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Autore: DarkYuna    23/08/2015    4 recensioni
"Le creature che appartengono a due specie diverse, non sono destinate ad essere felici."
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Benvenuta all'inferno* 










I primi venti giorni a Blackrock trascorsero in un baleno.
Ambientarmi alla magione, con i suoi bizzarri residenti, alle regole ferree e ad un galateo impossibile da seguire, era alquanto duro e sfiancante. Mia nonna mi trattava con un distacco amaro, ammonendomi per ogni gesto sbagliato o parola fuori luogo, perfino se respiravo era un’azione di troppo e compiuta nella maniera errata. Riuscivo a scambiare parole in amicizia solo con Charlotte e Tomas, perfino Jared, il giardiniere, un uomo di mezz’età, era simpatico, saggio e raccontava storie affascinanti sui fiori.
 
 
Unicamente Sebastian restava un’incognita.
 
 
Poco avevo scoperto sul suo conto. I domestici non avevano saputo dirmi poi molto su di lui, da dove veniva, se aveva una famiglia, referenze di lavori precedenti e in che modo nonna Lucy lo aveva conosciuto. Poteva essere benissimo un serial killer, un ladro o chissà chi, ma non aveva mai mostrato atteggiamenti singolari, solo un’incredibile zelo nel suo lavoro, risultando impeccabile e sempre pronto ad adempiere ai suoi ordini.
 
 
Cercavo ancora di addentrarmi nella biblioteca.
Ci avevo riprovato lunedì, ma per mia somma sfortuna, la lezione privata con Sebastian aveva sventato ogni mio tentativo. Mi restava l’internet point, anche se difettavo di un piano soddisfacente da mettere in pratica.
Quindi per adesso mi godevo una tranquilla domenica pomeriggio, seduta nel retro del castello, su una coperta azzurra per ripararmi i vestiti dal prato fresco di rugiada.
Il giorno prima la pioggia aveva dato largo sfogo e adesso la nebbia si era alzata molto e rendeva impossibile la visuale.
Il cielo era perennemente coperto da violacei nuvoloni e in questa parte dell’anno, la fioca luce del giorno spariva attorno alle quattro del pomeriggio, lasciando posto al buio raccapricciante.
 
 
Sfogliavo con calma le pagine ruvide del libro che mi ero portata da Los Angeles, annusando l’odore meraviglioso di carta stampata e di pioggia che condensava l’aria.
Leggevo pigra le poesie raccolte ne “I fiori del male” di Charles Baudelaire, uno dei miei scrittori preferiti e godevo dell’assoluto silenzio attorno a me.
 
 
O tu, che come un coltello sei penetrata nel mio cuore gemente:
o tu, che come un branco di demoni,
venisti, folle e ornatissima, a fare del mio spirito umiliato il tuo letto e il tuo regno -
infame cui sono legato come il forzato alla catena,
come il giocatore testardo al gioco, come
l'ubriaco alla bottiglia, come i vermi alla carogna
- maledetta, sii tu maledetta!
Ho chiesto alla veloce lama di farmi riconquistare la libertà, ho detto al perfido veleno di venire in
soccorso della mia vigliaccheria.
Ahimè, che il veleno e la lama m'hanno disdegnato, e m'hanno detto: «Tu non sei degno di venir
sottratto alla tua maledetta schiavitù, imbecille! Se i nostri sforzi ti liberassero, i tuoi baci
risusciterebbero il cadavere del tuo vampiro.»
 
 
 
 
Sospirai stanca e poggia il libro sul petto, scrutando la volta celeste che si spegneva e si adombrava.
Ripensai a mia madre e a quanto mi mancasse.
Alla sua morte.
La notte in cui la ritrovai e le mie urla che ancora rintonavano nella mia testa.
La polizia… tutte quelle domande… le mie lacrime… il comportamento pesante di nonna Lucy, i dubbi dei domestici che mi avevano turbata ed infine Sebastian, con quei suoi occhi scarlatti che mi fissavano nelle tenebre del mio sogno. Mi ero ritrovata spesso a ripensarci.
Li avevo ben impressi nel tessuto cerebrale e più li rievocavo con l’immaginazione e più mi sentivo bene: erano il mio piccolo pezzo di paradiso, a cui potevo attingere per stare un po’ meglio. Strano come la mia mente lo usasse per aiutarmi a risollevarmi il morale.
 
