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Autore: SagaFrirry    25/08/2015    1 recensioni
Seguito dell'Olympus Chapter, caricato qualche mese fa e che in principio non doveva avere un seguito. Visti però i numerosi fan (vi voglio bene, davvero) e le richieste..l'Olympus è tornato! Spero sia gradito a chi ha seguito il primo racconto. Inizia il viaggio alla ricerca del senno perduto di Arles!E ovviamente possiamo farci mancare una buona dose di nemici? Certo che no!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gemini Kanon, Gemini Saga, Gold Saints, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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VIII

 

SCORRE LA SABBIA

 

Le tre parche tessevano ed intrecciavano i fili dell’esistenza, recidendoli quando era il tempo. Erano abituate alle visite di Hades, specie ultimamente, in cui il Dio si era fatto insistente. Compariva spesso, per scoprire eventuali indizi su dove potesse trovarsi Eleonore, senza però ottenere nulla. Erano donne solitarie ed anche in quell’occasione non parlarono. Si limitarono a fissare Ares ed Ipazia, con indifferenza. Geras sedeva in un angolo, avvolta in pesanti mantelli,e fissava distrattamente il muro. Alzò lo sguardo, mostrando gli stessi occhi argento di Thanatos.

“Fra voi c’è chi subirà il mio tocco” sussurrò, fissando Ipazia.

“Già” confermò lei “Io sono una semidea e, se la cosa non cambia, invecchierò e morirò. In più tempo rispetto ad un mortale normale, ma succederà. Dovrei parlarti, posso?”.

“Certo, bambina. La gioventù mai mi rivolge la parola, perché mi vede come qualcosa di distante ed astratto. Dimmi pure..”.

Ipazia si avvicinò, mostrando un notevole coraggio, inginocchiandosi accanto alla Dea, come una nipotina accanto alla nonna che racconta una fiaba. Ares la guardo, non potendo rivolgere la parola a Geras. Hades sorrise, sempre più colpito da quella fanciulla, e di risposta ricevette una gomitata dal Dio della guerra.

“Sono preoccupata per mio zio Phobos” parlò Ipazia.

“Phobos..” rifletté Geras “..fammi pensare..ah, sì! Phobos!”.

 

“Indossalo” ordinò Maya, una volta che Tolomeo le porse il velo “Non avere paura”.

“Cosa mi succederà?”.

“Va a riprendere tuo padre. Io ti guiderò..”.

Il ragazzo annuì ed indossò il velo. Subito davanti a sé apparve una forte luce. Iniziò a camminare ed intorno si formò un paesaggio sempre più dettagliato. C’erano degli alberi e Tolomeo camminò sull’erba.

“Papà?” chiamò.

Di risposta, udì la risata di un bambino. Si guardò attorno e finalmente lo vide. Era un bimbo che giocava vicino al piccolo fiume, lanciandovi sassolini e sentendo il rumore che facevano. Era pericolosamente vicino al bordo ma Tolomeo intravide, nascosto fra gli alberi, una figura.

“Ares..” lo riconobbe.

Era stranamente con i capelli raccolti e non vestiva da guerriero. Osservava attentamente quel bimbo, che non rimase solo a lungo. Dopo qualche istante lo raggiunse un altro bambino, identico. Ed allora Tolomeo capì: quelli erano suo padre e suo zio da piccini! Ed Ares li sorvegliava, attento che non si facessero male? Che cosa strana..

Il giovane fece per avvicinarsi e fece un rumore. Il piccolo Saga si girò e gli sorrise. Scoppiò a ridere e gli porse un sassolino, invitandolo a lanciarlo nel fiume. Tolomeo obbedì. Osservò ipnotizzato le increspature dell’acqua e, quando rialzò lo sguardo, si accorse che tutto era cambiato. L’acqua non era più un fiume bensì una fontana e si trovava in mezzo ad una piazza gremita di gente. Si guardò attorno. Dov’era finito? Si incamminò lungo la strada lastricata e qualcuno sfrecciò al suo fianco.

“Papà!” lo riconobbe.

Era un bambino, di qualche anno più grande di prima, ma era lui, ne era certo.

“Aspetta!” chiamò ancora Tolomeo, ed iniziò ad inseguirlo.

