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Autore: IoNarrante    27/08/2015    7 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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Capitolo 29
 
 
La facciata del Royal Court of Justice mi aveva sempre suscitato una grande emozione, sin da quando ne avevo sentito parlare nei libri più famosi di Storia del Diritto Medievale e Moderno. Aveva l’aspetto molto simile a Westminster Abbey, ovvero quel caratteristico stile gotico inglese, sparso un po’ in tutta la città, e nessun turista si sarebbe mai immaginato che all’interno di un edificio del genere, che magari poteva assomigliare benissimo ad una abbazia, si svolgessero la maggior parte dei processi per cause civili di tutta Londra.
Inspirai l’aria pungente di quella mattina e tentai di non lasciarmi impressionare dall’imponenza di quell’edificio.
Già lo hai visto una decina di volte, datti un contegno!
Come al solito, il mio Cervello aveva ragione e non potevo che dargli retta. Avevamo già svolto l’udienza preliminare in una di quelle stanze, ed era stata rinviata a causa del test del DNA. I risultati ci erano poi stati inviati dai collaboratori di St. James, perché ogni nuova prova portata in tribunale doveva essere presa in esame privatamente dalle due parti. Anche al St. Charles la signorina Elizabeth risultava incinta, per cui avremmo dovuto affrontare una causa che già partiva con un punteggio avvantaggiato per l’accusa.
«Dovrebbe essere già qui,» disse spazientito James, guardando l’orologio.
Era evidente come anche il giovane avvocato fosse nervoso, soprattutto perché il nostro cliente ancora non si era palesato. Mancavano soltanto dieci minuti all’inizio del processo e Miss Elizabeth si era già accomodata in aula.
Mi aveva rivolto una breve occhiata di disgusto, tanto per marcare la questione di essere superiore a qualsiasi persona di sesso femminile.
«Vedrai che arriverà,» gli dissi per rassicurarlo.
A dire il vero, non ero tanto sicura delle mie parole. Da quando avevo lasciato l’appartamento di Simone, l’idea di rivederlo mi metteva un terrore addosso che non sapevo descrivere. Questo perché ero colpevole e me ne rendevo conto ogni giorno che passavo lontano da lui.
Ero stata codarda ad approfittare di quel suo sfogo di gelosia per andarmene. Mi ero allontanata senza nemmeno avere il coraggio di dirgli il reale motivo. Dentro di me ero divisa a metà: una parte voleva che Simone si presentasse in aula, almeno per avere più chance di vincere il processo; l’altra parte avrebbe fatto volentieri a meno.
Cosa gli avrei potuto dire una volta che lo avessi avuto davanti?
Mi aveva lasciato un messaggio in cui mi diceva che gli mancavo. Quelle parole mi avevano fatto male come mille coltelli lanciati simultaneamente contro il mio cuore. E nonostante ciò, non lo avevo richiamato.
James mi fissò seriamente in ansia. «Lo sai che se non si presenta, perderemo credibilità di fronte al giudice?»
Lo sapevo benissimo.
Il primo passo per ammettere il torto era proprio quello di “evitare” la persona a cui lo si era fatto. Un po’ come mi stavo comportando io stessa con lui. Dentro di me pregai che riuscisse ad arrivare in tempo, perché altrimenti tutta la sofferenza che stavo provando in quel momento sarebbe stata vana.
Avremmo perso la causa, avrei perso l’opportunità di diventare socia dello studio e non avrei nemmeno più avuto il coraggio di presentarmi davanti a lui.
«Sono sicura che ci sarà,» insistetti.
Aspettammo qualche altro minuto e proprio quando l’usciere del tribunale si affacciò per avvertirci che il giudice aveva richiamato gli avvocati in aula, la riconoscibile cinquecento blu metallizzato si palesò all’orizzonte.
Fui sollevata nel vederla perché almeno avevamo una chance in più di vincere.
James mi guardò tirando un sospiro di sollievo. «Io vado dentro, tu aspetta Mr. Sogno e accompagnalo dentro.»
PANICO.
Stava accadendo proprio ciò che temevo, ovvero rimanere da sola con lui. Mi ero creata nella mente una sorta di alibi, una scusa per non essere a tu per tu con il ragazzo che avevo lasciato senza nemmeno una misera spiegazione. Mi sentivo un verme.
«A-Aspett-…» tentai di aggrapparmi a James.
«Sono sicuro che ce la farai, conto su di te!» e scomparve all’interno del Royal Court of Justice.
Dannazione. Maledizione. Cazzo.
Che linguaggio scurrile.
La cinquecento blu era appena stata parcheggiata nell’area riservata ai clienti e tentai di non fissare troppo il posto del guidatore. Avevo troppa paura di scorgere le iridi scure e infuriate di Simone, avevo il terrore che quel suo sguardo mi avrebbe completamente destabilizzata.
Fissai il marciapiede con rinnovato interesse.
Mentalmente cominciai a ripetere passo dopo passo tutte le mosse che avevamo studiato assieme a James la sera prima, in modo da non dimenticare nulla. Per prima cosa, ci sarebbe stata l’esaminazione da parte del giudice dei risultati ottenuti dalla clinica, eravamo più che sicuri che St. James aveva puntato tutto su quello, senza approfondire null’altro. A quel punto saremmo intervenuti noi, con la storia di Mr. Wright, la sua testimonianza e le “strane” coincidenze che avrebbero fatto dubitare chiunque dell’innocenza della Cloverfield.
«Ehi Veeeeeen!»
La voce squillante di Sofia mi destò dalla mia concentrazione e fui costretta ad alzare lo sguardo. Dietro la bellissima Sogno, con la sua immancabile cascata di capelli voluminosi e biondi, c’era Simone.
Era bellissimo.
Forse ancora di più di quanto lo ricordavo. Aveva indossato un completo stavolta, un gessato grigio scuro con la camicia celeste e la cravatta abbinata. Sembrava quasi più grande, come se in quei tre giorni fosse invecchiato.
Anche le profonde occhiaie gli davano qualche anno in più.
Che gli sarà successo?
Appena dietro di lui, vidi Gabriele. Era impeccabile anche lui, come sempre, ma gli occhi azzurri del fratello più grande trasudavano nervosismo. Erano scuri in volto, quasi devastati da quella causa che ormai si protraeva per troppo tempo.
«Come sei bella!» mi disse Sofia, felice e sorridente come sempre.
«Grazie,» le risposi imbarazzata.
Lentamente la distanza che divideva me e Simone si stava assottigliando. Ogni fibra del mio corpo voleva evitare quel momento perché sapevo di essere nel torto. Non dovevo dargli occasione di parlare.
«Presto, ci stanno aspettando,» dissi, cominciando a salire le scale.
Gli diedi le spalle senza nemmeno salutarlo. Fu un gesto da vigliacca, lo ammetto, ma c’erano in ballo troppe cose e volevo evitare di venire mentalmente deconcentrata da Simone.
«Spero che abbiate studiato una linea migliore dell’altra volta,» sospirò Gabe, evidentemente spazientito. «Questa storia non sta facendo altro che influire negativamente sul rendimento di Simone.»
Rimasi quasi pietrificata. Serrai i pugni e mi costrinsi a proseguire senza mai voltarmi indietro. Cosa aveva voluto dire?
«Entrate, presto.»
Lasciai passare i fratelli Sogno all’interno dell’aula, poi sentii una pressione insostenibile alla bocca dello stomaco e fui costretta a correre nel primo bagno disponibile. Per fortuna era deserto, così rimisi tutta la colazione di quella mattina.
Mi sentivo uno straccio.
Accasciata completamente sul pavimento del bagno, attesi che il mio stomaco la smettesse di ballare la rumba.
«Tutto bene?»
La voce di Sofia mi colse un’altra volta di sorpresa. Tentai di rimettermi in piedi a fatica e a darmi una sistemata. «S-Sì, sì!»
Avevo paura potesse scoprire la mia condizione fisica, oppure il penoso stato d’animo in cui mi trovavo in quel momento. Avevo troppe cose in ballo, troppe emozioni da gestire che prima o poi mi avrebbero mandato ai matti.
