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Autore: Dubh    25/08/2015    3 recensioni
Non c'era niente che rimanesse al suo fianco, o dentro di lei, per molto tempo. Tutto se ne andava via, lasciando solo polvere al suo tortuoso cammino, e lei era costretta a girarsi e tornare indietro per iniziare daccapo, da sola.
Questa è la storia di una ragazza, di nome Elisa, che è solitudine e cenere.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elisa era sempre ridicola davanti agli altri, con i suoi mutamenti di carattere, modi di agire, di sentimenti.
Non c'era niente che rimanesse al suo fianco, o dentro di lei, per molto tempo. Tutto se ne andava via, lasciando solo polvere al suo tortuoso cammino, e lei era costretta a girarsi e tornare indietro per iniziare daccapo, da sola.
Lei e la solitudine ormai erano qualcosa di solido, qualcosa che si era mischiato e che non si poteva più dividere.
Perché la stessa Elisa lo era, la solitudine.
Passaggiava per i parchi e, beh, sì, a volte si soffermava a guardare le persone. Tutte insieme, unite.
Provava una spietata invidia, perché sapeva che lei non sarebbe mai riuscita ad avere qualcuno, o semplicemente qualcosa che dentro di lei sarebbe rimasto per un tempo indeterminato.
Certo, gli imprevisti c'erano sempre, ma quando qualcosa è azionato a 'tempo indeterminato', si sa che ha molte più speranze di durare che di un'altra qualsiasi cosa.
Un giorno Elisa si raccolse i capelli dorati in una coda, precludendo e ingabbiando ogni ciocca di capelli, chiedendosi se loro provassero le sue stesse emozioni.
Stavano male anche loro così? Tutti attorcigliati e obbligati a stare in una posa informe?
Si attaccò alla ringhiera nera del ponte, così scura, quasi quasi riusciva a scorgere il turbine dei suoi sentimenti in quel nero pece.
Fece un altro passo ancora, in direzione sempre della ringhiera che oramai non era più un ostacolo, un freno, ma un trampolino di lancio.
Un trampolino così lucido e scivoloso come la neve d'inverno.
Elisa la ricordava benissimo. Era così bella, così bianca e ghiacciata, così informe e sola.
Come lei.
Dondolava pericolosamente come se fosse su un'altalena, sul ghiacchio.
Una mossa mal coordinata e sarebbe finita giù, verso il mare impetuoso e così lucente con il riflesso del sole che non avrebbe dato un giusto scenario alla fine di una vita.
Ma Elisa non era mai stata fortunata, non poteva sperare in uno sfondo tenebroso che avrebbe racchiuso i suoi ultimi minuti.
Si fermò, osservando il vuoto e le onde cristalline sbattere sulla riva poco più lontana dal ponte.
Chissà come sarebbe stato bello sbattere contro qualcosa e tornare indietro, ma non soddisfatta scontrarsi ancora, e ancora.
Elisa voleva provarlo.
Si diede una spinta e subito avvertì il profumo dell'acqua salmastra, il rumore sempre più vicino delle onde poco sotto di lei.
I capelli si sciolsero, finalmente liberi di volare via, ogni filo per conto proprio.
La loro gabbia si infranse, si sparsero e si unirono nuovamente toccando l'acqua, mentre andavano a fondo giunti al termine di una vita, quando ancora il sole batteva sull'acqua e triste piangeva neve, che stava iniziando a cadere.
Elisa aveva dimenticato una cosa però, la neve quando cadeva si ritrasformava in acqua che poi sarebbe salita su in cielo, le onde si schiantavano ma tornavano a rifarlo, lei non era né neve né onde, non sarebbe tornata.
Ma cosa importa poi se ciò che ha lasciato era solo la brace e lei ne era la cenere?
  
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