Fra la gente però era difficile seguire quella figuretta, che conosceva bene le strade del posto. Per fortuna la folla si diradò e Tolomeo riuscì quasi a raggiungere il piccolo, che però saltò e sparì dietro quella che sembrava una ripida discesa. Il ragazzo fece lo stesso e sobbalzò, vedendo il nero sotto di sé. Precipitò e, quando atterrò, capì subito di essere all’anfiteatro del Tempio.

“Dov’è finito adesso?” si chiese, iniziando a scocciarsi.

Poi vide che colui che stava al centro dell’anfiteatro era proprio suo padre, un bambino un po’ malconcio che riceveva l’armatura d’oro. Tolomeo capì che non dovevano avere molti anni di differenza, forse due o tre. Si stupì nel non vedere altri futuri cavalieri ma poi si ricordò che suo padre era il più anziano e, vista l’età di quel bambino, all’epoca Deathmask, Shura ed Aphrodite dovevano avere quattro o cinque anni. Il bambino si voltò, guardando in su. Tolomeo si girò nella direzione in cui guardava il padre ed intravide Kanon. I due fratelli si sorrisero e Tolomeo riconobbe il legame che lo avvicinava a sua sorella Ipazia, che chissà che stava combinando in quel momento! Si alzò di colpo un vento gelido, che spazzò via la scena che aveva davanti, rimpiazzandola con qualcosa di poco diverso. Ora l’anfiteatro era pieno e riuscì ad intravedere qualche altro futuro cavaliere. Vide Aiolos, con il fratellino, assieme a molti altri futuri saint. In cima all’anfiteatro, in disparte, vide suo padre. La gente lo vide arrivare e sorrise, lui salutò con un cenno, con un lieve sorriso. Tolomeo sentì distintamente dire a più di qualcuno “Lui sarà il futuro Gran Sacerdote”. Poi apparve Shion, con fra le mani un lungo bastone, che batté a terra. Quel gesto, che provocò un gran botto, fu accompagnato da un tuono ed iniziò a piovere. Il giovane capì che la scena era cambiata ancora, si era fatta più buia. Era all’ingresso della tredicesima e corse un po’, per proteggersi dalla pioggia. Da lì, fra le colonne, riuscì ad intravedere suo padre. Camminava lentamente e Tolomeo lo vide cadere a terra, in ginocchio, tenendosi la testa. Con le vesti da Gran Sacerdote, il figlio intuì che il genitore stava lottando contro sé stesso in quel momento. Lo vide piangere ma si riprese in fretta. Fra le sue dita scintillava la daga d’oro che più volte Tolomeo aveva sentito nominare: la daga deicida! Suo padre stava andando ad uccidere Atena! Indeciso sul da farsi, il ragazzo non sapeva esattamente quanto potesse interferire. Poi prese coraggio e scattò, deciso ad intervenire. Fece solo pochi passi però, prima che Aiolos gli venisse addosso, spintonandolo. Il Sagittario stringeva fra le mani la neonata Atena e stava fuggendo lontano, inseguito dalla voce di Arles che lo definiva “traditore”. Dietro si sé, lasciava tracce di sangue. Tolomeo si voltò verso quella voce familiare, corse sotto la pioggia ed aprì la porta. Davanti a sé però non trovò la dimora di Atena bensì la tredicesima. Suo padre sedeva sul trono. Alzandosi, tolse la maschera e camminò lentamente verso Tolomeo. Il ragazzo rimase immobile, vedendolo mutare. La tunica del Sacerdote cadde, lasciando il posto all’armatura d’oro. Poi anche questa cadde, mentre i capelli del padre tornavano gradatamente blu e sul suo petto si formava una cicatrice: quella che ancora oggi aveva, provocata dal suicidio. Riapparve l’armatura, che si fece sempre più scura, divenendo surplice. Il paesaggio sullo sfondo mutava continuamente, così come mutava suo padre, mostrando la guerra santa, il muro del pianto e la battaglia contro Shaka. L’armatura cambiò ancora, divenendo quella rossa della stirpe di Ares. Alle sue spalle, Tolomeo vide accadimenti di cui aveva solo vagamente sentito parlare. Vide suo padre mentre si sposava con Eleonore e vide la morte di lei. Il matrimonio di Hades, Phobos, Deimos, sua madre Discordia, la guerra con i romani..poi divenne tutto bianco. Davanti a sé aveva solo suo padre, che lo fissava. In tutto quel percorso mai aveva mutato espressione. Tolomeo ne percepì un’indicibile tristezza. Aveva compreso che aveva vissuto un’illusione? Quello sguardo, stanco e triste, era spento e sconsolato. Vide una lacrima rigare il volto del padre ed allora il figlio lo strinse a sé.