Sofia si affacciò per sincerarsi della mia condizione e vedendomi con le lacrime agli occhi, il trucco sbaffato e le labbra gonfie si impietosì. Sorrise dolcemente e si inginocchiò accanto a me, cominciando a pulirmi il viso con una salviettina umida.
Come avrebbe fatto mia madre.
«Non puoi accollarti tutti i problemi del mondo senza mai chiedere l’aiuto di nessuno,» disse di punto in bianco, quasi avesse avuto la facoltà di leggermi nella mente. «Prima o poi ti senti male.»
Le sorrisi senza aggiungere altro, anche perché ero già in ritardo per il processo. Dovevo essere in aula ad aiutare James invece che sul pavimento del bagno a piangermi addosso.
«Devo darmi una sistemata,» dissi, rialzandomi e tentando di aggiustare il mio aspetto.
Sofia mi aiutò, sempre disponibile.
Alla fine sembrò quasi che non avessi avuto quel piccolo attacco di panico, ma avevo comunque un aspetto semi-stravolto. Vedere Simone ridotto in quello stato mi aveva distrutta, sia fisicamente che psicologicamente.
«Grazie,» dissi in direzione della più piccola dei fratelli Sogno. «Cercherò di sdebitarmi in qualche modo.»
Sofia mi sorrise e mi trattenne per una mano, diventando stranamente seria.
«Non so cosa sia successo tra te e Simo,» disse. Cercai in tutti i modi ad isolarmi da quel discorso perché non volevo prediche. Avrei preferito mille volte tornare in aula e andare direttamente in pasto a St. James. «Ma sappi che io farò sempre il tifo per voi due, come quando è iniziato tutto questo.»
Rimasi spiazzata da quella ammissione.
Era strano capire che non solo eravamo importanti l’uno per l’altra, ma c’erano anche terze persone coinvolte nella nostra storia. Allontanandomi da Simone, avevo soltanto pensato al suo stato di salute e al mio, ma vedere Sofia ancora con la speranza di vederci insieme alla fine di tutto mi diede un po’ di carica.
 
L’aula del tribunale dove si sarebbe dovuto tenere il processo era la stessa della volta precedente. Entrai silenziosamente per trovare subito il mio posto accanto a James, senza creare ulteriori imbarazzi per essere arrivata in ritardo.
«Tutto bene?» mi chiese lui, vedendomi un po’ stravolta.
Annuii silenziosamente cominciando a disporre sulla scrivania tutti i documenti e il piano d’azione che avevamo studiato per quel processo. Simone era seduto accanto a James con lo sguardo perso nel vuoto. Era evidente come tra di noi ci fosse un muro invalicabile, un silenzio carico di mille parole inespresse, ma quello non era né il momento né il luogo per esprimerci.
Il giudice entrò in aula, facendo alzare in piedi tutti i presenti.
Rivolsi un’occhiata a St. James che tirava fuori il petto in modo pomposo, quasi fosse sicuro del tutto di portarsi a casa la vittoria. Lo odiavo a pelle, soprattutto perché andava contro la mia etica professionale. Se davvero Miss Cloverfield aveva truffato Simone, Carl St. James ne era al corrente e aveva portato avanti quella messa in scena senza alcun pudore.
«Buongiorno a tutti,» disse il giudice Simmons, accomodandosi sulla sua grande poltrona rossa. «Bene, oggi riesaminiamo il caso Cloverfield-Sogno, rinviato a causa di una mancata conferma per il test di paternità fatto dall’accusa. Dunque, chiedo ad entrambe le parti se siete stati messi al corrente dei risultati?»
James annuì, prendendo la parola. «Vostro Onore, la difesa è venuta a conoscenza del risultato del test, effettuato presso la clinica di St. Charles, convenzionata dallo studio Abbott&Abbott di cui sono rappresentante,» iniziò, senza tralasciare nulla. Il giudice parve molto attento. «Vorrei porre all’esame di questa corte, però, una questione di cui siamo venuti a conoscenza soltanto da poco tempo.»
Vidi St. James sbiancare di colpo. «Obiezione, vostro onore. L’accusa non è stata messa al corrente di questi nuovi risvolti e quindi non possiamo controbattere.»
Il giudice Simmons osservò entrambe le parti. «Avvocato St. James, può capitare che una delle due parti non abbia tempo materiale per presentare i documenti relativi ad un nuovo risvolto del caso, sentiamo prima cosa ha da dire il suo collega. Al massimo vi concederò qualche ora per riorganizzare un piano valido.»
St. James non poté replicare in alcun modo.
Sorrisi alla piccola vittoria che aveva ottenuto la nostra “squadra”. Mi ritrovai a pensare come io e James stessimo combattendo, uniti come non mai per un obiettivo comune e mi ritrovai a pensare a Simone, a quello che faceva per vivere.
Magari non è solo uno stupido troglodita che corre appresso ad un pallone.
Forse anche lui aveva degli obiettivi.
«Grazie, Vostro Onore,» continuò James. «Recentemente, io e la mia collega, abbiamo indagato passo per passo sugli spostamenti del nostro cliente la sera del 29 settembre 2014 e ci è capitato di trovare un vecchio articolo di giornale che parlava di un evento mondano successo non più di cinque anni prima.»
Quello era il momento clou della storia. Eravamo partiti col botto, come da copione, ma era inevitabile. Vidi la Cloverfield cominciare a muoversi nervosamente sulla sedia, quasi avesse qualcosa da nascondere. Forse avevamo scavato nel punto giusto, finalmente cominciavano a saltare fuori i vecchi scheletri nell’armadio.
«Per spiegare meglio tale situazione, chiamo la mia collega per esporre i fatti in quanto si è occupata personalmente della deposizione firmata ed autenticata del nostro testimone chiave,» mi sorprese James.
Non si era parlato di questo! Non ero ancora pronta per affrontare tutto il processo da sola, soprattutto non avrei potuto concedermi il minimo margine d’errore.
«Prego, Venera,» mi disse, sorridendo per incoraggiarmi.
Inspirai forte e decisi di prendere la situazione in mano. Ero una tirocinante e forse quella sarebbe stata la mia prima e ultima occasione per dimostrare quanto realmente valessi. Dovevo meritarmi il posto nello studio, altrimenti tutto ciò che avevo sacrificato in quei giorni sarebbe stato vano.
Mi alzai in piedi, lisciandomi bene le pieghe della gonna. Arginai il tavolo dove erano sparse le pratiche e afferrai la deposizione di Mr. Wright, giusto per avere un punto di riferimento. Cercai di non guardare Simone direttamente negli occhi, altrimenti avrei perso tutta la sicurezza che avevo acquistato in quei pochi momenti.
«Vostro Onore, vorrei iniziare con una storia davvero curiosa e affascinante. Partirei da una sera, una come tante, e il soggetto della nostra storia sarà un famoso attore che ha appena vinto numerosi e prestigiosi premi,» iniziai.
Le facce del giudice Simmons, di Carl St. James e di Elizabeth erano quasi sconvolte, eppure sia Sofia che Gabriele parevano abbastanza incuriositi da quel mio racconto.
«Chiedo obiezione, Vostro Onore, il racconto dell’avvocato Donati non mi pare pertinente al caso,» intervenne St. James, tanto per mettermi i bastoni tra le ruote.
Simmons batté più volte il martelletto, chiedendo ordine in aula. «Avvocato St. James, sentiamo prima tutta la storia e poi giudicheremo la pertinenza o meno per questo caso.»
Ringraziai il giudice con un cenno del capo, poi proseguii. Dovevo utilizzare il massimo della mia professionalità, soprattutto per dimostrare a Simone cos’ero in grado di fare e il perché avevo avuto bisogno di quel periodo lontani.
Lo hai fatto per lui.
Lentamente nella mia testa cominciò a formarsi l’idea, inconscia, che tutte le azioni che avevo compiuto, giustificate con il fatto che dovessi a tutti i costi diventare socia della Abbott&Abbott, erano state compiute unicamente con lo scopo di vincere la causa. Certo, tale risultato mi avrebbe dato più chance di diventare un avvocato a tutti gli effetti, ma trionfare su St. James avrebbe soprattutto liberato Simone dalle catene che la Cloverfield aveva intenzione di mettergli a vita.
