Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    23/08/2015    1 recensioni
Sono passati secoli dagli eventi narrati nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Oggi quelli che una volta venivano chiamati i Sette Regni sono una pacifica comunità che è riuscita a trovare un ordine e a mantenerlo per lunghissimo tempo. La sola idea che qualcosa possa sconvolgere questo stato di assoluta armonia, rafforzata da secoli di pace e concordia, sembrerebbe ridicola. Eppure, il principe Daniel - terzo in linea di successione al Trono - sta per imbattersi in qualcosa di nuovo, mai prima d'ora visto in nessun angolo delle terre conosciute...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5
L’ULTIMO CONCILIO
 
 
                E infine la carrozza arrivò. Era trainata da quattro stalloni orientali, neri come la pece. E il suo arrivo portava qualcosa di oscuro con sé. Quel silenzio imbarazzante tra le fila dell’esercito schierato in bella mostra: uomini virili, che avevano veduto coi loro occhi gli orrori della guerra nelle battaglie per la conquista dell’oriente, ora rimanevano tutti silenti come a sperare che niente, neanche un piccolo colpo di tosse, potesse farli notare. E il cielo… il cielo si era rannuvolato. Non pioveva, e come avrebbe potuto: lì a Dorne non pioveva mai. Ma soltanto il fatto che tutt’assieme fossero spuntate le nuvole era indice di cattivo presagio.
                Un brivido corse lungo la schiena di Shane Tyrell, fratello minore del Maestro del Conio del Regno – Lorthan – e cugino del re. Sapeva che quello che stava facendo andava fatto, e sapeva da un pezzo che avrebbe dovuto farlo. Ma entrare fisicamente in contatto con quegli individui, incontrarli… questo avrebbe preferito evitarlo. Giungevano strane voci di questo Signore delle Dune che aveva preso il controllo della città perduta di Valyria, e dell’intera regione insulare che si trovava a sud dell’Essos. Voci fumose, a volte contrastanti; demoni al servizio di un mago, o maghi al servizio di un demone forse… urla strazianti provenire dalle città a confine coi territori facenti parte del Regno Unificato, e posti sotto il dominio della valorosa e antica Casa orientale dei Panecha. Interi cieli di nuvole di fumi rossi come il sangue sprigionarsi da quei luoghi e portare con loro gli inconfondibili odori della morte e del marciume…
                Più volte Shane aveva pensato: “Ma siamo sicuri di star facendo la cosa giusta?”, “È proprio necessario allearsi con questa gente?”. Suo fratello gli aveva risposto di sì, e anche lui in cuor suo sapeva che la risposta giusta alle sue domande era sì. E sapeva anche che in questi casi l’accordo andava preso personalmente. Non si poteva trattare la gestione di un’alleanza politica in luce di un colpo di stato, e l’eventuale fusione di due eserciti, tramite scambio epistolare. Quello c’era stato, era stato proficuo ma ora bisognava conoscere personalmente “gli amici” accanto ai quali stavano per combattere una guerra.
                A lungo Shane aveva cercato di fare in modo che sir Haldric – il cavaliere che si occupava della politica diplomatica per la casa Tyrell – si occupasse di quel colloquio in sua vece. C’era quasi riuscito, ma ultimamente la novità prima della nascita di un nuovo erede al trono, poi della morte di sir Duhenlar, poi forse di un matrimonio, costringevano Haldric a rimanere saldo al suo posto insieme a Lorthan, lì alla Capitale. E giù a Dorne avevano mandato lui, il fratellino, a occuparsi di un compito così delicato. A sentire suo fratello, non c’era nulla di delicato nella ratifica di un accordo già preso in altra sede. Tuttavia, Lorthan tendeva a minimizzare il fatto che quel trattato i Tyrell lo stavano ratificando insieme a uno che a quanto pareva era sbucato improvvisamente dalla sabbia e si era preso il sud dell’oriente con la facilità con cui si beve una coppa di vino.
                La carrozza si aprì. E fin da subito Shane aguzzò la vista per cercare di determinare chi o che cosa ne stava venendo fuori. Erano in quattro, tre dei quali spropositatamente alti. Qualcos’altro rimase dentro il veicolo: il giovane Tyrell non riuscì a distinguer bene se un uomo o chissà cos’altro. Ma c’era del viola, molto probabilmente. Due delle creature che gli si stavano avvicinando non erano umane. Ed erano probabilmente la cosa più repellente che lui avesse mai veduto nell’intera sua esistenza. Erano come uomini, ma decisamente più grossi e più muscolosi della media degli uomini. Il colore della loro pelle oscillava tra il grigio scuro e un verde del colore dell’acqua di laguna. Non avrebbe potuto giurarlo, ma Shane pensò che al tatto non sarebbe stata come la pelle di un uomo: aveva un aspetto più ruvido e secco. Bozzi e verruche, disseminati un po’ ovunque, contornavano il tutto. E il viso… il viso era la cosa più agghiacciante! Anche se fra loro simili, quello dell’uno pareva l’orripilante muso di una specie di cinghiale, quello dell’altro invece gli ricordava l’inquietante aspetto di certe grosse lucertole dell’est che aveva veduto soltanto nelle illustrazioni di un qualche libro sull’oriente. Come se non bastasse, i due mostri erano anche armati di tutto punto: pesanti corazze da battaglia, sgraziati schinieri senza rifiniture, mazze e spadoni.
                A Shane bastò solo quella visione per capire che l’alleanza andava ridiscussa. Che lui, suo fratello, e Constant Lannister – Lord Primo Cavaliere del re – avevano preso un abbaglio! Stavano per commettere un grosso errore! Quell’alleato era pericoloso, e Shane e Lorthan non si erano liberati del loro stesso padre – troppo amico del re Lannister – per poi rischiare di mettersi in affari con mostri e demoni. Il tipo di magia che Constant praticava, non era neanche lontanamente simile a quella del loro alleato. O forse… Constant e Lorthan sapevano? Magari Constant, che non era certo nuovo a fatture e malefici, aveva conosciuto e stretto un patto col Signore delle Dune ancora prima della sua alleanza con i Tyrell… Possibilmente, il Maestro del Conio e il Primo Cavaliere erano informati e semplicemente avevano preferito tacergli alcuni dettagli; tipo che le guardie personali del Signore delle Dune fossero dei mostri mezzi uomini e mezzi bestie…
                Neanche la terza creatura alta era umana. Questo si distingueva chiaramente, anche se sicuramente non era della stessa razza degli altri due, e il suo volto era coperto da un’inquietante maschera fatta di un materiale simile alla carne degli uomini. Quella, probabilmente, era la cosa che più stava terrorizzando il rampollo di casa Tyrell. Quella maschera era assai più mostruosa delle stesse creature lì vicino, che invece si sarebbero detti dei mostri proprio nella loro integrità. Oltre a ciò, la strana creatura che avanzava verso di lui scortata dal cinghiale e dal rettile, accanto all’omino tarchiatello unico vero e riconoscibile umano del gruppo, era alta anche più dei due uomini-bestia. E, nonostante i suoi fossero degli abiti che si sarebbero detti da aristocratici, avanzava con un’andatura che li faceva oscillare come se lì dentro non ci fosse niente, a parte aria o vento. Sul capo teneva poggiata una corona nera.
