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Autore: Tielyannawen    26/08/2015    4 recensioni
Sotto il cielo di Arda accade a volte che alcuni cammini si incontrino, legando indissolubilmente destini altrimenti separati.
Dal testo:
«Tu non dovresti essere qui... perché sei tornato indietro?», chiese con un filo di voce, lottando per non lasciarsi avvolgere dalle ombre.
«Perché non potevo abbandonarti. Tu ci hai mostrato la via quando la credevamo perduta e hai lasciato la tua casa, rischiando la vita per salvarci. È ora di pagare il nostro debito».

Dicono che la storia sia fatta da eventi straordinari, ma a volte sono proprio le piccole cose quelle di cui dobbiamo serbare ricordo.
Queste pagine ne sono memoria... perché in fondo tutti cerchiamo la nostra strada nel mondo.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Elfi, Gandalf, Nani, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La dama intrepida

Bilbo si ritrovò a pensare che uscire da casa Baggins per seguire tredici nani e uno stregone era stata una scelta assai discutibile.
Erano in viaggio da oltre un mese ormai, ma gli ultimi giorni in particolare erano stati costellati da un incessante susseguirsi di sciagure. Prima avevano perso gran parte delle provviste nel fiume, a causa della fuga di uno dei pony durante un violento temporale; Fili e Kili, i giovani nipoti di Thorin, avevano rischiato di annegare nel tentativo di salvare l’animale dalle acque turbolenti. Poi erano stati catturati e quasi divorati da tre disgustose creature, che Bilbo aveva scoperto essere troll; senza l’abile stratagemma di Gandalf probabilmente non sarebbero sopravvissuti. E per finire erano stati attaccati all’improvviso da un paio di enormi lupi grigi.
«Lupi? No Bilbo, quelli non erano semplici lupi», disse Bofur, stringendo il suo piccone.
«Due mannari [1] ricognitori, o forse dei messaggeri», esclamò Thorin, estraendo la spada dal corpo di una delle due bestie. «Un gruppo di orchi non è molto distante».
«Orchi hai detto?». La flebile voce dello hobbit sembrò rimbombare nello strano silenzio che era calato sulla compagnia. I volti dei nani erano tesi e istintivamente si volsero verso il loro principe, in attesa di una sua decisione.
Nel frattempo l’attenzione di Gandalf si spostò su un oggetto seminascosto dal fitto sottobosco e lo stregone si chinò per raccogliere quello che si rivelò essere un lacero pezzo di pergamena. Una sola occhiata bastò a confermare i suoi sospetti. Si raddrizzò e si diresse a lunghi passi verso Thorin, deciso a interrogarlo. «A chi hai parlato della tua impresa, oltre che alla tua famiglia?», gli domandò con veemenza.
«A nessuno», rispose il nano, piantando i piedi a terra.
«A chi l’hai detto?», gridò Gandalf, facendo sussultare il povero Ori che si trovava accanto a lui.
«A nessuno, sono disposto a giurarlo. In nome di Durin, vuoi dirci cosa sta succedendo?», ribatté Thorin visibilmente irritato, ma senza abbassare lo sguardo.
Lo stregone lo scrutò a lungo, poi sospirò e mostrò loro ciò che aveva trovato. «È un messaggio, scritto in Lingua Nera», disse con voce grave, «o più esattamente una promessa di pagamento».
«Per cosa?», chiese Thorin, nonostante il suo cuore conoscesse già la risposta.
«La tua testa. Qualcuno desidera vederti morto, per questo ci stanno dando la caccia. Non possiamo più aspettare, ci serve aiuto». Le ultime parole di Gandalf furono sottolineate da un ululato raccapricciante che gelò il sangue e mise ali ai piedi della compagnia.

 

