Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
Segui la storia  |       
Autore: steffirah    24/08/2015    1 recensioni
Si tratta di una serie di One-shot per la Shaosaku week (che cadeva dal 20 al 26 luglio). Alcune sono AU, altre riguardano i viaggi nelle varie dimensioni, seguendo il tema di quel giorno.
Sette date, otto mondi fantastici in cui vivere esperienze straordinarie.
Genere: Angst, Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura, Syaoran, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NdA: Avviso importante!
1) Vi sono alcuni – parecchi – riferimenti al popolo Maya
2) Per i “momenti” mi sono ispirata a delle immagini di capitolo del manga
3) Vorrei che TWC finisse così :’) …… Okay no, non c’entra nulla x’D
 
Buona lettura!

 

 
Day 5 – MOMENT THAT MADE YOU HAPPY
 
~ La mappa del cuore ~
 
Stavo raccogliendo delle conchiglie sulla spiaggia quando lo trovai. Era privo di sensi, fiacco, a malapena respirava. Temetti di essere arrivata troppo tardi, quando quel piccolo leoncino si mosse. Sorprendentemente aprì gli occhi, le lunghe e spesse ciglia tremanti ancora bagnate intersecate dalle gocce del mare... Anche se sembravano lacrime. Con lo sguardo perso biascicò qualcosa, ma purtroppo non lo capii. Gesticolai, cercando di esprimermi al meglio delle mie possibilità, e cercai nel cesto che avevo al mio fianco dell'acqua potabile da offrirgli. Lui allungò a fatica una mano, il suo viso una maschera di sofferenza, così mi proposi di aiutarlo tenendogli il busto dritto, alzato, per semplificargli le cose, portandogli la sacca alle labbra. Lui bevve avidamente e lo lasciai trangugiare tutto il contenuto, sperando non si strozzasse per la fretta con cui deglutiva. Probabilmente era disidratato, o forse i suoi polmoni bruciavano per il sale; in tal caso, avrebbe prima dovuto purificare i suoi organi e le sue cellule. Quando non rimase più una goccia emise un sospiro soddisfatto, chiudendo gli occhi, mugugnando altre parole incomprensibili.
«Mi dispiace, non riesco a capirti.», mormorai mortificata e lui sorrise, riacquisendo vigore.
«Grazie.», disse nel mio linguaggio.
«Eh?! Tu parli la mia lingua??», chiesi esterrefatta.
«Qualche parola. Scusa per... Acqua.», indugiò, smozzicando le parole, chiedendomi conferma con uno sguardo. Io scossi la testa da un lato all'altro, con tanta veemenza da frustarmi il viso con i miei stessi capelli.
«A me non serviva.», lo rassicurai.
«Come ti chiami?», aggiunsi, incuriosita. Era la prima volta che incontravo uno straniero!
«Shaoran.»
«Che nome buffo.», commentai ridendo, portandomi le mani alla bocca. Lui assottigliò gli occhi e tossicchiai, tornando composta. «Il mio è Sa-kuh'ra.» A stento lo vidi trattenere una risata e mi indispettii. «Okay, forse anche il mio suonerà strano per te.», gli concessi.
Lui negò e mi corresse: «È carino.» Sorrise gentilmente e sviai lo sguardo, scrutando la spiaggia deserta.
«Come sei arrivato sull'isola?»
Un'ombra calò sulle sue iridi, oscurandole. «Naufragio.»
Impallidii e mi trattenni dal domandare dove si trovasse il resto dell'equipaggio. Mi alzai, chiedendogli se ce la faceva a camminare sulle proprie gambe per raggiungere il mio villaggio e trovare una soluzione insieme agli adulti. Magari saremmo riusciti a trovare altri sopravvissuti.
Quello era il giorno del mio settimo compleanno e il vasto oceano m'aveva fatto il regalo più grande che potessi mai desiderare: uno scrigno di tesori preziosi, una perla in una distesa di ostriche, per le quali qualunque uomo avrebbe pagato oro. M'aveva portato l'uomo che sarebbe diventato il compagno della mia vita.