Una vera e propria estorsione sotto forma di gravidanza.
«Tale sera in questione, una sera “X”, questo attore incontra in un locale abbastanza frequentato da personalità di spicco una ragazza le cui fattezze abbiamo riscontrato corrispondono a quelle di Miss Cloverfield,» proseguii.
«Obiezione, Vostro Onore!» ormai St. James sapeva dire soltanto quello.
Simmons roteò gli occhi al cielo. «Per cosa, di grazia?»
L’avvocato dell’accusa aveva pochi pesci da pigliare. «L’avvocato Donati sta insinuando cose sulla mia cliente senza presentare un minimo straccio di prova.»
A quel punto era giunto il momento di passare ai fatti. «Riportato a pagina sei del documento che Mr. Abbott vi sta consegnando,» dissi, mentre James si adoperava per far avere al giudice e a St. James una copia ben impaginata della deposizione di Mr. Wright. «Potete trovare una fotocopia dell’articolo scritto da Bastian Force, attuale capo redattore del Daily Voice. Secondo la sua testimonianza, quella sera la signorina Elizabeth Cloverfield ha avvicinato il nostro testimone chiave e lo ha sedotto. Secondo alcuni testimoni, tale storia d’amore facoltosa comparve su tutti i tabloid inglesi dell’epoca, anche se adesso non vi si trova alcuna traccia. L’allora Miss Cloverfield, cito dal Mondane Paper, “era una graziosa e anonima ragazza del Sussex”»
E a quel punto Elizabeth non trattenne la rabbia. «Sono soltanto menzogne!!» urlò.
Simmons parve svegliarsi da un torpore momentaneo, pronto a sbattere il martelletto sul legno con veemenza. «Avvocato St. James! Tenga a bada la sua cliente! Siamo in un’aula di tribunale, santo cielo, mica a Portobello!»
Sorrisi dentro di me, pregustando la vittoria. Cercai di non guardare Simone, ma fu più difficile del previsto. Con la coda dell’occhio tentai di individuare il suo volto, ma lo trovai a capo chino intento a fissarsi le scarpe. Era difficile per me vederlo in quello stato, soprattutto perché da sempre era stato quello più spensierato e allegro dei due. Ero io quella coi piedi per terra.
Ignorai quella brutta sensazione. «Si riconosce in questo articolo, Miss Cloverfield?» le dissi, camminando lentamente verso il posto in cui era seduta e mostrandole esattamente la foto che la ritraeva in uno dei vecchi giornali mondani che aveva dimenticato di “comprare”.
Gli occhi azzurri e guizzanti di rabbia della ragazza mi fulminarono da parte a parte. Se al posto delle lunghe unghie laccate di rosso avesse avuto un coltello affilato, ero sicura mi avrebbe tappato la bocca per sempre.
Questo lo faccio soltanto per te, Simo.
«La signorina Cloverfield, dopo mesi di fidanzamento con il nostro testimone, ha pensato bene che la fama che aveva acquisito non fosse abbastanza, per cui, qualche settimana dopo, uscì la notizia di una sua improvvisa gravidanza,» e lì ci fu il colpo di scena.
St. James si voltò verso la sua cliente, senza più assi nella manica.
Mi sentivo piuttosto trionfante. «Tale gravidanza non fu mai riconosciuta dal nostro cliente, alché la storia si concluse in un processo civile, coincidenza alquanto incredibile, ma al momento della riprova del test del DNA, i risultati riscontrati furono del tutto negativi e la signorina Cloverfield perse la causa di allora, senza ottenere alcun beneficio economico. Si tenne soltanto la fama acquisita con lo scandalo,» conclusi.
Avevo spiegato per filo e per segno tutto ciò che mi aveva confessato Mr. Wright, ma ciò non toglieva che l’accusa aveva ancora il test dalla loro parte. Io e James avevamo tentato il tutto per tutto, studiato ogni singola via di fuga per poter arginare quel particolare, purtroppo rimaneva la  prova più schiacciante.
Il giudice Simmons si lisciò i folti baffi grigi. «Bene avvocato Donati,» sospirò. «Ho ascoltato questa storia davvero affascinante sulla signorina Cloverfield ma per quanto possa risultare davvero troppo piena di coincidenze, rimane ugualmente una storia
Chiusi gli occhi, tentando di non entrare nel panico. «Vostro Onore, il nostro testimone ha rilasciato questa dichiarazione nonostante volesse rimanere totalmente anonimo. Ogni notizia di questa vicenda è stata insabbiata e nemmeno Mr. Force, che abbiamo contattato personalmente, a suo tempo è riuscito a trovare qualche traccia di questo processo negli archivi del tribunale. È troppo sospetto per essere lasciato al caso,» insistetti.
James ed io avevamo calcolato anche quella possibilità.
Magari se Mr. Wright si fosse presentato di persona, come testimone chiave, sarebbe risultato tutto molto più credibile rispetto ad una dichiarazione firmata su un foglio.
Simmons alzò una mano per creare silenzio. «Su un piano logico, avete tutte le ragioni per sospettare di questo caso, ma come dice lei, avvocato, se non sussistono prove concrete della colpevolezza di Miss Cloverfield per frode ai danni di questo vostro testimone, io non posso fare nulla.»
James si alzò in piedi, deciso ad intervenire. «Questa testimonianza scredita la veridicità di ciò che la signorina afferma. Come possiamo pensare che ciò che dice corrisponda al vero, dopo che appena cinque anni fa è successo lo stesso? Come allora, potrebbe aver falsificato i risultati clinici.»
St. James pareva aver riacquistato di nuovo colore. «Come ha affermato il giudice Simmons, non ci sono prove che dimostrino ciò che voi state dicendo. Potrebbero essere delle menzogne che ha inventato quel giornalista, se non avete nemmeno un testimone da presentare alla corte, potreste aver inventato tutto voi. Dal momento che la prova che l’accusa ha fornito è schiacciante, sarebbe stata l’unica vostra soluzione, appellarvi ad un ragionevole dubbio.»
Era prevedibile succedesse una cosa del genere, ma non avevamo nient’altro in mano. Molto dipendeva anche dal giudice che si aveva di fronte, che fosse comprensivo o meno. Simmons pareva abbastanza realista nelle sue decisioni ed ora saremmo dovuti passare al piano B.
«Concedo una pausa di un paio di ore per riorganizzare le due parti,» disse, sbattendo con il martelletto. «Voi portatemi delle prove oppure sarò costretto a prendere una decisione definitiva. Questo processo si è dilungato anche troppo per i miei gusti.»
 
***
 
«Dobbiamo contattare Wright!» si allarmò James, appena fuori l’aula. Armeggiava con il cellulare nella speranza che l’attore potesse essere disponibile per una apparizione in extremis.
Mi accasciai su una panchina poco distante, completamente priva di forze. L’adrenalina che avevo accumulato dopo che James mi aveva lasciato in mano le redini del caso, stava esaurendo ogni mia forza. Ero completamente svuotata.
«Non è detto che si presenti in aula,» gli ricordai, conoscendo bene George Wright. La sua smania di privacy lo aveva ridotto ad una specie di eremita-mezzo metallaro che insisteva a starsene tutto il giorno rintanato nel suo appartamento.
L’avvocato mi fissò in tralice. «Non dobbiamo assolutamente arrenderci, tu contatta il giornalista, magari può esserci utile anche lui!»
Era davvero preso dal panico, soprattutto perché ormai ci trovavamo alle ultime battute. Nel giro di quella giornata avremmo vinto o perso, non c’era più molto da fare. Avremmo dovuto giocare tutte le nostre carte.
Gabriele intervenne. «Ma com’è possibile che ogni documento di quella causa sia andato perduto?»
Sospirai. «Pare che la ragazza che tuo fratello ha deciso di rimorchiare,» spiegai, con una voce piuttosto acida. «Fosse una specie di James Bond e che conoscesse mezzo mondo all’interno dell’alta borghesia inglese. Ha insabbiato ogni cosa pur di mantenere la sua apparenza.»