Nuvole plumbee correvano nel cielo. Helan fece scivolare le dita tra i piccoli fiori biancastri del sambuco [2] e li avvicinò al viso, lasciandosi avvolgere dal loro dolce profumo. Al termine dell’estate avrebbe potuto raccoglierne le bacche e preparare uno sciroppo contro la tosse, utile nei mesi invernali. Ma era presto. L’esistenza di ogni creatura seguiva il proprio corso e sfiorando i petali Helan seppe che quelle piante avevano ancora bisogno di pioggia e sole, prima di poter fruttificare.
Il nitrito di Alagos la distolse dai suoi pensieri. Colse una nota d’urgenza mai udita prima nel richiamo dello stallone, che la esortò a raccogliere le sacche piene di erbe e raggiungerlo in fretta. Trovò l’amico accanto a un ruscello, le orecchie tese verso ovest.
«Man le trasta, Alagos? Man mathach? [3]», mormorò Helan accarezzando la criniera corvina dello stallone. Era nervoso e sbuffò, battendo più volte gli zoccoli a terra e sollevando una piccola nuvola di polvere.
L’elfa si guardò intorno. Anche la natura circostante sembrava inquieta e avvertiva la terra tremare sotto i suoi piedi nudi. Chiuse gli occhi e ascoltò. Passi pesanti e affrettati calpestavano il terreno. L’acqua scorreva trascinando con sé voci concitate e la canzone del vento era colma di paura.
Un tremendo ululato attraversò la brughiera, ma Helan aveva già fatto la sua scelta. Assicurò le sacche al dorso di Alagos e recuperò le armi che giacevano poco lontano. Una tenue luce celeste filtrava dal fodero di Tirdir, inequivocabile segno della presenza di nemici nelle vicinanze. “Orchi, senza alcun dubbio. Eppure è strano che si spingano così vicini ai confini di Imladris”, pensò l’elfa, chiedendosi cosa li avesse indotti a rischiare tanto. Dopo che ebbe fissato la spada a una delle sacche, in modo da poterla estrarre con rapidità, si infilò la faretra sulla schiena e imbracciò l’arco. Per una volta fu contenta che Elladan ed Elrohir, di certo su ordine del padre, la obbligassero ad uscire dalla valle armata.
Montò in groppa allo stallone e risalirono al galoppo il fianco di una collina. Raggiunto il crinale, Helan scrutò la distesa d’erba di fronte a lei. In lontananza notò quindici figure in fuga. Non sapeva chi fossero, ma conosceva l’uomo in testa al gruppo fin dall’infanzia e non esitò a correre in loro aiuto.

 

2902 T.E. – HOBBIVILLE
«Ricordati le mie parole Bilbo. Le avventure non sono mai piacevoli passeggiate sotto il sorridente sole di maggio. Possono apparire invitanti e straordinarie ad un primo sguardo, ma si rivelano sempre scomode e fastidiose. Oltretutto fanno fare tardi a cena!».
Questo ripeteva Bungo Baggins al figlio ogni volta che si recava a Tucboro [4] per far visita ai parenti di sua madre.
Nonostante Bilbo gli somigliasse molto nei modi e nell’aspetto, il padre temeva che il suo sangue Tuc si risvegliasse prima o poi, soppiantando la solida rispettabilità per cui i Baggins erano da sempre noti nella Contea.
Fortunatamente fino a quel momento il giovane Bilbo si era mostrato immune a stranezze o stramberie, ad eccezione di un curioso interesse per le mappe, che il suo pacato genitore non aveva però ritenuto eccessivamente preoccupante.
Una sera il figlio lo vide in piedi accanto al caminetto, con i pollici infilati sotto le bretelle, e lo udì mormorare sollevato: «Eh sì, ormai non ci sono dubbi, è un vero Baggins. Credo proprio che il peggio sia passato!».

 

Su questo rifletteva Bilbo mentre abbandonava il bosco di pini e correva con i suoi compagni attraverso la brughiera, seguendo il malandato cappello a punta di Gandalf di riparo in riparo, cercando di non pensare che un intero branco di lupi selvaggi li stava raggiungendo.
Thorin, che chiudeva la fila alle spalle di Bombur, si voltò e vide che il distacco dai loro inseguitori si riduceva di minuto in minuto. Avevano bisogno di tempo per poter organizzare una difesa. «Ci sono quasi addosso! Kili usa l’arco!», gridò in direzione del nipote.
Il giovane nano rallentò il passo, studiando la zona per trovare un buon punto di tiro. Agguantò l’arco e fece per abbandonare il gruppo, ma una mano gli afferrò il braccio e girandosi incontrò gli occhi azzurro cielo del fratello, che lo fissavano allarmati.
«Non lascerò che tu vada da solo Kili», disse Fili trattenendolo. Non gli avrebbe permesso di compiere gesti avventati se poteva evitarlo. Proteggerlo era una sua responsabilità.
Kili bofonchiò sottovoce riguardo ai nani apprensivi, tuttavia sorrise e strinse Fili in un abbraccio. «Non temere fratellone, non mi succederà niente vedrai», disse facendo cozzare affettuosamente le loro fronti. «E poi la tua abilità come arciere è pessima quasi quanto il senso dell’orientamento di nostro zio», aggiunse ridacchiando mentre si allontanava in fretta.

