VIII
SCORRE
LA SABBIA
Le tre parche tessevano ed intrecciavano i
fili dell’esistenza, recidendoli quando era il tempo. Erano
abituate alle
visite di Hades, specie ultimamente, in cui il Dio si era fatto
insistente.
Compariva spesso, per scoprire eventuali indizi su dove potesse
trovarsi
Eleonore, senza però ottenere nulla. Erano donne solitarie
ed anche in
quell’occasione non parlarono. Si limitarono a fissare Ares
ed Ipazia, con indifferenza.
Geras sedeva in un angolo, avvolta in pesanti mantelli,e fissava
distrattamente
il muro. Alzò lo sguardo, mostrando gli stessi occhi argento
di Thanatos.
“Fra voi c’è chi
subirà il mio tocco”
sussurrò, fissando Ipazia.
“Già”
confermò lei “Io sono una semidea e,
se la cosa non cambia, invecchierò e morirò. In
più tempo rispetto ad un
mortale normale, ma succederà. Dovrei parlarti,
posso?”.
“Certo, bambina. La gioventù
mai mi
rivolge la parola, perché mi vede come qualcosa di distante
ed astratto. Dimmi
pure..”.
Ipazia si avvicinò, mostrando un
notevole
coraggio, inginocchiandosi accanto alla Dea, come una nipotina accanto
alla
nonna che racconta una fiaba. Ares la guardo, non potendo rivolgere la
parola a
Geras. Hades sorrise, sempre più colpito da quella
fanciulla, e di risposta
ricevette una gomitata dal Dio della guerra.
“Sono preoccupata per mio zio
Phobos”
parlò Ipazia.
“Phobos..” rifletté
Geras “..fammi
pensare..ah, sì! Phobos!”.
“Indossalo” ordinò
Maya, una volta che
Tolomeo le porse il velo “Non avere paura”.
“Cosa mi succederà?”.
“Va a riprendere tuo padre. Io ti
guiderò..”.
Il ragazzo annuì ed indossò
il velo.
Subito davanti a sé apparve una forte luce.
Iniziò a camminare ed intorno si
formò un paesaggio sempre più dettagliato.
C’erano degli alberi e Tolomeo
camminò sull’erba.
“Papà?”
chiamò.
Di risposta, udì la risata di un
bambino.
Si guardò attorno e finalmente lo vide. Era un bimbo che
giocava vicino al
piccolo fiume, lanciandovi sassolini e sentendo il rumore che facevano.
Era
pericolosamente vicino al bordo ma Tolomeo intravide, nascosto fra gli
alberi,
una figura.
“Ares..” lo riconobbe.
Era stranamente con i capelli raccolti e
non vestiva da guerriero. Osservava attentamente quel bimbo, che non
rimase
solo a lungo. Dopo qualche istante lo raggiunse un altro bambino,
identico. Ed
allora Tolomeo capì: quelli erano suo padre e suo zio da
piccini! Ed Ares li
sorvegliava, attento che non si facessero male? Che cosa strana..
Il giovane fece per avvicinarsi e fece un
rumore. Il piccolo Saga si girò e gli sorrise.
Scoppiò a ridere e gli porse un
sassolino, invitandolo a lanciarlo nel fiume. Tolomeo
obbedì. Osservò ipnotizzato
le increspature dell’acqua e, quando rialzò lo
sguardo, si accorse che tutto
era cambiato. L’acqua non era più un fiume
bensì una fontana e si trovava in
mezzo ad una piazza gremita di gente. Si guardò attorno.
Dov’era finito? Si
incamminò lungo la strada lastricata e qualcuno
sfrecciò al suo fianco.
“Papà!” lo riconobbe.
Era un bambino, di qualche anno più
grande
di prima, ma era lui, ne era certo.
“Aspetta!” chiamò
ancora Tolomeo, ed
iniziò ad inseguirlo.
Fra la gente però era difficile seguire
quella figuretta, che conosceva bene le strade del posto. Per fortuna
la folla
si diradò e Tolomeo riuscì quasi a raggiungere il
piccolo, che però saltò e
sparì dietro quella che sembrava una ripida discesa. Il
ragazzo fece lo stesso
e sobbalzò, vedendo il nero sotto di sé.
Precipitò e, quando atterrò, capì
subito di essere all’anfiteatro del Tempio.
“Dov’è finito
adesso?” si chiese,
iniziando a scocciarsi.