Sofia era sconvolta. «Incredibile.»
Simone sembrava un fantasma. Appoggiato contro lo stipite della grande porta d’ingresso della Royal Court of Justice, osservava come le nuvole correvano veloci senza dare apparente attenzione a ciò che lo circondasse. Era quasi invisibile.
Magari ha perso la speranza.
Scacciai quel pensiero perché davvero non volevo crederci. Io e James stavamo tentando in tutti i modi di poter trovare una soluzione, ma se Simone si era già arreso sarebbe stato tutto inutile.
«Non risponde, dobbiamo andare da lui!» disse James, completamente preso dal panico.
Annuii convinta e cercai di fare mente locale. Dovevamo trovare la strada più breve per il suo appartamento e poi convincerlo a testimoniare. Uscimmo in fretta e furia dal tribunale, voltandoci per cercare la fermata della Tube più vicina.
«Farete prima con la macchina di Simo!» suggerì Sofia, ovviamente.
L’idea di coinvolgere Simone in quella piccola gita mi terrorizzò. Non sapevo come avrebbe reagito, soprattutto perché ci ritrovavamo sempre stretti nel solito triangolo che tanto lo faceva arrabbiare.
Senza scomporsi, frugò tra le tasche del bellissimo completo e lanciò le chiavi in direzione di James. Non aggiunse una parola. Era come se di Simone Sogno fosse rimasto soltanto l’involucro vuoto, senza nessuna luce nello sguardo.
«Andiamo,» suggerì James, trascinandomi verso la piccola autovettura.
Lo seguii quasi riluttante. Da una parte avrei voluto occuparmi personalmente di Mr. Wright ma dall’altra mi faceva male lasciare Simone in quello stato.
È colpa tua se è ridotto così.
Ignorai ancora una volta la cosa giusta da fare e seguii James, salendo in auto. Quella tappezzeria profumava esattamente come Simone e la nostalgia mi assalì tutta insieme. Era strano quanto facessero male i ricordi, soprattutto quando la persona con cui saresti voluta essere era a pochi passi da te.
«Devi proseguire dritto e girare alla prima a destra,» dissi, rendendomi utile e seguendo le indicazioni del navigatore. Dovevamo raggiungere la casa dell’attore nel minor tempo possibile, anche perché non sarebbe stato affatto facile convincerlo a presentarsi in aula.
Ci mettemmo circa una mezz’ora di viaggio per arrivare, cosa che magari ci fece ritardare molto sulla tabella di marcia. Forse avremmo dovuto calcolare un risvolto del genere e contattare qualche giorno prima Mr. Wright in modo da prepararlo psicologicamente a quella presentazione.
«Dobbiamo sbrigarci,» disse James affannato, suonando il campanello.
Come al solito, lo strano maggiordomo dell’attore ci venne ad aprire e, una volta riconosciuti, sbuffò chiamando il proprio capo.
George Wright si palesò all’ingresso vestito unicamente di un paio di mutande striminzite. Cercai di guardare ovunque tranne nella sua direzione, era pressoché ridicolo.
«Ancora voi due! Cosa volete stavolta? Un assegno? Un rene? La mia vita?» sbuffò infastidito.
Decisi di intervenire anche perché avevamo poco tempo. «Ci serve la sua testimonianza, Mr. Wright. La sua presenza in carne ed ossa perché il giudice richiede delle prove più concrete.»
L’attore non parve affatto contento. «Ve lo potete scordare,» scosse il capo. «Non ci penso proprio a rivivere quell’incubo d’accapo.»
Ora cominciava davvero ad infastidirmi. «Non voglio essere scortese,» iniziai, ma quel preambolo significava soltanto che lo sarei stata senza alcun ombra di dubbio. «Come le ho spiegato l’altra volta, il nostro cliente, un ragazzo molto giovane per giunta, rischia di rovinarsi la vita, la carriera e il futuro per colpa di una donna senza scrupoli. Ora, so che è difficile rivivere le cose che ha passato, ma pensi a questo ragazzo che potrebbe aiutare soltanto raccontando la sua vicenda.»
Mi pareva di essere stata abbastanza chiara e piuttosto appassionata. Sentivo il cuore battere a mille, soprattutto ricordando il volto di Simone emaciato e deperito. In che modo avrebbe affrontato il futuro se avessimo perso la causa? Una vita costretta a pagare quella donna e l’umiliazione dei media una volta scoperto cosa avesse fatto.
Mr. Wright parve soppesare le mie parole. «Magari se avessi avuto all’epoca un avvocato come lei, signorina, non mi sarei ridotto in questo stato.»
Fui notevolmente sorpresa di quel complimento. «C-Come?»
«Acconsentirò a testimoniare soltanto se lei risponde ad una mia semplice domanda. Voglio capire il motivo per cui ci tiene così tanto.»
Avrei fatto qualunque cosa pur di riuscire a vincere quella causa.
«Va bene,» risposi.
George Wright sorrise e nonostante fosse completamente in mutande, aveva un’aria piuttosto riflessiva. «Signorina Donati, è o non è innamorata del suo cliente?»
James sgranò gli occhi ed io per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. «P-Prego?»
«Questa domanda non è pertinente con il caso,» intervenne James.
L’attore scosse il capo. «Il patto è valido soltanto se la signorina risponde sinceramente a questa domanda. Sono un attore, capisco quando la gente mente.»
Rimasi un attimo a pensare sul da farsi, ragionando sulla risposta più adatta che Wright avrebbe voluto sentirsi dire. Il tempo scorreva inesorabile, molto probabilmente saremmo arrivati al tribunale senza nemmeno aver tempo sufficiente per studiare una strategia alternativa ma l’importante era avere l’attore al banco dei testimoni.
Avrei potuto mentire, dirgli che Simone mi stava a cuore ma che non ne ero innamorata, ma sapevo che mi avrebbe scoperta. Addirittura James aveva capito quanto per me il calciatore fosse importante ora come ora, per cui diedi la risposta più logica.
«Sì,» risposi sincera, fissando dritta negli occhi dell’attore. Volevo vi leggesse esattamente la verità, quella sincerità che non avevo mai avuto nemmeno con me stessa. Mai avevo affrontato a tu per tu questo genere di emozioni, giustificandole sempre con altri motivi che legavano la mia vita e quella di Simone ad uno scopo puramente legale. Non mi ero mai seduta a pensare quanto in realtà fosse radicato il sentimento che nutrivo verso di lui, ma il mio inconscio si era sempre difeso. Avevo giustificato ogni mia azione al fine di ottenere quel posto alla Abbott&Abbott ma i due risultati coincidevano per un motivo.
Tu lo ami, anche per questo non gli hai detto del bambino.
«Sì, cosa, mia cara?» cercò Wright, visto che non ero stata molto chiara.
Inspirai a pieni polmoni, cercando il coraggio per ammettere finalmente ciò che mi stava succedendo. «Sì, sono innamorata del mio cliente,» ammisi, più a me stessa che alle persone lì presenti. «Ed è proprio per questo motivo che tengo tanto alla causa, a vincerla e a permettere alla persona che amo di passare il resto della sua vita in tranquillità, senza dover essere schiavo di una donna senza scrupoli.»
James al mio fianco era teso come una corda di violino. Era stato lui a suggerirmi di finire quella storia, soprattutto ai fini della mia carriera, ma in quel momento sapevo che l’ammissione dei miei sentimenti davanti a tutti sarebbero stati come una doccia fredda per lui.
Wright si voltò e sparì in una stanza.
Presa dal panico, pensai che stesse scappando di nuovo nonostante gli avessi detto ciò che si voleva sentir dire. «Ehi!» gridai, un po’ come un camionista calabrese.
Il maggiordomo mi si parò davanti. «Mr. Wright è andato a prepararsi, prego di aspettare qui nell’androne.»