 

Nonostante le frecce di Kili, gli ululati si fecero sempre più vicini e il cuore di Bilbo tremò. Non sarebbero riusciti a fuggire. Eppure lo stregone continuava ad avanzare, di roccia in roccia, sfiorando la pietra come alla ricerca di qualcosa.
Lo hobbit si chinò a guardare la spada che Gandalf aveva scovato per lui nella caverna dei troll. La luce che emetteva era passata dal celeste ad un blu intenso, ma quantomeno la lama pareva affilata e resistente. Tuttavia, quando si scontrò con la schiena di Gloin e vide cosa li aveva costretti a fermarsi, Bilbo si chiese se non fosse il caso di procurarsi un’armatura.
Un orco e sette mannari sbarravano la strada, con le zanne scoperte e gli occhi pieni d’odio. Erano pronti per attaccare, ma l’eco di un rumore impetuoso, simile ad una violenta bufera di vento, li fermò. Un’ombra oscurò il cielo sulle loro teste e con un balzo si pose tra la compagnia e gli aggressori. Una freccia trapassò l’occhio destro del mannaro più vicino e l’orco che lo cavalcava fu atterrato da un colpo sferrato con zoccoli possenti, che gli fracassarono il cranio.
I due corpi caddero a terra con un tonfo. Nulla si mosse. Respiri e parole restarono sospesi, come frenati da quella improvvisa apparizione. Sembrava una fanciulla umana, sperduta in quella landa desolata, ma le sottili orecchie a punta che spuntavano dalla folta chioma indicavano palesemente la sua appartenenza al popolo elfico. Indossava una gonna color rosso cupo e una blusa bianca e montava senza sella né redini un maestoso destriero nero.
Alla sua comparsa quasi tutti i nani digrignarono i denti, ad eccezione dei più giovani, che non avevano mai visto un khathuzh [5] e la fissavano con stupore. Thorin emise un suono cupo, simile a un ringhio, mentre fantasmi di antichi rancori riemergevano dal passato. Troppi anni avevano alimentato l’inimicizia tra nani ed elfi, e molti ancora ne sarebbero dovuti trascorrere prima che un reale riavvicinamento tra i due popoli fosse possibile.
Lo stallo durò solo un istante, poi iniziò lo scontro. I nuovi venuti fronteggiarono due mannari, facendoli lentamente indietreggiare; mentre il cavallo li teneva a distanza, l’elfa prese la mira, colpendo ogni volta con precisione. Senza esitazione i nani si lanciarono verso le quattro bestie restanti, combattendo con furore in una danza di fauci e asce.
In quel caos di artigli e fendenti, Bilbo si appiattì tremando contro un enorme masso, cercando di farsi piccolo e invisibile. I rumori della battaglia lo facevano sussultare e sentiva la superficie rocciosa pungergli la pelle attraverso il panciotto. Eppure, una parte remota della sua mente si destò e incredibilmente il figlio di Bungo Baggins pensò che forse avevano una possibilità di salvezza.
Al contrario dello hobbit, Nori si mantenne al centro dell’azione, lottando con movimenti rapidi e sfuggenti, e pensò molto più prosaicamente che se fosse riuscito a mettere le mani sul rubino che vedeva scintillare al collo dell’elfa, si sarebbe sistemato per parecchio tempo.
Cosa attraversò la mente di Gandalf in quell’occasione rimase un mistero; del resto era uno stregone e raramente condivideva i suoi pensieri con altri, al di fuori di sé stesso. Ma al suo sguardo attento non sfuggì che gli occhi di Helan avevano fiammeggiato come braci ardenti, anche se solo per un istante.

 

