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Autore: dess    24/08/2015    0 recensioni
Pam ha imboccato una strada inaspettata; i due anni successivi alla morte di sua madre l'hanno cambiata poco a poco, più di quanto lei stessa, e gli altri attorno a lei, immaginassero. Quando se ne rende conto si ritrova smarrita, incerta, tiene in mano il pennello della propria vita e non sa ancora come usarlo. Presa in contropiede dall'allontanarsi delle vecchie certezze, nonché dei vecchi amici, finisce per trovare altre persone, persone che prima, forse, non avrebbe mai avuto l'occasione di conoscere.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE: per chi ha letto la storia prima che caricassi questo capitolo, ho cambiato il nome di Dylan in Pam (Pamela). "Dylan" non riusciva a convincermi fino in fondo, mi ha sempre dato questa sensazione di imperfezione che non so spiegare bene. Sarà che mi angustiava non poterne ricavare un diminutivo... ^_^ Non per elemosinare recensioni, ma fatemi sapere cosa ne pensate.
 
4

COCA-COLA


«Grazie e arrivederci.» Pam porse la scatola con la torta all'ultima cliente della giornata, rivolgendole il sorriso di servizio. Non le veniva ancora automatico sorridere ai clienti, ma ci stava lavorando. Chissà perché tutti si aspettavano che i commessi di una pasticceria fossero sempre allegri. Forse Marion Clarkson, donna dal sorriso facile, li aveva abituati male.

«Clive? Posso chiudere? Era l'ultima!» Dalla cucina sul retro giunse una risposta affermativa. Pam girò il cartellino fuori dalla porta a vetri su CHIUSO e raggiunse il pasticcere. Clive Clarkson era sulla sessantina e aveva i capelli grigi così ricci che sembrava avesse in testa una pecora. Profumava sempre di uova sbattute e aroma alla vaniglia.

«Vieni, vieni, assaggia questo» la chiamò, senza alzare gli occhi da quello che stava mescolando. Immerse un cucchiaio nella pentola e glielo porse pieno di crema verdina.

«Mmmh... Sa di menta» commentò lei cercando di non scottarsi la lingua. Clive ridacchiò.

«Ne sono felice, dato che è crema alla menta! Quello che voglio sapere è... secondo te» e qui la scrutò come per carpirle un segreto «sa più di menta o di crema

«Ehm, non... non deve sapere di tutte e due?»

«Oh, certo, ma c'è una sottile differenza! La menta è fresca, è dissetante, è una bevanda, mentre una crema sa di latte, di dolce, di delizia proibita... Capisci? Ora sai darmi la tua opinione?»

«Secondo me è perfetta, Clive...» Pam si strinse nelle spalle, tentando di non far sembrare che lo stesse prendendo per pazzo. «Perfetto equilibrio tra latte e freschezza» aggiunse, tanto per apparire convincente. Il suo datore di lavoro la osservò con attenzione per qualche altro istante, prima di arrendersi.

«E va bene, mi rendo conto che per sviluppare un palato raffinato ci vuole ben più di una settimana di lavoro qui» sospirò. «Ti ringrazio, e puoi andare, per stasera. Oh, aspetta, portati a casa questi.» Clive prese una siringa da dolci, vi inserì insieme della crema al cioccolato e la crema alla menta che stava preparando, tolse da una teglia alcune palline di pasta lievitata appena sfornate e le riempì in quattro e quattr'otto. «E non credere che sia un regalo! Dovrai farmi da cavia e dirmi che ne pensi, o li scalerò dal tuo stipendio» la avvertì agitando in aria la siringa.

«Lo farei anche senza la minaccia! Ci vediamo lunedì.»

Pam si incamminò verso casa, senza fretta; suo padre aveva un meeting – era così che chiamavano le cene tra colleghi al ristorante – e probabilmente era già uscito. Impiegò i quindici minuti che le ci volevano per raggiungere casa sua per decidere se mangiare fuori o cucinare qualcosa e, giunta al vialetto, stabilì che poteva fare uno sforzo e prepararsi per uscire.