                Shane Tyrell cominciò a pensare che forse proprio quella creatura potesse essere il Signore delle Dune, dato che l’umano che c’era con loro non aveva affatto l’aspetto di un potente mago, e neanche di un aristocratico a dirla tutta. Probabilmente il vedere quel normale uomo leggermente in sovrappeso, biondino, dall’aria saccente ma il passo insicuro, in mezzo ai mostri, creava anche un certo contrasto. Shane a questo punto si domandò chi diavolo fosse veramente il capo della delegazione che veniva a offrirgli la magia, avanzando verso la lunga scalinata del suo palazzo di villeggiatura.
                L’umano fece fatica a salirla quell’ampia gradinata che conduceva al palazzo. A metà della rampa, si stancò e fece una pausa, e quando le tre strane creature rimasero ad attendere che riprendesse fiato, il principe Tyrell si rese conto che – seppure la cosa fosse assurda – il tozzo ometto era il capo. Quando finalmente raggiunse la sommità, Shane tirò fuori il sorriso più fasullo di cui disponesse e gli andò incontro, tendendo le braccia. Anche quello gli sorrise; dopodiché disse, tra una boccata d’aria e l’altra: «Impegnativo questo ingresso. Solenne, ma impegnativo»
                «In realtà questa è la gradinata di rappresentanza» rispose Shane, diplomatico, «La prossima volta, mi impegno a farvi accedere da un ingresso meno formale» dunque decise di presentarsi: «Io sono Shane Tyrell»
                «Sir Bastian» fece quell’altro «Sono il fratello del Signore delle Dune. Fratellastro, veramente»
                «Prego» concluse dunque Shane, indicando al suo ospite la strada per l’ingresso del palazzo. Mentre attraversavano i rigogliosi giardini interni, meravigliato, sir Bastian non poté fare a meno di esclamare: «Questo luogo è uno splendore…»
                «Apparteneva alla famiglia Martell, prima che i miei antenati ne occupassero il territorio, alla conclusione della Guerra dei Girasoli. È una storia vecchia di circa cinquecento anni». Ma nonostante Shane fosse un buon conversatore, e rendesse credibili tutti quei convenevoli, in realtà l’inquietudine di avere costantemente alle spalle quei tre scherzi di natura che seguivano lui e Bastian, silenziosi ma senza sosta, lo stava per sommergere definitivamente: ancora qualche istante e sarebbe entrato nel panico. Per fortuna, attraversati i giardini, i cinque raggiunsero la sala che era stata predisposta per l’incontro. C’erano un mucchio di guardie fedeli alla casa Tyrell, tanto che Shane non è che proprio cominciò a sentirsi al sicuro, ma quantomeno vagamente rincuorato. Si sedette al capo occidentale di un lungo tavolo marmoreo. Sir Bastian si sedette all’altro; muso-di-cinghiale, muso-di-rettile, e strana-maschera-spaventosa imperturbabili alle sue spalle.
                «Sir Bastian» ricominciò Shane «Gradite qualcosa prima di cominciare?»
                «No, signore» rispose il grassoccio «Onestamente andiamo un po’ di fretta»
                «Ci sono… altre alleanze da stipulare qui nel sud del Westeros?» a queste parole Shane rise, ma in realtà la sua era un’ironia piuttosto subdola. Certo, se ci fossero state, sir Bastian avrebbe dovuto sentirsi almeno un po’ minacciato da questa “battuta”. Con una serietà estrema, sir Bastian rispose: «No. Ma la creazione di un esercito come si deve richiederà del tempo. E prima avremo un esercito, prima avremo una vittoria, mio signore. Dove sono le carte da firmare?»
                «Non vi nascondo che, sebbene io sia sempre felice di fare delle buone conoscenze e delle buone conversazioni, noi oggi onestamente ci aspettavamo vostro fratello in persona. Per avere almeno una dimostrazione di quello che è effettivamente in grado di fabbricare»
                «Ah, mio signore» rise Bastian «Eccola la dimostrazione». Indicò le tre oscure creature dietro di lui. «Che forse qualsiasi signore dell’ovest non darebbe tutte le sue fortune per essere al comando di un paio di questi robusti ragazzoni?»
                «Così è questo che ci proponete…» rifletté il principe. Bastian lo corresse: «No, è questo che vi daremo…»
                «Sì, ma non capisco… cosa c’entrano quei sicuramente validi energumeni con… il nostro esercito? Come può quello rafforzare questo?»
                «Lord Tyrell, io credo che qui sia in corso un fraintendimento. Dalle vostre parole io evinco che voi abbiate capito che sarà la nostra magia ad arrivare al vostro esercito»
                «E non è così?»
                «Mio signore, io pensavo che vostro fratello e Lord Constant vi avessero informato…»
                «Informato di cosa?»
                «Non è la nostra magia a recarsi dal vostro esercito, è il vostro esercito che deve ricevere l’ordine di seguire noi, a Valyria».
                La notizia sconvolse Shane. Riteneva improbabile, molto improbabile, che suo fratello gli avesse taciuto un’informazione del genere. Aveva bisogno di sapere di più: «Di quanti uomini avete bisogno?»
                «Di tutti quelli che disponete qui a Dorne. Incluse le vostre guardie personali, e quelle addette alla sicurezza del palazzo». La cosa era ridicola e prendendola come una battuta Shane si lasciò sfuggire un risolino derisorio, cui aggiunse: «E chi dovrebbe badare alla mia sicurezza?». A questo punto Bastian fece la cosa più curiosa di tutta la già di per sé singolare conversazione: si voltò verso l’uomo con la maschera, il quale fece un impercettibile segno con il capo, ma che Shane notò. Ricevuto questo assenso, il fratello del Signore delle Dune procedette: «Gronf e Ranf rimarranno con voi». Firmò la pergamena che gli era appena stata passata; dunque concluse: «E anche l’uomo che vedete alle mie spalle. È un potente mago». Shane raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo e rivolse il proprio sguardo dritto alla maschera di carne. Era terribile. E quello che il giovane Tyrell aveva solo ipotizzato in lontananza si sentì di confermarlo ora che la creatura stava a pochi metri da lui: quella era una maschera di pelle umana. Oltretutto, guardandolo, tutto un calore lo pervase da dentro, ma anche al di fuori. Era come se la temperatura nella stanza si fosse improvvisamente alzata. Cercò di capire se si trattasse di un problema suo, una questione legata alle sue sensazioni, alla paura che quel mostro gli suscitava. Ma non era così: in quella stanza c’era davvero un caldo asfissiante, perfino per Dorne.