Helan quasi non riusciva a credere a ciò che era stata in grado di fare, anche se ogni singolo gesto e sensazione era ormai inciso per sempre nella sua memoria. Non aveva parlato a nessuno di quanto le era accaduto. Fiamme e voci sconosciute non erano considerate di buon auspicio tra gli elfi, nemmeno tra i più saggi. Aveva sperato di essersi sbagliata, che quella visione fosse solo frutto della stanchezza, ben sapendo che non era possibile. Ora ne aveva la certezza. Qualcosa in lei stava cambiando, non poteva più nasconderlo. Quel giorno, mentre combatteva, avvertì chiaramente una fiamma divampare nel suo petto. Ed ebbe paura.
Si riscosse e affondò Tirdir nella gola dell’ultimo mannaro ancora in piedi, incrociando l’espressione furente di un nano con la testa calva ricoperta di segni scuri. Impugnava due asce lorde di sangue e sembrava adirato per non aver abbattuto l’ultimo nemico.
Helan smontò da cavallo senza riporre le armi e superò i cadaveri, avvicinandosi alla compagnia seguita da Alagos. «I nôr hen delu. Drego! [6]». Le sue parole furono severe e frettolose, ma non c’era tempo per le formalità.
Per tutta risposta i nani serrarono i ranghi e alzarono le lame contro di lei, urlando in una lingua che non aveva mai udito prima.
«È un vero piacere vederti mia cara. Perdonaci, temo che pochi tra noi comprendano il Sindarin».
«Sai sempre come attirare l’attenzione Mithrandir [7]», disse Helan rivolgendosi verso lo stregone con un sorriso, ma continuando a controllare i movimenti dei nani. Vedendo che alcuni iniziavano ad abbassare le armi, rilassò i muscoli e allentò la presa su Tirdir. «Dovete andarvene subito. Alagos vi mostrerà la via più breve per l’entrata del sentiero nascosto. Seguitelo. Nel frattempo io e il vostro arciere vi copriremo le spalle», concluse indicando una figura che scagliava frecce poco lontano da loro.
«Nessuno qui prende ordini da un elfo!», urlò un nano dalla barba fulva agitando un’ascia.
Gandalf picchiò il bastone per terra e sbottò esasperato: «Dannata cocciutaggine dei Nani! Muovetevi se volete avere salva la vita!». Detto questo iniziò a correre dietro allo stallone, trattenendo il cappello con una mano per non perderlo. Molti dei nani lo imitarono e un paio di ululati convinsero anche i più recalcitranti che fuggire fosse la scelta migliore.
Helan attese che tutti si fossero avviati, poi si diresse leggera e veloce nella direzione opposta. La sua corsa non lasciava impronte sul terreno e la portò ben presto all’altezza dell’arciere. Prese posizione a trenta passi da lui, colpendo alcuni sassi per richiamare la sua attenzione. Il rumore lo fece trasalire e non appena la vide si irrigidì, fissandola con aria interrogativa. Ella sollevò l’arco lungo e dopo un momento di esitazione il nano fece lo stesso con il suo corto arco ricurvo. Nonostante la distanza, l’elfa notò che era costruito utilizzando sia legno che metallo; era una lavorazione insolita, ma realizzata con abilità.
Secondo un tacito accordo si divisero l’area di tiro, coprendosi il fianco a vicenda. Parecchie frecce centrarono il bersaglio, eppure i lupi selvaggi continuarono ad avanzare, furiosi per la morte dei loro simili, costringendo i due arcieri a retrocedere.
La faretra di Helan era quasi vuota, quando il nitrito di Alagos risuonò nella brughiera; un segnale, per avvertirla che erano tutti in salvo. «Ritiriamoci!», gridò volgendo le spalle al branco di mannari e il nano annuì lasciando la sua postazione.
L’erba frusciava al suo passaggio e un respiro affaticato, unito al tonfo di pesanti stivali, la accompagnava nella fuga. L’elfa si concentrò sul battito del proprio cuore finché non sentì zoccoli al galoppo raggiungerla e affiancarsi a lei. Allora alzò il braccio e intrecciò le dita nella fitta criniera corvina, facendosi trasportare per qualche metro prima di issarsi in groppa allo stallone e galoppare via.
«Kili!».
Fu la disperazione di cui era intrisa quella parola a costringere Helan a voltarsi. Un nano dai capelli biondi cercava di slanciarsi fuori dall’accesso segreto alla valle, trattenuto a forza da un secondo nano, avvolto da un mantello blu bordato di pelliccia che gli conferiva un aspetto regale. Di fronte a loro l’arciere correva per raggiungerli, ma era spossato e iniziava a perdere terreno, incespicando su sassi e radici. E i lupi selvaggi ormai erano su di lui.
Alagos non aspettò nemmeno il suo comando per ruotare su se stesso e tornare indietro. Sapeva quanto lei che senza il loro aiuto il nano non sarebbe sopravvissuto.
«Blocca l’ingresso Mithrandir! Mi occupo io di lui!», urlò Helan e con la coda dell’occhio vide lo stregone spingere i due nani all’interno. Seguì un forte boato e l’entrata del sentiero nascosto crollò, richiudendosi in un vortice di polvere e detriti.
L’elfa rinfoderò Tirdir e mise l’arco a tracolla. Non avrebbe avuto una seconda occasione. Mentre Alagos aumentava l’andatura, si piegò in avanti sul collo dello stallone; appena ebbe trovato l’equilibrio, si sporse il più possibile verso il basso, con la mano a poche spanne dal suolo.
«Mastro Arciere!». All’udire la sua voce il nano si girò, illuminandosi di una nuova speranza. Quando gli fu accanto, lo afferrò per il braccio e senza mollare la presa lo sollevò dietro di sé, trascinandolo lontano dalle fauci dei mannari.
Mentre scappavano, il canto cristallino di corni d’argento riempì la pianura, annunciando l’arrivo dei guerrieri di Imladris.

