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Autore: MCR_24_9    23/08/2015    5 recensioni
Daimonas è un bambino speciale. Non è un bambino come tutti gli altri. Lui è figlio di un demone e riesce a vedere i demoni che ogni persona ha dentro di sé. La sua vita è molto dura e ben presto si renderà conto che non esistono santi, ma solo malvagità da estirpare. E questa è la sua storia.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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                                    Capitoli 6
 
 
 
 
 
 
Albert camminò tra i corridoi, i suoi passi rimbombavano nel silenzio assoluto. Aveva percorso quattro rampe di scale senza incontrare nessuno, ma sapeva che lei era lì. La Madre Superiora, suor Ilda. Era intenzionato a parlarle, e sapeva benissimo dove stava. La suora passava le sue giornate nel suo ufficio, a sbrigare chissà quali diavolerie. La conosceva dai primi giorni in cui fu aperto l'orfanotrofio, una ventina di anni prima. Quando ad Albert gli venne portato via l'amore della sua vita e l'unico figlio che egli abbia mai avuto. Albert ricordava ancora quel giorno, quando si chiuse la porta della dimora che lui chiamava casa alle spalle. Troppi ricordi, troppo dolore, troppa colpa per non essere riuscito a salvarli. Voleva rifarsi una vita e rendere utile la sua esistenza. Così aveva deciso di lavorare come custode dell'orfanotrofio. In quel momento pensava che le quelle suore erano le più buone, si prendevano cura dei bambini e pensavano solo a pregare. Ma con Daimonas non fu così. Erano undici anni che lo trattavano come un mostro. 'Quante ne ha dovute passare' pensò amareggiato. Veniva picchiato praticamente ogni giorno da quando aveva iniziato a camminare e parlare, riducendolo sempre in uno stato pietoso. Non gli davqno quasi mai da mangiare, ci pensava lui a quello. Lo lasciavano in quella piccola stanza, come se fosse un criminale. Lo insultavano e insegnavano perfino agli altri bambini di schernirlo, di odiarlo e di picchiarlo. E Albert non riusciva mai ad aiutarlo. Gli aveva dato la chiave, lo difendeva sempre, cercava di consolarlo. Ma non aveva mai fatto niente di così concreto. Non voleva che lui facesse la fine di suo figlio, impiccatosi ad una trave del soffitto. Con lui non era riuscito a fare niente. Dopo la morte della madre si era chiuso in sé, dando la colpa di tutto al padre, e poi... quell'estremo gesto. 'Non deve più succedere!' pensò l'uomo, scrollandosi di dosso quei ricordi. Adesso, quello che gli importava era di Daimonas.
 
Passò diverse stanze, quando trovò quella giusta. Bussò prima di entrare. La stanza era davvero grande, la osservò tutta. Nella parete a sinistra vi erano appesi dei quadri con tanti paesaggi diversi, una libreria stracolma di libri, quasi tutti trattati su Dio, bibbie di diverse edizioni e libri di genere religioso come le 'Confessioni' di Sant'Agostino. Vi era anche una pianta in un angolo, le foglie ormai secche. Davanti a lui c'era una immensa finestra, grande quanto tutta la parete, con un grosso rosone in alto. Alla sua destra c'erano due sedie imbottite, di pelle nera, una scrivania in mogano finemente tagliata e laccata di nero. Dietro di essa c'era la suora, ormai invecchiata, su una poltrona nera e imbottita. Dietro di lei un crocifisso un po' arruginito. Albert si mise a sedere su una delle sedie, aspettando che lei alzasse gli occhi. La scrivania era piena di scartoffie varie, isieme a tante penne stilografiche nere con dettagli in oro. Dopo qualche minuto, la suora smise di scrivere e lo guardò con aria quasi scocciata. "Cosa c'è sta volta" disse semplicemente. 
"Non potete tenere Daimonas chiuso ancora lì". Quando la suora sentì pronunciare quelle parole, ritornò alle sue scartoffie. Albert si sentì ribollire di rabbia. Si alzò in piedi e battè con forza le mani sulla scrivania facendola trasalire. "Come potete essere così indifferente! Come potete tollerare ciò che fanno a quel bambino!". "A me importa della salvaguardia dei bambini di questo edificio e anche di quella cosa. Se è stato fatto a lui del male senza mio ordine, allora non è mia responsabilità. Avevo detto a suor Brunilde di lasciarlo andare, mi ha disobbedito ed è stata punita. Al momento è nella cappella a pregare. Manderò suor Ada a controllarlo più tardi. Dovresti staccarti da quella cosa, non vedi cosa ti fa fare? Accusare delle umili suore di maltrattamento. Noi lo trattiamo bene, gli diamo solo quello he si merita". Albert era esterrefatto da quelle parole. Levò le mani dalla scrivania e si diresse verso la porta. "Non mi arrenderò mai. Starò sempre dalla parte di Daimonas, che Dio vi possa perdonare". Chiuse la porta, senza aspettare che la suora parlasse. Era arrabbiato, ma doveva pensare a lui.
 
