Babylon
(seguito di A Divine Love)
18 - Fili di legami
“Dei
del cielo, non vi si può lasciare sole un momento, a voi
due!” disse Ayame,
mentre osservava da un promontorio sul mare Psiche dirigersi verso le
Dodici
Case, ferita e bagnata come un pulcino.
Galatea
era a fianco a lei. Dopo aver avvertito Milo e Camus di quanto stava
succedendo
alla spiaggia aveva intercettato Ayame alle porte del villaggio e aveva
informato
anche lei dello scontro tra la Sacerdotessa della Rosa e Shaina. Con
non poco
rammarico, Ayame aveva deciso di rimandare la questione Kanon al giorno
seguente, era di primaria importanza capire a cosa fossero dovuti i
recenti
sbalzi umorali di Psiche.
“Non
avevo mai visto Psiche così in collera”
commentò Galatea.
“E
nemmeno così sconvolta” continuò Ayame
“Comincio a pensare che portarla qui con
noi sia stato un grosso errore”
Volendo
vederci più chiaro, la ragazza si avvicinò a
Camus, anche lui rimasto ad
osservare la scena dopo essere accorso con Milo alla spiaggia.
Che
il Cavaliere dello Scorpione c’entrasse con
l’instabilità emotiva di Psiche era
praticamente certo, mancava solo da capirne il motivo e Camus, in
quanto amico
intimo di Milo, doveva per forza saperne qualcosa.
“Che
è successo tra Milo e Psiche?” gli chiese Ayame
senza troppi preamboli.
Il
Cavaliere dell’Acquario non si scompose per la domanda a
bruciapelo e rispose
pacatamente dopo qualche attimo di riflessione.
“Non
credo di essere la persona più adatta per
spiegarti… quello” disse indicando la
spiaggia e facendo riferimento a quanto accaduto poco prima.
“Senti,
non mi interessa se tu e Milo siete vincolati da un patto di sangue per
cui non
potete rivelare i vostri segreti da amici del cuore a
nessuno” lo investì Ayame
con poca grazia “Quella ragazza è una mia
Sacerdotessa ed è anche mia amica e
si da il caso che il tuo amichetto
laggiù abbia a che fare con i titanici sbalzi ormonali di
cui hai avuto una
dimostrazione poco fa. Perciò se non vuoi essere vittima dei
miei titanici sbalzi ormonali, ti
conviene dirmi quello che sai”
Camus
però non si fece intimorire dallo sguardo truce di Ayame e
rimase fermo sulla
sua posizione.
“Credimi,
la questione va ben oltre Milo e quello che potrebbe aver fatto a
Psiche. Non
ho ben chiaro nemmeno io il quadro generale, mi sono ritrovato in mezzo
a
questo casino quasi per caso. Capisco che tu la voglia aiutare ed
è per questo
che ti dico che non sono in grado di darti informazioni accurate sulla
faccenda. Mi sembra talmente complicata che anche solo una parola detta
male
potrebbe far saltare in aria l’intero Santuario”
“Ayame,
penso che Camus abbia ragione” intervenne timidamente Galatea
“L’unico modo che
abbiamo per capire veramente cosa è successo è
chiedere direttamente a Psiche”
La
bionda sospirò. Sia Galatea che Camus avevano ragione, ma
non era comunque
convinta che Psiche si sarebbe aperta completamente con lei. Aveva
già provato
ad indagare sulla faccenda e ne aveva ottenuto solamente una risposta
criptica
e un sacco di lacrime. Espose le sue perplessità alla
Sacerdotessa, che però
sembrava convinta che l’approccio diretto fosse quello giusto.
“Vale
la pena tentare, almeno per dimostrarle che siamo dalla sua
parte”
In
quel momento vennero raggiunti da Milo, il quale sembrava aver perso la
baldanza che lo aveva sempre contraddistinto. Aveva
un’espressione scura in
volto, come di chi aveva perso tutto.
Gli
sguardi degli altri tre non poterono fare a meno di convergere tutti su
di lui.
“Lo
spettacolo è finito” disse con voce greve
“Il miglior stronzo protagonista se
ne torna a casa. Considerati libero per domani” concluse
rivolgendosi a Camus,
per poi voltar loro le spalle e dirigersi verso le Dodici Case.
“Milo,
aspetta!” gli intimò Acquarius, correndogli dietro
“Non puoi abbandonare il
progetto proprio ora”
Il
prosieguo della loro conversazione si perse nell’eco delle
onde che si
infrangevano sul mare, tuttavia quelle poche parole erano bastate ad
attirare
l’attenzione delle due ragazze.
