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Autore: smilingcansave    24/08/2015    0 recensioni
Sapevo che stavo nascondendo a tutti una grande realtà, ma evidentemente non valeva la pena far conoscere a qualcuno i meandri più oscuri e nascosti di me, soprattutto perché quell'unica persona che un tempo era stata in grado di capire che c'era altro oltre a quell'impassibilità che mostro, è stata l'unica persona con cui non volevo più avere contatti.
Ma ora era tornato, dopo anni di silenzi, lui era qui.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E' tutto nero attorno a me. Mi sembra di essere distesa, ma non riesco ad alzarmi, una forza sconosciuta mi trattiene addossata al terreno. Sento delle voci, non le riconosco. Stanno sussurrando qualcosa. Sento il mio nome. Parlano di me. Adesso urlano.
'Sei una fallita.'
'La figlia di nessuno.'
'Sei debole.'
'Non arriverai mai da nessuna parte.'
'Non crederai di poter diventare qualcuno?'
'Sei sola.'
Urlano sempre di più.
Hanno smesso. All'improvviso.
Non è più tutto nero.
Sono in una casa. Mi è familiare. Il divano addossato al muro. L'armadio con gli intagli. Il piccolo tavolo al centro della stanza. E' il soggiorno di casa mia. La casa in cui abitavo con mia madre e i miei nonni anni fa. Ma dove sono tutti?
Sento un rumore. Qualcuno sta parlando. E' la voce di mia madre, sta parlando con mia nonna. Ma di cosa? Faccio uno sforzo per carpire alcune parole.

'...non darti colpe...è stata la soluzione migliore…'

Colpe? Soluzione migliore? Di che stanno parlando?

'...forse farla nascere sarebbe stato meglio…'

Mamma, cosa stai dicendo? Chi doveva nascere?

'...pensa a tutte le difficoltà che avrebbe comportato una bambina, tu sei così giovane…'

Sta piangendo, mia madre piange. Inizio a cercarla, non riesco a trovarla, giro per tutta la casa, di lei e mia nonna non c'è traccia, sento le loro voci, ma loro non ci sono.
'...l'avrei chiamata Amber…'

Sono io Amber, sta parlando di me!

Sbarrò gli occhi. E' buio, il mio petto si solleva e si abbassa ripetutamente. Ho il fiatone. Sono sudata, ho caldo. Il cuore sta per esplodere, me lo sento, batte troppo veloce. Vorrei alzarmi, andare a bere dell'acqua, ma non riesco. Sono ancorata al letto. Richiudo gli occhi, cerco di riflettere. Sono libera di fare quello che voglio, posso alzarmi.
Con fatica riesco a sedermi appoggiando la schiena alla testiera del letto. Respiro profondamente. Era solo un incubo, niente di più.
Ignoro il fatto che sia l'ennesimo incubo che rende le mie notti insonni.
Ruoto la testa verso sinistra, rivolgo lo sguardo alla sveglia elettronica poggiata sul comodino. Le quattro e venti, circa. Cerco l'interruttore della luce di fianco al mio letto e non appena lo trovo lo premo. I faretti installati sul soffitto della mia camera si accendono, un senso di tranquillità mi pervade. Con la luce posso vedere tutto. Non sono nella mia vecchia casa, sono nella mia attuale camera. La grande credenza in legno è ferma davanti al letto. Da dove sono io posso vedere il mio cellulare mentre si carica collegato alla presa di fianco, vedo qualche libro, ricordo di averli poggiati qualche sera fa. Alla mia destra le finestre sono chiuse, le tende sono esattamente come le avevo lasciate la ieri sera. La porta che dà al resto della casa è chiusa, come sempre. Tutto è al suo posto, sono decisamente più rilassata.
Ormai di dormire non se ne parla, preferisco scendere, a preparare una tazza di tè, è l'ideale. Mi alzo dal letto ed esco dalla stanza, accendo la luce del corridoio e lo percorro verso sinistra, scendo le scale per arrivare al soggiorno. Un brivido mi scorre lungo la schiena non appena il mio sguardo si posa sul portatile, ancora chiuso sopra il divano. Distolgo gli occhi ed entro in cucina, riempio il bollitore di acqua e mi siedo su uno sgabello, poggiando i gomiti sul bancone davanti al piano cottura.
Mi passo una mano tra i capelli. Sussulto non appena sento qualcuno avvicinarsi alla porta della cucina. E' Tyler.

'Va tutto bene signorina?' chiede serio.
'Tutto bene Tyler, solo un po' di insonnia.'

