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Autore: R_Iccio    26/08/2015    0 recensioni
Negli ultimi due anni dalla conferma del “Regime” gli attentati terroristici crebbero esponenzialmente sfuggendo al controllo dei vari governi, causando crisi e tensioni sociali non indifferenti. Diversi stati, corrotti dall'anarchia, finirono per scomparire, per poi essere sottomessi da un'organizzazione, di cui nessuno sapeva nulla... I media dei paesi non ancora in sfacelo accusavano i più grandi movimenti terroristici di queste malefatte, ma essi non erano nient'altro che pedine su una scacchiera molto più grande, di cui anche noi facevamo parte.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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L'istituto sorgeva nella periferia di una cittadella a una decina di minuti di macchina da Milano, alcuni dicevano che era stato riadattato dalla carcassa di una vecchia fabbrica, altri insinuavano che era stato erto in soli quattro giorni, ossia da quando si era confermato il Regime a quando ci fu ordinato di iniziare i corsi. Ma quest'ultima teoria non era nient'altro che una sciocca diceria, una fandonia, probabilmente messa in piedi dai dipendenti stessi dell'istituto, tanto per schernire gli sciocchi e per esaltare le risorse del Regime.

Un possente muro in cemento cingeva l'enorme spazio aperto, a tratti asfaltato, a tratti sterrato, dove sostavano le navette e dove gli studenti eseguivano parte delle attività fisiche. L'edificio principale dell'istituto stesso comprendeva due piani in altezza e uno interrato, sede, o caserma che dir si voglia, dello staff dell'istituto, composto da membri onorifici del Regime, da veterani di guerra o, seppur in mediocre quantità, semplici civili, incaricati dei compiti più umili. L'ingresso al pian terreno era provvisto di metal detector, manovrato da scaltre e crudeli mani, talvolta persino armate. Il piano proseguiva come un'unica grande stanza, grigia e spoglia, dove ogni centimetro era ben scrutabile dalle postazioni all'ingresso, e si chiudeva sulla parete opposta con una grande rampa di scale che portava all'atrio del primo piano, il vero primo piano sfruttato dell'edificio. L'atrio consisteva in un corridoio affusolato adorno da innumerevoli porte a chiusura a scatto, incastonate in ordine disomogeneo sulle pareti parallele alla scalinata in cemento nudo, che portavano alle aule. All'estremità nord del corridoio, ossia la facciata che dava sull'ingresso, era posta una grande cella, acquario veniva chiamata, completamente in vetro, dove coloro che disubbidivano al regolamento venivano puniti e umiliati sotto i rassegnati occhi degli studenti, o cadetti, perché di questo si trattava. Il secondo e ultimo piano comprendeva invece una grande palestra, con le colate di cemento che davano l'atroce effetto “a buccia d'arancia” (e dico -atroce- perché provate voialtri ad essere scaraventati contro ad una parete che ti graffia al minimo contatto) e le gigantesche e sudicie ventole d'areazione che incutevano un misto di timore e pena. Al centro della palestra c'era quello che sarebbe dovuto essere l'incrocio mal riuscito tra un tatami e un ring: il risultato non era nient'altro che un tappeto spesso e gommoso, che veniva chiamato appunto: “Tappeto”. Il Tappeto veniva usato per far scontrare i molti rassegnati o sodomizzati dal regime che ambivano ad un salto di qualità: infatti ogni mese il Campione del ring veniva preso e addestrato per un ramo d'élite dell'esercito, dove si diceva che la paga era elevata e il potere guadagnato era anche maggiore. Gli scontri si svolgevano senza un regolamento preciso: chi voleva provare a diventare Campione doveva semplicemente salire sul Tappeto, e, se riusciva a rimanerci senza subire nemmeno una sconfitta fino alla fine del mese, beh, gli veniva ordinato di prepararsi a partire per l'esercito. Il primo mese nessuno osò salire sul tappeto, e il secondo mese, verso la sua metà circa, un ragazzone, di quelli grossi e stupidi con la testa rasata e la faccia da fesso, salì sul Tappeto: entro la fine della giornata solo un ragazzo muscoloso e tatuato prese l'iniziativa e salì a sfidare il tizio rasato, che lo squadrò con occhi vacui e lo caricò, senza lasciargli via di fuga. Il ragazzo tatuato colpì il pesante rivale su uno zigomo, ma non bastò a fermarlo, e si ritrovò gambe all'aria fuori dal ring. Dal primo scontro in molti si fecero avanti, ma il ragazzone non sembrava intenzionato a cedere facilmente, collezionando tagli, ferite e lividi su tutto il corpo. L'ultimo giorno del mese, però, dovette affrontare un ultimo sfidante: un ragazzo dai capelli neri e corti col fisico da pugile, ossia esile, affusolato ed estremamente contratto in fasci di muscoli, e, a dirla tutta, un mio amico, anche se il tempo ci aveva separati. Comunque questo qui, che si faceva chiamare Loe, se ben ricordo, salì sul tappeto e subì la classica squadrata tonta dell'avversario. Il ragazzone rasato caricò, ma Loe scartò a destra e lo colpì con un calcio sui crociati, che cedettero con un possente urlo del loro proprietario, zittito pochi attimi dopo con un destro sulla nuca. Nessuno osò dire nulla o fare nulla, ma al suono dell'ultima campanella arrivò il direttore dell'istituto, un armadio a due ante con tanto di cicatrici, che, con aria festosa, ruggì -Benvenuto nell'esercito, ragazzo! Fai la tua roba, e domani alle sette un cellulare del Regime verrà a prenderti sotto casa!- e qui rise, una risata sincera, possente e gutturale, quella che solo uno della sua stazza può produrre -E cerca di adattarti al meglio- continuò, ancora ridacchiando, e con un gesto della mano congedò tutti, docenti, studenti e Campione.