 

Fili sentiva la gola secca e riarsa. Non ricordava più quante volte avesse chiamato il nome del fratello. Aveva assistito impotente al crollo della parete di roccia e diverse braccia avevano dovuto tenerlo fermo per impedirgli di finire travolto dalla frana. Quando i detriti si furono depositati, scattò in avanti e iniziò a scavare a mani nude nel punto in cui aveva visto il cielo per l’ultima volta. L’idea che Kili fosse là fuori da solo pesava come un macigno sul suo cuore. Doveva salvarlo.
Finalmente riuscì a liberare uno spiraglio, largo a sufficienza da permettergli di scorgere il fratello allontanarsi in groppa allo stallone color della notte, insieme all’elfa sconosciuta. In un attimo scomparvero alla vista, ma Fili continuò a fissare l’orizzonte, i pugni chiusi contro la roccia, finché non udì dei corni squillare sopra le loro teste.
«Mibilkhagâs [8]», ringhiò Dwalin.
La voce di Nori arrivò attutita dal fondo della grotta: «Non vedo la fine del sentiero. Lo seguiamo o no?».
«Lo seguiamo, è chiaro!», si affrettò a rispondere Bofur.
«La trovo una scelta saggia», mormorò soddisfatto lo stregone, strizzando l’occhio in direzione di Bilbo.
«E Kili? Non possiamo abbandonarlo!», urlò Fili, implorando il sostegno dei suoi compagni.
«Non temere giovane principe, tuo fratello è in ottime mani e se conosco Alagos a quest’ora sarà molto lontano dal pericolo. Ci raggiungerà presto vedrai», disse lo stregone con un sorriso rassicurante, prima di avviarsi verso il sentiero.
«So dove ci stai portando», sibilò Thorin parandosi di fronte a Gandalf. «Scommetto che questo era il tuo piano fin dall’inizio. Trovare rifugio dai nostri nemici».
«Non hai alcun nemico qui, Thorin Scudodiquercia, e il solo rancore che regna tra questi confini è quello che porti tu stesso», gli rispose Gandalf.
«Pensi che gli Elfi vorranno benedire la nostra impresa? Piuttosto tenteranno di fermarci», ribatté il nano.
«Certo che lo faranno», esclamò stizzito lo stregone. «Ma noi abbiamo domande urgenti che attendono una risposta e qui vive uno dei pochi sulla Terra di Mezzo che possiede le conoscenze per aiutarci. Se vogliamo avere successo, la faccenda va trattata con tatto, rispetto e non poca dose di fascino. Ecco perché lascerete parlare me», concluse Gandalf riprendendo il cammino.

 

Fu l’olfatto ad avvertirla del pericolo, ancora prima della vista o dell’udito. Un odore nauseabondo permeava l’aria ed Helan seppe di essere caduta in trappola.
Aveva spinto Alagos attraverso una gola, un passaggio tortuoso, che rappresentava però la via più veloce per rientrare nella valle a cavallo. Lo percorreva raramente, infastidita dalle alte pareti che nascondevano anfratti oscuri e profondi. Perfetti per un agguato.
Lo stallone scartò e una coppia di lupi selvaggi, cavalcati da due orchi, sbucò alla loro destra. Non c’era tempo per elaborare strategie. L’unica cosa certa era che dovevano dividersi, perché uniti rappresentavano un bersaglio troppo facile. Separati forse potevano farcela.
«Reggiti», ordinò al nano e senza aspettare una risposta si alzò in piedi sul dorso del cavallo, saltando addosso all’orco più vicino e trascinandolo al suolo.
Il violento impatto con il terreno le tolse il respiro, ma riuscì a vedere di sfuggita l’arciere aggrappato alla criniera di Alagos, il quale spinse il mannaro privato del suo cavaliere contro una sporgenza aguzza uccidendolo. Lei invece continuò a rotolare per alcuni metri, con le braccia alzate nel tentativo di proteggersi la testa nella caduta.
Quando riaprì gli occhi l’orco che aveva disarcionato torreggiava sopra di lei, la bocca aperta in un ghigno malvagio. L’alito fetido della creatura le riempì le narici. Cercò di muoversi, ma l’arco che portava a tracolla era bloccato dal peso dell’orco e le impediva di rialzarsi. Con orrore si accorse che Tirdir era rimasta nel fodero, appesa al fianco di Alagos. Era disarmata.
L’orco rise ed estrasse un lungo coltello. Un gelo profondo si impadronì di Helan e per la prima volta ella conobbe la paura di non vedere una nuova alba sorgere sul mondo. Come rispondendo ad un suo desiderio, il sole trovò un piccolo varco tra le nubi e un raggio fu catturato dal suo ciondolo, creando un lampo di luce scarlatta. Il riflesso accecò l’orco, che si agitò infastidito e calò la lama con forza, tranciando di netto l’arco e affondando a un soffio dalla guancia dell’elfa.
Finalmente libera, Helan si divincolò. Il sibilo di un oggetto che fendeva l’aria la fece scattare e, come nel Patio delle Lame tre anni prima, ruotò su se stessa afferrando l’impugnatura di una spada. Senza indugiare oltre sgozzò l’immonda creatura, che si accasciò con le mani alla gola.
Sopraffatta dalla tensione, l’elfa si lasciò cadere in ginocchio per riprendere fiato. Alle sue spalle un tremendo lamento testimoniò che anche l’ultimo mannaro era stato ucciso. Abbassò lo sguardo sull’arma che teneva in mano. Non era Tirdir, ma una tozza spada con la lama a doppio taglio.
«Attenta!».
Con un guizzo fulmineo Helan si girò, piantando la lama nel petto del secondo orco, che aveva tentato di sorprenderla. Fu con stupore che vide l’arciere stringere l’elsa di Tirdir, conficcata nella schiena del nemico. Le due spade si urtarono nel corpo dell’orco e vibrarono in una sorta di saluto.
Helan era incredula. Come aveva potuto un nano sconosciuto estrarre Tirdir dal fodero, quando persino tra le mura di Imladris solo pochi erano stati capaci di farlo?

