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Autore: _armida    26/08/2015    0 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo II: Il Turco
 
Il giorno dopo…
 
“Un altro carnevale?”, chiese Elettra stupita.
Si trovava nello studio del Magnifico. Era stata convocata lì di prima mattina per parlare di questioni urgenti. L’assassinio del duca Sforza aveva mandato nel caos l’intera corte medicea e, all’interno di quella stanza, l’ambiente s’era fatto parecchio pesante; niente a che vedere con l’atmosfera rilassata del giorno precedente.
“Proprio così!”, le rispose Giuliano.
“Firenze ora è sola, dobbiamo dimostrare al popolo che siamo comunque forti”, disse Lorenzo.
Elettra sapeva benissimo di cosa stava parlando; lei e Becchi ne avevano discusso spesso, del futuro della repubblica, in caso di rottura dell’alleanza con Milano. Sapeva a cosa Firenze sarebbe andata incontro.
Annuì. Avrebbe avuto un carnevale da organizzare.
“Mi date carta bianca o avete già qualche idea?”, disse rivolta a tutti i presenti.
“Niente di troppo sfarzoso”, rispose Lorenzo.
“La colombina, qualche fuoco d’artificio, qualche musico, un po’ di saltimbanchi…”, Becchi sembrava le stesse dettando la lista della spesa.
“Per la colombina mi posso informare io”, aggiunse Giuliano.
“Potresti chiedere a Leonardo Da Vinci, per la costruzione della colombina. Sta facendo parecchie ricerche sul volo e sono certa che sarà magnifica”, disse Elettra con un grande sorriso.
“Il figlio bastardo del nostro notaio? Avevo sentito che era un artista”, il volto di Lorenzo esprimeva perplessità.
“Ha molti interessi.” lo corresse Elettra, aggiungendo poi “Dico davvero, Giuliano, ti conviene andare da lui.”,.
“E dove dovremmo andare, precisamente?”, chiese Becchi.
“Alla bottega del Verrocchio”
 
***
La sera successiva…
 
“Organizzare questo carnevale mi sta prosciugando tutte le energie e devo bere”, disse Elettra posando una grossa caraffa ricolma di vino sul tavolo.
Si trovava al “Can che Abbaia”, una nota osteria fiorentina in compagnia di Nico, Leonardo e Zoroastro.
A differenza sua, gli altri erano di pessimo umore; l’argomento di conversazione fu la situazione di Firenze, tesa a causa della dipartita di quel maiale dello Sforza. A palazzo non si parlava d’altro e sperava che almeno lì si potesse svagare un po’; ma a quanto pare non era così.
Trasse un sospiro di sollievo quando Zoroastro decise di parlare del vitello a due teste nato morto alla fattoria di un suo amico; come al solito sperava di poterlo vendere a Leonardo per i suoi studi di anatomia ma l’altro non accettò.
Sembrava che l’evento più divertente della serata fosse la battuta di Nico riguardo ai carciofi; Elettra aveva sentito quella frase almeno un milione di volte.
“Io non mangio niente che abbia un cuore”, aveva detto Leonardo a Zoroastro dopo che quest’ultimo gli aveva offerto del salsiccio di maiale.
“E i carciofi allora?”, era intervenuto.
“Smettila Nico!”, lo avevano zittito tutti in coro.
Poi era arrivato Jacopo Saltarelli a fare gli occhi dolci a Leonardo che, ovviamente, lo aveva mandata via. Si vedeva lontano un miglio che quel prostituto si era preso una cotta per lui.
Per rallegrare un po’ la situazione Zoroastro aveva tirato fuori da una tasca delle carte dei tarocchi che, a detta sua, servivano per predire il futuro.
“Dai, scegline una Nico.”
“Ah si? È un trucco!”, gli rispose l’altro poco convinto.
“Forse o forse evoco il potere degli antichi”, disse in tono esageratamente teatrale.
“Con quante donne ha funzionato questa frase?”, chiese Leonardo.
“Una quantità considerevole. Tuttavia non con l’unica che desidero”, disse guardando con fare malizioso Elettra. Quest’ultima decise di stare al gioco e, con movimenti lenti e seducenti appositamente studiati, si alzò andando poi a sedersi sulle ginocchia di Zoroastro.
“Non a tutte le donne interessano questi passatempi, ne esistono sempre di più piacevoli”, gli sussurrò a voce bassa in un orecchio.
Scoppiarono tutti a ridere.
“Scegline una anche tu”, continuò Zoroastro.
“Solo se Leonardo lo fa con me”
L’altro sbuffò: come Elettra, non credeva minimamente a quelle cose ma allungò comunque una mano e, dopo una breve occhiata alla ragazza, per decidere che carta estrarre, ne scelsero una e la mostrarono all’improvvisato indovino.
“Queste carte non svelano solo il temperamento ma anche il fato. Questa carta rappresenta il sacrificio, la sospensione fra la vita e la morte e poi, forse, una grande rivelazione.”, ancora quel tono esageratamente teatrale.
“A me sembra solo un uomo appeso per una gamba. Ed è pure fatto male, io ti saprei fare un disegno migliore”, scoppiò a ridere Elettra.
La testa di Leonardo, invece, aveva cominciato a viaggiare e lui aveva quel suo solito sguardo perso nel vuoto tipico di quando ragionava. Ad un certo punto si illuminò. Aveva certamente avuto un’idea.
“Quei mercenari, Firenze non ha un esercito, quindi vendono la loro forza”
“Ed ecco che si ritorna a parlare di questo”, pensò Elettra.
“Forse c’è un modo redditizio per sfruttare le difficoltà della repubblica”
“Quale modo?”, Nico sembrava scettico.
“Quello di promuovere me stesso come ingegnere militare non come artista. La guerra è sempre stata l’ancella del progresso. Per poter sviluppare le mie idee devo farle apparire utili  per la difesa di Firenze”
“Perché quelle guardie ce l’hanno tanto con quell’uomo?”, chiese Nico cambiando discorso.
Elettra fino a quel momento non aveva fatto caso a quello che avveniva intorno al loro tavolo ma, alle parole del giovane, alzò subito lo sguardo.
Aveva un viso famigliare…
Improvvisamente si ricordò dove l’aveva già visto.
 