Dopo la doccia, a metà strada tra una maglietta e un paio di jeans, intercettò la propria immagine allo specchio e si chiese se non fosse il caso di fare di meglio. Di recente aveva avuto modo di passare tanto tempo fuori casa da sola, cosa che prima avveniva di rado; prima usciva per vedere delle amiche, o per andare in gruppo da qualche parte. Da quando non era più così, aveva scoperto una nuova realtà: se si è circondati da facce note, non ci si guarda intorno.

Sembra scontato, ma è così; in mezzo ai propri amici ci si sente al sicuro, non c'è lo spazio né la necessità per conoscere altra gente. Soltanto quando si è soli ci si avvicina agli sconosciuti.

E Pam stava maturando un'idea, grazie a questa nuova consapevolezza. Lasciò da parte jeans e T-shirt e si mise in cerca dei pantaloni grigi che considerava sempre una buona via di mezzo tra sportivo e formale. Valutò varie maglie per trovarne una che soddisfacesse tutte le caratteristiche: abbastanza comoda, abbastanza sexy, abbastanza appariscente ma non troppo esagerata. Ne trovò una azzurra che faceva al caso suo, ben intonata agli occhi blu, retaggio della famiglia di Albert. Sciolse i capelli castani e fu pronta.

In lei si dibatteva da sempre il desiderio di essere e non essere notata: una parte del suo ego voleva attirare sguardi, fare colpo, distinguersi tra la folla, essere speciale; il resto di sé aveva paura di ricevere quell'attenzione, paura di non esserne all'altezza. In genere finiva per sentirsi a disagio o insoddisfatta, in base a verso quale estremo si sbilanciava.

Avrebbe mangiato un trancio di pizza e poi sarebbe andata in un locale, decise. Ma quale? Cravenville pullulava di bar, ma pochi valevano la pena di una visita. Poteva sempre andare allo Sparks, però; magari Cheryl era di turno.

Non le andava di prendere un taxi, perciò si incamminò verso la pizzeria al trancio a metà strada tra casa e il pub. Lei e suo padre non abitavano lontani dal centro, ma la loro casa faceva parte di un gruppo di villette chiamato Northgreen, alle spalle del parco, che le separava dal resto della cittadina. Lo Sparks invece si trovava vicino al fiume, al margine di un quartiere di vecchi edifici non ristrutturati, ex magazzini e botteghe artigianali.

Mangiò il suo trancio spesso e oleoso mentre camminava; non le piaceva starsene seduta lì, da sola, mentre la gente entrava e usciva dalla pizzeria. Già immaginava cosa avrebbe detto suo padre sapendo che stava gironzolando per la città sola soletta, a piedi, quando ormai si era fatto buio. Naturalmente non l'avrebbe mai saputo, non da lei, o le avrebbe imposto il coprifuoco come quando aveva quindici anni.

Cheryl parve stupita di vederla accostarsi al bancone.

«Due volte a distanza di una settimana scarsa? Devi proprio annoiarti!» ebbe il tempo di dirle tra un bicchiere e l'altro. Il pub era pieno di gente: ragazzini in cerca di libertà precoce, ragazzi dei dintorni che li guardavano con aria di scherno, qualche cliente abituale seduto al bancone per evitare il caos della sala.

«Ma no, mi mancavi» la imbonì Pam, sebbene non sapesse se la ragazza aveva sentito oppure no. Era evidente che fosse molto impegnata. Pam non si era aspettata una tale ressa; non sapeva che fare: i tavoli erano tutti occupati, il bancone era raggiungibile solo a tratti e la musica e il vociare rendevano impossibile parlare senza urlare. Cercò di riconoscere qualche faccia e scorse qua e là dei volti noti: Stacey Wilburne, Natasha Rostoy e altre ragazze che avevano frequentato la sua stessa scuola, solo qualche anno più avanti; lo stesso gruppo di ragazzi della zona che aveva visto l'ultima volta, alcuni dei quali parlavano con ragazze evidentemente più giovani, tutte intente a mettersi in mostra. Nessuno a cui potesse aggregarsi o con cui le andasse di parlare.