                Nel frattempo, la pergamena appena firmata dall’alleato del sud-est, era passata nella metà del tavolo dove sedeva Shane. Lui la guardò per qualche secondo. Realizzò che non la voleva firmare. Qualcosa gli diceva che non era la scelta giusta. Ancora una volta, si prese di coraggio e disse: «Mio stimato sir Bastian, chiedo venia per il disappunto ma… firmerò il nostro accordo, non appena mio fratello mi avrà confermato che il nostro esercito si smobilita verso Valyria. Insomma, con tutto il rispetto, signore, ma ordinare perfino alla mia guardia personale di…»
                «Adesso… basta… ragazzino!» urlò dunque la creatura con la maschera di uomo. La sua voce gettò tutti gli abitanti di Dorne presenti a quella riunione nell’orrore più assoluto. Era stridente, eppure minacciosa, cupa. Come se a parlare fosse la pietra o… le ossa!
                Insieme a quelle parole, il mostro aveva anche battuto una mano sul tavolo: il marmo colpito da quel mostruoso palmo affusolato, vestito d’un elegante guanto di tessuto rosso, si sciolse. Servendosi dell’altra mano, il demone si tolse la maschera e mostrò il suo vero volto. Era quello di un teschio, nero e minaccioso. Dentro l’orbita degli occhi, dove gli uomini normalmente hanno le iridi e le pupille… lui aveva le fiamme! Le parole del mostro non erano finite lì; disse ancora, sempre rivolto faccia a faccia al povero Shane: «La vostra sicurezza da questo momento è un problema mio! Non preoccupatevi: il vostro è un sangue prezioso, e noi vi siamo particolarmente interessati».
                Shane firmò il trattato. Dopodiché ordinò a Crangston – capo della sua guardia personale – di dire all’esercito di Dorne di prepararsi all’immediata partenza. E, quando tutto sarebbe stato predisposto, di partire lui medesimo, e tutti i suoi uomini, insieme ad esso.
 
 
 
                Gino era davvero stremato. Era soltanto il suo secondo giorno alla Capitale, e già rimpiangeva le verdi radure di Lungotavolo. Lì conosceva tutti e tutti gli erano amici. Conosceva ogni anfratto del bosco, ogni riva del fiume, ogni angolo del castello… Ma alla Capitale invece era praticamente da solo. Suo padre, lord Barron, lo aveva affidato a questo sir Haldric – un pezzo grosso di Altogiardino – il quale a sua volta lo aveva messo nelle mani di tal sir Dranfett: nerboruto, lunga e ispida barba rossiccia, benda ad un occhio, sempre mezzo ubriaco. E sir Dranfett era il responsabile della guardia di sicurezza di Lord Lorthan Tyrell. E Lord Lorthan Tyrell era la vera ragione per cui Gino si trovava a Roccia del Re. Suo padre aveva un debito di amicizia con i Tyrell e mandando il suo figlio primogenito a farsi ammazzare per loro, sperava di tenere ben salde le chiappe sul trono che era stato di suo padre e del padre di suo padre: quello del mediocre, misero, borgo di contadini e taglialegna che altro non era Lungotavolo. Ma i Barron e i Tyrell erano amici da sempre, e quindi la scusa era quella di rinsaldare una vecchia e storicamente proficua alleanza. In realtà Gino, anche se si reputava un giovane volenteroso, caparbio, anche astuto a suo modo… un po’ acerbo, forse, nell’arte della spada, ma più alto e dalle spalle più larghe della media dei suoi coetanei, nonostante tutto questo… pensava che suo padre lo avesse mandato in mezzo alle chimere della Capitale davvero troppo prima del tempo naturale: lui aveva sedici anni da poche settimane.
                Il viaggio a cavallo fino alla Capitale – il più lungo della sua vita – era stato estenuante: a un certo punto, pensò che non sarebbe mai arrivato alla meta. Una volta raggiunta la meta, la sera tardi, Haldric, Dranfett, e gli altri della guardia di Tyrell che non erano in quel momento con il signore di Altogiardino, lo avevano portato in un bordello. Ubriaco, naturalmente. La prima sbornia, e la prima scopata andata a vuoto della sua vita.
                L’indomani mattina, una lunghissima, interminabile, cerimonia pseudo-religiosa in cui lui, in compagnia di almeno altri trecento tra nobili, politici e cavalieri del Regno Unificato, aveva assistito alla cremazione di un vecchio signore, dall’aria serena, che – a quanto Gino aveva avuto modo di capire – era stato in vita un parente del re. E c’era anche il re in persona, solo che lui non l’aveva visto. Lui apparteneva alla delegazione dei Tyrell e l’unica cosa che aveva avuto modo di notare erano stati gli stendardi con la rosa dorata su campo verde, simbolo della casata di cui anche lui in qualche modo faceva parte. Vedeva rose dorate ovunque da quand’era alla Capitale! Stava cominciando a riscoprire in sé una certa, atavica, antipatia per tutto quanto esistesse di floreale…
                Quando, dopo la sua seconda cena alla Capitale, consumata insolitamente presto quel giorno, Haldric e Dranfett tornarono da lui, chiedendogli di seguirlo, Gino temette che per la seconda sera consecutiva volessero proporgli una nottata di vino e donne. Fortunatamente non fu così. Di tutta la guardia dei Tyrell, vennero scelti solo lui e un altro; a tutti gli altri Haldric e Dranfett concessero il riposo per quella sera. Ma Gino no: Gino doveva ancora lavorare. Seguì così i due nobiluomini dentro il palazzo reale: un immenso fabbricato pieno di effigi in pietra al suo esterno, e pregiatissimi arazzi al suo interno. Dunque, raggiunse un immenso salone, con al centro una gigantesca tavolata rotonda con almeno trenta posti a sedere. E almeno una quarantina dovevano essere gli uomini lì dentro, anche se quasi nessuno era seduto. Tutti parlottavano. Lorthan Tyrell era già dentro. Ma Gino non si soffermò tanto a guardare chi conosceva e chi no (anche perché non conosceva nessuno); la sua attenzione venne distratta dal tetto di quella stanza: le rifiniture perfette, scolpite in bassorilievo sulla pietra, rappresentavano: un drago che sputava fuoco, un lupo dai denti affilati e l’aria minacciosa, un sole trafitto da una lancia, un cervo rampante, la rosa dei Tyrell, un falco in picchiata, una lucida trota guizzante, un temibile kraken a dieci braccia e in ultimo, al centro, un austero leone dall’aria regale.