 

In vita sua Kili non aveva mai incontrato un elfo, prima di quel giorno, e di certo non aveva mai rivolto la parola a uno di loro.
Ucciso l’ultimo orco si restituirono cautamente le rispettive spade, poi l’elfa si voltò, avvicinandosi con passi aggraziati al suo cavallo per controllare le sacche cadute durante il combattimento. I suoi movimenti non producevano alcun rumore e sembrava irreale, un’ombra destinata a sparire nella brughiera.
«Perché non indossi nessun tipo di calzatura?», chiese Kili all’improvviso, desiderando immediatamente non aver mai aperto bocca. Che razza di domanda gli era venuta in mente?
L’elfa si volse verso di lui con un’espressione indecifrabile e rispose: «Potrei dirtelo, ma poi sarei costretta ad ucciderti».
Il giovane nano fece un passo indietro, prima di sentire la risata di lei echeggiare sulle ripide pareti del burrone e perdersi lontano.
«Perdonami, temo di aver passato troppo tempo in compagnia di Elladan e della sua pungente ironia ultimamente. Ad ogni modo», riprese tornando seria, «la terra può dire molte cose, se si ha la pazienza di ascoltarla. È così che sono giunta fino a voi».
Si fissarono in silenzio, finché l’elfa non montò in groppa allo stallone e gli si avvicinò tendendogli una mano, minuta e affusolata.
«E ora torniamo Mastro Arciere, prima che i tuoi compagni inizino a preoccuparsi per te».

 

Voci melodiose si rincorrevano attorno a loro e l’aria profumava di primavera. Passi stanchi condussero la compagnia ad uno spiazzo, da cui videro il sole brillare su un palazzo immerso nel verde e costruito su una cascata.
Gandalf sorrise osservando le loro facce sbalordite e disse: «Davanti a voi sorge la valle nascosta di Imladris. Tuttavia nella lingua comune è nota con un altro nome…».
«Gran Burrone», mormorò lo hobbit, gli occhi spalancati di fronte a tanta meraviglia. Sentì il suo animo impaurito ritemprarsi e una nuova speranza nacque nel suo cuore.
«Esatto mio caro Bilbo», confermò lo stregone accarezzandosi la barba. «Qui troveremo aiuto e riposo».
«E Kili!», urlò Fili, scendendo di corsa lungo i solidi gradini scavati nella roccia.

 