Che idea stupida, venire qui da sola, pensò. Non era nemmeno il tipo da bar, anche in compagnia, e non se la cavava granché nel socializzare. Avrebbe preso una bibita, decise, e poi avrebbe fatto dietrofront, magari per andarsene al cinema.

«Una Coca, per favore» disse a una barista che non era Cheryl, dopo aver lottato per ottenere la sua attenzione. Cheryl era dall'altra parte del bancone, indaffarata a riempire un vassoio di drink per poi distribuirli ai tavoli.

Pam dovette aspettare parecchio per avere la sua Coca-Cola, e quando finalmente gliela misero davanti non ebbe il tempo di toccarla; tutto ciò che vide fu un braccio che si insinuava tra lei e l'uomo alla sua sinistra, e poi si ritrovò bagnata e appiccicosa come il bancone su cui giaceva il suo bicchiere.

«Ehi!» inveirono i suoi vicini ritraendosi, chi troppo tardi, sebbene gran parte del liquido fosse finito su di lei. Il colpevole però non la degnò di uno sguardo, tutto occupato a cercare di farsi servire una birra.

«Ehi!» disse anche Pam, dandogli un colpetto sulla spalla. «Sei cieco? Potresti almeno scusarti!» Il ragazzo si voltò distrattamente, lanciandole appena un'occhiata. Solo quando una barista ebbe preso la sua ordinazione si rese conto di avere una manica inzuppata.

«Ma che... Ah, merda!» imprecò. «Ma che fai?» ebbe il coraggio di dire a Pam, decidendosi finalmente a guardarla in faccia.

«Guarda che sei stato tu a rovesciarla!» sbottò lei.

«Cazzo...» borbottò ancora quel tipo, senza dare mostra di volersi scusare. Invece si allontanò tra la gente e Pam, che ancora lo fissava incredula, capì che si dirigeva verso il bagno.

Poteva essere una buona idea seguirlo, in effetti. Nella luce tenue del locale non capiva quanto fosse grave il danno ai suoi abiti, e inoltre avrebbe almeno potuto lavarsi le mani.

L'intenso chiarore della toilette, abbagliante dopo quella penombra, rivelò che la macchia copriva chiazze dei pantaloni e quasi tutto il davanti della maglia, per non parlare del suo povero giubbotto, che aveva avuto in grembo e che ora era fradicio.

«Maledizione» sibilò tra i denti, puntando l'attenzione sul ragazzo che avrebbe voluto prendere a calci; era chino sul lavandino con la manica infilata sotto il getto d'acqua ‒ come se fosse stato lui quello zuppo da capo a piedi. Forse il fatto che tentasse di ripulirsi significava che non era ubriaco, come Pam avrebbe dato per scontato. E allora era soltanto un idiota.

«Potevi anche scusarti» gli ripeté in tono aspro. Dover aspettare che l'altro liberasse l'unico lavandino non faceva che aumentare il suo fastidio. Il ragazzo le scoccò un'occhiata rapida.

«Non l'ho mica fatto apposta» replicò strizzandosi la manica. Quando ebbe finito si mise d'un tratto ad osservarla con attenzione. «Beh, ma la tua maglietta ti dona decisamente di più, così. Dovresti ringraziarmi.» Pam non colse subito il sottinteso, ma quando si guardò arrossì; la sottile stoffa azzurra aderiva alla pelle, mettendo in risalto ogni singola cucitura del reggiseno.

«Grazie per aver reso i miei vestiti uno schifo!» lo rimbeccò con forza mentre lo oltrepassava per raggiungere il lavabo. Normalmente non sarebbe stata così scontrosa, ma quell'individuo peggiorava ai suoi occhi ogni secondo che passava.

«Non vuoi toglierli e asciugarti meglio?»

«No.» Mentre si sciacquava, notò che il ragazzo non se ne andava. Aveva un che di familiare, ma non ricordava di averci mai parlato. Starsene sotto il suo sguardo come nulla fosse la agitava, così non poté evitare di chiedere: «Cosa c'è?»