                «Voi restate qui» ordinò Dranfett a lui e all’altra recluta «E nel caso qualcuno cercasse di uccidere Lord Lorthan… intervenite!». Detto ciò, Dranfett li lasciò da soli, recandosi anche lui a chiacchierare con un altro tipo dall’aria minacciosa almeno quanto la sua. Haldric li aveva lasciati già da prima: si era unito a Lord Lorthan. Con grande sorpresa di Gino, anche il tipo di poche parole che era stato convocato insieme a lui, si allontanò e inizio a confabulare con uno che gli parve una recluta almeno quanto loro. Imbarazzato, non sapendo bene cosa fare, il giovane Barron tornò a guardare lo spettacolare soffitto intarsiato della sala. Venne interrotto di nuovo. Pensò che sir Dranfett volesse ordinargli qualcosa, ma non era così. Il cavaliere che lo interruppe, era un ragazzo giovane: non quanto lui, che probabilmente era il più giovane lì dentro, ma abbastanza giovane. Aveva dei lunghi capelli ricci e l’aria del “veloce assassino”, piuttosto che del “resistente generale”. Oltretutto, gli sorrise dicendo: «Salute. Sei nuovo, eh?»
                «Sissignore» balbettò Gino «Salute a voi»
                «Non è così male assistere a una riunione del Concilio Ristretto: c’è di peggio in questa città, vedrai. Magari all’inizio potrà sembrarti noioso ma… succede sempre qualcosa d’interessante in queste dannate riunioni. Qualcosa… di inatteso, ecco. Sempre, tutte le volte!»
                «Questo… è il Concilio Ristretto?»
                «Già. Ridicolo, non è vero? Dico io: almeno cambiategli nome, visto che saremo in cinquanta! Anche se, a dirla tutta, i membri ufficiali dovrebbero essere trenta, non cinquanta. È che, sai com’è, qui nessuno si fida di nessuno e quindi ogni illuminato Lord membro del Concilio pretende di poter portare con sé un manipolo delle sue guardie personali. Anzi, all’inizio era così. Poi, qualche decennio fa, presero la cosa della sicurezza come una scusante per portarsi consiglieri e segretari e adesso… il Concilio Ristretto non è più così ristretto. Ahah vengono i brividi a pensare quanti membri fossero in origine, no? Il re, la regina, il Primo Cavaliere e pochi altri. E adesso: trenta. Più una ventina tra consiglieri e guardaspalle»
                «E…» provò Gino «Voi siete un membro del Concilio o…?»
                «Io? No, per l’amor degli dèi! Tutto questo parla parla non fa per me. Io sono un uomo d’azione! Come te, a quanto posso vedere»
                «Eh, io non so nemmeno perché mi trovo qui»
                «Come ti chiami?»
                «Ehm… Gino. Gino di Casa Barron»
                «Bene, Gino» il tipo gli strinse la mano «Io sono Kellan». Probabilmente notando che Gino stava guardando proprio da quella parte, Kellan fece: «Quello è il trono del re, per questo è diverso dagli altri. O meglio: è uno dei troni, in realtà quello più celebre non si trova in questa sala: credo che non possa neanche essere spostato. Sai, dicono che questo re odi le riunioni del Concilio, si annoia almeno quanto te e me ma… lui deve venirci per forza! Peraltro, non ha nemmeno diritto di voto»
                «Ah, no?»
                «No, l’ho scoperto qualche mese fa. Il re è tenuto a partecipare, in quanto il Concilio formalmente dovrebbe rappresentare la seduta dei suoi più stretti consiglieri. E… naturalmente il re può intervenire, può dibattere, ma non partecipa al voto finale. Può porre un veto, ma non un voto. Nel senso che una volta che i membri del Concilio hanno votato, lui può decidere di bloccare quella decisione: anche se questo avviene raramente»
                «E come mai?»
                «Perché, vedi, generalmente un re ha un’influenza talmente grande da poter orientare le decisioni del Concilio. Vedi il posto accanto a quello del re? Quello con la grande mano incisa sopra?»
                «Sì»
                «Quello è il posto del Primo Cavaliere: presiede la seduta. La seduta non può cominciare senza il Lord Primo Cavaliere. E sai chi è il Lord Primo Cavaliere, membro integrante del Concilio?»
                «No»
                «Il fratello del re. Di diritto. E, sempre accanto al re, dall’altro lato, sempre con potere di voto, sai chi siede?»
                «No. Chi?»
                «Il Lord Segretario del re. E sai chi attualmente ricopre tale carica? Sua grazia Lady Hana di Casa Lannister, figlia del re… Ora, il sovrano non avrà diritto di voto ma: ben due tra i membri del Concilio sono suo fratello e sua figlia. Certo questo non sempre nella storia si è confermato come una garanzia: più in alto si sale di livello più il tradimento può arrivare dalle persone a te più fedeli, questo lo sanno tutti. Curiosa la vita di un re: puoi essere l’uomo più potente del mondo, e insieme quello più soggetto a essere… beh, assassinato»
                «Ma un re non viene assassinato da secoli!» contestò Gino, che sapeva di dire il vero. Kellan evidentemente non voleva saperne di smettere di parlare e, d’altronde, lì dentro non c’era null’altro da fare. Disse: «Questo è vero. E poi, oltre che su suo fratello e su sua figlia, il re può anche contare su» Kellan indicò a Gino un uomo di mezz’età coi capelli brizzolati, molto magro e l’aria umile, che sedeva in un posto non distante dal trono del re, analizzando delle carte, «Lord Pamir Gaholla, il Maestro delle Strade. Trovato dal re in persona mentre rubacchiava frutta al mercato di Astapor… Ha ridisegnato il tetto di questa stanza dopo che la grande tempesta di due anni fa lo aveva spazzato via. E ha ampliato la zona dei quartieri poveri permettendo alla gente morta di fame di Fondo delle Pulci di poter trovare almeno un tetto sotto cui ripararsi, dato che da un decennio ormai stava sempre ammassata nella fogna. Ma la sua più grande opera è il Palazzo delle Chimere, dove risiedono i cavalieri che difendono questa città e questo regno, insieme ai loro nobili animali. Oh, ma guarda un po’! E noi che parlavamo di chimere!».