Poi vide che colui che stava al centro
dell’anfiteatro era proprio suo padre, un bambino un
po’ malconcio che riceveva
l’armatura d’oro. Tolomeo capì che non
dovevano avere molti anni di differenza,
forse due o tre. Si stupì nel non vedere altri futuri
cavalieri ma poi si ricordò
che suo padre era il più anziano e, vista
l’età di quel bambino, all’epoca
Deathmask, Shura ed Aphrodite dovevano avere quattro o cinque anni. Il
bambino
si voltò, guardando in su. Tolomeo si girò nella
direzione in cui guardava il
padre ed intravide Kanon. I due fratelli si sorrisero e Tolomeo
riconobbe il
legame che lo avvicinava a sua sorella Ipazia, che chissà
che stava combinando
in quel momento! Si alzò di colpo un vento gelido, che
spazzò via la scena che
aveva davanti, rimpiazzandola con qualcosa di poco diverso. Ora
l’anfiteatro
era pieno e riuscì ad intravedere qualche altro futuro
cavaliere. Vide Aiolos,
con il fratellino, assieme a molti altri futuri saint. In cima
all’anfiteatro,
in disparte, vide suo padre. La gente lo vide arrivare e sorrise, lui
salutò
con un cenno, con un lieve sorriso. Tolomeo sentì
distintamente dire a più di
qualcuno “Lui sarà il futuro Gran
Sacerdote”. Poi apparve Shion, con fra le
mani un lungo bastone, che batté a terra. Quel gesto, che
provocò un gran
botto, fu accompagnato da un tuono ed iniziò a piovere. Il
giovane capì che la
scena era cambiata ancora, si era fatta più buia. Era
all’ingresso della
tredicesima e corse un po’, per proteggersi dalla pioggia. Da
lì, fra le
colonne, riuscì ad intravedere suo padre. Camminava
lentamente e Tolomeo lo
vide cadere a terra, in ginocchio, tenendosi la testa. Con le vesti da
Gran
Sacerdote, il figlio intuì che il genitore stava lottando
contro sé stesso in
quel momento. Lo vide piangere ma si riprese in fretta. Fra le sue dita
scintillava la daga d’oro che più volte Tolomeo
aveva sentito nominare: la daga
deicida! Suo padre stava andando ad uccidere Atena! Indeciso sul da
farsi, il
ragazzo non sapeva esattamente quanto potesse interferire. Poi prese
coraggio e
scattò, deciso ad intervenire. Fece solo pochi passi
però, prima che Aiolos gli
venisse addosso, spintonandolo. Il Sagittario stringeva fra le mani la
neonata
Atena e stava fuggendo lontano, inseguito dalla voce di Arles che lo
definiva
“traditore”. Dietro si sé, lasciava
tracce di sangue. Tolomeo si voltò verso
quella voce familiare, corse sotto la pioggia ed aprì la
porta. Davanti a sé
però non trovò la dimora di Atena
bensì la tredicesima. Suo padre sedeva sul
trono. Alzandosi, tolse la maschera e camminò lentamente
verso Tolomeo. Il
ragazzo rimase immobile, vedendolo mutare. La tunica del Sacerdote
cadde,
lasciando il posto all’armatura d’oro. Poi anche
questa cadde, mentre i capelli
del padre tornavano gradatamente blu e sul suo petto si formava una
cicatrice:
quella che ancora oggi aveva, provocata dal suicidio. Riapparve
l’armatura, che
si fece sempre più scura, divenendo surplice. Il paesaggio
sullo sfondo mutava
continuamente, così come mutava suo padre, mostrando la
guerra santa, il muro
del pianto e la battaglia contro Shaka. L’armatura
cambiò ancora, divenendo
quella rossa della stirpe di Ares. Alle sue spalle, Tolomeo vide
accadimenti di
cui aveva solo vagamente sentito parlare. Vide suo padre mentre si
sposava con
Eleonore e vide la morte di lei. Il matrimonio di Hades, Phobos,
Deimos, sua
madre Discordia, la guerra con i romani..poi divenne tutto bianco.
Davanti a sé
aveva solo suo padre, che lo fissava. In tutto quel percorso mai aveva
mutato
espressione. Tolomeo ne percepì un’indicibile
tristezza. Aveva compreso che
aveva vissuto un’illusione? Quello sguardo, stanco e triste,
era spento e
sconsolato. Vide una lacrima rigare il volto del padre ed allora il
figlio lo
strinse a sé.
“Era un’illusione ma ti
prometto che ti
aiuterò. Vieni con me, vieni a VIVERE finalmente!”.
