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Autore: onlypain    23/08/2015    2 recensioni
Quel giorno ricorreva il quarto anniversario della morte di Itachi Uchiha.
Quello era un giorno pieno di ricordi dolorosi, per lui. Rammentava ancora lo scontro avuto con suo fratello e si rammaricava di non avergli dato un ultimo addio come si deve.
Perciò era lì. A Konoha.
[...]
Fu in quel momento che si accorse di una persona che stava entrando nel cimitero, una persona che lui conosceva bene e che gli fece perdere un battito.
Sakura.
[...]
Quando la sua voce gli arrivò forte e chiara, si accorse che stava ancora trattenendo il fiato, che la sua voce aveva assunto un non so che di dolce e materno e che lui non stava sognando.
"Ciao, Itachi - san".
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Ciao a tutti voi, lettori!

Dopo aver letto tante sasusaku, ho sentito il bisogno di scriverne una tutta mia, perciò: eccomi qui!
Sulla sinistra troverete il punto di vista di Sakura, sulla destra quello di Sasuke; più che POV, però, sono delle prospettive sui fatti che accadono, perchè ho deciso di scrivere tutto in terza persona.

Spero che vi piaccia, aspetto di sentirmelo dire da voi!

A presto,

onlypain


PS: il prossimo aggiornamento sarà domenica prossima!




 




Erano passati tre anni dalla fine della Quarta Guerra Ninja e Konoha era più florida che mai. Grazie all’aiuto di preziosi alleati dei villaggi circostanti, il Villaggio della Foglia era tornato al suo vecchio splendore.
 
Il sole brillava alto sulla montagna degli Hokage e si sentiva il vociare allegro, in special modo, dei bambini che giocavano per le strade e dei cittadini che approfittavano della bella giornata per sbrigare commissioni. Sebbene fosse già arrivato l’autunno, quella era una giornata particolarmente calda e allegra, coronata dal turbinio di foglie secche e appassite che andavano a poggiarsi ai piedi di una certa fanciulla dai capelli rosa.
 
Guardava a destra e a sinistra, col sorriso sulle labbra piene e rosee, cercando di memorizzare tutto ciò che accadeva intorno a lei. Ricordava ancora, dopo tutto questo tempo, le condizioni del villaggio subito dopo la guerra e rivederlo come una volta per lei era sempre una gioia. Ricordò quanta fatica e quanto sudore e quanto tempo ci volle per rimettere in sesto, prima di tutto, il centro ospedaliero e il palazzo dell’Hokage e, successivamente, la maggior parte delle abitazioni.
 
Nei primi mesi dopo la fine dello scontro decisivo contro Madara Uchiha, infatti, una buona parte della popolazione di Konoha si era dovuta sistemare in tende scomode e per nulla accoglienti, andando a formare una vera e propria tendopoli; purtroppo, era stato necessario al fine di avere il tempo materiale per ricostruire la moltitudine di abitazioni andate distrutte. Ora, tutti erano felici e la guerra, seppure un ricordo molto doloroso, rimaneva solamente uno spettro.
 
Proprio quel giorno, Sakura si stava recando a fare visita ai caduti, fermandosi dapprima al monumento dedicato loro e, successivamente, al cimitero: infatti, quella era una data speciale. Non direttamente per lei, ma per una persona molto cara che al momento non era presente.
 
Quel giorno ricorreva il quarto anniversario della morte di Itachi Uchiha.
 
 
 

 
Quello era un giorno pieno di ricordi dolorosi, per lui. Rammentava ancora lo scontro avuto con suo fratello e si rammaricava di non avergli dato un ultimo addio come si deve.
 
Perciò era lì. A Konoha.
 
Si era appostato su un grande ramo di un pino proprio davanti alle tombe degli Uchiha, fissando con lo sguardo quel nome, quelle date e quella dedica che, sotto l’esplicita raccomandazione di Naruto, l’attuale Hokage – il loro maestro Kakashi Hatake – aveva ordinato di scrivere.
 
Eroe.
 
Eh sì, suo fratello per lui era sempre stato un eroe, fino a quel momento. Quello in cui era tornato a casa e si era trovato davanti i corpi esanimi dei suoi genitori e il loro sangue sulle mani del suo onii-san.
 