                Quella sala dava su un giardino. E in quel giardino – Gino lo vide molto bene – era appena atterrato dal cielo una specie di gigantesco leone, alato e con la coda di serpente. Una chimera! Non ne aveva mai vista una, ne aveva solo sentito parlare. E tutto quello che aveva immaginato su quelle bestie era decisamente diverso! Lui si era aspettato un leone con le ali, ma quella bestia era molto più grande di un leone, e più spaventosa; c’era qualcosa in essa che a Gino ricordava più i draghi che qualsiasi felino del mondo. Dalla groppa sellata della chimera, scese giù un signore ammantato di grigio, rapido e dall’aria innervosita: aveva pochissimi capelli. Sussurrando a un orecchio di Gino, Kellan lo presentò: «Lord Henrich Bolton. Fedelissimo del re. Maestro delle Armi – il capo indiscusso di ogni esercito facente capo alla corona, secondo solo a sua maestà stesso – e inoltre Lord Ambasciatore della casa di cui porta il nome»
                «Lord Ambasciatore?»
                «Sì. Sono diciassette in totale, dodici a cui è stato riconosciuto da tempo il ruolo di membri effettivi del Concilio, più cinque che hanno dei poteri minori ma possono comunque prendere parte alle riunioni e votare le decisioni. I primi naturalmente rappresentano alcune tra le casate più antiche: Lannister, Tyrell, Applegate, Bolton, Worchester, Goldsmith, Baelish; l’ultima cui è stato riconosciuto tale rango è la Casa Panecha, i cui territori sono a confine con l’oriente ancora poco conosciuto. Gli altri cinque Lord Ambasciatori rappresentano casate minori: troppo nuove, come i Tahorel, o antiche ma cadute in sventura, come i Martell. Altri invece rivendicano da tempo un ruolo ufficiale su un determinato territorio che però non è stato ancora concesso e, quindi, vengono qui a sbraitare: è il caso dei Gushing, che originariamente rivendicavano dai Lannister una zona tra le Isole di Ferro e quella di Delta delle Acque, anche se a quanto pare adesso sono come pane e cacio, e dei Willoughby del Nord: il vecchio Senus chiede l’indipendenza dagli Applegate da una dozzina d’anni ormai; farebbe di tutto purché gli venga riconosciuta»
                «Ma perché esistono dei Lord Ambasciatori?» domandò Gino «A che servono?»
                «A niente» gli rispose Kellan «La loro creazione rappresenta l’esito di secoli e secoli di lamentele in cui i nobili signori dei singoli territori opponevano al re il fatto che prendesse decisioni senza il loro volere. A un certo punto dissero: siamo un regno unito, quindi dobbiamo partecipare tutti alle decisioni. Così, il re iniziò a nominare membri del proprio gabinetto gli altri grandi nobili, ma sai cosa succedeva? Che anche se faceva parte del Concilio, un nobile che risiedeva a leghe e leghe di distanza dalla Capitale, non partecipava lo stesso, e il Concilio prendeva le sue decisioni in sua assenza. E così nacque la figura dei Lord Ambasciatori. Alcuni di loro hanno il doppio incarico, per questo i membri effettivi non sono precisamente trenta: prendi Lady Hana che rappresenta i Lannister, o Lord Henrich che rappresenta i Bolton. E anche Finnis Gushing: lui è membro del gabinetto personale del re, in quanto Maestro delle Leggi. Ah!» Kellan indicò a Gino un elegante signore dallo sguardo intelligente e il pizzetto curato «Lord Petyr Baelish, sovrano di Baelinstratth, quella che un tempo era nota come “Valle di Arryn”. È il trentottesimo con il suo nome, e il suo primogenito è il trentanovesimo» dunque l’indice di Kellan passò da Baelish a un altro distinto signore: vestito con eleganti abiti orientali, pelato, sovrappeso, aria pacata e pensierosa «E Lord Justus Panecha, che ha domato le ribellioni dell’Essos e si è garantito un posto insindacabile attorno al tavolo dei grandi. Solo che le ribellioni in Essos non si sono mai concluse. Loro due non si capisce mai da che parte stanno ahah. Ah ecco tre tra i più loschi individui che vedrai in questa stanza!».
                Gino provò a camuffare il sussulto che aveva appena fatto, fingendo di tossicchiare: non pensava che a Kellan la cosa fosse sfuggita, ma quest’ultimo proseguì lo stesso con il suo monologo. I tre uomini che gli stava indicando erano due in piedi e l’altro già seduto al suo posto. Quello seduto, aveva la testa calva e una lunga barba bianca. Davanti a lui, poggiati sul tavolo, due enormi volumi di pergamene rilegate. Avevano l’aria di essere antichi e impolverati. Quello in piedi, subito dietro il vecchio, era Lorthan (e per questo Gino aveva sussultato): aveva baffi e barba scuri, curatissimi, un lungo abito nero e una curiosa spilla al petto di cui Gino non distingueva bene la forma. Teneva sottobraccio una specie di cartella, presumibilmente piena anch’essa di pergamene. Infine il terzo, sulla sinistra, aveva un’aria molto più affabile dei due, e più magnetica. Parlava da quando Gino era entrato nella sala e gli altri due non avevano fatto altro che ascoltarlo per tutto il tempo. Loro serissimi, lui tutto sorridente. Aveva i capelli rossi, anche se una parte del capo era occupato da una incipiente stempiatura tridentata. Anche lui aveva baffi e pizzo, ma molto meno curati rispetto a quelli del tipo con la spilla, poi: carnagione chiara, sguardo penetrante, sorriso ampio. La sua veste, pur se elegante come quella di altri “colleghi”, era l’unica di un color rosso-amaranto.