'La sua espressione non dice questo, le serve qualcosa?'
'Mi sto preparando un tè, è più che sufficiente, grazie Tyler.'

Accenno un sorriso.

'Per qualsiasi cosa sono nell'altra stanza.'

Non sembra convinto della mia risposta, ma preferisce lasciarmi in pace.

'Grazie.'
'Di niente, signorina.'

Tyler sparisce e io resto di nuovo sola.
Ripenso al mio incubo. E' lo stesso, da diversi mesi. Immagino a come sarebbe stata la vita di mia madre se avesse deciso di abortire. Forse lui sarebbe rimasto. Però avevano sedici anni entrambi, probabilmente se ne sarebbe andato comunque. Non so niente di lui. Chiesi una sola volta dove fosse mio padre. Ricorderò per sempre lo sguardo che mi fu rivolto, uno sguardo amorevole, ma triste, in armonia con il tono di voce, affettuoso, ma che non mi lasciò il coraggio di replicare. 'Papà non c'è.'
Furono poche, pochissime parole. Ma abbastanza da raggelarmi. Lui non c'era. All'età di dieci anni sentii mia madre piangere in grembo a sua madre, mia nonna. E chissà quante altre volte era successo. La sentii parlare di 'lui'. Lui che se n'era andato, che non era rimasto per vedere sua figlia, che non aveva saputo accettare l'idea di avere una bimba a sedici anni. 'Lui' non c'era. Non mi aveva voluto. Aveva abbandonato mia mamma, con una bambina, la sua stessa bambina.
Quando realizzai tutte queste cose iniziai a costruire le mie mura. Non accettavo che qualcuno potesse entrare nel mio mondo, che qualcuno potesse conoscere certi aspetti della mia vita. Agli occhi di tutti ero forte, intaccabile. Sapevo che era solo apparenza, dentro di me ero fragile, debole, mi proteggevo con uno scudo di rabbia, che usavo ovunque. Per questo non avevo amici. Solo Janet. Non avevo mai avuto una relazione con un ragazzo. I miei unici rapporti erano per lavoro, ma non erano veri e propri legami. E' vero, una volta avevo 'anche io un Lui. Ma Lui se n'era andato.
Il timer del bollitore suona. Giusto in tempo.

Mi alzo e verso l'acqua bollente nella tazza, prendo un filtro di tè verde e lo immergo, lasciandolo in infusione. Mi risiedo e inizio ad aspettare che si raffreddi, assaporando le ultime ore di tranquillità, prima di una nuova giornata.

Prendo la mia valigetta, afferro il cellulare staccandolo bruscamente dalla presa, lo infilò distrattamente in tasca, corro giù per le scale, afferrò il portatile, ignorando ogni pensiero. Entro in cucina dove la governante mi sta preparando il pranzo. Arriva ogni mattina a casa mia prima delle sei e non se ne va prima di rivedermi a casa, la sera.

'Sono le sette e mezza Amber, non è necessario essere così di corsa.' mi ammonisce premurosamente.
'Il tempo per me corre una maratona, Miss Layla, non posso perdere neanche un minuto.'

Esco dalla cucina e mi do un'occhiata davanti allo specchio situato in ingresso. I pantaloni lunghi neri scendono aderenti alle mie gambe, non indosso la giacca oggi, mi limito ad una camicetta azzurrina, i capelli sono sciolti. Il brusco risveglio anticipato mi ha permesso di lavarli mentre facevo una doccia rilassante. Le occhiaie dovute alla notte turbolenta sono state coperte dal trucco.
Il mio aspetto non ha niente che non va, non si direbbe che io abbia dormito appena qualche ora.
Ritorno in cucina, soddisfatta, afferrò al volo il bicchiere di caffè preparatomi da Layla.

'Buona giornata, Amber!'
'Grazie Miss Layla.'

