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Autore: koralblu    24/08/2015    2 recensioni
Amanda Vivaldi è nata e cresciuta in una famiglia che ha sempre preteso il massimo da lei, e dai suoi quattro fratelli. Grazie al suo unico talento, la scrittura, Amanda ha potuto scegliere il suo futuro senza doversi arrendere al volere dei suoi genitori. A diciannove anni, dopo cinque anni d'inferno in una scuola in cui è sempre stata vittima di insulti e invidie, Amanda inizierà una nuova vita e coronerà il suo più grande sogno trasferendosi a Firenze, per frequentare la scuola di scrittura più rinomata della città. Tutto sembra essere perfetto e, finalmente, andare per il verso giusto; ma Amanda non aveva messo in conto un piccolissimo ma fondamentale dettaglio: il volere capriccioso del destino beffardo.
[...]
Mi ritrovai, senza nemmeno accorgermene, davanti alla ''fatidica'' porta, dove avrei visto per la prima volta la mia nuova coinquilina. Speravo fortemente, che fosse una persona socievole e gioviale con cui stringere una duratura amicizia. Con queste speranze e con uno smagliante sorriso, suonai il campanello. Non attesi molto prima che la porta si spalancasse, e rivelasse quella che doveva essere, in teoria,''la mia coinquilina''. Mi ero sbagliata. Non era semplice iella la mia, ma puro e incondizionato odio nei miei confronti
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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-Mamma, per la centesima volta; sto bene!- Erano passati appena venti minuti da quando avevo salutato i miei genitori, ma già avevano iniziavano a chiamarmi ogni cinque minuti per assicurarsi che stessi bene. Anzi, non i miei genitori, ma solo mia madre. 
Un'altra chiamata e giuro che avrei bruciato il telefono. 
-Si mamma davvero. Ora devo sistemare la roba; ti richiamo dopo- e chiusi la telefonata, spegnendo finalmente quell'aggeggio tecnologico che odiavo con tutta me stessa.
-Genitori apprensivi, eh?- se ne uscì il babbuino, fissandomi dall alto in basso mentre se ne stava appoggiato allo stipite della porta della mia camera.
Non gli risposi, continuando a svuotare gli scatoloni stracolmi di libri. Avevo deciso di adottare la strategia ''ci sei, ma non ti parlo'',speravo che, almeno in questo modo, avrebbe smesso di punzecchiarmi. Tutto inutile. Non recepiva il messaggio. Beh, d'altro canto cosa ci si può aspettare da un babbuino con mezzo neurone?
-Cos'è, vuoi giocare al gioco del silenzio? Guarda che conosco giochi molto più interessanti- e detto questo, ammiccò spudoratamente nella mia direzione. 
Voltai di scatto la faccia, rossa come un peperone, e puntai lo sguardo sullo scaffale vuoto dove avrei dovuto riporre i libri. 
Calmina Amanda; tieni a bada gli ormoni.
 Lo ignorai, non degnandolo nemmeno più di uno sguardo, e iniziai a mettere a posto la stanza. 
Stranamente, invece di continuare a tormentarmi con le sue frecciatine il ragazzo si dileguò, fischiettando un motivetto irritante.
Ora che ci pensavo, non conoscevo nemmeno il suo nome. Se proprio dovevamo vivere insieme, non mi sembrava garbato chiamarlo ''Tu'' o ''babbuino''; anche se devo dire che l'ultimo soprannome gli si addiceva proprio. 
Usci così dalla porta della stanza, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Sentivo dei rumori di pentole in cucina, così intuii che il babbuino stesse cucinando. 
Beh, c'era almeno un aspetto positivo in lui. Stava preparando la cena per tutti e due. Non me lo sarei mai aspettata da un tipo così. 
Entrai silenziosamente in cucina, cercando di farmi piccola piccola per non disturbarlo, ma quando entrai, ciò che vidi mi lasciò perplessa. 
-Perchè ci sono le mille pentole sul bancone?- chiesi al babbuino che ancora tirava fuori dagli scaffali mille pentole.
-Uhm? Ah dici queste? Beh, non avendo idea di quale pentola tu usi per cucinare,per sicurezza le ho tirate fuori tutte- se ne uscì lui, tranquillo come non mai. Speravo vivamente di aver capito male.
-Puoi spiegarti meglio?- gli chiesi, il sopracciglio già alzato per l'irritazione, e la mano serrata a pugno
-Se devi cucinare, voglio che tu lo faccia com'eri abituata a casa. E dato che non sapevo qual...- lo interruppi subito, non appena capii che no, purtroppo non mi ero sbagliata.
-E TU PRETENDI CHE IO CUCINI LA PRIMA SERA IN CUI HO MESSO PIEDE QUI, MENTRE HO PASSATO TUTTA LA GIORNATA A TRASLOCARE?!- Ero furibonda. Avevo davvero pensato che questo ragazzo avesse dei lati positivi, ma ora capii che non c'era nulla di buono in lui. Nulla. Nessuna qualità e nessun senso del tatto. Era solo uno stupido babbuino.
-..Ehm, si?- No, basta. Era davvero troppo. 
Presi la prima padella che trovai, e gliela puntai contro.
-Ascoltami bene stupido babbuino che non sei altro- iniziai il mio discorso in modo maturo e diplomatico - se pensi che d'ora in poi io sarò la tua servetta, ti sbagli di grosso. Saremo costretti a vivere insieme, perciò cerca di moderarti con me, oppure ti taglierò in tanti piccoli pezzettini e li sarò da mangiare ai cani. Ci siamo capiti?- sibilai velocemente, senza nemmeno rendermi conto di quello che dicevo. Ero davvero troppo arrabbiata per farci caso.