                «Vedi quello seduto?» disse Kellan a Gino «Il Gran Mestro Septimus. Sovrintende alla cultura e alla memoria del regno; a lui fanno capo tutti i vertici ospedalieri e accademici, difatti viene anche chiamato il “Maestro delle Scuole e degli Ospitali”. È probabilmente l’uomo più esperto di veleni al mondo, e la sua storia personale, conclusasi col suo arrivo fino ai vertici della politica della Capitale, è ricca di misteriosi decessi mai ufficialmente chiariti… D’altro canto, da più di vent’anni è lui che ha sempre l’ultima parola su questo genere di casi. Vedi quel giovanotto lì?» ora Kellan indicò a Gino un ragazzo poco distante da loro, che parlottava con Lord Baelish. Gino aveva pensato di essere lui il più giovane in sala, ma si rese conto che sbagliava: quel ragazzino dai capelli color paglia e gli occhi azzurri doveva per forza essere più piccolo di lui! «È il più stretto collaboratore di Septimus» spiegò Kellan «Ne ha sostituito da poco un altro che è morto dopo aver indossato una camicia che – certe malelingue dicono – a quanto pare odorava di limone e menta. E – sempre quelle sciagurate malelingue – hanno fatto in modo che serpeggiasse un dubbio tra i signori che frequentano la corte: è forse un caso che i pochi, ricercatissimi, allievi della scuola di Septimus siano tutti dei giovanotti biondi e di aspetto femmineo?» a questo punto, sempre cercando di non farsi notare, Kellan volse il proprio sguardo su Lord Lorthan. Disse: «Lord Lorthan Tyrell, Maestro del Conio del Regno Unitario e Ambasciatore della Casa Tyrell. Da un paio d’anni a questa parte, non si muove foglia che Lorthan non voglia…»
                «Lui… è lui che io proteggo», si sentì di dire Gino. Stranamente, anche se in qualche modo il giovane Barron sentiva che sarebbe andata così, Kellan non smise di parlare, anzi la cosa parve coinvolgerlo perfino un po’ di più: «Oh ma ottimo, figliolo! È davvero un buon partito. Uno degli uomini più potenti del regno. Vedi la cartella che stringe tra le braccia come se fosse la sua sposa? Non se ne separa mai. Dicono che la notte la metta sotto il cuscino. E dicono anche – sempre le solite malelingue – che lì dentro siano appuntati e catalogati per entrate e uscite tutti gli, diciamo, “irregolari peccatucci” della gran parte dei gentiluomini presenti in quest’aula. Incluso sua maestà e la famiglia reale al completo. È un brillante uomo d’affari Lord Lorthan, uno che ci sa fare. Che partiva già ricco, eppure è riuscito ugualmente ad ampliare le casse della propria famiglia. Lui e suo fratello Shane hanno ucciso loro padre, Lord Tyrell. La cosa è di pubblico dominio, non ho neanche bisogno di dirtela a bassa voce. Lorthan ha atteso che suo padre, Maestro del Conio prima di lui, gli insegnasse tutti i trucchetti del mestiere e poi… se ne è liberato»
                «E quell’altro?»
                «Ah» a questo punto l’espressione sul volto di Kellan cambiò: si fece serissimo «Il più pericoloso di tutti. Lord Alexis Braff. Ambiziosissimo. È spuntato praticamente dal nulla eppure ha scalato la vita politica di questa città come se fosse una collinetta. Tiene tutti sotto scacco, come Tyrell, ma peggio. Dicono sia il più abile Maestro dei Sussurri dai tempi di Lord Varys. Lui sa tutto. Di tutti. È aiutato in questo da una memoria disumana, ma non può essere solo questo. Almeno per quanto riguarda Varys esistevano delle prove tangibili della sua efficienza: lui si serviva di un gruppetto di bambini orfani come spie, li chiamava i “suoi uccelletti”. Ma Braff… non ha niente, eppure… è l’uomo meglio informato del regno. E tutti lo temono. È un avanzo di galera, solo gli dèi sanno quante anime ha sulla coscienza. Ed è sempre così affabile, sorridente. Un mostro. Tanto appare sincero il suo sorriso, tanto più è contorta l’analisi che sta facendo sulla persona cui sorride. È l’unico membro del Concilio, insieme a Septimus e Gaholla, a non rappresentare nessuno. Oltre che se stesso».
                Dopo il primo silenzio che Gino osservò Kellan concedersi, questi volse il proprio indice a un altro gruppo. Quattro uomini che discutevano un po’ più animatamente degli altri. Uno di loro, il più carismatico, aveva abiti orientali e una lunga spada penzolante sul fianco. Gli altri tre avevano abiti più o meno simili a quelli che ci si poteva aspettare da un nobiluomo lì a Roccia del Re, fatta eccezione per il più alto che oltre a questi possedeva anche un’ispida pelliccia invernale poggiata sulle spalle. Kellan spiegò: «I Lord Tribuni Popolari. Quattro in tutto. Uno per il nord, uno per il centro, uno per il sud, e uno per l’oriente. Sono una carica dell’ultimo secolo, richiesta a viva voce dalla gente comune che, dopo lotte e sangue, raggiunse il traguardo di avere dei rappresentanti eletti da loro seduti al Concilio Ristretto. Andò così per i primi dieci anni, poi le famiglie più ricche capirono che anche questi rappresentanti cosiddetti “popolari” potevano essere comprati. E così il Tribuno del nord fa cassa dai Worchester, quello del centro – non andrebbe neanche detto – dai Lannister e quello del sud dai Tyrell. Per Lord Garhel Sawela, quello con la sciabola, la cosa è differente. Vedi, qui nell’ovest bene o male c’è il controllo sulle elezioni dei Tribuni Popolari, ma nell’est… Tribuno Popolare si diventa con la guerra. E il tipo che c’è per ora è un rivoluzionario assoluto, uno convinto davvero di portare il benessere che abbiamo qui, ai morti di fame che stanno là. Un matto completo: il fatto è che è un ex predone, è abile nel corpo a corpo, e per questo fino ad ora è stato difficile per i politici della Capitale toglierselo di torno. Ma è questione di tempo. La gente come Sawela, non vive mai troppo a lungo qui a Roccia del Re».
                A un certo punto, qualcosa distorse l’armonia che si era creata in quella sala caotica. Un vecchietto, accompagnato da una donna, entrò non celando a nessuno quello di cui stavano parlando. Gino non riuscì a seguire bene il filo, ma il vecchio parlava di un abuso da parte di qualcuno, e della violenza applicata da certi uomini a certi altri. La donna, molto bella, atteggiamento principesco, lunghe trecce di un biondo ramato, non faceva altro che ascoltare, cercando di calmare la foga del gentiluomo. Pochi istanti dopo, giunse il re, seguito dal Primo Cavaliere e da un nobile con una spilla al petto che raffigurava una bilancia. Gino pensò che dovesse essere Lord Gushing, il Maestro delle Leggi, o almeno così era quello che gli aveva detto Kellan. Una volta che il Primo Cavaliere si fu seduto, agitò una campanella e disse: «Signori a posto, tutti a posto che cominciamo». Gino fece un breve conto e vide che gli uomini che si sedettero intorno all’enorme tavolata rotonda furono in tutto venticinque. Tra questi: il re, sua figlia Lady Hana (che era quella che era entrata scortando il vecchietto), e i Lord Gaholla, Bolton, Baelish, Panecha, Septimus, Tyrell, Braff e Garel Sawela con gli altri Tribuni Popolari. In ultimo, anche Gushing – il Maestro delle Leggi – e il vecchietto che era entrato sbraitando insieme a Lady Hana. Diversi altri rimasero in piedi.