L’importante era l’obiettivo che avevamo raggiunto. Un conto sarebbe stato sprecare un’ora intera per poi tornare a mani vuote, un altro era rientrare con il famoso testimone chiave del processo. Anche se la parola di Wright non era accompagnata da nessuna prova, in quanto io e James non eravamo riusciti a ricavarne nessuna, sarebbe stata una testimonianza più tangibile rispetto a quella scritta su un effimero foglio di carta.
James mi guardò di sottecchi. «Ti senti bene?» mi chiese.
Ma avevo per caso un’espressione moribonda? Pareva che ogni essere che incontravo per strada capisse il mio stato emotivo e mi consolasse.
Sorrisi. «Tutto bene, grazie.»
L’avvocato mise le mani in tasca, ammazzando il tempo di attesa. «Sulla strada del ritorno dovremo preparare Mr. Wright alle possibili domande di St. James,» mi ricordò.
«Ci penso io,» affermai con sicurezza.
Era abbastanza evidente che gli occhi cerulei del bell’avvocato erano indirizzati alla sottoscritta per ben altri motivi. Non sapevo se provasse o meno dei sentimenti per me, dopo tutto quel tempo passato insieme, ma sentirsi dire che amavo un altro sarebbe stato un duro colpo per tutti.
«Senti,» iniziai, non sopportando più quel silenzio di cortesia. «Mi dispiace per quello che ho detto, ma voglio soltanto vincere questa causa e dare fine all’incubo che ormai mi sta perseguitando da mesi.»
James annuì. «Non devi scusarti,» sospirò, aggiustandosi meglio la cravatta color grigio antracite. «Se è quello che provi veramente, non hai scusanti. Nessuno può comandare ciò che prova, anche se ho tentato in tutti i modi di suggerirtelo. Adesso capisco che è una cosa impossibile ed è stata una vigliaccata suggerirti ciò che ti ho chiesto.»
Rimasi a guardarlo confusa. «Avevi ragione, James!» gli dissi convinta. Grazie alla separazione momentanea con Simone eravamo arrivati fino a quel punto di svolta e molto probabilmente avremmo vinto la causa. «Era una decisione che avrei dovuto prendere io stessa molto tempo fa.»
L’avvocato scosse il capo e afferrò delicatamente una mia mano, portandomi a fissarlo in quegli occhi sinceri. «La soluzione che ti ho suggerito era sì logica,» ammise contrito. «Ma per lo più era dettata da un’istantanea gelosia che non ho saputo sopprimere nel mio animo e che mi ha portato ad importi una decisione del genere. Mi dispiace, Venera. È colpa mia se ti sta succedendo tutto questo.»
Apprezzai moltissimo la confessione di James e proprio per questo motivo fui contenta di averlo ancora al mio fianco, come amico prima di tutto. Gli sorrisi per rassicurarlo, anche perché mi era capitato tante volte di sbagliare, proprio come lui.
«Indipendentemente dai motivi che ti hanno spinto a suggerirmi questo, era una cosa che ho deciso io stessa, senza alcuna condizione. Il mio lavoro è stato sempre importante per me, ma adesso sto capendo che ci sono anche altre priorità nella vita ed è forse proprio grazie a questa separazione che mi hai importo, che posso dire di aver fatto chiarezza.»
Mi meravigliai di me stessa, soprattutto per non essermi lasciata trasportare troppo dall’emozione e inveire stupidamente contro James. Non aveva colpa di nulla, proprio perché quella lontananza e quel dolore che stavo provando mi avevano aiutato a capire quanto tenessi a Simone.
Mi avevano permesso di scegliere.
«Dunque, dove si trova questo tribunale?» chiese Mr. Wright, completamente rimesso a nuovo.
Sgranai gli occhi e per poco la mascella non mi cadde sul pavimento. Al posto della barba lunga e dei capelli incolti, trovammo una peluria abilmente scorciata e curata, insieme ad una pettinatura all’indietro curata e con molto gel. Si era addirittura vestito di tutto punto, con un paio di pantaloni eleganti dal taglio classico, una camicia finemente stirata e un gilet elegante.
«Da questa parte, prego,» disse James che aveva riacquistato l’uso della parola notevolmente prima della sottoscritta.
Uscimmo dall’appartamento di Mr. Wright per dirigerci verso la piccola cinquecento blu metallizzata di Simone. Durante il viaggio di ritorno, preparai alla bell’è meglio il nostro testimone chiave sulle domande che avrebbe potuto ricevere da St. James. Era consuetudine da parte dell’accusa trovare quelle domande uguali e contrarie che avrebbero messo dei dubbi al giudice riguardo la veridicità degli eventi appena descritti.
Domande vere e non vere.
Tentai di citargliene qualcuna, ma avremmo dovuto fare appello alla sorte in quel caso perché era del tutto impossibile prevedere ogni singola questione che l’accusa avrebbe presentato al banco dei testimoni.
«Eccoci arrivati,» annunciò James, parcheggiando di fronte la Royal Court of Justice. Tentai di scorgere il volto triste ed emaciato di Simone che ci aspettava, ma vidi soltanto Gabriele che camminava avanti e indietro nervosamente.
«Era ora!» disse burbero.
«Questo è il nostro testimone, George Wright,» dissi, facendo le presentazioni.
Gabe parve finalmente riconoscere la figura dell’attore, sparito dalla vita mondana londinese ormai da anni.
«Mr. Wright è un immenso piacere,» disse estasiato.
«Quanto tempo ci è rimasto?» chiesi allarmata. «E dove sono tutti?»
Con quel “tutti” ovviamente mi riferivo soltanto a Simone. Mi ero spaventata trovandolo così a pezzi, sia emotivamente che fisicamente. Non vedevo l’ora che questo incubo finisse per potergli spiegare la situazione.
Gli dirai tutte le tue verità?
Per gradi gli avrei parlato di ogni cosa, passo dopo passo avremmo affrontato tutto insieme.
Gabriele mi fissò stranito. «Manca mezz’ora e il giudice richiamerà tutti in aula, spero per voi che Mr. Wright risolva questa enorme truffa. Perché se si tratta di questo, la signorina Cloverfield farebbe bene a cambiare nome, cognome e addirittura pianeta
Appoggiai in pieno la conclusione del fratello maggiore di Simo, questa volta la giraffona non avrebbe insabbiato tutto. Bisognava portare la verità a galla il più presto possibile.
«Presto, entriamo.»
Ci dirigemmo nel corridoio di fronte all’aula di tribunale che avrebbe ospitato l’altra metà del processo di lì a pochi minuti. L’obiettivo mio e di James era di non far incrociare Miss Cloverfield con Mr. Wright prima dell’inizio della causa altrimenti si sarebbero potuti creare degli attriti che non volevamo condizionassero la testimonianza dell’attore.
«Lei aspetti qui,» disse James, muovendosi in lungo e in largo per andare a organizzare un minimo di piano d’azione per dopo.
Mi sedetti vicino a Mr. Wright, cercando disperatamente con lo sguardo la presenza di Simone che sembrava essersi volatilizzata. Cominciai davvero a preoccuparmi, soprattutto perché nessuno di noi aveva calcolato la possibile assenza di una delle due parti al processo.
«Sei preoccupata, chérie?» mi chiese Wright, vedendo com’ero seduta al bordo della panchina, completamente tesa.
Annuii distrattamente. «Non lo vedo da nessuna parte,» gli confessai preoccupata.
Gabriele fece il suo ingresso qualche minuto dopo, seguito a ruota dai suoi due fratelli. Per fortuna, avrei sempre potuto contare su di lui visto quanto ci teneva a tenere alto il nome della sua famiglia.
«Grazie al Cielo!» sospirai a bassa voce, anche per non farmi vedere troppo entusiasta di vederlo comparire nell’edificio. Era una sorta di gioco di espressioni, visto che nessuno dei due sembrava cedere per primo.
Simone pareva un po’ più riposato, forse era riuscito a distendere i nervi e a fare qualcosa che gli permettesse di essere meno ansioso.
«Ora posso dire con certezza che quello che mi ha detto corrisponde alla realtà, Miss Donati,» disse l’attore sorridendo.
Lo guardai confusa. «Prego?»