Daimonas guardò Sara, finalmente si era calmata. Aveva paura per lei, paura che le suore potessero farle del male. Voleva aiutarla e salvarla. Tutto qui. Ad un tratto la porta si aprì, era Albert, un po' affannato. "Devi tornare nella tua stanza e in fretta. Suor Ada verrà a momenti!". Daimonas prese il cappello e lo seguì fuori. Sara li guardò prima di uscire anche lei, guardò il bambino salire veloce il tubo della grondaia ed entrare nella finestra aperta.
 
Daimonas fece in fretta. Chiuse la finestra e nascose la chiave. Si mise la coperta addosso in modo tale da nascondere i lividi sulle braccia e sulle gambe. La porta si aprì in quell'istante. "Sei qui vedo, molto bene. Sai che ti succede se non ti troviamo" disse la suora, poi scoppiò a ridere. "Noto con piacere che le hai prese da Brunilde, almeno ha avuto la sua soddisfazione. Io non posso, anche se te lo meriteresti, sai che per colpa tua Brunilde è stata punita? Povera cara". "Mai quanto voi punite me" disse il bambino quasi sottovoce. "Cos' hai detto? Mostro che non sei altro!". Daimonas rimase zitto, guardando il pavimento. "Come ti permetti!". La suora lo buttò a terra e cominciò a prenderlo a calci. "Non parli più vero?! Stupido mostro! Suor Brunilde non meritava una punizione per uno come te! Anzi è troppo buona, la dovresti ringraziare!". Continuò a colpirlo, ancora, ancora e ancora. "Ringraziala! Ringraziala!". Daimonas spuntò rivoli di sangue, non poteva reagire, non aveva più forze per reagire. Non poteva parlare, la bocca era impastata di sangue che colava sul pavimento. Non poteva alzarsi, la suora glielo impediva. Con una mano afferrò la sua caviglia. La suora si irrigidì e smise di colpirlo, fece alcuni passi indietro, inorridita. "Guarda, guarda cosa mi hai fatto fare, sei solo un mostro. Mi-mi hai maledetto! Tu sei il diavolo!". Uscì di corsa da lì, lasciando la porta aperta. Daimonas era messo male, sputava ancora sangue, incapace anche di respirare. Non c'era nessuno che lo poteva aiutare. Alla fine svenne, ma non era solo.
 
Si svegliò, sentendo delle mani su di sé. Era suor Cecilia, lo stava curando, senza dire niente. Daimonas cercò di alzarsi e la suora si fermò. Vide che non aveva più la maglia e che aveva tanti tagli, alcuni piccoli, altri lunghi. La guardò mentre si rimetteva sdraiato. "Perché mi aiuti?" le chiese senza ricevere risposta. "Perché mi stai curando?". La suora continuò a disinfettare tutte le ferite. "I danni non sono gravi, fortunatamente" disse quando ebbe finito. "Saremmo finiti tutti nei guai. Ada era solo un po' furiosa, non voleva farti questo". Daimonas si rimise la maglietta, che era stata adagiata ai suoi piedi e si girò verso il muro. "Per favore esci" le chiese, aspettando di sentire il tonfo della porta che si chiudeva. 'Non voleva realmente aiutarmi', pensò. 'Voleva solo aiutare la sua consorella. Nessuno vuole realmente aiutarmi'.
 