Vidi il babbuino sghignazzare, per poi prendermi il mento con due dita -Adoro le gattine focose- disse ammiccando, con un sorriso da divo di Hollywood. 
Peccato che con me non attaccava; anzi. Servì a farmi perdere definitivamente il controllo. Con tutta la forza che avevo, impugnai la padella e la tirai li dove il sole non batte. 
Il lamento da animale ferito che uscì dalle sue labbra fu il suono più bello che avevo mai sentito.
-Me..la..pagherai brutta strega- sibilò il babbuino a denti stretti. Ah, minacciava pure?
Non sapeva con chi aveva a che fare. E poi, strega a chi?! 
Ero già pronta per tirargli un altro colpo, ma quando lo vidi accasciarsi a terra capii che forse, ma proprio forse, avevo esagerato. 
Provai ad allungare una mano nella sua direzione, volendolo aiutare, ma allontanò la mia mano con un gesto secco. 
Ahia, l'avevo fatta grossa. Avevo davvero esagerato, e me ne rendevo sempre più conto dal colore verdognolo del suo viso. Presi immediatamente del ghiaccio dal congelatore, e dopo averlo avvolto in un asciugamano, glielo passai. Stranamente, accettò il mio aiuto, e dopo molto richieste insistenti si convinse a farsi aiutare per raggiungere il divano. 
La scena, se vista da occhio esterno, doveva sembrare davvero comica. Un ragazzo disteso su un divano, con il ghiaccio sui gioielli di famiglia, e una ragazza che gli sedeva affianco, rassicurandolo che andava tutto bene. All'improvviso, scoppiai a ridere. 
Una di quelle risate isteriche che non si sa cosa le scaturisca, e non si sa quando finiranno. 
-Che cosa ridi, assassina di testicoli! Ti giuro che se gli hai procurato qualche danno, ti legherò al letto e ti raserò a zero!- minacciò, con tono fin troppo serio.
Smisi immediatamente di ridere, figurandomi nella mente l'orribile scena; io, legata al letto, mentre urlo disperatamente al babbuino di fermarsi e non fare stronzate..ma lui non mi ascolta e inizia a raparmi la testa. 
Non l'avrei mai permesso. Avrei chiamato la polizia se fosse stato necessario.
-Brava, vedo che hai capito- mi disse lui, tutto contento di avermi zittita. 
-Ho ancora la padella in mano. Non ti conviene provocarmi- lo minacciai io, senza paura di tenergli testa. Avevo affrontato tipi anche peggiori di lui. Non sarebbe stato certo un babbuino senza cervello a mettermi a tacere. Ricordo ancora quando in seconda media un ragazzino mi prese in giro per i miei capelli. Continuava a tirarli, e iniziava a farmi male. Così, prendendo coraggio lo fronteggiai, intimandogli di smetterla. Ma lo stupido non voleva capire; così, dopo avermi quasi strappato una ciocca di capelli, gli tirai un punto sui denti. Che soddisfazione fu quella. Una vera liberazione. Peccato che le due settimane di punizione le beccai io, e non lui. Raccontò a tutti di essere stato aggredito, e fu talmente convincente che tutte le mie giustificazioni servirono solo per far arrabbiare ancora di più il preside e i miei genitori. Da quel giorno ho sempre cercato di moderarmi e controllarmi. Ma quando era troppo, era troppo. 
-Oh principessa, cos'è, la tinta ti è entrata nei capelli? Mi sa che il tuo cervello è andato definitivamente. - mi disse il babbuino, con un ghigno maligno stampato in faccia.
-Ci sono razza di citrullo. E io non sono tinta!- sputai fra i denti. Lo odiavo. Odiavo il modo in cui mi guardava. Sembrava che hai suoi occhi fossi solo uno stupido scarafaggio, pronto per essere schiacciato in ogni momento. Ma io non ero uno scarafaggio; non ero una nullità. 
Mi alzai di scatto, con le lacrime agli occhi, e mi diressi nella mia stanza. 
Me n'ero andata da quel posto dove tutti mi guardavano in quel modo. Avevo abbandonato per sempre quel mondo. Tutti gli scherni e gli insulti appartenevano al passato; e questo doveva rimanere tale. Ma allora perchè il suo sguardo mi aveva fatto così male?
Non volli darmi una risposta. Semplicemente mi accasciai sul letto, e piani tutte le lacrime che avevo trattenuto fino ad allora. Piansi per tutti gli insulti e i dispetti che avevo subito nel corso di quei cinque anni. Piansi per non essere stata capace di ammettere che in realtà avevano fatto male. 
E ancora bruciavano. Bruciavano come fuoco incandescente, e le lacrime non riuscivano a spegnere l'incendio che stava divampando in me. E per una volta, forse la prima, mi sentii davvero debole. 
Dopo due ore, tutta la stanchezza di quel giorno mi permise di addormentarmi, e caddi in un sonno profondo fatto di padelle e di babbuini.

Ciao a tutti! Ed eccomi dopo tre settimane! Come state? Voi mi siete mancati tanto. 
Beh, ecco a voi il capitolo. Lo so, non è dei migliori, ma prometto che il prossimo sarà all'altezza delle vostre aspettative. Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno letto e seguono questa storia. Un grosso bacio, a presto! <3
   
 
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