Da quel momento, il suo fratellone, che era stato sempre così protettivo, dolce e premuroso nei suoi confronti, era diventato il suo principale obiettivo.
 
Per anni si era allenato per riuscire a tenergli testa e, alla fine, alla resa dei conti, ce l’aveva fatta. Aveva vendicato la sua gente, i suoi parenti, i suoi genitori e la sua infanzia perduta.
 
Poi, il mondo aveva smesso di girare. O aveva solamente iniziato a girare al contrario. Aveva scoperto la verità e un macigno gli era piombato addosso.
 
Mi hai sempre protetto, onii-san. E io ti ho ucciso.
 
I sensi di colpa l’avevano divorato talmente tanto che aveva cercato sollievo nella vendetta, di nuovo.
 
Voleva radere al suolo Konoha, voleva distruggerla. Poi, la redenzione, il ritorno sulla dritta via, grazie a quelle persone che sapeva non l’avevano mai abbandonato.
Naruto, che si ostinava a volerlo riportare a casa a tutti i costi.
Sakura, che gli voleva ancora bene, ne era certo.
Kakashi - sensei, che aveva sempre fatto parte dei piani di ricerche di Naruto.
 
Era grazie a loro che era tornato, per riportare la pace, per sconfiggere Madara, per pagare i suoi errori. E lui aveva avuto successo.
La pace era tornata sul Paese del Fuoco, Uchiha Madara era soltanto un – brutto – ricordo e lui aveva pagato.
 
Dalla fine della guerra, Tsunade – sama aveva lasciato il posto di Hokage al suo, anzi, al loro maestro. È stato grazie a lui che gli anziani, dopo aver saputo la verità sul conto di Itachi, di Danzo e tutti gli scomodi eventi causati da quella maledetta congiura, hanno accettato di rimuovere quella fastidiosa etichetta di nukenin dalla sua faccia.
 
Merito suo fu anche lo sconto della pena, basata su ore e ore di servizi sociali. Si ricordò di quando sentì il suo maestro pronunciare quelle parole: aveva inarcato le sopracciglia ai limiti delle possibilità umane e assunto una smorfia sprezzante, con le labbra incurvate all’ingiù, come a dire “Io, Sasuke Uchiha, servizi sociali? Tsk!”. Ovviamente aveva subito recuperato il suo contegno, mentre la faccia di Naruto, accanto a lui, si incurvava in un ghigno di soddisfazione e divertimento.
 
Soltanto dopo aveva scoperto che il suo ruolo era quello di aiutare nel ricostruire gli edifici e i palazzi di Konoha andati distrutti e, in fondo, ma molto in fondo, era stato grato a Kakashi – sensei per avergli dato quell’opportunità. In quel modo, poteva riscattarsi, poteva dimostrare – anche se non avrebbe mai ammesso che per lui fosse necessario – che era cambiato, poteva chiedere perdono agli abitanti del villaggio e sarebbe stato perdonato.
 
Peccato che così non fu.
 
Solo poche persone, infatti, si erano ricredute su di lui.
La rimanente parte pensava che lo facesse soltanto perché era costretto; questo era anche vero, ma nessuno di essi era giunto alla conclusione che poteva anche lasciar perdere e andarsene. Dopotutto era Sasuke Uchiha, poteva fuggire quando gli pareva e quando avesse voluto.
 
Tuttavia, non lo fece e lavorò duramente, fianco a fianco con altri uomini, finché non ebbe terminato le ore che gli avevano assegnato.
Aveva ripagato il suo debito con Konoha.
Si sentiva libero, finalmente.
 
Poi, una notte, dopo aver fatto visita alle tombe dei suoi genitori e di suo fratello, scomparve. Perché Konoha non era più niente per lui e lui, dopotutto, non era nulla per Konoha.
 
Tornava solo quel giorno, per chiedere, ancora una volta, perdono a suo fratello e per riportare alla mente la memoria della sua famiglia, quando era ancora tutta unita, sorridente, felice. Ogni anno, da quando aveva lasciato il suo villaggio, tornava di soppiatto e si metteva comodo su un pino a pensare.
 
Stava attento a non farsi vedere, perché già sapeva che, se fosse stato visto – o meglio, se Naruto o Sakura l’avessero visto – l’avrebbero tormentato fino a farlo rimanere.
E lui non voleva. Perché il villaggio non era più casa sua.
 