Tolomeo sentiva tra le sue braccia la
fragilità del genitore, provato dagli anni appena trascorsi.
Lo sentì tremare e
non riuscì a reggerlo, mentre cadeva.
“Papà!”
chiamò e lo vide chiudere gli
occhi, mentre i suoi si spalancarono, tornando alla realtà.
“No!” gridò
“Ci ero riuscito! Che è
successo?!”.
“Temo che Shiva avesse ragione”
rispose
Maya, parlando piano “Il cuore di tuo padre non batte
più”.
“Esiste un modo”
spiegò Geras “Di
rallentare il processo. Purtroppo tuo zio è stato colpito
dalla daga deicida, e
questo ha in parte scalfito la sua immortalità. Ma
c’è un modo per riavere il
tempo e renderlo di nuovo immortale”.
“Come? Come faccio?”
domandò Ipazia,
impaziente.
“Devi andare da chi governa il tempo.
Facendo scorrere la sua sabbia, se il Dio te lo
permetterà”.
“Cronos? Colui che dai romani
è legato al
tempo?”.
“Sì, bambina. Colui che come
Romano ha
acquisito anche la possibilità di controllo sullo scorrere
delle ore. Se lo
vorrà, ti concederà questo piacere..”.
“Scordatelo!” interruppe Ares
“Cronos è un
sanguinario mangia bambini! Non ti ci manderò
mai!”.
“Non fa più queste
cose” lo interruppe
Geras “Ora è incatenato nelle
profondità del Tartaro e non può fare molto,
anche se il suo potere è immenso”.
“Allora..non è distante da
qui!” sorrise,
raggiante, Ipazia.
Si alzò, ringraziando Geras, e subito
corse, senza lasciare possibilità ad Ares o Hades di dire o
fare qualcosa.
Shiva vide Tolomeo sfrecciare fuori dalla
grotta, lo seguì solo qualche istante con lo sguardo e poi
tornò a concentrarsi
sui suoi avversari. Atena pareva non accorgersi dell’immensa
differenza di
potere fra lei, di una religione estinta, e Shiva. Kanon stava attento,
non
volendo di nuovo trovarsi con il tridente nel petto come con Poseidone.
Per
fortuna, in suo soccorso, giunsero altri abitanti del santuario e
divinità.
“Stai indietro, Phobos!”
ordinò Deimos
“Non sei in condizione”.
“Stai zitto! Non chiedo di meglio!
Crepare
in battaglia!”.
“Fratello..”.
“Zitto!”.
Incurante della debolezza di quel corpo
mortale, Phobos iniziò ad attaccare e Deimos lo
seguì. Dietro di loro apparve
il figlio di Ares ed Atena, mostrando che non aveva solo ereditato il
nome del
nonno ma anche qualche sua capacità, tirando fulmini.
Nonostante i colpi
combinati di Dei e cavalieri, Shiva respinse i colpi e
ghignò.
“La differenza fra me e voi è
la fede. Io
sono un Dio venerato, sarò sempre più forte di
voialtri” spiegò.
“Ma noi siamo in tanti!”
ribatté Atena.
“Anche noi..”.
Il sorriso di Shiva divenne ancora di
più
un ghigno, mentre le sue braccia si moltiplicavano, in una danza quasi
ipnotica.
L’enorme clessidra di Cronos si
mostrò
davanti agli occhi di Tolomeo. Di sfuggita, notò Tartaros e
Nix, che dimoravano
nel buio totale di quel luogo. Li guardò solo vagamente,
riconoscendo in lei la
madre di Hypnos, Thanatos e tutte le Astrazioni. L’enorme
Cronos se ne stava,
incatenato, al centro della sala.
“Sorella!” chiamò il
giovane, vedendo
Ipazia sulla cima
di quella clessidra.
“Tolomeo!”.
“Cosa fai lì?”.
“Storia lunga. E tu?”.
“Idem..”.
“So che ti porta qui..”
parlò Cronos, con
una voce profonda ed inquietante “..quanti ospiti, sono quasi
commosso. Come
dissi a tua sorella, il tempo che ti serve lo puoi ottenere grazie alla
sabbia
di quella clessidra. Prendila, se ci riesci”.
Tolomeo annuì, iniziando ad arrampicarsi
fin sulla cima dell’enorme oggetto, raggiungendo la sorella.
Con un gesto,
Cronos aveva scoperchiato leggermente la sua clessidra ed i due gemelli
ne
vedevano il contenuto.
“Ne basterà una manciata
soltanto”
continuò il Dio incatenato.