“Secondo
te di quale progetto parlavano?” domandò Ayame a
Galatea, che rispose con
un’alzata di spalle.
“Potresti
indagare” le propose Ayame, mentre si dirigevano anche loro
verso le Dodici
Case “Dal momento che abiti con Camus…”
“Cosa?
No! Io non… non posso, voglio dire…
come…” balbettò affannosamente Galatea,
visibilmente rossa in faccia.
“Oh,
andiamo! Qualche sorriso ammiccante, sbatti le ciglia un paio di volte
e ti
dirà anche di che colore erano le mutande di sua madre.
È praticamente cotto di
te”
“Ma…
cosa?... figurati, lui… è un Cavaliere
d’Oro… e io sono… beh, io”
disse
mestamente la Sacerdotessa, facendo storcere il naso ad Ayame.
“Che
diamine blateri! Non vedo perché un uomo come Camus non si
dovrebbe innamorare
di una ragazza come te”
“Beh,
è frigido come una vecchia zitella, quello potrebbe essere
un problema”
intervenne una voce sopra di loro.
Ayame
e Galatea si fermarono di colpo e alzarono lo sguardo. Era Psiche che
le
attendeva in cima alla scalinata del Tempio dell’Ariete. Tra
una chiacchiera e
l’altra non si erano accorte di essere giunte ai piedi delle
Dodici Case.
“Che
ci fai qui?” le chiese Ayame, iniziando a salire le scale.
“Vi
ho viste, o meglio, sentite arrivare dalla Seconda Casa e, potendo
intuire il
motivo della vostra visita, vi sono venuta incontro” rispose
la Sacerdotessa.
Si
incontrarono a metà scalinata e rimasero a fissarsi tutte e
tre per qualche
istante, prima di rompere il silenzio.
“Come
stai? Sinceramente” le domandò Ayame, stringendole
un braccio con tenerezza.
Era ancora leggermente umida dal bagno in mare che era stata costretta
a fare.
“Ho
avuto momenti migliori, sinceramente” rispose lei, ma
sembrava più serena
dell’ultima volta che si erano ritrovate ad affrontare
l’argomento “Ma mi rendo
conto che non posso più tenervi tutto nascosto, dopotutto
abbiamo deciso di
affrontare questo viaggio insieme ed è giusto che sappiate
il vero motivo del
mio ritorno al Santuario, nonché le conseguenze che ne sono
derivate”
Il
sole stava tramontando sul villaggio di Rodorio, proiettando le lunghe
ombre
delle casette in pietra sulle stradine selciate. Nascosto da una di
queste
ombre due occhi profondi come l’oceano osservavano un
gruppetto di bambini
giocare con un vecchio pallone logoro. Benché il gioco
prevedesse che ci
fossero due squadre, uno dei bambini non sembrava darci troppo peso e
non
perdeva occasione di rubare la palla agli altri, a prescindere che
fossero
compagni di squadra o avversari e ostinatamente sordo ai loro
rimproveri.
Gli
ci vorrebbe una
strigliata come si deve
pensò Kanon, non riuscendosi però ad impedire di
lodare
un minimo lo spirito combattivo di Proteo.
Già,
era proprio lui che il Generale stava osservando nascosto
nell’ombra, perché
per quanto si fosse sforzato di dimenticarle, le parole di rimprovero
che Ayame
gli aveva rivolto poco prima avevano continuato a rimbalzargli in testa
senza
dargli tregua, e solo in quel momento si stavano lentamente
affievolendo.
“Non trovi che ricordi qualcuno di tua
conoscenza?” riecheggiò una voce alle
sue spalle, come se provenisse
dall’aldilà.
Kanon
si voltò, aspettandosi di vedere il volto di quella donna,
innocente e limpido come
se lo ricordava, invece si ritrovò ad osservare il vicolo
che in quel momento
gli serviva da nascondino, desolato e buio. E si ricordò con
lieve rammarico
che quel volto non l’avrebbe visto mai più,
avrebbe solo potuto coglierlo in
qualche tratto di quello di Proteo.
Un’altra
voce, questa volta reale, si innalzò sopra le grida dei
bambini per richiamarli
per la cena. Quasi tutti si misero a protestare e ad implorare
l’educatrice di
farli giocare ancora un po’ per designare il vincitore una
volta per tutte, ma
la donna non volle sentir ragioni e minacciò di riportarli
tutti quanti in casa
prendendoli per le orecchie se non avessero obbedito. Tanto
bastò a convincerli
a non farsi richiamare un’altra volta e ad incamminarsi,
seppur con poco
entusiasmo, verso l’orfanotrofio.