Attraversarono il ponte al piccolo trotto, sotto gli sguardi vigili delle sentinelle, ed Helan sentì il nano esprimere un mormorio di ammirazione.
«Benvenuto nell’Ultima Casa Accogliente ad est del mare, Mastro Arciere», disse l’elfa, prima che un fluido movimento alla sua destra annunciasse che qualcuno si stava avvicinando. Un elfo comparve tra gli alberi, facendosi avanti lentamente.
«Lindir», lo salutò Helan con un cenno del capo.
«Bentornata. Vedo che hai di nuovo fatto incontri insoliti nella brughiera. Mi chiedo cosa porterai con te la prossima volta», disse Lindir aggrottando appena la fronte.
«Chi può dirlo», ribatté Helan con un sorriso, avvertendo il nano irrigidirsi. «C’è forse qualcosa che volevi dirmi?».
«Gli altri… ospiti si trovano nel piazzale. Erestor sta scendendo dalla biblioteca per incontrarli. Forse non è saggio che ti trovi in giro al suo arrivo», concluse l’elfo con eloquenza.
«Credo che ascolterò il tuo consiglio», lo ringraziò l’elfa ed Alagos nitrì, dirigendosi in fretta verso la direzione indicata da Lindir.
Quando giunsero nel piazzale furono accolti da cori festosi e il nano si lanciò a terra, correndo verso i compagni. Venne subito sommerso dalle domande e il giovane nano biondo lo strinse in un abbraccio soffocante, quasi temesse di vederlo volare via. Tale era il sollievo dipinto sul suo volto, che Helan non poté fare a meno di gioirne lei stessa.
Nessuno fece caso alla sua presenza, solamente lo stregone ammiccò riconoscente, ma non le dispiacque. Seguendo il suggerimento di Lindir si allontanò, accompagnando Alagos al suo recinto. Meritavano entrambi un po’ di riposo.
Rimase nei paraggi, raccogliendo qualche frutto per lo stallone, e udì Erestor e Mithrandir discutere, fino a quando i corni informarono del ritorno del Signore di Imladris e dei suoi guerrieri. Il suono di zoccoli e armi sguainate le suggerì che probabilmente Elladan ed Elrohir avevano dato sfoggio della loro abilità nelle manovre di accerchiamento a cavallo. Erano incorreggibili.
Conclusi i convenevoli, Mastro Elrond ordinò che fosse preparato un banchetto per rifocillare gli ospiti. Helan poteva immaginare la faccia di Erestor impallidire all’idea di dover svolgere il suo ruolo di anfitrione per una compagnia di nani.
«E ora che sta dicendo? Scommetto che ci sta offrendo insulti!».
«No amici miei, Mastro Elrond vi sta offrendo del cibo».
«Ah beh, in questo caso allora facci strada!».
Helan salì le scale scuotendo la testa. Doveva ricordarsi di non parlare mai più Sindarin al cospetto di quei nani diffidenti.

 

«Cosa tu faccia per annodare i capelli in questo modo non lo capirò mai», disse Gilraen, spazzolando con cura una ciocca dopo l'altra.
 «È stata una giornata impegnativa», rispose Helan con sincerità, mentre un nodo particolarmente ostinato le strappava una smorfia.
Apprezzava la compagnia della donna e spesso si recava a trovarla nei suoi alloggi. Sedevano insieme sulla terrazza, rimirando gli incantevoli giardini di Imladris e vegliando dall’alto sugli spensierati giochi di Estel. Entrambe amavano il silenzio, ma con gli anni avevano imparato a conoscersi e tra loro era nata una profonda amicizia.
Gilraen non parlava mai del proprio passato, né del padre di Estel. Da quando era giunta tra loro, in una cupa sera d’autunno, dolore e amarezza non avevano mai abbandonato i suoi occhi. Per questo Helan sapeva che l’aveva amato davvero. E che l’aveva perso per sempre.
Uno scalpiccio allegro annunciò l’arrivo di Estel.
«Madre! Madre li ho visti! Tantissimi nani sono scesi nella valle!».
La voce squillante del bambino riempì la stanza e quando vide l’elfa corse ad abbracciarla, salutandola festoso. Helan ricambiò la stretta con affetto, lasciandosi travolgere dal prorompente entusiasmo del suo giovane compagno d’addestramento. Poi il bambino si sporse per baciare la madre e si accomodò su uno sgabello, pronto a raccontare i dettagli di ciò che aveva scoperto.
«Ho parlato con alcune sentinelle», esordì in tono solenne. «Pare ci sia stato uno scontro con un gruppo di orchi e mannari venuti da sud. Non abbiamo subito nessuna perdita, ma del resto pochi possono rivaleggiare con l’abilità dei nostri guerrieri. Alcuni dicono che anche tu eri nella brughiera, Helan, e che uno dei nani è entrato a Imladris insieme e te».
Helan si accigliò. Aveva sperato che il suo ruolo in quella faccenda restasse ignoto, ma ormai era tardi e del resto non aveva fatto nulla di male. Incapace di resistere oltre agli imploranti occhi azzurri di Estel si decise a rispondere. «Sì, è vero. Io e Alagos l’abbiamo aiutato a scappare dai lupi selvaggi».
«Lo sapevo!», esclamò il bambino alzandosi in piedi. «Hai combattuto? Scommetto che Tirdir ha dovuto lavorare parecchio. Un giorno anch’io avrò una spada tutta mia e compirò grandi imprese, non è così madre?».
Le mani di Gilraen tremarono ed Helan vide che faticava a trattenere le lacrime. Allora si rivolse ad Estel: «Non correre, giovane uomo. Sei ancora troppo piccolo per possedere una spada. Ma ti prometto che, appena il pericolo sarà passato, potrai cavalcare Alagos insieme a me. Ora fammi un piacere, perché non vai a informarti se stasera ci saranno i dolci al miele?».
Il bambino annuì serio e si diresse in fretta verso le cucine.
«Mi dispiace Gilraen», sussurrò l’elfa quando furono sole.
«Non è colpa tua», le rispose la donna. Il suo volto era pallido e inespressivo, mentre continuava a districare le ciocche ribelli. «Il destino di mio figlio non è nelle nostre mani».
Rimasero in silenzio, mentre il sole calava nella valle.
«Ecco, ora sei pronta».
Helan guardò il proprio riflesso allo specchio e sorrise grata all'amica.

