui contemporaneamente?
Presi la mia decisione senza nemmeno pensarci. Mi staccai dalla porta, girando i tacchi, e con passo svelto raggiunsi il ragazzo. Gli circondai le spalle con le braccia, stringendole al camice grigio scuro che indossava, e affogai il viso fra i suoi capelli. Profumava di disinfettante e sapone, ma l’aroma della sua magia mi raggiungeva comunque, famigliare e rassicurante. Non era più così nauseante per me.
-Stai bene? -, lo sentii chiedermi, mentre il suo corpo si irrigidiva sotto il mio abbraccio.
Annuii muovendo il capo, poi lo strinsi più forte. Volevo dirgli che nonostante lo avessi odiato e non mi fidassi più di lui, mi ero preoccupata da morire, che nonostante mi fossi sentita tradita, non avevo mai avuto intenzione di lasciarlo. Ma non ci riuscivo: se lo avessi fatto oltre alla voce mi sarebbero sfuggite anche le lacrime. E nonostante tutto, io non volevo ancora mostrarmi così debole di fronte a qualcuno.
Mi morsi il labbro, quando per la prima volta, Fobos ricambiò il mio sentimento, sollevando il braccio e circondandomi la vita. Sentii il calore febbricitante del suo abbraccio trapassare la stoffa della canotta e incendiarmi la pelle. Era da anni che nessuno mi teneva stretta a quel modo, con così tanta forza da non farmi nemmeno respirare.
Sembrava che dovessimo unirci per tenere assieme i frammenti delle nostre vite, per mantenerci sani e lucidi in un mondo che correva verso il traguardo della pazzia.
-Posso continuare a seguirti? -, mi sussurrò Fobos all’orecchio, passando le dita tra i nodi nei miei capelli e sciogliendoli dolcemente ad ogni passata.
Appoggiai la fronte alla sua spalla, godendomi quel momento certa che il futuro non ce ne avrebbe riservati molti altri.
-Puoi fare quello che vuoi-.
-Davvero? -.
-Sì, certo. Abbiamo ancora il nostro Debito-, dissi convinta, senza realmente accorgermi delle implicazioni logiche delle mie parole. Fobos mi sollevò il mento con l’indice, fissandomi negli occhi con intensità. Rimase così qualche secondo, come in attesa qualcosa, poi premette le sue labbra sulle mie. Inizialmente mi venne istintivo ritrarmi, ma alla fine non resistetti e mi abbandonai completamente al suo bacio. Non era per nulla tenero, né timido. Era semplicemente frustrato, represso e tremendamente urgente. Non mi lasciava il tempo di respirare. Non riuscii nemmeno ad allontanarmi quando le nostre labbra cominciarono a scottare: Fobos mi afferrò la nuca con la mano, lasciandomi solo qualche istante di riposo, poi tornò a tormentarmi le labbra, mordendole appena e stringendole con quei canini appuntiti che avevo già conosciuto.
Mi sorresse il volto con le mani bollenti, mentre il suo corpo si avvicinava al mio, in un abbraccio di lava. Mi sfiorò con la punta del suo naso, poi, con delicatezza mi posò un bacio sul lato della bocca, leggero e impalpabile.
-E questo cosa vorrebbe dire? -, domandai con tono troppo squillante. Sembravo io ora quella ubriaca o in astinenza.
-Vuole dire che volevo baciarti. E l’ho fatto. A volte anche a me viene voglia, come a qualsiasi altro essere maschile…-.
Storsi il naso. Odiavo quel suo modo di fare sfrontato e disincantato. Anche io non credevo nel vero amore (nel nostro mondo non c’era spazio per smancerie del genere, né ce n’era bisogno), ma non per questo andavo in giro a baciare ogni uomo che avesse un bel viso o un corpo desiderabile.
-Sei disgustoso-, mugugnai ferita, asciugandomi le labbra con il polso. Non provavo davvero ribrezzo, solo volevo cancellare l’impronta delle sue labbra dalle mie, fare evaporare il suo respiro dalla mia pelle.
- Non mi hai nemmeno lasciato finire di parlare-, si lamentò lui con un sorriso infelice. Poi continuò: - La prima volta che ti ho baciata l’ho fatto un po’ per egoismo, un po’ per vendetta. Lo ammetto: sono un essere spregevole. Ma dopo quei baci, non ho potuto fare a meno di desiderarti nuovamente. Non mi era mai successo. Mai-.
Sospirai, giocando con le stringe sfibrate dei miei scarponi. Non capivo dove volesse arrivare e ogni parola che mi diceva non faceva altro che tormentarmi ancora di più.
-Per me, starti vicino, toccarti, baciarti o semplicemente parlarti è… un’esigenza fisica. Non ha nulla a che vedere con l’istinto. E’ la mia testa che mi impone di baciarti, non solo il mio basso ventre-.
Sollevai lo sguardo per fulminarlo. Erano le parole meno dolci e meno romantiche che avrebbe mai potuto inventarsi. Tuttavia sembravano vere e questo addolcì perlomeno la curvatura severa delle mie sopracciglia.
-Sei veramente diretto… non indori certo la pillola-.
-E perché dovrei? Ti sembro tipo da cioccolatini e mazzi di fiori? -, si oppose lui, sollevando un sopracciglio.
No, decisamente no. Mi sembrava più il genere di uomo che ti usa una notte e poi ti getta nella spazzatura, tra lische di pesce e lattuga marcia. Tossico, ecco come lo si poteva definire un uomo come lui.
-Mi sembra che tu non voglia bene a nessuno, nemmeno a te stesso-, dissi, stendendo le lenzuola bianche con le dita. Non volevo guardarlo negli occhi, perché ero conscia di quanto gli avrebbe fatto male sentirsi dire una cosa del genere. Avevo visto con i miei occhi quello che Fobos aveva passato, sin da piccolo, e sapevo che parte del suo mutismo e della sua apatia derivavano dallo stile di vita malato che aveva condotto. Nonostante ciò non potevo fare a meno di constatare quanto poco interesse nutrisse per il prossimo.
- Io ti voglio bene, Astreya-.
Mi ingozzai con l’aria, tossendo ripetute volte. Le lacrime mi offuscarono la vista, mentre la mano di Fobos mi colpiva leggermente la schiena.
-Non morire-, ridacchiò lui.
-Tu cosa?!-, strillai, coprendo l’incessante gocciolio della flebo.
-Non farmelo ripetere, per favore-.
Mi passai una mano sul volto per nascondere il rossore che lentamente aveva preso a colorirmi le guance. Dovevo dargli una risposta? Si aspettava che gli dicessi qualcosa in cambio? Ero una Custode, non avevo mai dovuto preoccuparmi di tutto quello che caratterizza una storia romantica, né avevo mai pensato ad un uomo in questi termini.
-Sarebbe carino se almeno mi dicessi che non mi odi-.
Era ovvio che lo odiavo. Come potevo non odiarlo? Era l’unico uomo in grado di farmi infuriare, gioire e preoccupare al tempo stesso.
-Sei sopportabile… a volte-.
Fobos rise, tenendosi il torace magro per non farlo squassare.  Poi quando il sorriso sfumò nell’aria, la sua mano si mosse rapida verso la mia e la imprigionò nella sua. La portò alle labbra e mi baciò le nocche bianche.
-Farò in modo di farti innamorare di me-, mormorò, muovendo appena le labbra sulla mia pelle. Poi mi morse un dito, le iridi incandescenti che risaltavano nella penombra della stanza.

   
 
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