                La cosa si fece noiosa: originariamente procedettero con un appello ma, quando si rese conto che il procedimento avrebbe tirato troppo per lunghe, il Lord Primo Cavaliere si stufò e passò al Lord Segretario (Lady Hana Lannister) la mansione, mentre lui cominciava con la riunione vera e propria. Il primo punto della discussione furono i territori che il defunto Lord Duhenlar, senza figli, aveva lasciato. Si trattava di un villaggetto non distante da Cronayr e delle campagne circostanti, alcune delle quali vicine a un piccolo lago. I Tyrell volevano mettere un loro uomo ma l’altro candidato era dei Lannister: si passò ai voti e in poco tempo il re ebbe la meglio. Il secondo punto all’ordine del giorno era un intervento di Lord Willoughby, che era il vecchietto entrato in sala con la scorta di Lady Hana. Le sue parole scatenarono il parapiglia. Gino capì che quell’uomo era molto meno andato con il cervello di quanto volesse far credere. Fece due accuse: una evidente alla casa che a suo dire occupava illecitamente il territorio dei Willoughby (e questo causò un’interruzione, fomentata da Lord Applegate, che durò alcuni minuti), l’altra ai vertici del regno – il re e i suoi uomini – che ancora perdevano tempo ad ufficializzare l’indipendenza della sua casata. Il tutto si concluse con una minaccia tra le righe: niente giustizia da Roccia del Re, significava che Lord Willoughby era disposto a farsela anche da solo, o morire tentando.
                Gino ormai era giunto al punto massimo della sua tolleranza e questo, unitamente al fatto che era sveglio da quella mattina presto per assistere alla cerimonia di cremazione di Lord Duhenlar, gli creava uno stato di sonno per cui stava cominciando ad avere difficoltà a tenere gli occhi aperti. Ma d’improvviso accadde qualcosa: i fari e le fiaccole che gettavano una quasi diurna luce nella sala, si spensero tutt’assieme. Ovviamente, le voci cominciarono a chiedersi cosa stava succedendo e chi avesse spento le luci. Qualcuno – anche se pochi – urlò. Poi, cosa ancora più inquietante, le fiamme su torce e fiaccole si riaccesero di colpo. E il re si accasciò a terra. Fu il caos. La metà dei presenti, tra cui Lady Hana, il Primo Cavaliere, e il Gran Mestro Septimus si precipitarono verso il sovrano. L’altra metà colse l’occasione per andarsene. Gino vide il Gran Maestro Septimus chinarsi sul corpo del re e iniziare a toccarlo. Gli toccò la gola con due dita; ascoltò il suo petto, cercò nelle sue labbra e dentro la sua bocca. Poi abbassò le maniche del re, prima la destra e poi la sinistra: non trovò niente di ciò che stava cercando. Infine decise di strappargli la veste superiore e guardargli nel petto. Il Giovane Barron, anche a quella distanza, distinse chiaramente due grossi buchi, e una ferita infetta tutt’intorno: che cosa mai avrebbe potuto procurargliela, visto che il re fino a pochi secondi prima era sano e in salute?
                Kellan raggiunse Gino e, con fare concitato, gli disse: «Visto? Esattamente come ti avevo detto: succede sempre qualcosa di interessante!»
                «Vieni Kellan, non siamo più utili qui» disse Lord Braff. Incredibile! Quello che Kellan aveva descritto come “ambiziosissimo, il peggiore di tutti, un avanzo di galera, un mostro” in realtà era… il suo capo! Il membro del Concilio Ristretto che Kellan era lì per difendere! «Ehm… signore» rispose Kellan «Questi è sir Gino»
                «Ah» sorrise il Maestro dei Sussurri, stringendo la mano del giovane «Molto piacere! È sempre bello vedere nuove facce qui a Roccia del Re, sir Gino. Siete qui da molto?»
                «Da ieri»
                «E di chi vi occupate?»
                «Lord Tyrell»
                «Oh bene, bene. Posso chiedervi una cosa?»
                «Signore?»
                «Come mai un membro della nobile e antica casata dei Barron, come voi, non porta un segno identificativo? Perché non avete la rossa volpe dei Barron cucita da qualche parte sulla veste, o incisa su una spilla? Che forse è diventato uno spregio esser parenti del signore di Lungotavolo?»
                «Nossignore» rise Gino con un po’ di imbarazzo «Semplicemente non possiedo abiti con la rossa volpe. Forse da bambino, ma adesso… è da un po’ che non me ne vengono fabbricati in effetti»
                «È un peccato» chiuse Lord Alexis «Arrivederci, dunque, sir Gino. Se bazzicherete Roccia del Re, ci rivedremo sicuramente. È stato un piacere»
                «Anche per me, mylord» e detto questo, Gino vide Lord Braff sparire con l’agilità di una lepre, Kellan e un paio di altri uomini subito dietro di lui. Poi il rampollo di casa Barron ci rifletté per un secondo e si chiese… in quale momento aveva mai anche solo accennato a Lord Braff di essere un Barron?
                Mentre se lo domandava, si accorse che la sala si stava via via svuotando. Non capì se il re fosse effettivamente morto, anche se quella strana ferita simile a un morso di chissà cosa – almeno a giudizio di Gino – sicuramente non avrebbe lasciato nessuno vivo per parecchio tempo. Sir Haldric, sir Dranfett e lord Tyrell erano spariti. E anche la recluta che era arrivata nella Sala del Concilio insieme a lui. Sentendosi per un attimo sperduto, Gino di Casa Barron si avviò verso l’uscita del palazzo. Intravide Lord Tyrell avviarsi verso un corridoio, da solo, e lo seguì. Non fece in tempo a chiamarlo, che fu Tyrell stesso ad esclamare: «Constant! CONSTANT!»
                «Che vuoi, Lorthan?» fece il Lord Primo Cavaliere. Il Maestro del Conio, abbassò il tono della voce, ma non tanto che Gino – o chiunque altro si trovasse a pochi passi – non potesse ascoltarlo. Disse: «Ma chi diavolo è stato?!»
                «Non ne ho la più pallida idea!» rispose il fratello del re, ringhiando. «Bada, Constant!» fece ancora il Tyrell al Lannister «Non prenderti gioco di me!»
                «Finiscila, pazzo!» Lord Constant si scaldò ancor di più «Pensi che creerei mai una simile confusione?»
                «Que-questo…» balbettò Lorthan «Questo non ci voleva, io… è troppo presto! Devo lasciare Roccia del Re»
                «Fa’ un po’ come vuoi! Io ho altre gatte da pelare!» e detto ciò, Gino non udì più la voce del Primo Cavaliere. Appena aveva visto che la situazione si era fatta delicata, era andato a nascondersi dietro una parete lì vicino. Ma aveva anche scelto di non andare, e comunque le cose che il Maestro del Conio e il Primo Cavaliere si erano detti, non gli parvero poi così segrete visto che i toni non erano stati poi così bassi. Fece finta di arrivare di corsa e raggiunse Tyrell. Quello inizialmente lo guardò storto; poi gli disse di seguirlo e insieme lasciarono il palazzo. Non chiese niente in merito alla conversazione che aveva avuto con Lord Constant e che Gino avrebbe potuto ascoltare (e aveva in effetti ascoltato); non ne parlò, non fece neanche un piccolo accenno. E così fece Gino a sua volta.