Proteo
rimase in coda al gruppo e mentre camminava portava avanti il pallone
malconcio
a calci. Prima che scomparisse dalla vista di Kanon, il ragazzino si
fermò e al
Generale sembrò che volgesse lo sguardo nella sua direzione,
per cui si nascose
ancora di più nell’ombra, finché Proteo
non riprese la sua strada.
Dopo
qualche minuto di attesa, il guerriero uscì dal suo
nascondiglio e si incamminò
verso il Grande Tempio, con la testa nuovamente affollata di pensieri.
Dal
momento che si era spinto fino al villaggio per osservarlo di nascosto,
era
chiaro che non poteva più fare finta che Proteo non
esistesse e che non fosse
un suo problema. Probabilmente il destino stesso era intervenuto per
ricordarglielo, quella mattina, quando l’aveva salvato tra le
strade di Atene.
Ma
come fare? Come raccontare ad un bambino di otto anni una storia simile
e
sperare che la accettasse senza battere ciglio? Se ci fosse stata lei,
probabilmente avrebbe saputo come fare… o forse no, dal
momento che era
riuscita a cacciarsi in quella situazione scomoda e non era riuscita ad
uscirne
se non nel più estremo dei modi.
L’unico
che avrebbe potuto aiutarlo, con le dovute riserve, era suo fratello
Saga, che
però in quel momento aveva altro a cui pensare e si trovava
dall’altra parte
del mondo.
Ma
era veramente l’unico? Due insolenti occhi verdi incastonati
in uno sguardo di
rimprovero si insinuarono tra quei pensieri tempestosi.
Ayame
aveva dimostrato sin da subito un interesse nei suoi confronti che non
riusciva
a spiegarsi, così come sembrava aver preso a cuore Proteo.
Che sospettasse
qualcosa? Sulla base di quali indizi? Nessuno al Santuario poteva
sapere.
Tuttavia Ayame era stata, e probabilmente nel profondo ancora era, la
dea
dell’amore. Che anche quel tipo di amore fosse di sua
competenza?
Un
potente cosmo infuocato interruppe bruscamente quel susseguirsi di
domande
senza risposta nella mente di Kanon e arrestò il suo cammino
ai confini del
villaggio. Il Generale si lanciò subito al suo inseguimento.
La fonte di quel potere
si fece sempre più vicina, quasi stesse aspettando che
qualcuno andasse ad
accoglierla. Quando fu quasi al confine tra Rodorio e Atene, quel cosmo
fiammeggiante ebbe un volto. Una donna dai capelli scarlatti sembrava
attenderlo all’imbocco del vicolo che conduceva al negozio di
fiori. Vestiva
abiti civili, probabilmente per confondersi tra la folla che riempiva
le strade
di Atene in quel periodo, ma alle sue spalle era ben visibile una
traccia delle
ali di fuoco che caratterizzavano i guerrieri della sua genia.
“Finalmente
qualcuno è venuto ad accogliermi” disse con voce
suadente la donna, sollevando
la tesa del cappello che aveva in testa e rivelando due occhi
fiammeggianti.
“Come
ha fatto un Angelo a superare la barriera che protegge il Grande
Tempio?”
domandò Kanon, accendendo il suo cosmo
nell’eventualità che quell’incontro
sfociasse in uno scontro.
La
donna scoppiò in una fragorosa risata di scherno.
“Siete stati voi a portarci
qui, rammenti?” rivelò quindi “Qualcuno
vi stava osservando”
Il
Generale capì subito che l’Angelo stava facendo
riferimento al suo compagno che
avevano visto sorvolare i tetti di Atene la sera della festa. Il fatto
che
fossero riusciti a trovare l’ingresso per il Santuario
costituiva un enorme
problema. Quell’Angelo andava eliminato.
Non
appena Kanon ebbe solo che formulato quel pensiero, una barriera di
fuoco si
erse tra lui e il suo nemico, emanando un calore che sembrava quasi
infernale.
“Non
ho intenzione di combattere con te, Generale” ammise la donna
da dietro la
cortina di fuoco.
“Allora
perché disturbarsi a venire fin qui?”
domandò Kanon “Perché non
attaccare?”
“Non
è ancora il tempo di passare
all’attacco” rispose semplicemente
l’Angelo “Ma lo
sarà ben presto… e la piccola dea addormentata
non avrà scampo”
Senza
lasciar cadere il muro di fuoco tra lei e Kanon, la donna si
incamminò di nuovo
lungo il vicolo, sventolando la mano a salutare il suo nemico.