Con questo pensiero crescemmo insieme, l'uno al fianco dell'altra, nonostante la sua vocazione lo portasse lontano da me, come ricercatore e studioso di rovine. Tuttavia già prima che si scoprisse il suo talento aveva dimostrato un interesse unico nei confronti della mia civiltà, integrandosi a meraviglia. Tanto che, ben presto, lui non fu più visto come uno straniero, bensì divenne uno di noi. Lo affascinavano l'assetto del villaggio, le strade in pietra rialzate, i nostri variopinti palazzi, i nostri templi di pietra scolpita su catene montuose, a forma piramidale, le nostre abitazioni di legno affrescate, i nostri vasti campi da gioco, le strutture dedicate all'osservazione astronomica, le nostre merci, le produzioni in ceramica, le steli su cui scrivevamo con la scrittura geroglifica locale, i nostri libri ricchi della storia del milieu, i nostri calcoli matematici, i calendari, i ricchi gioielli di ossidiana e giada che ci commissionavano, i nostri riti religiosi, i lunghi rituali mattutini e serali a cui dovevo prendere parte ogni giorno, fino al raggiungimento dei miei dodici anni, la nostra cultura, la gentilezza e l'affabilità del nostro popolo, la nostra costante allegria e il nostro ottimismo, l'assenza di guerra e carestie, le piantagioni di mais, peperoncino, zucca, pomodori e fagioli, le coltivazioni di cotone, vaniglia e cacao - che scoprii apprezzasse in maniera particolare, nonostante non fosse schizzinoso e mandasse giù qualsiasi tipo di cibo: anche pietre, se gliele avessero offerte.
Si riscoprì essere un ragazzo cortese, dalle buone maniere. Visse con noi a palazzo e quando scoprì che ero una Kalomte, una principessa, un membro della famiglia reale, cominciò a comportarsi come un suddito persino nei miei confronti. C'erano voluti mesi per fargli capire che con me, perlomeno, non doveva essere formale. Questione diversa con mio fratello maggiore, il quale era un B'aah ch'ok, ossia il legittimo erede al trono, e mio padre, definito un "Ajaw Ku'hul", che significava "Signore divino". Infatti, si credeva che la famiglia reale si facesse garante dell'equilibrio tra il mondo dei vivi e quello dei defunti e, a riprova di ciò, persino io riuscivo a sentire quelle che venivano definite le "non voci". Alla morte di mio padre, essendo mio fratello impegnato con le procedure per l'incoronazione, mi occupai io della veglia funebre, purificando il suo spirito, pregando per la sua anima affinché potesse ritornare alla sua dimora originaria, insieme agli dei. Per quanto riguarda l'intronizzazione assistetti soltanto alla consegna dello scettro, della fascia color smeraldo e del copricapo di piume, partecipe al plauso del pubblico. Avevo soltanto 10 anni, ma non mi sentivo triste. Con me c'era Shaoran, e lui non mi avrebbe mai lasciata sola.
Come già detto, io e lui trascorrevamo la maggior parte del tempo insieme. Ci dedicavamo a diverse attività, alcune tranquille come renderci utili nel confezionare stoffe pregiate da barattare, dando il nostro piccolo contributo alla società, altre un po' più avventurose e pericolose, come quella volta quando all'età di nove anni costruimmo una casa su un albero e, nel tentativo di salvare delle uova non ancora schiuse di pappagallo dall'attacco di spietati serpenti velenosi Shaoran finì col sbucciarsi braccia e gambe sulla corteccia, durante l'arrampicata e l’impacciata discesa. Mi ero presa amabilmente cura di lui, come una madre, quella madre che lui aveva perduto in quel tragico incidente, quando nemmeno io ricordavo più il volto della mia. Col mio premuroso gesto ricambiai ciò che lui aveva fatto per me quando, pochi mesi prima, ci eravamo arrampicati di nascosto sulla sommità del tempio. Lui si era opposto per tutto il tempo, ripetendo in ansia che rischiavo di ferirmi, e che ci era proibito l'accesso al tempio. Al che avevo osato ribattere, temeraria: «Non possiamo entrare, ma nessuno ci impedisce di scalarlo, rimanendo all’esterno. E poi so che, seppure stessi per farmi male, tu ti precipiteresti subito da me e lo impediresti. Non ho nulla da temere!»