Qualcuno aprì di nuovo la porta. Daimonas era sotto la coperta, era giorno inoltrato, ma voleva rimanere là. Sentiva ancora dolore, ma era quasi del tutto passato. Non si mosse. "Daimonas, puoi uscire". Riconobbe la voce, era colei che lo aveva curato. Non disse niente, rimase ancora immobile. "Mi dispiace per ieri, ti ho portato una persona che vuole vederti". Daimonas scostò un po', le coperte, vedendo la faccia preoccupata di Sara, scese dal letto, cupo in viso. La prese per mano e uscì da lì senza guardare la suora. Camminò per il corridoio, fino a che Sara non si fermò. "Dove stai andando?" chiese. "Voglio mostrarti un posto, ma devi seguirmi senza dire una parola". Sara annuì, seguendolo. Percorsero i corridoi e le rampe di scale senza farsi vedere fino a raggiungere il corridoio dell'ultimo piano. Sara era confusa, lì non c'era niente! Poi vide Daimonas fare qualcosa di strano. Il bambino cominciò a saltare, raggiungendo un piccolo anello di metallo, lo tirò aprendo una piccola botola che fece scendere una scala ripieghevole di legno. "Qui non viene mai nessuno, le stanze sono tutte libere e le suore non vengono quasi mai" spiegò il bambino, cominciando a salire. "Coraggio seguimi". Alla fine della scala c'era un'altra botola, la aprì ed uscì aiutando Sara a salire. Era una piccola terrazza, completamente spoglia. A fianco c'era il tetto, un po' più sopra le loro teste. A delineare la terrazza era un piccolo cornicione di poco più di trenta centimetri. Lì, c'erano solo due pali, uno da una parte e uno dall'altra, e una piccola targa di metallo. Daimonas si sedette proprio lì. Sara fece lo stesso, guardando la targa. Era ben lucidata e brillava alla luce. C'era solo una scritta: 'Serena'. "Questa targa è in onore di una persona. Era una suora, una novizia per la precisione. Io avevo poco più di un mese, tutto quello che so su di lei me lo raccontò Albert" cominciò a raccontare il bambino. "All'epoca, le suore non sapevano cosa farne di me. Non volevano che io rimanessi, ma non potevano abbandonarmi per non infangare il nome dell'orfanotrofio. Decisero di uccidermi. Ma per morire di fame ci voleva tempo, e troppi lamenti avrebbero insospettito Albert. E non potevano sporcarsi le mani di sangue. Così decisero di uccidermi soffocandomi con un cuscino, spacciandolo poi per morte naturale. A fare tutto il lavoro sarebbe stata lei, Serena. Era una novizia, e doveva dare segno della sua fede. Ma lei si rifiutò, non voleva diventare suora uccidendo un bambino, lei voleva fare del bene, non del male. Ma la madre superiore la obbligò, o l'avrebbe cacciata in malomodo. Era disperata, non voleva uccidermi. La sera prima a quella decisa per la mia morte, venne qui sopra e si buttò di sotto. La trovarono la mattina dopo, ormai morta ed io fui risparmiato. Albert pensa che non mi uccisero per non rendere vana la morte della ragazza, o forse per volere di Dio. Io invece penso che non lo abbiano fatto per paura. Pensarono che io l'avessi maledetta e costretta ad uccidersi. È questo che pensano di me, pensano che sia io a farle diventare aggressive. Come ieri....". "Ieri? Cos'è successo ieri?" chiese Sara, ma Daimonas rimase zitto. Dopo un po' fu Sara a parlare. "Cosa pensi?". "Penso che dovevo morire. Se fossi morto, lei sarebbe ancora viva e le altre suore non sarebbero così". "Secondo me invece sbagli. Serena voleva che tu vivessi, magari per diventare un eroe e salvare tutte le persone in pericolo". "Non credo, ma un motivo lo aveva e io non renderò mai vano il suo sacrificio. Non mi importa quanto mi picchieranno, io resisterò a tutto!". Sara lo guardò, il suo sguardo era un misto tra tristezza e rabbia. "Perché mi hai portata qui?" chiese la bambina. Daimonas la guardò, lo sguardo freddo come il ghiaccio. "Posso sopportare che mi prendano a calci fino a farmi sanguinare, ma non sopporterei se facessero del male a te. E lo faranno se scopriranno che la nostra amicizia, e io non voglio. Per questo ci vedremo qui, dove non ci troveranno". Daimonas continuò a guardare la targa senza dire altro. Sara si alzò, appoggiandosi al cornicione. Guardò stupefatta. "Wow, qui si vede tutto il giardino, e tutti i bambini" disse. "Sono tutti orfani?". Daimonas la raggiunse. "Molti si, ma alcuni sono qui perché i genitori non li potevano mantenere, o semplicemente non li volevano. Ma alcuni hanno delle storie. Molti bambini hanno perso i genitori in diversi incidenti: stradali, casalighi ecc..., altri invece li hanno uccisi". Indicò tre bambini che stavano in disparte, disgnando con dei legnetti. "Loro tre sono fratelli. Il più grande si chiama Leonard, la sorella è Sandy, mentre il più piccolo si chiama Nicolas. Erano a casa quando un assassino li sorprese. Uccise i loro genitori, poi si accorse che loro erano svegli e li mutilò. Non hanno più la lingua". Sara si mise le mani a coprire la bocca, come se avesse paura che qualcuno gliela potesse staccare. "Quando li trovarono, erano in uno stato pietoso. Piangevano e sputavano sangue facendo dei tremendi mugolii. In mano tenevano le loro lingue, totalmente recise. I genitori li ritrovarono nella stanza da letto, tinta di rosso. Erano stati fatti a pezzi, le teste messe sui cuscini, senza più gli occhi. Il resto dei corpi era sparso sul pavimento. I busti erano stati aperti e gli organi sparsi dappertutto. Nessuno sa il perché di tutta quella ferocia. Hanno chiesto a loro di disegnare ciò che hanno visto, ma non facevano altro che disegnare lingue mozzate e orbite vuote. Così li considerarono inutili sotto ogni punto di vista e li mandarono qui, a soffrire. A volte le ferite si riaprono e cominciano a sputare sangue, per loro è un'agonia silenziosa e senza fine". Sara non disse nulla, era ancora spaventata. E Daimonas si mise a ridere. "Tranquilla, ci sono io. E nessuno ti farà del male". Sara annuì e si mise a ballare, facendo girare la gonna del vestitino. "Verremo qui tutti i giorni e tu potrai allenarti e controllare i tuoi poteri, non è grandioso?". Daimonas rimase zitto, strinse i pugni. Non sapeva come fare, ma ce l'avrebbe fatta. "Si, mi allenerò e diventerò più forte".
  
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