Dall’altra
parte, il Generale dovette attendere che la cortina calasse prima di
lanciarsi
all’inseguimento dell’Angelo, poiché
affrontarle senza armatura sarebbe equivalso
a suicidarsi.
Una
volta che il passaggio fu di nuovo libero, Kanon corse lungo il vicolo
e
irruppe nel negozio di fiori, incurante dello spavento che fece
prendere ai
clienti. Si precipitò quindi fuori dal negozio, nel traffico
di Atene, ma del
cosmo infuocato dell’Angelo non v’era
più traccia.
Per
raccontare la sua storia alle ragazze, Psiche aveva preferito
appartarsi
all’ombra di un uliveto nei pressi della casa
dell’Ariete, lontana da orecchie
indiscrete. Non le capitava spesso di aprire il suo cuore a qualcuno,
dal
momento che, le poche volte che l’aveva fatto, non ne aveva
ricavato che dolore
e delusione. Ma di Galatea e soprattutto di Ayame, della sua dea,
sapeva di
potersi fidare.
Le
due ragazze non la interruppero mai durante il suo racconto,
permettendole
piano piano di sciogliersi e dare fluidità alla storia, di
cui non tralasciò
neanche un dettaglio.
Ad
ogni parola le sembrava di togliersi un peso dal petto e quella
sensazione di
leggerezza via via più accentuata le permise di calmare il
suo lato emotivo per
lasciar spazio a quello più razionale.
Solo
alla fine della narrazione comprese l’inutilità
del suo attacco a Shaina e la
sincerità delle parole di Aldebaran. Tuttavia perdonare il
suo maestro per
averle tenuto nascosta la morte di suo padre era per lei ancora
inconcepibile.
Calò
il silenzio per qualche istante tra le tre ragazze, quindi Ayame e
Galatea la
abbracciarono in contemporanea, gesto che lì per
lì la spiazzò ma che subito
dopo fu felice di ricambiare. Dopotutto non era male avere delle amiche
con cui
condividere quei pesanti ricordi.
“Oh,
Psiche, ma come ti è saltato in mente di affrontare tutto
questo senza dirmi
niente?” la rimproverò Ayame, sciogliendo
parzialmente l’abbraccio.
“Avevi
altro a cui pensare, giusto?” rispose la Sacerdotessa con
un’alzata di spalle.
“Per
come sta andando, credo che impiegherei meglio il mio tempo ad
ascoltare i
vostri problemi piuttosto che a provare a far sbocciare quelle dannate
rose”
ammise Ayame.
“Ce
la farai, devi solo credere più in te stessa…
Afrodite” Psiche sottolineò
l’ultima parola, lasciando intendere che aveva intuito i
dubbi di Ayame
riguardo la sua natura divina.
“Certo
che siamo proprio un bel trio di disastri” intervenne
Galatea, ridacchiando.
“Già
ma siamo il trio di disastri più bello che questo Santuario
abbia mai avuto
occasione di vedere” aggiunse Ayame.
“Puoi
dirlo forte!” concluse Psiche, battendo poi un cinque con le
due amiche.
“Sarà
meglio tornare alle nostre Case, è quasi ora di
cena” constatò Galatea.
“E
a me conviene correre come una scheggia alla Terza, altrimenti Kanon mi
fa
digiunare” aggiunse Ayame.
Si
incamminarono tutte e tre verso le Dodici Case ma vennero intercettate
poco
dopo da alcune guardie del Santuario a pochi passi dalla Casa
dell’Ariete.
Anche Mu era con loro e dallo sguardo non sembrava foriero di buone
notizie.
“Spiacente
di interrompere la vostra chiacchierata, ragazze, ma il Gran Sacerdote
vi ha
convocate nella Sala del Trono” spiegò il
Cavaliere.
“Evviva…
e per quale ragione?” commentò sarcasticamente
Ayame, che in cuor suo aveva
sperato di non dover rivedere il volto di Shion per almeno qualche
giorno. Quel
finto entusiasmo le fece guadagnare un silenzioso rimprovero da parte
di Mu,
che rispose comunque con garbo “Sarà egli stesso
ad informarvi di tutto”.
Dal
canto suo, Psiche pensò di essere lei la responsabile di
quella convocazione:
probabilmente l’aver attaccato Shaina, una Sacerdotessa del
Santuario, era
stata un’avventatezza che non era passata inosservata alle
alte sfere. Era comunque
decisa ad accettare le conseguenze delle sue azioni, qualunque esse
fossero.
“Fateci
strada” disse accondiscendente.