 
Tra tutti, era la persona con cui avevo conversato di meno, tuttavia era l’unico che, silenziosamente, aveva palesato più considerazioni nei miei confronti, in piccoli gesti che non potevo obliare. Inizialmente con la torta, poi occupandosi di me, senza mai essere invadente, aiutandomi negli studi, facilitandomi la permanenza nel castello, preoccupandosi se non partecipavo a quelle disgustose cene a base di caviale ed escargot. Non era stato insolito che avesse lasciato un vassoio colmo di leccornie varie, bussare e sparire nei corridoi dell’abitazione.
In seguito avevo chiesto se fosse stato Tomas o Charlotte ad essere così gentili, ma loro non ne sapevano nulla. Era arrivato perfino a leggere per me, una sera, insonne a causa dello scrosciate e rumoroso temporale. La sua voce era un velluto nero che mi avvolgeva, riscaldava e teneva al sicuro da ogni turbamento intimo che mi affliggeva.
 
 
Sbuffai annoiata e rotolai a pancia in giù, fissando un punto ben preciso della foresta al di là della sovrastante recinsione in ferro battuto nero.
La nebbia fitta mulinava sull’erba verde e di primo impatto non notai quei due piccoli puntini luminosi vermigli in lontananza, accanto alla quercia millenaria, nascosta da due alberi altrettanto antichi.
Credetti fossero lucciole, ma erano più grandi di esse e non avevo mai visto delle lucciole con questo freddo pungente.
Balzai in piedi, aggrappandomi al ferro bagnato e li studiai accuratamente.
I due puntini si spostarono prima a destra e poi a sinistra. Mantennero la stessa distanza nel muoversi e infine presero ad avvicinarsi verso di me.
 
 
“Occhi rossi nelle tenebre.”.
 
 
Spalancai le palpebre ed ebbi un’intuizione: quelli non erano dei semplici puntini luminosi, ma due occhi grandi che mi scrutavano nella foschia… occhi che conoscevo molto bene.
Un brivido di paura mi scivolò giù per la schiena.
La curiosità era enorme e altrettanta era l’angoscia. Una parte di me mi urlava di scappare al riparo in fretta, l’altra parte mi forzava a restare dov’ero per soddisfare la mia sete di interesse.
Quaranta metri mi separavano dalla soluzione e qualsiasi cosa  fosse quella creatura stava guadagnando velocemente campo.
 
 
<< Selin! >>, mi chiamò d’improvviso mia nonna, terrorizzandomi a morte.
 
 
Mi svegliai di soprassalto, il libro cadde aperto sull’erba fresca di rugiada e mi destai avvolta amabilmente in un plaid bianco, che non avevo prima di scivolare ignara in un dormiveglia confuso.
 
“Sebastian.”, pensai, accarezzando il tessuto lanoso della coperta. “L’ho perfino sognato… di nuovo!”.
 
 
Poggiai una mano sul cuore pulsante e balzai in piedi immantinente.
Era questo il modo di svegliare le persone? Stava per venirmi un infarto!
 
 
“Razza di vecchia malefica e acida!!!”.
 
 
<< Cosa stai facendo da sola a quest’ora, qui fuori? >>, domandò rigida, osservando ogni singolo centimetro del mio viso e poi attorno a sé, come se stesse fiutando il territorio nemico. Non era in pena per me, cercava solo un pretesto per sgridarmi.  
 
 
<< Stavo leggendo. >>, chiarii scocciata dalla sua intromissione, recuperando il libro riverso sul prato bagnato e glielo mostrai.
 
 
La nonna procedé inflessibile verso di me e prese il volume tra le sue mani ossute e curate; le unghie rosso sangue.
<< Non sei troppo giovane per questo genere di letture? >>.
 
 
Anche se avessi letto un vocabolario o la guida turistica del luogo -sempre se ne esisteva una-, lei avrebbe trovato di certo un difetto in quello che stavo facendo. Solo perché ero io.
Che mi odiasse non era un mistero per nessuno, tantomeno che per me.
La domanda era: perché voler essere la mia tutrice, se non mi sopportava?
 