Avrei voluto chiedere più spiegazioni in merito alle affermazioni enigmatiche che Mr. Wright stava facendo, purtroppo il giudice richiamò tutti in aula. Procedetti a passo spedito, appena dopo James e ci sedemmo alla scrivania dove Simone aveva già preso posto.  Oltre alla sua espressione corrucciata, una nuvola nera e intensa sembrava lo circondasse quasi ad esternare ancora di più il dolore che stava provando. Mi sentii profondamente in colpa, ma cercai di guardare oltre.
Mi ringrazierà dopo, dissi a me stessa.
Se mai ti vorrà rivolgere la parola.
«Avvocato St. James, avvocato Abbott,» iniziò Simmons, richiamando subito al banco i due rappresentanti della legge. «Avete avuto tempo sufficiente per riconsiderare la testimonianza? Avete raggiunto un compromesso? Ci sono nuove svolte in questo caso che pare infinito?» sospirò.
James si avvicinò con aria raggiante. «Vostro Onore, chiamiamo il signor George Wright come testimone chiave a sostegno della prova che abbiamo portato all’attenzione della corte in precedenza.»
St. James non si scompose e nemmeno la Cloverfield.
Simmons parve sorpreso invece. In fondo, Mr. Wright anche se era scomparso dalle scene per parecchio tempo, rimaneva comunque una figura di spicco. «Prego Mr. Wright, venga pure avanti,» gli disse.
L’attore prese posto di fianco al giudice, al banco dei testimoni. In un processo civile, spesso e volentieri era difficile fossero presi in considerazione addirittura “terze parti” ma in quel caso sarebbe stato obbligatorio. Non vi erano ulteriori prove documentate che confermassero ciò che era accaduto a Mr. Wright e lui rappresentava la colonna portante della nostra tesi.
«Bene avvocato Abbott, a lei il teste,» disse il giudice.
James inspirò e si preparò mentalmente le domande giuste. «Signor Wright,» iniziò. «Cinque anni fa lei è stata vittima di una vicenda davvero spiacevole. Vorrei gentilmente chiederle di riassumerci tale situazione e soprattutto indicare, se possibile, qui in aula l’autrice di tale “raggiro”, se così può essere chiamato.»
George Wright annuì, piuttosto calmo. Rispetto a quando lo avevo conosciuto il primo giorno, si stava comportando piuttosto razionalmente. Possibile che era bastato così poco a convincerlo a collaborare?
«Il mio incubo ebbe inizio cinque anni fa e la protagonista di questa vicenda confermo che si trova qui in aula,» iniziò l’attore, dando anche troppa enfasi al racconto, quasi la stesse recitando.
Raccontò la sua storia per tutto il resto del tempo, si prese ogni minuto possibile pur di chiarire qualsiasi punto confuso ci fosse. Raccontò di come era avvenuto l’incontro con Elizabeth, di quanto bella fosse e di come lo attirasse fisicamente, poi passò al periodo di vita “felice” che avevano passato insieme. Sembrò sinceramente dispiaciuto e compresi che magari si era impegnato davvero in quella storia, ci credeva, ma era svanito tutto e nel giro di poco tempo aveva visto ogni suo sogno frantumarsi in mille pezzi.
Tutto per colpa di un obiettivo che Elizabeth voleva a tutti i costi.
Mi ricorda un po’ qualcuno.
No, questa volta il mio cervello aveva preso un abbaglio. Per quanto all’epoca ero sicura di me stessa e dell’obiettivo che volevo raggiungere nella vita, sicura che sarei passata sopra a chiunque pur di ottenerlo, adesso ci avrei pensato bene due volte. Simone non era più una cotta, ormai. Lui era molto di più.
«E quindi, mi corregga, si è ritrovato ad avere una ex-fidanzata che affermava di portare in grembo suo figlio e pretendeva da lei una sorta di risarcimento,» intervenne James.
L’attore annuì. «Le avevo anche proposto di sposarmi, per via del bambino, ma era ovvio che non volesse. Si era giustificata dicendo che tra noi non poteva funzionare, ma avrei dovuto assicurare un futuro a mio figlio. Un figlio che non è mai realmente esistito tra l’altro.»
Se soltanto pensavo a cosa sarebbe successo a Simone se non avessimo scoperto la storia di Mr. Wright, mi si accapponava la pelle. Una vita costretta a risarcire una donna che avrebbe sperperato tutti quei soldi illegalmente guadagnati. Magari alla fine avrebbe addirittura ammesso di aver perso il bambino, visto che non poteva portare avanti quella farsa per troppo tempo, ma di sicuro avrebbe finito col rovinare la vita di Simone.
La detestavo. Non c’era maniera più infima che sfruttare un uomo per ottenere soldi e successo. Non avrebbe mai potuto contare su sé stessa, come io avevo sempre fatto, perché Elizabeth Cloverfield era una donna di poca sostanza. Evidentemente il suo unico talento era fregare gli altri.
L’attore continuò il suo racconto, fino a quando non giunse a descrivere tutto il processo e l’infinità di scartoffie che dovette presentare in tribunale. «I miei avvocati giocarono subito la carta del test, chiedendo una riprova, dal momento che Miss Cloverfield si reputava tanto sicura della sua situazione fisica. I risultati, però, si rivelarono negativi ed io vinsi la causa, dopodiché non seppi il motivo dell’insabbiamento.»
Nessuno di noi realmente lo sapeva. Per quale motivo quella donna aveva fatto di tutto per nascondere ciò che era successo? Forse il suo desiderio di sfondare nella vita mondana di Londra l’aveva portata a pensare che ripulire il proprio passato l’avrebbe aiutata.
«Avvocato, ha altro da aggiungere?» chiese Simmons, in direzione dell’accusa.
St. James a quel punto si alzò in piedi. Era calmo, disteso, sembrava ancora avere del tutto in mano la situazione. Quella sua espressione decisa e rilassata mi mise molta ansia.
«Siamo davvero colpiti dal suo illustre racconto, Mr. Wright,» iniziò, camminando avanti e indietro per tutta la lunghezza dell’aula. Mi faceva venire il nervoso! «Per quanto le sue parole siano commoventi e risentite, in quest’aula di tribunale si sta affrontando una questione completamente diversa che esula da questa vicenda conclusasi cinque anni orsono.»
«Vostro Onore…» tentò di insistere James, ma il giudice lo zittì con un cenno della mano.
Carl St. James sorrise di quella piccola vittoria. «Dunque, questa testimonianza ha un valore puramente etico, perché per quanto il giudice Simmons possa prendere in considerazione quanto udito in quest’aula, le mancate prove empiriche a tale teoria scagionano completamente la mia cliente dall’essere coinvolta. Come avete detto voi poc’anzi, avvocato Abbott, ogni traccia di questa vicenda è stata “cancellata” dagli archivi del tribunale e per quanto possiamo essere comprensivi,» e qui tirò fuori un sorriso mellifluo che mi fece saltare completamente i nervi. «Mancano le prove, e fino a prova contraria sono quelle che valgono nella legge moderna.»
Aveva ragione, per quanto la testimonianza di Mr. Wright aveva apportato un minimo di veridicità a quella storia, rimaneva pur sempre tale. Qualcosa di “raccontato” a voce e non sostenuto da documenti, fotocopie, file o quant’altro.
Non avete nulla in mano.
«È qui che si sbaglia, avvocato,» disse l’attore, alzandosi in piedi e richiamando l’attenzione del suo maggiordomo che non avevo idea di come avesse fatto a raggiungere la Royal Court of Justice.
L’uomo vestito in stile metal, portò una cartella carica di documenti in direzione di James che, stravolto, tentò di dare un senso a tutto ciò che stava succedendo e che prima o poi ci sarebbe sfuggito di mano.
«Cosa sta succedendo avvocato Abbott? Può dare una spiegazione alla corte?» il giudice Simmons pareva piuttosto alterato.
James non sapeva cosa rispondere.
«Questa è tutta la documentazione del caso Wright-Cloverfield di cinque anni fa, che ho richiesto dagli archivi privati dei miei avvocati,» spiegò l’attore.  Dentro di me sembrò quasi che un macigno fosse stato spostato dal mio cuore e ringraziai mentalmente quel colpo di scena che aveva un po’ risollevato la situazione.
