La morte peggiore è la vita.
Sono nata, sono cresciuta e ora ho pure una bambina.
La mia stella, quella caduta dal cielo a illuminarmi la vita, che mi fa luce appena entro in un vicolo buio, che mi fa ricordare la via da seguire. La mia unica ragione di vita.
Ora mi tira il vestito e mi chiede incessantemente di comprarle un gelato; annuisco con la testa e la sorrido. Lei comincia a esclamare dalla gioia. Le prendo la mano e ci incamminiamo verso il carretto dei gelati, lei saltella felice, senza preoccupazioni.
Anch'io mi
sento felice
quando sono con lei.
Si ferma e mi guarda
negli occhi "Mamma, perchè
papà non è venuto con noi?" dice dispiaciuta.
Già papà, l'unico dispiacere della mia vita. Non so come ho fatto a non capire com'era veramente, che non mi amava veramente.
Quando ha cominciato a picchiarmi ho cercato di scappare la notte,insieme alla mia bambina... ma lui mi aveva scoperto e aveva giurato che avrebbe ucciso la bambina se avrei provato un'altra volta a fuggire.
Sa sempre dove sono, non
posso rischiare, sono
costretta a vivere con quel bastardo fino a quando non
troverò il coraggio di
ucciderlo io stessa.
"Papà doveva
lavorare, Sonia" dissi
cercando di avere un tono disinvolto.
"Ah, va bene" disse
triste.
"Non essere triste
stellina, ora ci compriamo il
gelato e andiamo al laghetto a dare da mangiare alle anatre, ti va?"
Il sorriso le si
stampò sul volto "Si, mi
va." disse tutta entusiasta.
Arrivammo davanti al
carretto dei gelati, mi lasciò
la mano e corse contro il gelataio. L'uomo la sorrise, la raggiunsi
subito.
"Che gusto vuoi?" disse
il gelataio molto
gentilmente.
"Io voglio la fragola e
la panna!" disse
tutta eccittata Sonia.
"Certo signorina"
preparò in un attimo il
cono "Ecco il tuo gelato!" disse l'uomo porgendo il cono a Sonia.
"Grazie" disse lei e gli
fece un sorriso a
trentadue denti.
Pagai il conto e presi di nuovo la mano a Sonia. Come amavo la sua innocenza, la sua voglia di giocare, di vivere. L'infanzia, che bel periodo da vivere. Leccava felice il suo gelato e si guardava intorno curiosa del mondo che la circondava. Il laghetto era poco distante, ci arrivammo in due minuti. Lei si accovacciò davanti alla sponda e guardava le anatre che si muovevano sull'acqua.
Corse verso di me, ero
seduta su una panchina a
guardare la mia stellina che rideva spensierata.
"Mamma mamma, mi dai del
pane per le
anatre!" mi disse agitata.
Le sorrisi "Certo amore"
estrassi dalla
borsetta un panino avvolto in una tovaglia, gliene porsi un pezzo.
"Siiiii" urlò lei. Si accostò di nuovo alla riva e incominciò a tirare pezzi di pane in acqua. Le anatre si azzuffavano per quelle molliche di pane. Sonia rideva vedendo quelle scene buffe, quella risata che adoravo.
Ballava davanti al laghetto e continuava a lanciare molliche e rideva, ballava, lanciava molliche e rideva. Delle azioni talmente semplici ma così divertenti per mia figlia, lei mi faceva scordare mio marito, le notti passate a piangere e gemere.
Oramai le cicatrici e i lividi non li contavo più, e pure mia figlia si era abitauta a vedermi piangere senza sapere il perchè; si sdraiava affianco a me e mi accarezzava la guancia mentre singhiozzavo. E' più forte di me, è il mio sostegno.
Erano già le
5 e mezza e il sole cominciava a calare,
dovevamo tornare a casa.
"Sonia, su vieni,
dobbiamo tornare a casa!"
dissi ad alta voce.
"Arrivoooo" disse
urlando.
Si accannì
sulla mia gamba e non si staccava
"Sono una scimmietta" e rise felicemente.
"Su scimmietta
è ora di tornare e di staccarsi
dalla mia gamba!" dissi ridendo. Lei rise ancora.
Arrivammo a casa,
aprì la porta e mio marito era
davanti a me.
" Dove eravate?" disse
furioso.
"Siamo andate a fare una
passeggiata al
parco" dissi normalmente.
"Laura" mi prese il
braccio "mi devi
avvisare quando esci, hai capito bene?" disse con tono minaccioso.
Non volevo che mi
picchiasse ancora... "Certo, la
prossima volta ti avviso" gli dissi e lo sorrisi per farlo calmare.
"Ma mamma non avevi
detto che papà doveva
lavorare?" disse Sonia.
Ogni muscolo del
mio corpo si irrigidì, le lacrime
cominciarono a prendere il soppravento. In realtà era uscita di nascosta da
sola con Sonia.
Paolo mi
afferrò per le spalle e mi voltò, estrasse
qualcosa dalla tasca, una pistola.
"No ti prego, no" lo
supplicai piangendo.
Mi puntò la pistola addosso e premette il grilletto. Sonia urlò a squarciagola, grida di terrore. Non volevo abbandonare la mia bambina con Paolo, la mia stellina.
Mi colpì al
petto, il dolore era
insopportabile, prima o poi sarebbe finito. Guardai negli occhi la mia
bambina.
"Tesoro, t-ti voglio
be-bene non
dimen-t-ticar-l-o mai" dissi con le ultime briciole di forze che avevo
in
corpo.
Perchè doveva
finire così? Io volevo solo vivere
felice con mia figlia, senza subire maltrattameni ogni giorno.Ma ormai era finita.
Nasci, cresci, ti
riproduci e muori era questo
il mio destino...Chiusi gli occhi per sempre, stroncata dal dolore di
aver
abbandonato al destino la mia unica figlia..
spero vi sia piaciuta questa storia, l'ho scritta in un momento di ispirazione xD lasciatemi qualche recensione, ciao e grazie per aver letto la mia storia ^^