Venne distolto dai suoi pensieri da un urlo lontano, un grido da bambinetta, di quelli che si fanno quando si è piccoli e si sta giocando.
Fu in quel momento che si accorse di una persona che stava entrando nel cimitero, una persona che lui conosceva bene e che gli fece perdere un battito.
 
Sakura.
 
Ho soltanto paura che mi scopra” si disse, giustificando in tal modo il battito lievemente accelerato del suo cuore. Tuttavia, non perse un solo movimento di quella figura che, lentamente, si dirigeva proprio in quella direzione.
 
Sasuke si spostò silenziosamente più in alto, nascondendosi tra le fronde dell’albero e accucciandosi per non essere scoperto. Iniziò ad osservare attentamente la sua – ex – compagna di team, che, da quando era partito, era cambiata molto.
 
Ora, la ragazza camminava dritta fra le lapidi delle vittime della guerra, con il portamento degno di una donna, con lo sguardo fiero davanti a sé, mentre i lunghi capelli – cresciuti fino ad coprire, di nuovo, lo stemma del suo clan – ondeggiavano passo dopo passo.
 
 
La sua figura, armoniosa e aggraziata, si fermò a un certo punto, di botto, tanto che Sasuke pensò che lo avesse sorpreso a spiarla, ma, qualche secondo dopo, la vide accucciarsi davanti a due lapidi e accarezzarle con la punta delle dita.
 
Il ragazzo strinse gli occhi e si sforzò di leggere i nomi dei due caduti; quando ci riuscì, sobbalzò: che stupido, erano i suoi genitori, deceduti per mano di ribelli fedeli a Madara.
 
Fissò la schiena della ragazza, aspettandosi di vedere un lieve tremolio, segno dei singhiozzi e delle lacrime – facili - che, fin da piccola, l’avevano resa una bambina insopportabile, piagnucolona e, sì, noiosa, ai suoi occhi.
 
Non scorse alcun movimento, anzi, rimase piacevolmente sorpreso quando la vide alzarsi e voltare lo sguardo – uno sguardo verde acceso, brillante e lievemente  lucido – a uno stormo di corvi che si erano appena innalzati al cielo con un piccolo sorriso sulle labbra.
 
Rimase in quella posizione per diversi secondi e lui ne approfittò per studiarla: ricordava ancora quando, durante le brevi uscite del team 7, incluso quel suo rimpiazzo, quel bamboccio con un sorriso perennemente falso e dalle pessime osservazioni, Sakura si arrabbiava e lanciava occhiatacce e pugni a Sai – che diavolo di nome è Sai?! – poiché lui ironizzava sulle sue forme.
 
Doveva dire, però, che, nel complesso, le forme della sua – ex – compagna di team non erano niente male; anzi, era ben proporzionata e a lui non sarebbe dispiaciuto …
Cosa, Sasuke? Cosa non ti dispiacerebbe farle?
 
Arrossì lievemente a quel pensiero, mormorando un “Tsk!” e distogliendo lo sguardo d’onice dalla ragazza, controllandone comunque i movimenti.
 
Perciò si sorprese non poco vedere che si dirigeva dalla sua parte, puntando le lapidi degli Uchiha; Sasuke trattenne il fiato, non sapendo che pensare. Che diavolo andava a fare là?
 
Pensò di essere caduto in un’illusione da parte di qualche nemico vedendola fermarsi proprio davanti a quella tomba. Forse Madara non era stato sconfitto? Forse l’aveva imprigionato in una dimensione parallela?
 
Quando la sua voce gli arrivò forte e chiara, però, si accorse che stava ancora trattenendo il fiato, che la sua voce aveva assunto un non so che di dolce e materno e che lui non stava sognando.
 
<< Ciao, Itachi – san >>.
 
Inspirò ed espirò più volte, profondamente, con le narici dilatate nell’assistere a quella scena; sentiva il rombo del sangue e il battito accelerato del cuore nelle orecchie. Dovette aggrapparsi con una mano al tronco dell’albero per paura di cadere e di essere scoperto, perché sentiva la testa girargli per quel cumulo di emozioni che lo stavano sopraffacendo.
 