«Sto ancora aspettando che ti spogli.» Pam a quel punto lo fissò.

«Ti comporti da idiota non solo prima ma anche dopo avermi rovesciato addosso da bere? Ma che problema hai?» Si asciugò le mani con della carta e imboccò l'uscita, reimmergendosi nella folla di clienti e attraversandola a guado fino all'ingresso del pub.

Fuori c'era gente che fumava, beveva e rideva, approfittando del minor livello di rumore rispetto all'interno. Qualcuno gettò un'occhiata di striscio ai suoi vestiti bagnati, senza particolare interesse. Ora che era fuori non sapeva che fare; tornare a casa? Erano solo le nove. Del resto era imbrattata di Coca-Cola che le si sarebbe asciugata addosso, se non fosse andata in fretta a cambiarsi. L'aria di fine ottobre iniziava a farle sentire freddo.

Fine della serata, pensò. Proprio mentre si incamminava lungo la via, una voce la richiamò.

«Ehi, ragazza della coca, che ne dici di un passaggio?» Fortuna che non si era ancora allontanata molto, perché se quel cretino avesse parlato ancora più forte tutti i presenti li avrebbero fissati, e l'ultima cosa che voleva era passare per una spacciatrice o chissà che altro.

«No, grazie.» Il ragazzo le si avvicinò.

«E dai, sei tutta bagnata...» Pam dovette scoccargli un'occhiata omicida, perché finalmente parve smettere di fare lo scemo. «Mi dispiace per i tuoi vestiti, okay? Ora che ne dici di quel passaggio?» Più delle sue discutibili scuse fu ciò che indicò a convincere Pam: il ragazzo puntò un dito verso una splendida moto blu e nera, evidentemente certo che avrebbe fatto colpo su qualunque donna. Era la stessa moto che Pam aveva ammirato la settimana prima, e pertanto quel ragazzo doveva essere Troy Foster. Ora si spiegava la sua aria familiare. La sua frase successiva infatti lo confermò. «Comunque mi chiamo Troy.» E si avviò verso la moto, supponendo che Pam l'avrebbe seguito.

Suo malgrado, lo seguì. L'idea di fare un giro su una moto era troppo invitante per mantenere il giusto tono infastidito, nonostante l'aria soddisfatta di Troy.

«Vuoi venire a casa mia?» O quasi.

«No, voglio andare a casa mia» scattò incrociando le braccia.

«E va bene, va bene.» Troy tolse la catena di sicurezza, prelevò un casco integrale grigio da una borsa davanti alla sella e se lo calò in testa.

«Ne hai un altro?» si azzardò a chiedere Pam.

«Perché dovrei girare con un altro casco?»

«Per esempio, perché offri passaggi agli sconosciuti...» borbottò lei, pensando che era già la seconda volta. Il ragazzo sbuffò in un tono non proprio gradevole e si infilò un giubbotto di pelle. L'avrebbe fatto anche Pam, se il proprio non fosse stato fradicio. Almeno di quello, Troy finalmente si accorse.

«Mmh, tieni. Non vorrai ammalarti...» Trasse dalla borsa anche una leggera giacca a vento. «Ti riparerà dall'aria.» Mentre Pam la indossava, lievemente sorpresa per l'imprevista gentilezza, lui montò in sella alla grossa BMW e la fece scivolare giù dal cavalletto. Il motore si avviò con un rombo cupo. «Bene, piccola, salta su.» Sperando vivamente di non rimpiangere quanto stava per fare, Pam salì dietro di lui, impacciata, e gli strinse le braccia attorno alla vita. «Dove abiti?» Glielo disse. «Ah, sei ricca, eh?» fu il suo commento. Senza attendere risposta, diede gas e partì improvvisamente, facendole quasi perdere la presa.

La moto filava via come un felino scattante e l'aria fischiava nelle orecchie, gettando indietro i capelli di Pam, che battendo i denti tentava invano di usare il corpo di Troy come scudo. Il viaggio fu breve eppure inebriante, nonostante il freddo. Superato il parco, Pam indicò a Troy la strada e si arrestarono infine davanti a casa sua.