 
<< Le ho studiate anche a scuola questo tipo di letture. Sono abbastanza grande e non mi impressiono facilmente. >>, affermai e il tono uscì petulante e aggressivo.
 
 
“Ecco ora mi rimprovera.”, immaginai e invece si chiuse in un silenzio demoralizzante.
 
 
Una strana espressione le traghettò la faccia contratta.
Quei piccoli laghi di melma mi ispezionavano adirati.
Cercavano una falla o una bugia, qualsiasi cosa per potermi redarguire.
Alla fine mi restituì il libro.
 
 
<< Abbiamo ospiti. >>, annunciò secca. << Sebastian ti ha portato un vestito adatto alla cena. Sforzati di comportarti come una ragazza educata del tuo rango, stai per fare il tuo primo debutto in società. E non usare più un tono simile con me! Fai in fretta: stiamo per metterci a tavola. >>.
 
 
Il desiderio irrefrenabile di ricoprirla di insulti era forte, ma purtroppo, per adesso, dovevo ingoiare il rospo amaro e fare quel che pretendeva.
Nel recuperare la coperta, adocchiai la radura al di fuori del cancello, angosciata dal secondo incubo in cui il maggiordomo ne faceva da protagonista. Non l’avevo mai visto in volto, era vero, però avrei giurato che fosse lui, ed era come se il suo vero aspetto fosse sempre celato, prima dall’oscurità, poi dalla nebbia.
Avvertivo un senso di pericolo e al contempo mi diedi della stupida per essere così sconvolta da stupidi sogni insignificanti.
Lo strusciarsi di un corpo estraneo, morbido e caldo sulle mie caviglie, mi distolse dalle lugubri riflessioni ed un bellissimo gatto bianco, da azzurri e grandi occhi astuti, era in cerca di coccole che non esitai a donargli.
 
 
<< E tu chi sei, eh? >>, domandai zuccherosa con una voce in falsetto, accarezzandogli la testa. Lui parve ben felice di lasciarsi vezzeggiare e come ringraziamento leccò le mie dita. Era un randagio in cerca di affetto, proprio come la sottoscritta e mi sentii affine con l’animale, che poteva capire il mio stato d’animo.   
 
 
<< Non ha nome. >>, disse Sebastian, sbucando al mio fianco e causandomi un secondo infarto.
 
 
“Ma volete farmi tutti morire?”.
 
 
Presi il gatto tra le braccia e lo coprii nel plaid, in cui ero stata fasciata io poc’anzi. Lui si abbarbicò ben felice di quei riguardi e miagolò un paio di volte.
Strano che, sebbene conoscessi a memoria i tratti del viso sottile del maggiordomo, perfetto e spigoloso, ogni volta che lo ammiravo, nuovi particolari, come la forma eccellente della bocca sigillata, il taglio particolare degli occhi a mandorla, il naso piccolo e proporzionato, riuscivano a stregarmi. Aveva riuniti in sé caratteristiche che, se fossero stati frazionati in altre persone, li avrei trovati detestabili, ma in lui, tutti insieme, lo rendevano una creatura magnifica, che non passava di certo inosservata.
 
 
Le lezioni private erano delle ore che affrontavo con gioia, ansia e scompiglio.
Gioia, poiché era un pozzo di scienza, conosceva date, avvenimenti storici e peculiarità che nessun docente insegnava mai, nemmeno li avesse vissuti sulla sua pelle.
L’ansia era dovuta dal mio relazionarmi con lui. A volte faceva domande che, sebbene conoscessi perfettamente la risposta, non riuscivo a dargli, passando per la stupida di turno.
E lo scompiglio era colpa di entrambe, forse più che mia che sua. Si era sempre comportato con rispetto, mai oltrepassato i limiti, eppure la mia mente si appigliava a qualsiasi cosa, pur di essere accontentata nelle sue stupide supposizioni da adolescente fantasticante. Faticavo a seguire le lezioni, ammaliata dal suono delicato della voce, le iridi scarlatte inspiegabili, il corpo flessuoso, elegante ed asciutto. Quella maledetta divisa gli donava da morire!     
 