“Coraggio” annuì
Ipazia, chinandosi per
raggiungere la preziosa sabbia.
“Ti tengo io” la
rassicurò Tolomeo,
permettendole di scendere più in basso.
La clessidra però si scosse
violentemente
e Tolomeo barcollò ,senza però perdere la presa.
Sotto i suoi piedi, la base si
mosse. Poi, con un sussulto, fu sollevato e sobbalzato oltre il bordo.
Riuscì
ad ancorarsi al bordo con una mano, tenendo stretto la sorella con
l’altra.
“Non si può rubare il tempo,
ragazzini
incoscienti!” tuonò Cronos, facendo tremare ogni
cosa.
La base a cui si sorreggeva Tolomeo si
sgretolò ed i gemelli caddero, trovandosi immersi nella
sabbia.
“Ipazia! Tolomeo!”
chiamò Ares, d’un
tratto ricordando la profezia di Apollo che aveva parlato di sabbia.
I due sprofondavano rapidamente
nell’immensa clessidra ed il Dio della guerra non sapeva che
fare. Nel panico,
non trovò altra soluzione se non minacciare
l’enorme Cronos di lasciarli
andare. Ovviamente questi non obbedì e ridacchiò.
“Vi vengo a prendere!”
gridò allora Ares.
“Ares! Brutto coglione!” gli
urlò Hades
“Se tocchi quella sabbia invecchierai e morirai! Non si
può uscire da lì!”.
“Taci, menagramo!”.
Si arrampicò, ringhiando contro la
mancanza della sua armatura alata. Arrancò fino alla cima e
vide solo una mano
ormai fuori dalla sabbia. Fece per allungarsi verso di essa quando un
uomo
sfrecciò fuori proprio da quella sabbia. Sbilanciato, Ares
precipitò. Guardò in
su, meravigliato. Due enormi ali nere, simili a quelle di un drago,
sorreggevano quell’uomo dai capelli rossi che stringeva fra
le braccia una
donna priva di sensi. Atterrò a pochi passi dal Dio della
guerra e fissò
Cronos.
“Mi devi del tempo”
esclamò, rivolto
all’incatenato che non rispose subito.
“Mai nessuno era riuscito in
questo”
ammise, poi “Perciò..e sia! donerò il
tempo che entrambi chiedete”.
“Tolomeo?” azzardò
Ares, ancora seduto a
terra.
“Nonno” lo riconobbe lui
“Perché mi guardi
così?”.
Poi Tolomeo osservò la sorella, che
stringeva, e capì che il tempo era passato per entrambi.
Ipazia era una
splendida donna e quindi probabilmente lui ora era un uomo, con
scintillanti
occhi divini. Lei tossì un paio di volte, risvegliandosi.
“Dobbiamo rientrare”
esclamò Ares,
riprendendosi di colpo “Sta succedendo un casino al
Tempio”.
“Andiamo”.
Tolomeo spiccò il volo di nuovo, uscendo
rapidamente dal regno dagli Inferi. Una volta fuori, Ares
poté indossare
l’armatura e si librò in aria a sua volta, notando
con piacere che suo nipote
aveva ereditato la stessa bravura del padre nel volare.
“L’uomo drago e la donna lupo.
I miei
nipoti mi stupiscono ogni giorno di più!”
commentò, volando.
Phobos sobbalzò. Che gli stava
succedendo?
Si sentiva strano..si sentiva BENE! Si guardò le mani,
percependo un frizzo
dovuto all’ikor. Poi si toccò l’occhio,
che di colpo gli lanciò una scossa di
dolore. Quando scostò la mano, si accorse che si era
riaperto e ci vedeva.
Ghignò.
“Phobos! Sei di nuovo tu!”
esclamò Deimos,
notando lo sguardo rosso fiammeggiante del fratello.
“Sì, e sono pronto a spaccare
culi” rise
Phobos.
Nonostante il notevole potere dei due
gemelli ora al massimo, Shiva riusciva comunque a non farsi scalfire.
Solo
l’ennesima freccia lo colpì.
“Oh, che palle! Non sono un
puntaspilli!”
sbottò, girandosi e notando che a lanciarla non era stato
uno dei seguaci di
Atena.
“Krishna” lo riconobbe
“Vishnu..cosa ti fa
giungere fin qui per interrompere il mio divertimento?”.
“Adesso calmati” rispose
Krishna, il Dio
dalla pelle blu e l’arco “Non è successo
nulla, puoi anche placare la tua ira”.