“Era un’illusione ma ti prometto che ti aiuterò. Vieni con me, vieni a VIVERE finalmente!”.

Tolomeo sentiva tra le sue braccia la fragilità del genitore, provato dagli anni appena trascorsi. Lo sentì tremare e non riuscì a reggerlo, mentre cadeva.

“Papà!” chiamò e lo vide chiudere gli occhi, mentre i suoi si spalancarono, tornando alla realtà.

“No!” gridò “Ci ero riuscito! Che è successo?!”.

“Temo che Shiva avesse ragione” rispose Maya, parlando piano “Il cuore di tuo padre non batte più”.

 

“Esiste un modo” spiegò Geras “Di rallentare il processo. Purtroppo tuo zio è stato colpito dalla daga deicida, e questo ha in parte scalfito la sua immortalità. Ma c’è un modo per riavere il tempo e renderlo di nuovo immortale”.

“Come? Come faccio?” domandò Ipazia, impaziente.

“Devi andare da chi governa il tempo. Facendo scorrere la sua sabbia, se il Dio te lo permetterà”.

“Cronos? Colui che dai romani è legato al tempo?”.

“Sì, bambina. Colui che come Romano ha acquisito anche la possibilità di controllo sullo scorrere delle ore. Se lo vorrà, ti concederà questo piacere..”.

“Scordatelo!” interruppe Ares “Cronos è un sanguinario mangia bambini! Non ti ci manderò mai!”.

“Non fa più queste cose” lo interruppe Geras “Ora è incatenato nelle profondità del Tartaro e non può fare molto, anche se il suo potere è immenso”.

“Allora..non è distante da qui!” sorrise, raggiante, Ipazia.

Si alzò, ringraziando Geras, e subito corse, senza lasciare possibilità ad Ares o Hades di dire o fare qualcosa.

 

Shiva vide Tolomeo sfrecciare fuori dalla grotta, lo seguì solo qualche istante con lo sguardo e poi tornò a concentrarsi sui suoi avversari. Atena pareva non accorgersi dell’immensa differenza di potere fra lei, di una religione estinta, e Shiva. Kanon stava attento, non volendo di nuovo trovarsi con il tridente nel petto come con Poseidone. Per fortuna, in suo soccorso, giunsero altri abitanti del santuario e divinità.

“Stai indietro, Phobos!” ordinò Deimos “Non sei in condizione”.

“Stai zitto! Non chiedo di meglio! Crepare in battaglia!”.

“Fratello..”.

“Zitto!”.

Incurante della debolezza di quel corpo mortale, Phobos iniziò ad attaccare e Deimos lo seguì. Dietro di loro apparve il figlio di Ares ed Atena, mostrando che non aveva solo ereditato il nome del nonno ma anche qualche sua capacità, tirando fulmini. Nonostante i colpi combinati di Dei e cavalieri, Shiva respinse i colpi e ghignò.

“La differenza fra me e voi è la fede. Io sono un Dio venerato, sarò sempre più forte di voialtri” spiegò.

“Ma noi siamo in tanti!” ribatté Atena.

“Anche noi..”.

Il sorriso di Shiva divenne ancora di più un ghigno, mentre le sue braccia si moltiplicavano, in una danza quasi ipnotica.

 

L’enorme clessidra di Cronos si mostrò davanti agli occhi di Tolomeo. Di sfuggita, notò Tartaros e Nix, che dimoravano nel buio totale di quel luogo. Li guardò solo vagamente, riconoscendo in lei la madre di Hypnos, Thanatos e tutte le Astrazioni. L’enorme Cronos se ne stava, incatenato, al centro della sala.

“Sorella!” chiamò il giovane, vedendo Ipazia  sulla cima di quella clessidra.

“Tolomeo!”.

“Cosa fai lì?”.

“Storia lunga. E tu?”.

“Idem..”.

“So che ti porta qui..” parlò Cronos, con una voce profonda ed inquietante “..quanti ospiti, sono quasi commosso. Come dissi a tua sorella, il tempo che ti serve lo puoi ottenere grazie alla sabbia di quella clessidra. Prendila, se ci riesci”.