«Puoi mollarmi, adesso» suggerì Troy dopo aver spento il motore. «Divertente, vero?»

«Sì» ammise la ragazza, districandosi da lui e scendendo con attenzione. Era intirizzita e tremante, ma provò ugualmente a darsi un contegno. «Bene, ti ringrazio per il passaggio. E comunque io mi chiamo Pam.»

«Quando vuoi, Pam.» Il ragazzo sogghignò, tuttavia non aggiunse battute o proposte indecenti. Invece girò la chiave nell'accensione, preparandosi a ripartire.

«Non rivuoi la tua giacca?»

«Già, quasi me ne dimenticavo.» Pam si sfilò la giacca a vento, rabbrividendo ulteriormente, e si rese conto che la sottile stoffa dell'interno aveva assorbito la Coca-Cola.

«Ehi, senti» disse d'impulso, «vuoi entrare un secondo e asciugarti i vestiti? Questa è fradicia...» Che idea stupida, si disse subito dopo. Il sorrisetto di Troy si riaccese, questa volta spavaldo.

«Se è un invito...» Spense di nuovo il motore e smontò, parcheggiando la moto lungo la via. Sfilatosi il casco, non si prese il disturbo di riporlo nella sua borsa, infilandolo invece sottobraccio. Imbarazzata, Pam aprì il cancello e fece strada, chiedendosi se avesse lasciato la casa in condizioni decenti.

«Niente male» commentò con un fischio il ragazzo mentre lei accendeva le luci. Lo guidò verso il bagno al pianterreno, che fungeva da lavanderia, pensando di usare l'asciugatrice. Non sapeva bene cosa fare; del resto gli aveva detto che avrebbe potuto asciugarsi i vestiti, perciò non poteva rimangiarselo.

«Metti qui dentro i vestiti bagnati, se vuoi» disse aprendo lo sportello. Per fortuna la capienza della macchina era poca, perché utilizzarla per una sola maglietta e una giacca non era ciò che si direbbe un risparmio energetico.

Troy si tolse il giubbotto e, senza la minima esitazione, si sfilò la maglia a maniche lunghe. Mentre depositava l'uno sulla lavatrice e l'altra dentro l'asciugatrice, Pam non poté evitare di osservarlo: era snello, quasi magro, nonostante avesse muscoli visibili su braccia e petto. Ora che lo vedeva bene, notò che aveva i capelli castano rossiccio e la pelle pallida, il petto cosparso di peli sottili. Era carino. D'accordo, le allusioni sconce la mettevano a disagio, ma aveva un bel ragazzo mezzo nudo in casa e non le capitava poi così spesso. Quando Troy la guardò, tuttavia, si sentì arrossire.

«Beh, io vado di sopra a cambiarmi. Se vuoi, ehm, se vuoi bere qualcosa la cucina è da quella parte.» Pam si allungò ad azionare l'asciugatrice sul programma più breve, avendo cura di non toccarlo, e si dileguò al piano di sopra. Una volta in camera si tolse finalmente di dosso gli abiti bagnati, trovandosi di fronte un nuovo dilemma: cosa mettere, adesso? Optò per dei fuseaux grigi e una T-shirt a righe rosse e nere, abbastanza lunga da coprirle i fianchi e sì, abbastanza scollata da fare una buona impressione.

Tornò al piano di sotto coi vestiti da lavare in braccio. Trovò Troy appoggiato allo stipite della porta, che dal bagno dava sul soggiorno, intento a guardarsi intorno a braccia conserte. Aveva i capelli folti e lisci, un po' troppo lunghi per stare ordinati, e contemplava il salotto con curiosità. Pam lo oltrepassò e infilò i vestiti nella lavatrice.

«Ecco qua. Allora, uhm... dovrai aspettare un po' per riavere le tue cose. Vuoi bere qualcosa?»

«D'accordo. Carina, la casa» commentò mentre si recavano in cucina.

«Grazie.» Pam aprì il frigorifero, impacciata. «Allora, c'è del succo, vino... forse ho della birra.» Troy fece una smorfia divertita.