Sorpresa, perché non avrebbe mai immaginato che Sakura potesse spingersi a tanto – gli aveva sempre detto che provava qualcosa per lui, va bene, ma non aveva mai considerato la possibilità che lei andasse a far visita al fratello, che tutti ritenevano ancora essere un traditore.
 
Commozione, perché quel gesto gli dimostrava quanto profondamente le stesse a cuore, mentre lui aveva sempre pensato che si trattasse di un’infatuazione da ragazzina.
 
Paura, perché non aveva mai provato tutto ciò.
 
Appena sentì pronunciare altre parole, però, assunse la sua solita espressione facciale impassibile e ascoltò.
 
<< Eccomi di nuovo qui, anche quest’anno. Te l’avevo detto che sarei venuta, almeno finché Sasuke non si presenterà di nuovo al villaggio. Perché tornerà, non è vero? >>.
 
Quindi è per questo che lo faceva? Perché pensava che lui non tornasse, ogni anno, di nascosto, da suo fratello?
 
Un gracchiare di corvi gli fece alzare lo sguardo al cielo e, subito dopo, restò interdetto nel sentire una lieve risatina provenire dal basso.
 
<< Sì sì, ho capito. Tornerà, prima o poi. Penso che verrò lo stesso quando ci sarà lui, sai? Eri il suo eroe e, secondo me, lo sei ancora, e io tengo tantissimo a lui, perciò tengo molto anche a te. Mi sarebbe tanto piaciuto conoscerti meglio, oltre quella facciata da traditore e assassino >>.
 
Questo lo aveva letteralmente buttato giù. Si dovette sedere, sul ramo, perché gli tremavano le gambe. Interiormente sbuffò, perché non poteva credere di essere messo al tappeto da delle semplici parole. Lui, Sasuke Uchiha, con le gambe che gli tremano.
 
Questo è il karma, si disse.
 
In quel momento, guardando meglio, si accorse che la rosa stava depositando sulla tomba di suo fratello un mazzolino di fiori di campo, legati da un nastrino bianco, che doveva aver avuto sempre in mano, ma di cui lui non si era accorto.
 
Vederla poggiare un leggero bacio sulla punta delle dita e depositarlo sulla dura pietra della lapide di Itachi fu il colpo di grazia per il ragazzo, che scattò in piedi come una molla preparandosi ad andarsene.
 
Nella fretta, però, commise un errore: non tenendo conto che il ramo sul quale era saltato in precedenza fosse più sottile e cedevole dell’altro, questo scricchiolò sotto il suo peso.
 
Sakura si voltò.
 
 
 

 
Sin dall’inizio, aveva avuto la sensazione di essere osservata, ma non aveva notato nessuno né aveva percepito tracce di chakra, seppur flebili.
 
Aveva dapprima fatto visita ai suoi genitori, poi era passata al suo obiettivo: Itachi. Ogni anno, dalla sua morte, si era sentita in dovere di andare a salutarlo e a depositare qualche fiore in suo onore e in ricordo del legame che ancora la univa, inesorabilmente, a Sasuke.
 
Perciò, immersa nei ricordi, era sobbalzata nel sentire quel rumore che, nel silenzio del cimitero, era rimbombato fino a giungere al suo orecchio. Subito dopo percepì qualcosa, una traccia di chakra, per essere più precisi. Il suo.
 
Si girò di scatto, percorrendo le sagome dei pini per scovare la minima traccia del suo passaggio, ma non trovò nulla di nulla.
 
Dovette darsi un pizzicotto, per essere sicura che non stesse sognando. Che si fosse immaginata tutto? Dopotutto, si sapeva che, spesso, per quanto si desideri qualcosa, la mente faccia brutti scherzi.
 
Ma no, non poteva esserselo immaginato, non poteva. Quella traccia – molto molto flebile e appena percettibile – di chakra era ancora impressa nella sua mente. E lei aveva riconosciuto subito a chi appartenesse.
 
Poi un pensiero la folgorò e un sorrisetto le comparve in viso.
 
Ma certo, non poteva essere altrimenti. Non era riuscita a trovarlo, ad accorgersene per un semplicissimo motivo.
 
Lui era Sasuke Uchiha.


 
   
 
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