 
 
 
                Dopo l’estenuante colloquio con Lord Shane Tyrell, sir Bastian raggiunse di nuovo la carrozza nera dove, sino a quel momento, suo fratello aveva atteso. Alla fine il giovane principe di Altogiardino si era convinto: gli era bastato osservare il vero volto del demone delle fiamme – “demone” era il termine che Bastian e suo fratello preferivano usare per quelle creature reiette, anche se forse i termini più esatti erano quelli che contenevano la desinenza “mante”, ovvero “mago” nell’antica lingua dei padri – e Shane aveva rinunciato a qualsiasi remora. Bastian gli aveva mentito solo a metà: il fratello del ragazzo che lo aveva accolto, Lord Lorthan, non era in effetti a conoscenza del piano di smantellamento delle truppe di Dorne. Ma il Lord Primo Cavaliere Constant sì, lo era. E d’altro canto non era l’esercito di Constant che stava per partire per l’oriente. Era quello dei Tyrell, o almeno la parte che aveva giurisdizione sulla loro regione del sud, l’assolata, lussureggiante Dorne. Ma nonostante l’assenso completo del principino, l’incontro si era comunque dilungato: le carte da firmare si erano rivelate una quantità spropositata e comunque Shane aveva continuato a fare domande, futili domande.
                Bastian entrò nella carrozza. “Il Signore delle Dune”, come tutti lo chiamavano anche se lui non si chiamava così, rivolse il suo sguardo verso di lui. Come sempre, era incappucciato fino al naso al fine di nascondere quello che c’era dai suoi occhi in su… Bastian l’aveva visto, l’aveva visto anche spesso: ma trovava saggio da parte del suo fratellastro tenere nascosta quella parte del suo corpo. Tuttavia, anche se teneva in testa il suo cappuccio violetto, Bastian percepì chiaramente che suo fratello lo stava guardando. E dopo lo sguardo, la domanda: «Allora? Come ha reagito?»
                «Male all’inizio. Ma dopo aver visto il vero volto del demone, si è convinto ahahah» Bastian rise esageratamente. E suo fratello lo riprese subito; prima lo schiaffeggiò e poi esclamò: «Ti avevo detto di ricorrere a un tale estremo solo nel caso in cui avessi visto la rabbia negli occhi del principe»
                «Ma non c’entro niente io!» biascicò Bastian, massaggiandosi la guancia paffuta, «Ha fatto tutto da solo!»
                «I demoni sono miei servi, Bastian. E da quando ti ho conferito l’autorità di rappresentarmi, sono anche i tuoi! Quando i più intelligenti tra loro prendono l’iniziativa, dovresti far valere la tua superiorità! Sono creature votate al caos, non seguono piani. Eseguono ordini»
                «Mi dispiace, fratello, ma io…»
                «Ti ho già spiegato quanto sia importante che i Tyrell non si sentano minacciati! È essenziale che ci percepiscano come loro amici, per il momento! La nostra storia ci ha dimostrato come sia del tutto impossibile conquistare qualcosa, se si è soltanto circondati da avversari»
                «S-sì…» provò ancora a giustificarsi Bastian «Ma io…»
                «Mi è giunta nuova dal demone delle nevi. Egli ha fallito la sua missione»
                «Cosa?! Ma com’è possibile?»
                «Come al solito i suoi farfugliamenti sono stati complessi da decifrare, ma sembra che abbia udito qualcuno evocare l’antica lingua dei draghi» una breve pausa, e poi la frase a effetto: «Forse non siamo davvero soli come pensavamo»
                «E… che facciamo?»
                «Non abbiamo tutto il tempo di questo mondo, dobbiamo muoverci rapidamente e per farlo dobbiamo separarci. Ho mandato già il demone delle nevi a fare un lavoro alla Valle del Leone. E per quanto riguarda la Capitale…»
                «Lì» rifletté Bastian a voce alta «Abbiamo già uno dei nostri»
                «Più d’uno. Ma mi necessita che qualcuno sovrintenda alla creazione del nuovo esercito, a Valyria. Qualcuno che non sia un demone…»; osservando l’aria ebete sul volto del fratello, il Signore delle Dune si vide costretto a specificare: «Tu! Fratello… è una mansione che spetta a te!»
                «Cosa?!» fece dunque Bastian, sconvolto «A me?! Me da solo? No!»
                «C’è già il demone degli elementi, lui sa cosa deve fare ma… Mi occorre qualcuno che sappia prendere delle decisioni nel caso in cui qualcosa dovesse andar storto. È un lavoro da umano, non da demone. Sta’ molto attento Bastian! È qualcosa di molto delicato! Tu partirai con l’esercito di Dorne, stanotte!»
                «Ma… perché?! Tu dove andrai?»
                «A nord»
                «Quando?!»
                «In questo momento. Ti lascio la mia carrozza: donala al principino in segno di amicizia, che serva ad appianare il contrasto che hai contribuito a creare»
                «Ma fratello… io…»
                «Bastian! Tu sei un valente stratega e un uomo più intelligente della media. Hai un gran cuore e io non dimenticherò mai quello che facesti per me, quarant’anni fa. Ma talvolta sei un imbecille dannoso, un’inutile parassita tronfio e del tutto irresponsabile. Eppure, è all’uomo intelligente e di gran cuore cui io ora mi appello: sto per affidarti la missione più delicata che abbia mai fatto, fratello. Una missione che se fallita, oltre che della tua vita, potrebbe andarne anche dei miei piani. E questo non posso permetterlo! Quindi ciò che ti chiedo è… ti senti in grado di svolgerla?»
                «Io…» balbettò Bastian ancora una volta. Pensò che la risposta che avrebbe voluto realmente dire fosse no. Ma capì anche che suo fratello in quel momento non gli stava facendo una domanda: gli stava dando un ordine, e probabilmente un’ultima possibilità di non deluderlo. Quindi, si accorse che alla fin fine aveva un’unica risposta da poter dare, e la confermò con un non troppo maestoso: «Sì»
                «E bravo il mio Bastianello». A questo punto il suo fratellastro – Signore delle Dune – gli diede un buffetto derisorio sulla guancia e, ridendo malvagio, come suo solito si dissolse in un vapore, senziente e violaceo, e sparì attraverso le valli di Dorne.
   
 
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