Aveva si e no otto anni e, come spesso accadeva, si trovava a Palazzo Medici. Stava giocando a nascondino con Giuliano e si era rifugiata nell’anticamera dell’ufficio di Cosimo de Medici, che all’epoca era ancora vivo. Si doveva essere nascosta davvero bene perché un ristretto gruppo di persone le era passato davanti senza notarla; dai loro sguardi si poteva capire che erano intenzionati a passare inosservati. La cosa intrigò ancora di più la piccola che, una volta accertatasi che tutti si fossero sistemati all’interno e che nessuno stesse spiando, sgusciò fuori posizionandosi vicino ad una vetrata che permetteva di vedere chi c’era dentro. Quello che vide la lasciò perplessa: intorno ad un grande tavolo c’erano seduti Cosimo, un signore con un cappello da ebreo, un uomo con dei pesanti segni a matita intono agli occhi, sua madre Anna e sua sorella Lucrezia.
“Cosa ci fanno là quelle due?”, si disse. Si sentiva parecchio esclusa. Nonostante fosse la copia vivente di Lucrezia, sua mamma quasi non la considerava; se ne stava sempre chiusa nel suo studio insieme alla gemella e, le poche volte che le rivolgeva la parola, era solo per sgridarla.
Gli osservò mentre discutevano; da quel poco che riusciva a capire sembravano tutti parecchio agitati.
Ad un certo punto sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Senza volerlo cacciò un piccolo urlo. Quando finalmente decise di voltarsi si ritrovò a fissare il rassicurante sorriso di Carlo de Medici.
“Le brave bambine non dovrebbero origliare i discorsi dei grandi” le aveva detto, invitandola ad uscire prima che qualcun altro la scoprisse.
Fu l’ultima volta che Elettra lo vide. 
 
Quell’uomo, che le guardie della notte stavano maltrattando, aveva dei pesanti segni neri a matita intorno agli occhi… era lo stesso che aveva visto quel giorno dai Medici.
“E’ un turco, un infedele, non è sufficiente?”, disse distratto Zoroastro.
“Io lo conosco”, esordì Elettra.
La guardarono tutti stupiti.
“Era amico di Cosimo de Medici”, si spiegò lei alzandosi dal tavolo e poggiando una mano sull’elsa della spada.
Leonardo la osservò un po’ prima di seguirla.
“No, non è la vostra battaglia ragazzi”, provò a convincerli Zoroastro.
“E quando mai questo mi ha fermato” gli rispose Da Vinci.
Si diressero insieme verso gli assalitori.
“Scusate, cosa accade?”, disse Leonardo rivolto al Capitano Dragonetti.
“Tornatene ai tuoi sgorbi, scribacchino. Non ti riguarda”, lo intimò l’altro puntandogli contro la spada.
“No, non lo farà”, si intromise Elettra.
A quel punto le si pararono davanti due guardie, con le armi alzate. Diede un veloce sguardo a Leonardo, aspettando di vedere cosa avrebbe fatto l’amico. Non era il suo primo litigio con la milizia fiorentina e sapeva bene come combattere.
Mentre un apparentemente innocuo Leonardo ne disarmava uno con estrema facilità, lei estraeva la spada e, dopo appena due tocchi, riuscì nello stesso intento. Ma quegli uomini sapevano essere molto cocciuti e, infatti, ne arrivarono altri tre, che fecero la stessa fine di quegli altri. Non era neanche divertente, in quel modo, pensò Elettra. Credeva che le persone pagate per proteggere Firenze sapessero fare qualcosa di meglio, come per esempio non farsi battere così facilmente da una donna.
“Tormentate qualcun altro, Dragonetti”, disse alla fine Leonardo.
L’altro, ferito nell’orgoglio, se ne andò lanciandogli occhiate di fuoco.  
 Nel frattempo Elettra si era avvicinata al turco, per controllare che stesse bene.
“Va tutto bene?”, chiese Da Vinci.
“Molto più che bene. Sono foglio della terra e del cielo stellato…”
“…di sete sono arsa. Vi prego, fate che io mi disseti alla fontana della memoria”, Elettra senza neanche accorgersene aveva completato la frase del turco. Quelle parole le erano uscite spontanee. Gliele aveva insegnate Cosimo de Medici diversi anni prima e, dalla sua morte, era la prima volta che le sentiva di nuovo.
Leonardo la guardò stupita.
Il Turco invece continuò a parlare. “Farò ritorno a Costantinopoli fra due giorni ma sono alloggiato presso la locanda del cigno nero. Venite a trovarmi prima che parta”
Detto questo lanciò a Da Vinci una strana moneta.
“Spero di rivedervi presto, Elettra”, aggiunse prima di andarsene.
La ragazza era parecchio stupita. Come faceva quell’uomo a conoscere il suo nome?
 
Dopo qualche altro bicchiere di vino, anche loro decisero che era ora di tornare a casa. Elettra aveva bevuto molto ma, nonostante questo non era ancora ubriaca, Leonardo e Nico erano normali, mentre Zoroastro si reggeva a stento in piedi e raccontava strane storie riguardo alle sue conquiste…
   
 
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