St. James era bianco come un lenzuolo.
Aveva avuto un paio d’ore per riorganizzare la sua linea di attacco, ma evidentemente Elizabeth gli aveva assicurato di aver fatto piazza pulita di tutti i documenti. Poco dopo l’avvocato guardò la sua cliente rimproverandola con gli occhi.
 Il giudice Simmons si fece passare i documenti dall’usciere. «Questi fogli sono siglati dal tribunale stesso, possibile che non ci sono copie autenticate nei nostri archivi?»
Adesso era realmente alterato. La Cloverfield non rischiava solamente di perdere la causa, ma addirittura di venir indagata per oltraggio alla corte e falsificazione di documenti.
St. James cercò di arginare la situazione. «Vostro Onore, proprio perché non esistono documenti corrispondenti negli archivi del tribunale, quelli presentati da Mr. Wright potrebbero essere dei falsi!» insinuò.
Quella situazione si giocava tutta sull’incolpare l’uno o l’altro di falsa testimonianza. Cominciavo davvero ad essere scocciata da tutta quella situazione, soprattutto perché Simone pareva come al solito assente. Era quasi come se tutta quella storia non lo riguardasse, se stesse lì soltanto per tenere il posto a qualcuno che sarebbe venuto dopo di lui. Mi faceva profondamente soffrire vederlo in quello stato.
Intanto in aula imperversava il caos. St. James accusava Mr. Wright di aver portato dei documenti falsi, Jamie tentava in tutti i modi di dare credito al suo testimone e la Cloverfield gridava solamente “bugiardo!” in direzione dell’attore. Ormai si era giunti ad un livello di intollerabilità che nemmeno ad un mercato il sabato mattina.
«ORDINE! ORDINE!» gridò Simmons, sbattendo violentemente il martelletto sul tavolo. «Avvocati, richiamate all’ordine i vostri assistiti altrimenti dovrò accusarvi di oltraggio alla corte!»
Finalmente si riuscì ad ottenere una situazione di calma apparente.
«Avvocato Abbott, terrò conto della testimonianza di Mr. Wright ma e sicuramente aprirò un caso sulla “misteriosa” sparizione di questi documenti,» disse poco convinto. «Tornando alla questione del caso Sogno-Cloverfield, nonostante le coincidenze della storia di Mr. Wright siano alquanto sospette, nulla può screditare il test positivo di paternità ottenuto dalla clinica St. Charles.»
Per quanto eravamo riusciti a mettere in discussione la veridicità della Cloverfield e a far indagare sul suo discutibile passato, la prova schiacciante che l’accusa aveva presentato sin dal primo giorno era del tutto inattaccabile.
«Se la difesa non ha altre prove o altri tester da presentare, direi di procedere con la sentenza per questo caso che finalmente è giunto al termine,» sospirò.
Il mondo intero parve crollarmi addosso in quel momento. Avevamo studiato il caso per quarantotto ore quasi ininterrotte e non eravamo riusciti a trovare nulla che screditasse davvero la questione del test di paternità. L’unica variazione a cui potevamo appellarci, era la clemenza della corte per un ragionevole dubbio che avrebbe ridiscusso tutto il caso. Ma ciò che avevamo auspicato per Simone, non era avvenuto.
«Avvocato Abbott, avvocato Donati, avete da presentare qualcosa?» ci esortò ancora.
Sentii il peso del globo intero gravarmi sulle ginocchia, che stavano per cedermi. Avvertii la sconfitta che letteralmente mi spense, chiuse qualsiasi contatto con il mondo esterno e l’unica cosa che desideravo in quel momento era scomparire. Ogni sacrificio era stato fatto pur di ottenere il massimo dalla riuscita di quella causa, eppure, come ogni finale che non appartenesse ad una fiaba d’altri tempi, fece molto male. Mi resi conto che non solo avevo perso il lavoro, la causa e la credibilità, ma soprattutto mi ero lasciata alle spalle l’unica persona che si era affidata completamente alla sottoscritta.
In quel momento volevo soltanto affondare tra le sue braccia, sentirmi protetta e rassicurata. Accarezzata. Avrei voluto dirgli tante cose, ma qualsiasi parola mi pareva insufficiente rispetto a ciò che provavo nei suoi confronti. Adesso che nulla aveva più importanza, mi rimaneva ciò che era sempre importato davvero.
«Vostro Onore!»
Un’altra irruzione in aula mi destò completamente dalle mie riflessioni, facendomi trasalire. Yuki Kamigawa fece il suo ingresso alla Royal Court of Justice, seguita da una signora che non avevo mai visto.
Ci mancava soltanto lei a completare il quadro!
«James, ma…» tentai di intervenire, ma l’avvocato mi fermò.
«È tutto okay, Ven. La stavo aspettando.»
Cosa? Da quando James e Yuki collaboravano? Per quale motivo quella giapponesina aveva preso il mio posto?
Rimasi completamente basita e il terrore che potessi essere sostituita all’ultimo, soprattutto per la mia inadempienza, fece crollare ogni mia certezza. Vidi Yuki che attraversava tutto il corridoio fino a giungere davanti a James e a porgergli un fascicolo che riportava il simbolo del St. Charles.
Lo riconobbi bene perché era identico a quello che mi era stato consegnato pochi giorni prima.
«Avvocato Abbott? La prego di fare chiarezza a questa Corte,» disse Simmons ormai al limite della pazienza.
James aprì la cartelletta e ne tirò fuori un foglio che subito presentò al giudice. «Chiamo a testimoniare Mary Toldson, infermiera presso la clinica St. Charles.»
Non sapevo da che parte guardare. Possibile che James mi avesse tirato un colpo così basso? Nemmeno ero stata messa al corrente di questa svolta del caso. Contavo meno di zero ormai.
Credo che l’avvocato ti abbia tirato un colpo basso.
Mi augurai proprio di no.
Vidi la Cloverfield alzarsi di scatto e capii che finalmente James aveva giocato il suo asso nella manica. Aveva aspettato l’ultimo secondo utile, ma forse ci era riuscito.
«Grazie ad una collaboratrice del nostro studio,» iniziò James, riferendosi immediatamente a Yuki che sorrideva serafica. «Il cui padre lavora nella clinica appena citata, siamo riusciti a scoprire un caso di “corruzione” all’interno di questo istituto. Signora Toldson, ci racconti per favore cosa è successo.»
La donna seduta al banco dei testimoni aveva circa una sessantina di anni, i capelli grigi e corti suggerivano che era una persona frettolosa, non aveva da perder tempo in acconciature oppure nel trucco.
«Mi chiamo Mary Toldson e sono un’infermiera addetta al reparto di maternità della clinica privata di St. Charles, nel West-side di Londra,» iniziò. «Ho trattato personalmente il caso di Miss Cloverfield, la quale si è presentata da me qualche giorno dopo l’invio dei campioni a laboratorio.»
James approfittò del silenzio della donna. «Quindi conferma che Miss Elizabeth Cloverfield, la donna seduta in quest’aula, dopo che i campioni le erano stati inviati in forma anonima, si è presentata comunque alla clinica?»
La donna annuì. «Devo aggiungere che la signorina ha offerto una lauta ricompensa se avessi fatto in modo di “alterare” tali risultati, che aveva la facoltà di darmi un bonus sul mio stipendio,» ammise.
Era evidentemente dispiaciuta per ciò che aveva fatto, ma in quel momento ero livida di rabbia. Per colpa di quella persona che aveva tradito l’etica del proprio lavoro, Simone aveva rischiato di perdere la propria libertà.
Simmons pareva allibito. «È vero ciò che dice questa donna?» chiese.
A quel punto, Yuki intervenne. «Mio padre lavora come medico all’interno di quella struttura e tramite voci di corridoio è venuto a conoscenza di questo scandalo. Da chirurgo qualificato, si è sentito in dovere di fare pressioni su Mrs. Toldson.»
Ora mi era chiara ogni cosa.
Mr. Kamigawa aveva chiesto ben poco gentilmente all’infermiera di testimoniare, altrimenti sarebbero stati presi seri provvedimenti.