Tolomeo annuì, iniziando ad arrampicarsi fin sulla cima dell’enorme oggetto, raggiungendo la sorella. Con un gesto, Cronos aveva scoperchiato leggermente la sua clessidra ed i due gemelli ne vedevano il contenuto.

“Ne basterà una manciata soltanto” continuò il Dio incatenato.

“Coraggio” annuì Ipazia, chinandosi per raggiungere la preziosa sabbia.

“Ti tengo io” la rassicurò Tolomeo, permettendole di scendere più in basso.

La clessidra però si scosse violentemente e Tolomeo barcollò ,senza però perdere la presa. Sotto i suoi piedi, la base si mosse. Poi, con un sussulto, fu sollevato e sobbalzato oltre il bordo. Riuscì ad ancorarsi al bordo con una mano, tenendo stretto la sorella con l’altra.

“Non si può rubare il tempo, ragazzini incoscienti!” tuonò Cronos, facendo tremare ogni cosa.

La base a cui si sorreggeva Tolomeo si sgretolò ed i gemelli caddero, trovandosi immersi nella sabbia.

“Ipazia! Tolomeo!” chiamò Ares, d’un tratto ricordando la profezia di Apollo che aveva parlato di sabbia.

I due sprofondavano rapidamente nell’immensa clessidra ed il Dio della guerra non sapeva che fare. Nel panico, non trovò altra soluzione se non minacciare l’enorme Cronos di lasciarli andare. Ovviamente questi non obbedì e ridacchiò.

“Vi vengo a prendere!” gridò allora Ares.

“Ares! Brutto coglione!” gli urlò Hades “Se tocchi quella sabbia invecchierai e morirai! Non si può uscire da lì!”.

“Taci, menagramo!”.

Si arrampicò, ringhiando contro la mancanza della sua armatura alata. Arrancò fino alla cima e vide solo una mano ormai fuori dalla sabbia. Fece per allungarsi verso di essa quando un uomo sfrecciò fuori proprio da quella sabbia. Sbilanciato, Ares precipitò. Guardò in su, meravigliato. Due enormi ali nere, simili a quelle di un drago, sorreggevano quell’uomo dai capelli rossi che stringeva fra le braccia una donna priva di sensi. Atterrò a pochi passi dal Dio della guerra e fissò Cronos.

“Mi devi del tempo” esclamò, rivolto all’incatenato che non rispose subito.

“Mai nessuno era riuscito in questo” ammise, poi “Perciò..e sia! donerò il tempo che entrambi chiedete”.

“Tolomeo?” azzardò Ares, ancora seduto a terra.

“Nonno” lo riconobbe lui “Perché mi guardi così?”.

Poi Tolomeo osservò la sorella, che stringeva, e capì che il tempo era passato per entrambi. Ipazia era una splendida donna e quindi probabilmente lui ora era un uomo, con scintillanti occhi divini. Lei tossì un paio di volte, risvegliandosi.

“Dobbiamo rientrare” esclamò Ares, riprendendosi di colpo “Sta succedendo un casino al Tempio”.

“Andiamo”.

Tolomeo spiccò il volo di nuovo, uscendo rapidamente dal regno dagli Inferi. Una volta fuori, Ares poté indossare l’armatura e si librò in aria a sua volta, notando con piacere che suo nipote aveva ereditato la stessa bravura del padre nel volare.

“L’uomo drago e la donna lupo. I miei nipoti mi stupiscono ogni giorno di più!” commentò, volando.

 

Phobos sobbalzò. Che gli stava succedendo? Si sentiva strano..si sentiva BENE! Si guardò le mani, percependo un frizzo dovuto all’ikor. Poi si toccò l’occhio, che di colpo gli lanciò una scossa di dolore. Quando scostò la mano, si accorse che si era riaperto e ci vedeva. Ghignò.

“Phobos! Sei di nuovo tu!” esclamò Deimos, notando lo sguardo rosso fiammeggiante del fratello.

“Sì, e sono pronto a spaccare culi” rise Phobos.

Nonostante il notevole potere dei due gemelli ora al massimo, Shiva riusciva comunque a non farsi scalfire. Solo l’ennesima freccia lo colpì.

“Oh, che palle! Non sono un puntaspilli!” sbottò, girandosi e notando che a lanciarla non era stato uno dei seguaci di Atena.

“Krishna” lo riconobbe “Vishnu..cosa ti fa giungere fin qui per interrompere il mio divertimento?”.