Giunti
all’ingresso della Tredicesima Casa, le tre ragazze
scoprirono di non essere le
sole ad essere state convocate. Anche Milo e Camus attendevano di
essere
ricevuti da Shion.
“Che
ci fai qui?” domandò brusca Psiche allo Scorpione.
“Sappiamo
entrambi perché siamo qui” rispose Milo
pacatamente “Se ci saranno delle
conseguenze da affrontare, concedimi almeno di non fartelo fare da
sola”
Le
parole del Cavaliere lasciarono Psiche spiazzata. Provò a
rispondere in modo
tagliente ma non ebbe il tempo di formulare nessuna cattiveria,
poiché il Gran
Sacerdote uscì a passo svelto dalla Sala del Trono, seguito
a ruota da Kanon.
“Quali
che siano i motivi per cui vi ho fatti venire qui, possono aspettare.
Abbiamo un
faccenda ben più urgente di cui occuparci”
spiegò Shion senza nascondere un
minimo di apprensione, quindi si voltò verso Kanon dandogli
tacitamente la
parola.
“Gli
Angeli hanno scoperto come accedere al Grande Tempio, ne ho incontrato
uno io
stesso poco fa al villaggio. Attaccheranno presto, perciò
dobbiamo essere
pronti a difenderci in qualsiasi momento”
“Perché
non attaccare subito, sfruttando l’elemento
sorpresa?” domandò Camus.
“Non
ne ho idea” rispose Kanon “L’unica cosa
che quell’Angelo ha lasciato trapelare
è che Ayame rimane il loro obiettivo”
“Credo
sia saggio allora che ritorno alle tue stanze qui alla
Tredicesima” intervenne
Shion, ma la ragazza non voleva sentir ragioni.
“No!”
rispose perentoria, lanciando poi uno sguardo supplice a Kanon.
“Sei
troppo vicina all’ingresso del Santuario!”
cercò di farla ragionare il
Celebrante.
“Non
torno in un posto dove non sono la benvenuta”
ribatté decisa Ayame.
“Io
posso rimanere alla Casa del Toro” intervenne Psiche,
risparmiando a Shion un’inutile
replica “In questo modo dovranno superare quattro di noi
prima di arrivare ad
Afrodite, e lei avrà il tempo di mettersi in salvo”
Il
silenzio calò sul patio della Tredicesima Casa. Gli sguardi
di tutti,
principalmente di Psiche, Ayame e Kanon, erano rivolti a Shion, in
attesa di
una sua sentenza.
La
Sacerdotessa della Rosa non poteva sperare in un’occasione
migliore per
svincolarsi dalla convivenza con Aphrodite, insieme al fatto che in
questo modo
sarebbe tornata a sorvegliare Ayame da vicino.
La
ragazza dal canto suo non aveva intenzione di lasciare la Terza. Non
che Kanon
fosse un maestro di ospitalità, ma era comunque riuscito a
farla sentire più
accettata di quanto non avesse fatto Shion. Inoltre vivere con lui era
il modo
migliore per risolvere l’enigma che Kanon era.
Quanto
a Kanon, infine, si sorprese nello sperare che Shion accettasse di
lasciare a
lui la custodia di Ayame. Lui, amante della solitudine a cui era stato
destinato sin dalla nascita, sentiva che quella ragazzina invadente gli
sarebbe
mancata, e si era stabilita alla Terza Casa da neanche dodici ore.
Doveva essere
completamente impazzito.
“E
sia” disse alla fine Shion, quindi si rivolse ad Ayame
“Ma non uscirai dal
perimetro del Santuario per nulla al mondo e se vorrai recarti al
villaggio
dovrai essere sempre accompagnata, chiaro?”
“Signorsì!”
rispose lei, già contenta che avesse accettato quel
compromesso. Scambiò quindi
uno sguardo di intesa con Psiche, poi si voltò verso Kanon
giusto in tempo per
vedere l’ombra di un sorriso sparire dietro la solita
espressione di pietra. Gli
sorrise comunque, prima o poi avrebbe imparato anche lui a farlo senza
vergognarsi.
Buonasera a tutti!
Anche per questo capitolo mi sono fatta attendere più della cometa di Halley, ma spero ne sia valsa la pena.
Mi rendo conto che non succeda granchè ancora, in termini di azione, ma mi sto concentrando, come dice anche il titoto di questo capitolo, sui legami tra i vari personaggi, che saranno poi importanti nel momento in cui inizierà l'azione. Come sempre ho scritto di getto, quindi qualche strafacione ci sarà, seganalate tutto quando nei commenti che vorrete lasciare e, per il resto, buona lettura!
Martyx