 
<< È tuo? >>.
 
 
Il maggiordomo alzò il mento, pareva estasiato dal gatto, ciò nonostante prestava ascolto e non si scomponeva.
<< No. >>, negò conciso, come se non fosse affatto contento che il felino avesse prediletto me a lui.
 
 
Sorrisi appena e sotto il suo sguardo vigile e attento, sussurrai al gatto parole amorevoli, mostrando a Sebastian un lato di me, che non aveva avuto modo di scorgere.
<< Allora ti chiamerò Gabriel, piccola palla di pelo. >>.
Per tutta risposta l’animale fece le fusa, ripristinando l’indole tetra: avevo qualcuno a cui badare.
 
 
<< Ottima scelta. >>, valutò Sebastian. << Però è femmina. >>.
 
 
Sentirmi sciocca in sua presenza, stava diventando una fastidiosa abitudine.
<< Ah, beh. >>. Storsi la bocca all’ingiù. << Che ne pensi di Lilith? >>. Non seppi il perché scelsi proprio quel nome, spinta da una misteriosa imposizione che, tra le infinite alternative, mi aveva fermata sul nome di un famoso demone.
 
 
Sebastian non parve turbato, il problema era solo mio.
<< Particolare, ma adatto ad un gatto. >>.  Si avvicinò sinuoso a me per prenderlo dalle mie braccia. << Vuole che lo porti in camera sua? >>. La gentilezza era dettata dal pretesto di voler avere il gatto per sé, giusto pochi minuti, prima di condurlo nella mia stanza.
 
 
Mentre afferrava il gatto, quello gli soffiò contro, divenendo aggressivo senza alcun motivo apparente. Tirò fuori le zampette dal plaid ed infilzò le unghia affilate sui miei polsi, lacerando la pelle pallida e procurando ferite sanguinose. Non voleva essere toccato dal maggiordomo.  
Lilith balzò languida ed aggraziata sull’erba umida, mantenendo un atteggiamento scontroso, aggressivo e violento contro un Sebastian stupito da ciò. Non gli era mai accaduto da avere un simile riscontro da felino? I gatti non erano rinomati per avere una docile personalità.
I graffi bruciavano insopportabilmente e il liquido cremisi rese lo spettacolo peggiore di quel che fosse in realtà. Speravo solo che il felino non avesse malattie infettive: odiavo gli ospedali.
 
 
<< Credo che tu non gli sia molto simpatico. >>, assodai irritata, cercando dei fazzoletti in tasca per tamponare le lacerazioni. Nonna Lucy si sarebbe imbestialita, ne ero consapevole. Portare degli animali in casa, non si accordava all’etichetta di bon ton e bla bla bla.   
 
 
Lui prese i miei polsi, cogliendomi allo sprovvista e di forza li accostò alla bocca. Avvenne con una tale velocità, che ne fui disorientata e non seppi oppormi.
E mentre dischiudeva le labbra ceree, sotto il mio sguardo stregato, bloccata in un corpo che insorgeva anomalo al frangente intimo, Lilith gli si lanciò sulle caviglie, sibilando furiosa. Sembrava impazzita, come se non volesse che il maggiordomo mi sfiorasse.  
Mi diede il tempo necessario per risvegliarmi dall’oscuro incantesimo e tirare via i polsi, impedendogli di fare qualsiasi cosa gli guizzasse nel cervello.
 
 
“Che diavolo volevi fare?”.
 
 
<< Volevo constatare quanto gravi fossero le sue ferite, Lady Selin. >>, si discolpò, come se si stesse scusando per aver osato tanto. Prese un fazzoletto di tessuto dalla tasca interna della giacca e me lo porse. << Mi duole averla infastidita, non accadrà mai più. >>.  
 
 
<< S-sto bene. >>, assicurai ingarbugliata. Tamponai i graffi e dopo aver asciugato il sangue, restarono dei solchi profondi che difficilmente avrei potuto nascondere.
 
 
Prese l’antico orologio d’argento dal taschino.
<< Sarà meglio che inizi a prepararsi: la cena è imminente. >>. Fece una mezza giravolta su se stesso, attese che recuperassi la gatta e poi mi scortò muto fin alla mia camera.
Aprii la porta, lasciando che la gatta potesse entrare nella mia stanza, così nonna Lucy non l’avrebbe vista. Avvertivo gli occhi indagatori del maggiordomo, perforarmi il corpo.
 