“Adesso calmati” rispose Krishna, il Dio dalla pelle blu e l’arco “Non è successo nulla, puoi anche placare la tua ira”.

“Quanto siete noiosi. Lo sapete che ho bisogno di sfogarmi..”.

“C’è tua moglie per questo..”.

“Ho bisogno di sangue. Questi hanno osato sfidarmi..”.

“E tu cerca di essere superiore. Alla fine sei tu il venerato, non loro..”.

 

Ipazia sorrise. Sorretta dal fratello, dall’alto vedeva lo zio Phobos combattere come un tempo e ne fu felice.  Anche Ares fu sollevato nel vedere quella scena, stupendosi di se stesso per questi strani attacchi.

“Chi è quello mezzo nudo con la pelle blu?” domandò il Dio della guerra.

“Shiva. È in collera per una questione che non sto a spiegarti” rispose Tolomeo.

“Ha qualcosa a che vedere con Atena?”.

“Come sempre..in parte..”.

“Lo sapevo..”.

Atterrando, Ares si scagliò contro Shiva che però lo ricacciò indietro, accanto ad Atena.

“Che vuole?” domando il Dio della guerra “Conquistarci?”.

“No..veramente..” mormorò lei, lievemente in imbarazzo “..sono stata io ad attaccarlo per prima”.

“E perché?!”.

“Lui ha..infranto la bacheca di Arles”.

“Ha fatto cosa?!”.

Il Dio della guerra ricominciò subito ad attaccare, ancor più pieno di rabbia. Lo seguirono i suoi figli, tranne Kanon che rimase vicino ad Atena. Altri suoi cavalieri la raggiunsero, allarmati dal trambusto, e si unirono alla lotta. Shiva trovò la cosa alquanto noiosa. Alla fine, quei mortali non facevano altro che infastidirlo e gli Dei solo vagamente ferirlo.

“Basta adesso, Shiva” tuonò di nuovo la voce di Krishna, che Shiva ignorò “Shakti non approverebbe mai”.

“Non parliamo di mia moglie, adesso! E fatti gli affari tuoi”.

“Non costringermi a tirarti un’altra freccia”.

“Oro che so che sei lì, non mi faccio prendere alla sprovvista”.

“Ma sai bene che io con le frecce sono bravo..”.

Il Dio ignorò il suo collega e contrattaccò, muovendo tutte le braccia in un’onda che travolse i presenti, scagliandoli per varie parti. Ares gridò, furioso e desideroso di dimostrare a quell’indiano che pure lui sapeva fare male, se voleva.

“Non farai altro che prenderle!” commentò Kanon “Lui ha il potere della fede dalla sua parte, non lo vincerai”.

“Ha infranto la teca di Arles!”.

“Su mia richiesta”.

“Che cosa?!”.

“Gli ho chiesto io di farlo! E lo richiederei di nuovo!”.

“Traditore!”.

Ares si scagliò contro Kanon. Atena indietreggiò, spaventata, mentre Ipazia e Tolomeo tentarono invano di separarli. Il tutto fra le risate di Shiva, che si divertiva sempre a vedere la gente litigare.

“Chiedo perdono..tutto questo casino per me..” parlò Krishna.

“Ma che dici?” ghignò Shiva, girandosi.

Krishna..c’era qualcosa di diverso..lo osservò un po’ meglio  e si stupì.

“Illusione!” esclamò e Krishna si dissolse “Maya!”.

Voltandosi verso la grotta, Shiva vide che al suo ingresso stava proprio Maya, avvolta di luce oro. Ma non era sola. Al suo fianco, un uomo dai lunghi capelli neri osservava la scena, sorridendo.

“Me l’hai fatta, Maya” commentò l’indiano.

“Non da sola, vero Arles?”.

Alla parola “Arles”, Kanon ed Ares smisero di azzuffarsi e tutti si voltarono verso la grotta.

“Shiva..” riprese Maya “..calmati”.

“Se sei tu a chiederlo..” scherzò il Dio, avvicinandosi e sfiorando Arles con una mano “Evidentemente mi sbagliavo. Qualcosa ti ha spinto a rimanere in vita. Non so cosa sia ma..spero non getterai alle ortiche la nuova opportunità che hai. E spero che non ricadrai nelle tue stesse illusioni come un coglione..”.

“Ora controlla il suo potere perfettamente” assicurò Maya.