Mentre esco di casa sono già stata affiancata da Tyler e Rick che tiene chiuse tra le dita le chiavi della macchina.
Venti minuti dopo ci fermiamo di fronte all'entrata principale dell'edificio sede della Kellington. Non appena entro la segretaria mi saluta. Non è la stessa di ieri sera, i turni sono molteplici alla reception.
'E' arrivata una lettera per lei Miss Kellington.' dice mentre mi consegna una busta completamente bianca. Non c'è il francobollo, ne il mittente. E' stata consegnata a mano.
Non chiedo niente, afferro la busta e mi dirigo verso il mio ufficio. Salgo in ascensore, quindicesimo piano. Stringo la busta in una mano. Mantengo il controllo e la calma.
Le porte si aprono, esco spedita e percorro il corridoio. Qualche impiegato sfreccia dentro o fuori dagli uffici; la tensione qui dentro è a mille, sentono tutti l'imminente arrivo della sfilata, siamo tutti coinvolti dal punto di vista lavorativo, ma anche emotivo. La concentrazione è alle stelle, chi telefona, chi legge documenti probabilmente appena stampati, nessuno si distrae, se non per salutarmi frettolosamente. Per tutta risposta faccio un cenno con la testa ad ognuno di loro. Procedo spedita verso il mio ufficio, arrivo alla quinta stanza a destra, Tyler mi passa la chiave elettronica e la faccio scorrere nel lettore. Un segnale acustico mi avvisa che la stanza è aperta. Saluto Tyler con un cenno ed entro.
Chiudo la porta dietro di me e faccio un respiro. Questo ufficio è l'unico posto in cui io riesca ad essere veramente libera. So che da qui posso tenere sotto controllo ogni cosa. Lascio cadere la valigia di fianco alla scrivania, accendo il computer fisso e mi siedo. Le finestre sono già state aperte e l'ufficio sa di fresco. Sono le otto. Ho ancora in mano la busta.
Non esito, la apro e trovo all'interno un foglio ripiegato. Su di esso poche righe, scritte al computer.

Dammi solo una possibilità, chiamami.

C'è un numero di telefono. Non mi ci vuole tanto per scoprire chi sia il mittente. Accartoccio furiosamente il foglio e lo lancio sul cestino, centrandolo. Non ci sarà nessuna possibilità.
Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Li riapro dopo qualche secondo e mi rimetto al lavoro; tra due ore dovrò incontrare le modelle e vedere la prova generale della sfilata, io e il mio staff dovremo assicurarci che le ragazze si adattino perfettamente ai vestiti, io per prima sono determinata a vedere ben riuscita la sfilata. Tra due mesi ogni capo inizierà ad essere distribuito nella catena di negozi affiliata alla Kellington, ma tra due giorni tutte le mie creazioni saranno sotto i flash delle macchine fotografiche dei giornalisti, per poi finire nei giornali di moda. Le aspettative su questo evento sono molto alte, l'affluenza di persone sarà enorme e la stampa sarà pronta a sottolineare ogni dettaglio e cercherà senza dubbio di trovare degli errori in ogni singolo vestito.

Le lancette dell'orologio scorrono veloci mentre lavoro. Arrivano email ogni dieci minuti e le chiamate non sono di meno. Sto rispondendo all'email di uno dei miei direttori quando il telefono dell'ufficio squilla per l'ennesima volta. Senza levare gli occhi dallo schermo del computer allungo la mano e alzo la cornetta, appoggiandola sulla spalla e tenendola ferma con la testa inclinata, in modo da avere entrambe le mani libere per continuare a scrivere.

'Kellington.' rispondo.
'Quanto ho aspettato per risentire la tua voce…'

D'impulso mi fermo e afferro il telefono con una mano. Sento il battito del cuore accelerare sempre di più, il respiro diventare affannoso.

'Chi ti dato il mio numero d'ufficio?'
'Non sei l'unica ad avere certi poteri.'

Alludeva al fatto che gestendo un'azienda e avendo un seguito abbastanza grande avevo conoscenze importanti che mi permettevano molte cose, alcuni imprenditori usano la parola poteri. E a volte è vero. Grazie anche ai miei 'poteri' anni fa ero riuscita a scoprire che fine avesse fatto proprio Lui. Quindi lui aveva fatto lo stesso, in pochi hanno il mio numero d'ufficio e ancora meno gente aveva la mia email personale.
Probabilmente mi stava addosso da un po' di tempo.

'Cosa vuoi?'
'Non hai risposto all'email e non mi hai chiamato.'
'Credevo che la risposta alla tua richiesta fosse chiara. E comunque, non ero tenuta a farlo.'
'No, non lo eri, ma sembra più che tu stia scappando.'
'Non cogli anche tu l'ironia della situazione? Stai supponendo che io stia scappando quando l'unico che è scappato senza dire niente anni fa sei tu.'

Sto mantenendo il controllo, non ho intenzione di cedere o di dargli modo di mettermi spalle al muro. Uso la solita tecnica dei sensi di colpa, associata al sarcasmo non lascia via di fuga.