 

La sala era illuminata con candele e lanterne; cuscini dai colori vivaci erano disposti attorno ai tavoli imbanditi e in un angolo alcuni musicisti accordavano i loro strumenti.
Ma Kili non prestò molta attenzione all’eleganza dell’ambiente. Si alzò sulle punte dei piedi, ma subito si riabbassò deluso. «Dov’è lei?», chiese avvicinandosi a Erestor.
Il consigliere del Signore di Imladris si irrigidì, lanciando un’occhiata sprezzante ai nani di fronte a lui.
«Credo di non aver inteso la vostra domanda», rispose secco.
«Dov’è lei?» ripeté Kili. «Dov’è la dama intrepida che ci è venuta in soccorso nella brughiera?».
Le labbra di Erestor si tirarono ancora di più. Dunque era stata lei. Avrebbe dovuto immaginarlo. Sapeva che prima o poi avrebbe portato il pericolo nella loro valle. Passi leggeri e un fruscio di seta confermarono i suoi sospetti. «Ecco la vostra thalhiril», disse beffardo, indicando con un brusco cenno la figura vestita di blu comparsa dietro di loro.
Kili si fece largo e giunto davanti all’elfa si inchinò. «Kili, al vostro servizio! Io e i miei compagni vi ringraziamo Dama Thalhiril per il vostro prezioso aiuto». Era certo che Balin sarebbe stato fiero delle sue buone maniere.
Un improvviso silenzio lo fece alzare di scatto. «Ho forse detto qualcosa che vi ha offeso mia signora?».
L’elfa lo osservò e Kili si sentì attraversato dalla profondità del suo sguardo. Fu sollevato quando infine la udì parlare.
«Nessuno mi aveva mai dato un epessë [9] prima d’ora. Perdonatemi», disse l’elfa, vedendo che i nani non capivano il significato delle sue parole, «un epessë è un soprannome, difatti la parola che hai usato significa “dama intrepida”. Come se io ti chiamassi Cúnir [10], che significa “mastro arciere”. Il mio nome invece è Helan, ma potete chiamarmi Thalhiril [11] se vi fa piacere. Ne sarei onorata», concluse portando una mano al petto e inchinandosi a sua volta.




 

NOTE:
[1] Per riferirmi ai warg (parola di origine norrena che Tolkien utilizza per indicare una razza di lupi dalla natura malvagia) userò i termini “mannari” e “lupi selvaggi”.
[2] Il sambuco ha proprietà antinfluenzali e nel linguaggio dei fiori significa “compassione”.
[3] In Sindarin significa Cosa ti turba, Alagos? Cosa senti?.
[4] Città del Contea situata nel Decumano Ovest, dove vive la maggior parte della famiglia Tuc.
[5] In Khuzdul significa Elfo.
[6] In Sindarin significa Questo posto è pericoloso. Fuggite!.
[7] Nome elfico di Gandalf, in Sindarin significa Grigio pellegrino.
[8] In Khuzdul è un termine dispregiativo e significa Elfi.
[9] Termine Sindarin per indicare un soprannome attribuito in conseguenza a particolari caratteristiche o ad azioni compiute da un individuo durante la vita.
[10] In Sindarin significa Mastro Arciere (letteralmente Bow Man).
[11] Nome elfico di mia creazione composto dai termini Sindarin thalion (intrepido) e hiril (signora, dama).

DATE:
2941 T.E. 27 aprile: partenza della Compagnia da Lungacque.
2941 T.E. 4 giugno: arrivo a Gran Burrone.


 

ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti,
mi scuso per l’enorme ritardo nella pubblicazione e ne approfitto per ringraziare quanti leggono e seguono questa storia. Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate ne sarò felice!
Un grazie particolare a didi_95, evelyn80 e zebraapois91!

Possa la strada alzarsi per venirvi incontro e possa il vento soffiare sempre alle vostre spalle
Tielyannawen

   
 
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