“Ma potrebbe scegliere di ricaderci spontaneamente”.

La Dea fissò Arles qualche istante. Probabilmente c’era quel rischio ma era certa che ora vi erano molte persone disposte ad aiutarlo a scongiurare quel pericolo.

“Andiamo a casa, Maya” invitò Shiva, porgendole la mano.

La Dea scosse la testa, spiegando che aveva ancora qualche cosa da fare. Ma assicurò il Dio che sarebbe tornata presto. Shiva alzò le spalle, non capendo perché perdesse tempo in posti tanto noiosi.

Una volta che Shiva se ne fu andato, Ares fu il primo a raggiungere il figlio, che lo fissò senza aprire bocca.

“Hai dei figli davvero in gamba. Tolomeo ti ha salvato e Ipazia ha aiutato Phobos. Spero che te ne ricorderai, nel caso ti venisse in mente di infilarti in un’altra illusione senza uscita” gli disse.

“Sei stata tu ad a ridarmi l’immortalità?” si stupì Phobos, fissando la nipote.

“Sì..” ammise lei, sorridendo.

“Non so come tu abbia fatto e cosa ti sia successo ma..”.

“Niente piagnistei. Batti il cinque, e siamo pari”.

Phobos rise ed Arles fissò i ragazzi, confuso.

“Papà!” salutò Tolomeo “Sono il tuo primogenito. È fantastico vederti in piedi”.

“Tu..” mormorò finalmente Arles “..mi hai risvegliato dall’illusione”.

“Già. Mi spiace se magari preferivi rimanerci..”.

“Ah, no. Era giusto che ne uscissi però..sei così grande..”.

“La clessidra di Cronos ha accelerato un po’ le cose. Meglio, no? Almeno così riesco ad indossare l’armatura senza sembrare ridicolo. Anche se..dovrai insegnarmi come ci si rade!”.

“Ed i tuoi occhi..ricordavo lo sguardo di vostra madre..”.

“No, io ed Ipazia abbiamo sempre avuto gli occhi tuoi, papà”.

Arles sorrise, sfiorandosi la testa con una mano.

“Qualcosa non va?” si preoccupò Ipazia.

“Sono stanco” ammise Arles “E piuttosto confuso”.

“Normale” lo rassicurò Ares “Non so nemmeno come tu faccia a stare in piedi..”.

“Non sto in piedi. Sto fluttuando..”.

“Ah..vero..”.

Appena provò a toccare terra con i piedi scalzi, Arles barcollò e fu Tolomeo a prenderlo al volo. Forte abbastanza per fare questo ed altro, il giovane sorrise soddisfatto.

“Ti portiamo in un posto sicuro dove riposare e magari mangiare un boccone” commentò.

“Grazie” annuì Arles,percependo solo ora di avere qualcosa fra le mani.

Aprì il pugno e riconobbe l’anello di Eleonore, stupendosi nel vederlo.

“Me lo ha dato” spiegò Tolomeo “Per te..mi ha guidato ed aiutato”.

“Lei sta bene?”.

“Non lo sappiamo. È scomparsa. Hades l’ha fatta cercare ovunque ma senza risultato”.

“Eleonore scomparsa?”.

Arles tornò a fissare l’anello: brillava ancora.

“Lei è viva, ne sono certo. La troverò..ecco come userò la mia nuova vita”.

“Non dire minchiate!” sbottò Ares “Hades ti ucciderà all’istante se osi avvicinarti”.

“Ho detto che la troverò, non che me la porterò a letto! La troverò e la riporterò al sicuro”.

“E se si è allontanata volontariamente?”.

“Mi basterà sapere che è felice. La ringrazierò, per aver aiutato mio figlio, e la lascerò vivere la sua vita. Sono passati tanti anni, non mi aspetto di certo il lieto fine da favoletta adolescenziale”.

“Come vuoi..”.

Ares non era convinto, ma era inutile discutere adesso. Arles non era in condizioni di andarsene a spasso a cercare la sua bella e così sarebbe stato per un po’. L’unica sua preoccupazione era che potesse cercare di immergersi di nuovo in strane illusioni.

“Sarà meglio sorvegliarlo” disse a Phobos e Deimos, mentre Tolomeo ed Ipazia si allontanavano con il padre.

“Ci penso io. A costo di legarlo al letto” rassicurò Kanon, stanco di fare i salti mortali per quel fratello dal cervello ballerino.

   
 
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