'So che ho sbagliato, ma sono tornato per rimediare.'
Il suo tono non è lo stesso di chi ha dei sensi di colpa. Sta giocando, sembra divertito. Questo mi fa infuriare.
'E cosa ti fa pensare che io sia qui per te? Non ti sei più fatto sentire, ne una chiamata o un messaggio. Le cose sono cambiate Bryan.'
'Da quando mi chiami per cognome?' lo sento ridere. Come immaginavo.
'Non ho più tempo da perdere, devo andare.'
'Amber…'

Riattacco senza dargli il tempo di rispondere. Appoggio i gomiti sul tavolo, mi copro il viso con le mani mentre sento gli occhi bruciare. So di aver fatto la cosa giusta, non gli ho permesso di rientrare nella mia vita, è giusto così, è così che le cose devono andare. Però fa male, è come aver appena ricevuto un colpo allo stomaco, un colpo che leva il respiro.

E' passato appena un quarto d'ora, il mio tempo adesso è rallentato. Non riesco a smettere di pensare a quella chiamata; la sua voce, era rimasta la stessa, la sua risata era ancora la più bella che io avessi mai sentito. Sono passati anni, le cose sono cambiate, l'ho detto proprio io quindici minuti fa. La ferita che avevo è rimarginata. O almeno così credevo, fino a poco fa.
Non posso stare così, non ho mai affrontato queste cose. Ho bisogno di Janet, lei conosce la situazione meglio di me.
Prendo il cellulare, cerco il suo contatto nella rubrica e avvio la chiamata. Janet, o Jay, fa la consulente finanziaria di un imprenditore qui a Los Angeles, lavora ai piani alti. Non abbiamo frequentato la stessa scuola, se io sono arrivata dove sono ora si può parlare di talento e fortuna, se lei è arrivata dov'è ora si può parlare benissimo di determinazione e qualche buona parola scappata dalla bocca del padre.
Non è sconvolgente come cosa, la maggior parte delle persone ben remunerate che ho conosciuto in questi anni hanno avuto quello che volevano grazie a una raccomandazione.
Dopo due squilli Jay risponde.

 

'Ehilà Kellington! Cosa ti porta ad interrompere il tuo lavoro per chiamarmi a metà mattina?' la sua voce squillante mi fa spuntare un accenno di sorriso sul volto.

'E' successa una cosa..'

'Cosa c'è Amber?' il suo tono è cambiato.

'Jesse…' il suono della mia voce è spezzato. Lei capisce al volo.

'Ti va se ci vediamo per pranzo?'
'Sì, d'accordo.'
'Va bene, vengo in ufficio da te verso le 12.30, Amber.'
'Ok, a dopo.'

Faccio un respiro profondo. Capisco che continuare a logorarmi la mente con questi pensieri non mi aiuterà e decido di riprendere quello che stavo facendo. Inoltre tra meno di mezz'ora dovrò vedere la prova generale delle modelle. Il lavoro chiama.

'Più decise. Non c'è grinta nel loro atteggiamento. Voglio che alla gente arrivi un senso di sicurezza, di autostima.'
'Ha ragione Miss Kellington. Di questo ne parlerò dopo con loro. Che ne pensa dell'attribuzione dei vestiti? E' come l'avevamo prefissata.'
'Esatto, mi va benissimo.'

Io e il responsabile delle modelle stiamo rivedendo gli ultimi dettagli, la situazione è sotto controllo e questo mi lascia leggermente più tranquilla. Riguardo le ragazze mentre uno stilista sistema i vestiti. D'un tratto entra nella sala una segretaria, mi tocca la spalla per chiamarmi. Mi giro e aspetto che mi riferisca.

'C'è una persona che vuole parlarle all'ingresso.'

Faccio qualche conto e ricordo di avere un appuntamento con il fotografo ufficiale della serata.

'Grazie, arrivo tra un momento.'

La donna sorride e si gira andando verso la porta.
Recupero la cartellina dei documenti che avevo poggiato su uno dei tavoli nella stanza ed esco. Percorro il corridoio e opto per le scale. Portano direttamente alla hall. Mentre scendo ne approfitto per rispondere rapidamente ad un messaggio di Janet che mi propone un ristorante italiano in cui passare insieme la pausa pranzo. Adoro mangiare italiano e fortunatamente vicino al palazzo in cui lavoro c'è un ottimo locale. Sorrido senza volerlo, Janet sa come risollevare il morale in ogni situazione.
Arrivata alla hall, alzo lo sguardo, ma l'accenno di sorriso scompare. Sento la bocca seccarsi. Rimango immobilizzata. Non so cosa fare. Raccolgo quell'ultimo residuo di autocontrollo rimasto in me e prendo fiato.

'Che diavolo ci fai qui, Bryan?'

   
 
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