 
<< Ha bisogno di aiuto per vestirsi? >>, domandò serio, senza ombra di secondi fini o malizia, e fui l’unica a provare imbarazzo. Nonna Lucy si lasciava vestire o spogliare da lui?
 
 
Scossi la testa, divenendo rossa in viso e faticando a ricambiare lo sguardo fisso su di me.
 
 
Sorrideva sibillino, più che cosciente dell’effetto che aveva sulla sottoscritta.
<< Tornerò a prenderla tra poco. >>, assicurò, dacché il mio orientamento faceva acqua da tutte le parti e ancora non riuscivo a spostarmi da sola nei numerosi corridoi del castello. Fece per andarsene e fu in quel momento che un piano ingegnoso prese forma nel cervello.  
 
 
<< Sebastian. >>, lo chiamai, fissando un punto dritto davanti a me, senza vederlo realmente.
 
 
<< Sì, lady Selin? >>, rispose servile, pronunciando il mio nome come se fosse un peccato inespresso che gli sfiorava la lingua, desiderando di gustarlo appieno.
Lilith vigilava prudente la vicenda, pronta ad agire se il maggiordomo si fosse arrischiato di avvicinarsi.  
 
 
<< Ti dispiacerebbe accompagnarmi in paese domani? Mia nonna si lamenta per il mio abbigliamento poco consono e vorrei comprare qualcosa di nuovo. >>, dissi fredda, per celare a quei rubini attenti che mi osservavano le effettive finalità.
 
 
Poggiò una mano sul cuore, ed inclinò la testa da un lato.
<< Ne sarei onorato. >>, confermò deferente, per poi lasciarmi da sola.
 
 
Lo scrutai affinché non sparì dietro l’angolo e scioccamente bramai che si voltasse a ricambiare l’occhiata trasognante, poiché questo sarebbe stato a significare che non gli ero indifferente. Ad un certo punto rallentò l’andatura fluida e fui sul punto di farmi esplodere il cuore nel petto, ma lui svoltò e se ne andò, comportandosi come se non esistessi.
 
 
“Non fare la stupida, Selin. Sei solo una ragazzina e nulla di più. Sei troppo ingenua per permetterti di inseguire simili utopie!”.
 
 
Il vestito che aveva preparato Sebastian era adagiato sull’immenso letto morbido dalle lenzuola nuove e pulite.
L’abito raffinato era a bretelle di chiffon nero, con delle rose in rilievo sul bordo della scollatura e arrivava fin sulle caviglie. Accanto ad esso vi erano deposti un paio di tacchi lucidi dello stesso colore.
Mi preparai in fretta per non essere ripresa per l’ennesima volta, ero stufa di passare per la persona più imperfetta di questo mondo. Legai i capelli in un’impeccabile chignon e mi protesi verso la gatta, per avere un rapporto decente, prima di indossare una maschera che mi sarebbe calzata stretta.
 
 
<< Benvenuta all’inferno, Lilith. >>, sospirai afflitta, mentre lei giocherellava con le mie dita, per nulla intenzionata a farmi di nuovo del male. Era un’animale docile ed affettuoso, allora perché reagiva aggressivamente alla presenza del maggiordomo? << Ti prometto che ti porterò qualcosa da mangiare dal banchetto con Satana. >>, le assicurai, impreparata ad affrontare l’alta aristocrazia di Blackrock. 









Note: 
Eccomi qui con il terzo capitolo. Sto aggiornando relativamente spesso rispetto ai miei standard lenti, spero che siate contenti. 

Dato che Sebastian ama i gatti e i gatti amano lui, ho voluto metterci un gatto che invece lo odia, giusto per mettere un particolare originale. Si sa che i gatti hanno connotazioni magiche e quindi la piccola Lilith sa della natura del demone e non le va per nulla a genio. 

Ringrazio le persone che hanno commentato e che hanno letto solamente. Spero di sapere presto cosa pensate di questo capitolo e della storia in generale. 


La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna.  
 
  
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