Entrai in aula, salutai i presenti con un mezzo sorriso e mi sedetti al mio posto, sospirando davanti al bicchiere da fast food che avevo sul banco, pieno di chissà quali porcherie per potenziarci il fisico. Avvicinai le labbra alla cannuccia e iniziai a succhiare quell'impiastro amaro e ferroso, denso e viscido allo stesso tempo. Tommy, che era entrato qualche attimo dopo di me, mi si sedette accanto e sorseggiò la sua bevanda, sempre senza dire una parola, così come la maggior parte dei miei compagni lì presenti.

Suonò la campanella e qualche minuto dopo arrivò un docente, un uomo di mezza età dal fisico invidiabile, con tanto di barbetta brizzolata e cappellino militare.

Ci alzammo in piedi e lo salutammo all'unisono, intonando il giuramento al Regime, niente più che cazzate e parole vuote. Con un cenno di apatico assenso dell'uomo ci sedemmo e attendemmo che iniziasse la lezione, qualcosa sull'importanza e la giustizia del Regime e sull'inutilità e malsanità dei paesi non ancora sotto il suo controllo, e a dirla tutta, quella roba stava iniziando davvero a convincere qualcuno. Finita la lezione ci recammo al secondo piano, in palestra, dove al centro del Tappeto sedeva un ragazzo dai capelli a spazzola e la carnagione tipica del Marocco. Il docente incaricato al nostro potenziamento ci stremò con scatti, piegamenti e addominali, ma anche con pesi e prove di forza. Un ragazzo della mia classe, un tizio biondo ben allenato, prese coraggio e salì sul Tappeto. Subito la nostra attenzione si concentrò al centro dello stanzone, così come quella dell'altro paio di classi con cui lo stavamo condividendo. Il ragazzo marocchino si alzò, si stiracchiò e salutò l'avversario con un sorriso. I due si scagliarono l'uno contro l'altro e il biondino sferrò un paio di affondi, il marocchino li parò e rispose con un'agilità impensabile alla sua stazza: sferrò un calcio alto, a mezz'aria, che colpì il biondino in piena faccia, mandandolo KO.