Lui mi aveva seguita un po' rassegnato, non togliendomi gli occhi di dosso neanche per un istante, e quando raggiungemmo la cima esultai, dimostrandogli che avevo ragione, facendo scappare con il mio saltellare tutti gli uccellini che vi riposavano, i quali si librarono in volo in un vortice di colori rosati e pallidi, ma candidi alla luce del giorno.
Shaoran dovette ammettere che non c'era pericolo e anzi, da lassù la visuale era fantastica e tirava una brezza leggera che ammorbidiva le sfarzose vesti che indossavamo. Ciononostante non riuscì a rilassarsi finché non raggiungemmo nuovamente il suolo e proprio qui persi l'equilibrio e caddi col viso accanto ad uno scalino, graffiandomi metà guancia sinistra per l'impatto, la quale si gonfiò e illividì. Subito Shaoran si incolpò, accusando se stesso per non essere riuscito a reagire prontamente nel tentativo di afferrarmi al volo e non volle sentire ragioni, nonostante gli ripetessi che stavo bene ed era soltanto un graffio. Non sentivo dolore, se lui mi era accanto, e visto che decise di curarmi personalmente il mio buonumore quel giorno non poté far altro che migliorare. Questo ha iniziato a peggiorare non appena aveva cominciato a lavorare, dimezzando drasticamente le ore che trascorrevamo insieme.
Il suo tirocinio aveva avuto inizio all’età di 12 anni, e quella stessa prima notte, per asciugarmi le lacrime, mi propose di andare all'osservatorio per ammirare la stelle. Ci sedemmo, l'uno di fianco all'altra, e con un braccio mi cingeva le spalle, mentre con la mano libera mi indicava delle costellazioni segnate su una mappa che teneva appoggiata sulle sue gambe, trasportandole nel cielo e rendendole reali. Lo considerai un mago, quando lui mi spiegò che il processo avveniva al contrario: la gente osservava quei punti luminosi lontani e li rappresentava come meglio li riceveva sulla carta, e unendoli creava delle forme antropomorfe, in modo tale che fosse più semplice riconoscerle.
Più tempo trascorreva e più mi rendevo conto della sua intelligenza - la curiosità non era una novità -, e lo ammiravo talmente tanto che talvolta lo imploravo di raccontarmi dei suoi viaggi, delle sue scoperte, istruirmi su tutto ciò che di nuovo apprendeva. Così, poco alla volta, imparai ad amare il suo lavoro, tanto che un giorno gli chiesi esplicitamente di insegnarmi una nuova lingua. Lui si illuminò di pura e genuina gioia alla mia semplice richiesta, quasi come se così facendo lo avessi reso la persona più felice dello spazio. Nel giro di un mesetto di lezioni riuscii a riconoscere quasi tutti quei caratteri cuneiforme e mi mise alla prova facendomi leggere un reperto archeologico. Quando arrivai alla fine provai a tradurlo e, riuscendoci in maniera impeccabile, esultai, mentre gli occhi di Shaoran mi guardavano straripanti d'orgoglio. Mi abbracciò, rivelandomi che era fiero di me e della mia velocità di apprendimento, ma io gli feci capire che era tutto merito suo: era lui ad essere un ottimo insegnante.
Così erano trascorsi un paio di anni e quel mattino mi svegliai di buon'ora per dargli il bentornato. Finalmente rincasava da una lunghissima spedizione, durata ben 10 mesi. Se non mi avesse spedito regolarmente delle missive già sarei sprofondata negli abissi della disperazione e della solitudine più assoluta.
Mi rivestii in fretta e furia, uscendo agilmente dalla mia finestra per tagliare la strada, quando lo trovai appoggiato comodamente accanto ad un totem, con le braccia incrociate, a rigirarsi assorto un fiorellino tra le dita, quasi come se lo stesse studiando da diverse angolazioni. Chissà da quanto tempo era lì! Decisi di spaventarlo e, senza farmi notare, raggiunsi il lato opposto della colonna, affacciandomi appena. Sobbalzai nel trovarlo voltato nella mia direzione, con un sorrisetto divertito a dipingergli il volto, e così fu lui a sorprendere me. Da quando era diventato così alto? E, sbagliavo, o i suoi capelli erano più lunghi di qualche centimetro? La sua pelle sembrava più abbronzata, dorata dal sole. E i suoi occhi... Erano sempre stati così profondi? Così intensi? Avevano sempre avuto quella tinta unica del cacao da cui ultimamente ero assuefatta, visto che mi sembrava la cosa che mi potesse tenere più legata a lui?