«Il vino non fa per me. Ripensandoci, sono a posto così.» Pam annuì e, per non stare con le mani in mano, pensò di versarsi un bicchiere d'acqua. Non era un granché nelle conversazioni di circostanza, perciò si augurò che il ragazzo se la cavasse meglio. Ancora non immaginava quanto, però.

«Non ti preoccupare, possiamo anche ingannare il tempo in un altro modo» disse infatti, avvicinandosi. Nel giro di due secondi Pam si trovò ad appiattirsi contro il frigorifero, indietreggiata per istinto, le mani del ragazzo sui suoi fianchi e le sue labbra contro le proprie. Le ci volle un altro paio di secondi per recuperare una parvenza di prontezza di riflessi.

«Ma che... fai?» Lo spinse via, dovendo addirittura usare forza per scostarlo.

«Mi pare ovvio, no?» Lo sfrontato osò rivolgerle un sorrisetto, minacciando di avvicinarsi nuovamente.

«Cosa?!»

«Volevi che mi spogliassi e l'ho fatto, no?»

«Io non volevo fare niente, a parte essere gentile. Hai capito male...»

«Beh, allora possiamo sempre approfittare della situazione.»

«Ma...» Troy si ritrasse di un millimetro, giusto per sembrare mansueto.

«Scusa, forse sono partito in quarta» mormorò. «Vuoi una cosetta più tranquilla? Sarò il massimo della tranquillità...» Ciò detto, riprovò a baciarla e questa volta Pam tardò un po' troppo a tirarsi indietro. Il suo piano non prevedeva certo di arrivare a questo, ma Troy era davvero attraente, e tentatore. E l'ultima volta che aveva baciato un ragazzo era stata... beh, non era il caso di fare i conti. Sì, in fondo poteva lasciarsi un po' andare.

Nonostante questo, non era intenzionata a spingersi troppo oltre; dovette fermare le mani di quel particolare ragazzo più di una volta, prima che dall'esterno si spostassero sotto la stoffa dei suoi vestiti. Al terzo tentativo Troy si fece più deciso – alla faccia della tranquillità – e Pam capì di dover dire qualcosa.

«Aspetta...» mormorò, ma lui lo prese come un'occasione per spostare le labbra sul suo collo. «Ehi, aspetta...» riprovò lei. Troy sollevò finalmente la testa, un'espressione di vago fastidio che andava dipingendoglisi sul volto. Una suoneria, però, si levò dalle tasche dei suoi jeans. Troy fece un passo indietro ed estrasse il cellulare.

«Che c'è? Sono...» Si sentì una voce concitata all'altro capo della linea. «Cazzo. Quanto alta? Beh, non vorrai andarci in moto... Ah, bene. Okay, okay, ti raggiungo lì.» Troy chiuse la telefonata e si tirò indietro i capelli con una mano. «Mi dispiace, devo andare. Sarà per un'altra volta.»

«Ma... e i tuoi vestiti?» balbettò Pam. Il ragazzo fece spallucce.

«Lasciali allo Sparks.» Recuperò il casco dal pavimento del bagno e si infilò il giubbotto sul torso nudo, incamminandosi verso l'ingresso. Dopo un istante di disorientamento, Pam lo seguì all'esterno.

«Va bene, allora buonanotte» gli disse controvoglia. Le spiaceva che se ne andasse di già. Era il primo volto nuovo che conosceva da quando aveva finito la scuola e, messa da parte la scocciatura della Coca-Cola, il radar ormonale nel suo cervello si era ormai attivato e le stava dicendo: “Ragazzo interessante a ore dodici. Fregatene e trattienilo!”.

«Ci si vede in giro» fece lui. All'apparenza non le stava più prestando attenzione; allacciò il casco, si mise a cavalcioni della moto e la avviò. Il tempo di rivolgerle un cenno, un'inversione a U e si stava già allontanando lungo la strada, il motore che turbava la quiete della via. Pam rimase a fissarlo, più sconcertata che mai.

  
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