“Quanto siete noiosi. Lo sapete che ho
bisogno di sfogarmi..”.
“C’è tua moglie per
questo..”.
“Ho bisogno di sangue. Questi hanno osato
sfidarmi..”.
“E tu cerca di essere superiore. Alla
fine
sei tu il venerato, non loro..”.
Ipazia sorrise. Sorretta dal fratello,
dall’alto
vedeva lo zio Phobos combattere come un tempo e ne fu felice. Anche Ares fu sollevato nel
vedere quella
scena, stupendosi di se stesso per questi strani attacchi.
“Chi è quello mezzo nudo con
la pelle blu?”
domandò il Dio della guerra.
“Shiva. È in collera per una
questione che
non sto a spiegarti” rispose Tolomeo.
“Ha qualcosa a che vedere con
Atena?”.
“Come sempre..in parte..”.
“Lo sapevo..”.
Atterrando, Ares si scagliò contro Shiva
che però lo ricacciò indietro, accanto ad Atena.
“Che vuole?” domando il Dio
della guerra “Conquistarci?”.
“No..veramente..”
mormorò lei, lievemente
in imbarazzo “..sono stata io ad attaccarlo per
prima”.
“E perché?!”.
“Lui ha..infranto la bacheca di
Arles”.
“Ha fatto cosa?!”.
Il Dio della guerra ricominciò subito ad
attaccare, ancor più pieno di rabbia. Lo seguirono i suoi
figli, tranne Kanon
che rimase vicino ad Atena. Altri suoi cavalieri la raggiunsero,
allarmati dal
trambusto, e si unirono alla lotta. Shiva trovò la cosa
alquanto noiosa. Alla fine,
quei mortali non facevano altro che infastidirlo e gli Dei solo
vagamente
ferirlo.
“Basta adesso, Shiva”
tuonò di nuovo la
voce di Krishna, che Shiva ignorò “Shakti non
approverebbe mai”.
“Non parliamo di mia moglie, adesso! E
fatti
gli affari tuoi”.
“Non costringermi a tirarti
un’altra
freccia”.
“Oro che so che sei lì, non mi
faccio
prendere alla sprovvista”.
“Ma sai bene che io con le frecce sono
bravo..”.
Il Dio ignorò il suo collega e
contrattaccò, muovendo tutte le braccia in un’onda
che travolse i presenti,
scagliandoli per varie parti. Ares gridò, furioso e
desideroso di dimostrare a
quell’indiano che pure lui sapeva fare male, se voleva.
“Non farai altro che
prenderle!” commentò
Kanon “Lui ha il potere della fede dalla sua parte, non lo
vincerai”.
“Ha infranto la teca di Arles!”.
“Su mia richiesta”.
“Che cosa?!”.
“Gli ho chiesto io di farlo! E lo
richiederei di nuovo!”.
“Traditore!”.
Ares si scagliò contro Kanon. Atena
indietreggiò, spaventata, mentre Ipazia e Tolomeo tentarono
invano di
separarli. Il tutto fra le risate di Shiva, che si divertiva sempre a
vedere la
gente litigare.
“Chiedo perdono..tutto questo casino per
me..” parlò Krishna.
“Ma che dici?”
ghignò Shiva, girandosi.
Krishna..c’era qualcosa di diverso..lo
osservò un po’ meglio
e si stupì.
“Illusione!” esclamò
e Krishna si dissolse
“Maya!”.
Voltandosi verso la grotta, Shiva vide che
al suo ingresso stava proprio Maya, avvolta di luce oro. Ma non era
sola. Al suo
fianco, un uomo dai lunghi capelli neri osservava la scena, sorridendo.
“Me l’hai fatta,
Maya” commentò l’indiano.
“Non da sola, vero Arles?”.
Alla parola “Arles”, Kanon ed
Ares smisero
di azzuffarsi e tutti si voltarono verso la grotta.
“Shiva..” riprese Maya
“..calmati”.
“Se sei tu a chiederlo..”
scherzò il Dio, avvicinandosi
e sfiorando Arles con una mano “Evidentemente mi sbagliavo.
Qualcosa ti ha
spinto a rimanere in vita. Non so cosa sia ma..spero non getterai alle
ortiche
la nuova opportunità che hai. E spero che non ricadrai nelle
tue stesse
illusioni come un coglione..”.
“Ora controlla il suo potere
perfettamente”
assicurò Maya.
“Ma potrebbe scegliere di ricaderci
spontaneamente”.
La Dea fissò Arles qualche istante.