Mi ritrovai a mormorare, con un filo di voce: «Bentornato...» Sbattei gli occhi, ricordandomi in ritardo che non era così che avevo immaginato il nostro bramato incontro.
Lui sorrise come un raggio di sole, prima di rispondere: «Sono torna- wah!» Lo interruppi, girando attorno alla colonna e correndo tra le sue braccia, trattenendo a stento i singhiozzi.
«Mi sei mancato. Desideravo così tanto rivederti!», mi sfogai, rendendomi conto in ritardo del mio gesto.
Avvampai, scostandomi da lui, sviando lo sguardo, ma anche senza guardarlo percepii il suo sorriso sfiorare dolcemente il mio volto. Mi si riavvicinò, stringendomi tra le sue forti braccia, concludendo quello che stava dicendo: «Sono tornato.»
Mi baciò i capelli, seguendo la nostra tradizione - anche se secondo il mito era un gesto salvifico da compiere con la propria moglie quando si ritornava da lunghi viaggi e, per questo motivo, finii col sentirmi più emozionata di quanto fosse dovuto. Il cuore prese a battermi con furia, superando la velocità delle ali di un colibrì, mentre lui riprendeva quello stesso fiore che aveva catturato i suoi pensieri e me ne fece dono, intrecciandolo abilmente ai miei capelli.
«È un ciliegio.», spiegò. «L'ho preso nel regno del Giappone, lì ha il vostro stesso nome.»
Mi carezzò le guance, facendo scorrere il suo amorevole sguardo lungo tutto il profilo del mio viso, osservandone ogni ombra con aria malinconica, mentre lo scrutavo a mia volta confusa, cercando di scoprire dove fosse l'inganno.
«Il mio nome?»
«Esatto. Lo chiamano “sakura”.» Pronunciò il mio nome con una nuova cadenza, più melodica, meno gutturale, e mi innamorai immediatamente di quelle tre sillabe. Sorrisi intenerita, non riuscivo a credere che avesse fatto un collegamento simile.
«Anche tu mi hai pensata?», mi lasciai sfuggire, pentendomene immediatamente. Sperai non lo infastidissero tutte quelle attenzioni, ma davvero... Mi era mancato troppo.
«In ogni istante.», confermò, stringendomi nuovamente a sé. Chiusi gli occhi, cullata nel suo abbraccio.
«Ogni notte, prima di dormire, mi chiedevo cosa stessi facendo tu... Guardavo le stelle di cui tu mi avevi illustrato i nomi, sperando che per quanto lontano fossi tu facessi lo stesso... Ti ho sognato quasi ogni notte e di mattina il mio primo pensiero eri tu...», confessai, nascondendo il viso sul suo petto, inalando il suo odore, riempiendomene i polmoni, tornando finalmente a respirare.
«Sono le stesse cose che ho fatto io, Sa-kuh'ra. Non sei scomparsa neppure per un istante dalla mia mente.»
«Spero almeno di non essere diventata una distrazione durante le ricerche.», osservai rimpicciolendo, alzando lo sguardo su di lui. Lui rise flebilmente, tranquillizzandomi a tal riguardo.
In seguito abbassò il volto e soffiò a pochi centimetri dalle mie labbra: «Però... Anche io, non ho smesso neppure un istante di pensarti. Volevo rincontrarti, ad ogni costo. Mi sei mancata tantissimo.»
Mentre parlava con la mano sinistra mi bloccava contro il pilastro, con la destra mi carezzava i capelli, facendovi scorrere le dita fino alla loro lunghezza. Quando tacque mi si avvicinò maggiormente e chiusi gli occhi, preparandomi al contatto con la sue morbidi labbra. Finalmente, quel tesoro era tornato da me.

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC / Vai alla pagina dell'autore: steffirah