«Qui c’è una lettera firmata dal dottor Kamigawa, questa invece è la testimonianza firmata della signora che ammette di aver ricevuto dei soldi per alterare i risultati delle analisi del sangue,» precisò James.
L’avvocato della controparte non sapeva cosa dire. «Vostro Onore…» tentò ma Simmons lo stroncò sul nascere.
«La prego St. James,» disse, continuando a leggere i documenti. «Non peggiori la situazione della sua cliente, la vedo già bella ingarbugliata.»
Ormai era quasi fatta, mancava soltanto la sentenza ufficiale del giudice.
James si avvicinò lentamente. «Mi dispiace non averti avvertita per tempo Ven,» sussurrò, scusandosi. «Quando sei arrivata con la notizia di Mr. Wright avevo mandato Yuki a verificare se le voci di corridoio che mi aveva riferito fossero vere. Mi sono concentrato unicamente sulla testimonianza del nostro attore, perdendo momentaneamente di vista la storia dell’infermiera.»
«Che invece si è rivelata essere la più concreta,» sorrisi.
Per un singolo istante avevo pensato che James avesse preferito mettermi da parte, visto come il caso ci stava lentamente sfuggendo di mano. In realtà anche lui aveva completamente rimosso quella variazione.
Il giudice Simmons si alzò in piedi, brandendo il martelletto. «Alla luce degli eventi oggi descritti, la Corte dichiara l’imputato Simone Giacomo Sogno innocente da tutte le accuse. La signorina Cloverfield, invece, dovrà rispondere alle accuse di frode, corruzione e falsa testimonianza e verrà indagata per “occultamento di prove”.»
I colpi del martello che picchiavano il legno furono come una liberazione per le mie orecchie.
Finalmente è finita!
Non c’erano più nottate da passare in ufficio, rivedendo mille volte le stesse scartoffie, non ci sarebbe più stata la faccia arcigna di St. James che pensava di avere tutto il mondo ai suoi piedi e finalmente Elizabeth aveva pagato, sia per ciò che in passato aveva fatto a Wright, sia per ciò che avrebbe fatto passare a Simo.
Fu proprio l’attore che mi venne incontro sorridendo. «Alla fine è andato tutto per il meglio e mi avete reso giustizia ancora una volta!»
Nonostante fossero passati cinque anni, quella donna aveva finalmente imparato la lezione e mi augurai che non avrebbe mai più compiuto azioni del genere.
Cercai con lo sguardo James, troppo impegnato a ricevere i complimenti da parte di Gabriele e di Sofia. Yuki era al suo fianco, raggiante. Alla fine si era rivelata più utile di quanto avessi pensato in principio.
Con lo sguardo cercai la persona che in quel momento aveva la mia completa attenzione. Simone era improvvisamente scomparso dall’aula, nessuno riusciva più a trovarlo da nessuna parte. Mi avvicinai a Sofia, cercando di non sembrare troppo isterica. «Hai visto Simo?» le domandai, ma lei scosse la folta chioma riccioluta.
«Credo sia uscito, Miss,» mi rispose il “maggiordomo” strambo di Mr. Wright.
Mi fiondai fuori dall’aula, correndo nonostante le decolté ormai erano fuse con i miei poveri piedi doloranti. Non sentivo nulla, né il dolore delle scarpe, né i morsi della fame e neppure l’usciere che mi diceva di non correre.
Volevo solamente riabbracciare Simo. Volevo dirgli che l’incubo era finito, che finalmente avremmo potuto affrontare la nostra vita insieme nel modo più tranquillo e avremmo smesso di soffrire.
Lo vidi appena fuori dalla Royal Court of Justice. Si era fermato sul primo gradino, osservando il cielo che si era ingrigito tutto d’un botto e aveva cominciato a tuonare. Le prime gocce di pioggia inumidirono la scalinata bianca ed io mi avvicinai quasi in punta di piedi, per paura che fuggisse.
Era una scena piuttosto strana, quasi come se Simone fosse un animale furastico che poteva scappare da un momento all’altro non appena avrebbe avvertito il pericolo.
«Hai un passo leggero come quello di un’elefantessa obesa,» sibilò, spietato come sempre.
«Non devo mica diventare prima ballerina della Scala,» osservai piccata.
Simone si mise le mani in tasca, osservando la pioggia aumentare d’intensità. «È finita allora?» sospirò.
Annuii anche se non poteva vedermi. «Finalmente potrai goderti il resto della tua vita senza che qualche donna senza scrupoli possa rovinartela.»
Fu in quel momento che si voltò ed io vidi gli occhi completamente lucidi e provati di Simone. Le occhiaie scure che rovinavano quel suo sguardo tenue, mi fecero quasi paura. Sembrava malato.
«Hai ragione, nessuna donna riuscirà più a rovinarmi la vita,» disse, dopodiché si diresse verso la sua macchina noncurante della pioggia che batteva.
Lo seguii perché non poteva finire in questo modo. «Aspetta!» gridai, rischiando di scivolare sui gradini.
Simone non si fermò, anzi, attraversò la strada senza nemmeno guardare.
«Fermati, ti prego!» gli dissi, strattonandogli la manica del completo elegante. Nonostante il suo viso emaciato e il suo aspetto completamente stravolto, Simone era ancora in grado di togliermi il fiato.
«Cosa vuoi ancora da me? Non ti basta ciò che mi hai fatto? Ciò che mi hai tolto?» gridò, mentre i passanti si voltavano spaventati.
Cercai di calmarlo. «Ascolta, mi sono comportata da stupida, ma è stata una scelta fatta solamente nel tuo interesse…»
«Oh! Davvero?» sbottò, completamente impazzito. Si avvicinò al mio viso, quasi soffiando sopra le mie labbra la sua rabbia. «Venera in questi tre giorni non ti sei fatta viva, non hai risposto ai messaggi che ti ho inviato e ti sei comportata come se non mi conoscessi. Mi hai trattato come se non fossi mai esistito, come se non fossi stato altro che “uno dei tanti”, un ragazzo con cui divertirsi fino a quando c’era tempo. Ora non dirmi che lo hai fatto per me.»
Non resistetti oltre. «Ho dovuto farlo!» gridai, incurante di ciò che potesse pensare la gente. «Avrei rischiato il licenziamento se non avessi smesso di vederti. Dovevo sospendere tutto fino alla fine di questo incubo e adesso è finita!»
Simone mi fissò austero. «Hai ragione Venera, come sempre,» disse. «Adesso è proprio finita.»
Lo vidi salire in auto senza alcuna possibilità di ribattere. Fece manovra e si immise nel traffico londinese mentre io rimanevo immobile sul ciglio della strada, mentre sentivo l’acqua e il gelo penetrarmi fin dentro le ossa.
Non mi accorsi nemmeno dell’arrivo di Mr. Wright che mi posò la sua giacca sulle spalle, con l’intento di riscaldarmi, e nemmeno di James che mi coprì con il suo ombrello. Scorreva tutto a rallentatore. Ogni ricordo e ogni momento passato con Simone diventò la colonna sonora di quel finale che forse mi sarei dovuta aspettare già da tempo.
Avrei ammesso i miei errori per la prima volta nella mia vita, perché di quello si era trattato. Pensando di fare del bene agli altri, avevo soltanto agito come un’egoista. Ora che finalmente avevo capito di amare Simone, lui, allo stesso modo, aveva smesso di farlo.


Eccoci qui!
Scusate per la lunga assenza ma ero partita e non avevo dietro il piccì, #sob
So... questo è il CAPITOLO tanto atteso, quello del processo, che ha messo bene in chiaro il succo della storia. Ora ci resta solamente una domanda: ''Cosa farà Ven?"
Staremo a vedere.
Voglio comunque augurarvi buone vacanze, anche se x alcuni sono finite #ri-sob e si ricomincia! Manca pochissimo alla fine di questa storia, mi commoziono troppo! Dopo mi aspetta una LUUUNGA fase di rilettura çç

Al prossimo capitolo <3
Marty.

 
 
 
 
 

 
   
 
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