Probabilmente
c’era quel rischio ma era certa che ora vi erano molte
persone disposte ad
aiutarlo a scongiurare quel pericolo.
“Andiamo a casa, Maya”
invitò Shiva,
porgendole la mano.
La Dea scosse la testa, spiegando che
aveva ancora qualche cosa da fare. Ma assicurò il Dio che
sarebbe tornata
presto. Shiva alzò le spalle, non capendo perché
perdesse tempo in posti tanto
noiosi.
Una volta che Shiva se ne fu andato, Ares
fu il primo a raggiungere il figlio, che lo fissò senza
aprire bocca.
“Hai dei figli davvero in gamba. Tolomeo
ti ha salvato e Ipazia ha aiutato Phobos. Spero che te ne ricorderai,
nel caso
ti venisse in mente di infilarti in un’altra illusione senza
uscita” gli disse.
“Sei stata tu ad a ridarmi
l’immortalità?”
si stupì Phobos, fissando la nipote.
“Sì..” ammise lei,
sorridendo.
“Non so come tu abbia fatto e cosa ti sia
successo ma..”.
“Niente piagnistei. Batti il cinque, e
siamo pari”.
Phobos rise ed Arles fissò i ragazzi,
confuso.
“Papà!”
salutò Tolomeo “Sono il tuo
primogenito. È fantastico vederti in piedi”.
“Tu..” mormorò
finalmente Arles “..mi hai
risvegliato dall’illusione”.
“Già. Mi spiace se magari
preferivi
rimanerci..”.
“Ah, no. Era giusto che ne uscissi
però..sei
così grande..”.
“La clessidra di Cronos ha accelerato un
po’ le cose. Meglio, no? Almeno così riesco ad
indossare l’armatura senza
sembrare ridicolo. Anche se..dovrai insegnarmi come ci si
rade!”.
“Ed i tuoi occhi..ricordavo lo sguardo di
vostra madre..”.
“No, io ed Ipazia abbiamo sempre avuto
gli
occhi tuoi, papà”.
Arles sorrise, sfiorandosi la testa con
una mano.
“Qualcosa non va?” si
preoccupò Ipazia.
“Sono stanco” ammise Arles
“E piuttosto
confuso”.
“Normale” lo
rassicurò Ares “Non so
nemmeno come tu faccia a stare in piedi..”.
“Non sto in piedi. Sto
fluttuando..”.
“Ah..vero..”.
Appena provò a toccare terra con i piedi
scalzi, Arles barcollò e fu Tolomeo a prenderlo al volo.
Forte abbastanza per
fare questo ed altro, il giovane sorrise soddisfatto.
“Ti portiamo in un posto sicuro dove
riposare e magari mangiare un boccone” commentò.
“Grazie” annuì
Arles,percependo solo ora
di avere qualcosa fra le mani.
Aprì il pugno e riconobbe
l’anello di
Eleonore, stupendosi nel vederlo.
“Me lo ha dato”
spiegò Tolomeo “Per te..mi
ha guidato ed aiutato”.
“Lei sta bene?”.
“Non lo sappiamo. È scomparsa.
Hades l’ha
fatta cercare ovunque ma senza risultato”.
“Eleonore scomparsa?”.
Arles tornò a fissare
l’anello: brillava ancora.
“Lei è viva, ne sono certo. La
troverò..ecco
come userò la mia nuova vita”.
“Non dire minchiate!”
sbottò Ares “Hades
ti ucciderà all’istante se osi
avvicinarti”.
“Ho detto che la troverò, non
che me la
porterò a letto! La troverò e la
riporterò al sicuro”.
“E se si è allontanata
volontariamente?”.
“Mi basterà sapere che
è felice. La
ringrazierò, per aver aiutato mio figlio, e la
lascerò vivere la sua vita. Sono
passati tanti anni, non mi aspetto di certo il lieto fine da favoletta
adolescenziale”.
“Come vuoi..”.
Ares non era convinto, ma era inutile
discutere adesso. Arles non era in condizioni di andarsene a spasso a
cercare
la sua bella e così sarebbe stato per un po’.
L’unica sua preoccupazione era
che potesse cercare di immergersi di nuovo in strane illusioni.
“Sarà meglio
sorvegliarlo” disse a Phobos
e Deimos, mentre Tolomeo ed Ipazia si allontanavano con il padre.
“Ci penso io. A costo di legarlo al
letto”
rassicurò Kanon, stanco di fare i salti mortali per quel
fratello dal cervello
ballerino.