L'ora successiva attendemmo in aula l'insegnante d'armi, una docente che ci insegnava il corretto utilizzo di ogni singola arma, nonché la sua struttura e il suo assemblaggio. Ma al posto della docente si presentò un ragazzo, che sarà stato sui ventitré ventiquattro anni, in divisa e armato di tutto punto. -Ehilà bastardelli!- esordì. Inarcai un sopracciglio. -La vostra cara insegnante d'armi l'ha combinata, e adesso non è più qui, ma io sì- abbassai il sopracciglio, rassegnato -dove cazzo eravate arrivati? All'artiglieria pesante? Bene bene... Ah, vedo che qui ce n'è qualcuno in possesso!- disse fissando la ragazzina di fronte a sé, una sedicenne dall'aria innocente e decisamente prosperosa. Il mio sguardo e quello di Tommy si incrociarono. -Mi sa proprio che qui ci vuole una bella punizione- rise il “docente”. La ragazza ebbe un mutamento di colore impressionante: dapprima roseo, poi arrossato ed ora sbiancato, dato che il suo oppressore aveva tirato fuori dalla fibbia un coltello a scatto, che aprì con un rapido e secco movimento del polso. Con una rapidità e una precisione inaudita le tranciò la spallina della maglietta bianca sotto la felpa castana, scoprendogli un seno. In molti ci irrigidimmo, la ragazza iniziò a piangere e si coprì, spaventata e umiliata. Il bastardo rifece scattare il coltellino e si preparò a sfregiarla a causa della mancanza di rispetto. Un gancio gli sfiorò i capelli: era Gian, un ragazzo dai capelli neri e lisci cui si vociferava avesse una cotta per Sara, la ragazza umiliata. Il militare, essendo naturalmente addestrato e preparato, schivò l'attacco con facilità e rispose piantandogli il coltello tra la gola e il mento, l'aria si fece fredda e un rivo di sangue caldo inondò l'aula. Sul volto serio dell'assassino crebbe lentamente un ghigno, poi un pugno, di quelli potenti, gli affondò in faccia, facendolo indietreggiare non poco. Davanti al corpo esanime di Gian, con le nocche sporche di sangue, c'era Tommy, con lo sguardo che incuteva terrore. Non lo avevo mai visto in quello stato, e non l'avevo mai visto incazzarsi o menare le mani: più o meno come me era una persona pacifica e solare, ma il Regime lo aveva cambiato, lo aveva reso più determinato, e soprattutto più forte, non solo fisicamente ma anche mentalmente. L'assassino saldò la presa sulla lama e roteò il polso per colpire, ma in quel momento lo colpii io, caricandolo e placcandolo come avevo imparato in anni di rugby,ma puntando a ferire, non ad atterrare. Il coltello gli scivolò di mano e il suo polso cedette nell'impatto tra il suo corpo e il muro. Mezzo frastornato mi feci da parte e Tommy, irato e assassino, gli afferrò il viso con una mano, stringendogli gli zigomi, gli tirò indietro la testa e gli fece cozzare violentemente la nuca sul muro, causandogli come minimo un trauma cranico. Poi, risoluto, sfilò la pistola dalla fibbia del corpo inerme e gli sparò un colpo, dritto in faccia. I volti di tutti erano pallidi, qualcuno aveva pure vomitato alla vista del sangue e delle cervella.

-Dobbiamo andarcene- mi fece Tommy, rendendosi conto solo ora di ciò che avevamo appena fatto. Annuii. Sparò al circuito della porta, che si socchiuse con un Pff, raccolsi il coltello ed uscimmo in corridoio. Scendemmo rapidamente le scale e ingaggiamo un rapido scontro a fuoco: i militari di guardia erano tutt'altro che allertati dai colpi di prima, pensavano solo a qualche punizione o a qualche esecuzione, dato che in fin dei conti era già capitato una dozzina di volte che qualcuno venisse giustiziato nell'acquario. In ogni caso i militari erano beati e sghignazzanti quando uno di loro stramazzò a terra, flagellato da un paio di colpi. Prima che qualcuno riuscisse ad armarsi altri due caddero sotto i colpi del mio compagno, che sembrava sorpreso lui stesso della sua mira da professionista. Mi avventai su quello più vicino a me, che stava ancora togliendo la sicura alla sua arma, e affondai il coltello nel suo ventre, rabbrividii, un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca e i suoi occhi, mentre fissavano i miei, si spensero nel vuoto. Ebbi quasi un conato di vomito. Non per la solita menata della prima uccisione che, a dirla tutta, trovai una sensazione quasi piacevole, liberatoria, ma per il fastidio arrecatomi dal sentire la carne che cede sotto la mia forza e il sangue che inizia a scorrere. Non ho mai sopportato i tagli o le ferite profonde in generale, figuratevi provocarle! In ogni caso ingoiai la bile, lasciai il coltello impiantato nel suo corpo, dato che sfilarlo mi avrebbe quasi sicuramente distrutto, e gli strappai la pistola, che aveva ancora salda in mano. L'ultimo militare del gruppetto ancora in vita mi sparò addosso, ma mi sfiorò la spalla, senza ferirmi, e colpì il cadavere del tizio che avevo appena ammazzato. Con un urlo di sfogo gli sparai addosso, ma detto tra noi, non presi neanche la mira. Il militare ghignò e mi puntò la sua arma addosso prima che un miscuglio di sangue e cervella gli schizzò dal cranio. Tommy mi abbozzò un sorriso. Corremmo verso le navette, anche se, ora che ci penso, nessuno dei due aveva mai realmente guidato prima d'ora, ma, poco prima di raggiungere la prima sentimmo alle nostre spalle una risata, di quelle potenti e gutturali che solo un armadio a due ante sarebbe stato in grado di emettere, e poi dei colpi. Mi ritrovai per terra, crivellato, tentando di trovare con lo sguardo l'unica cosa amica che mi rimaneva, ma anch'essa era accasciata a terra, in una pozza di sangue e polvere. L'ultima cosa che sentii prima di chiudere gli occhi provenì da una voce roca e profonda -Siete stati bravi, maledettamente bravi!- e poi ancora una risata...

   
 
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