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Autore: kissenlove    27/08/2015    2 recensioni
Sequel di “Dirci Addio”.
Sai Honoka..
Da quando te ne sei andata dall’altra parte del mondo, non ho fatto altro che pensare a ciò che mi hai detto, a quelle parole che non riuscivano a uscire dalle tue labbra, lo sfogo di un dolore immenso che tu hai dovuto combattere da sola. Mi sono sentita vuota, imperfetta, ho capito che in questi mesi che avevi più bisogno di me, io non ho fatto altro che girarti le spalle. Dio, mi sento così stupida ed egoista anche!
Ma sai Honoka..
[…]
sono successe tante cose da quando sei andata via. Hikari se ne è andata, mepple non vive più con me, e io ho rischiato la vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Honoka Yukishiro/Cure White, Nagisa Misumi/Cure Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And I was made for You



Ma salve! Eccomi nuovamente tornata, con un nuovo bellissimo capitolo di “And I was made for you” grazie mille per le due recensioni che ho ricevuto per questa storia, ringrazio tantissimo Rosanera e la mia onee-chan Zonami84, spero che vi piacerà anche il nuovo capitolo. In questo capitolo vedremo qualcosa di più, ma non troppo, ricordate che in una storia è importante sempre la suspance, e i misteri non finiranno mai di stancarvi. Bene, vedremo Kazumi riflettere un pochino sui suoi sentimenti per Usui. 
Nagisa: sì, love però non è giusto! 
Ma dai Nagisa, perché non è giusto? In fondo sono io l’autrice. 
Kazumi: mamma si può sapere perché ti sei arrabbiata con la nostra Love?
Be’ ma ci sono abituata, lei è così insomma.. 
Nagisa: Mi sembra ovvio, la mia stessa figlia ha rubato il mio “arienai”
Kazumi: Esagerata! Dai, in fondo siamo madre e figlia, e mi sembra normale.
Nagisa: Normale un corno! Quella battuta è mia, ed è protetta da copyright.
Vabbene allora la prossima volta che la utilizzo ti chiederò il permesso, perdonami. 
Nagisa: Vabbene, ti perdono, ma solo perché non mi hai fatto morire un’altra volta.
Bene, adesso vi lascio al capitolo :D 
Kazumi: Ok! Vamos!


*** 


La strada per andare fino alla clinica in cui lavorava suo padre era molto lunga, e Kazumi aveva molto su cui riflettere, prima fra tutto lui, Usui YuKishiro, il suo aspetto ricordava un principe, un cavaliere pronto a salvarla, ma il suo carattere era completamente diverso, invece di un principe si trasformava in un perfetto mostro mutante, che si nascondeva dietro la sua ombra o che addirittura si arrampicava sugli specchi. Il suo mondo sembrava un carnevale impazzito, aveva dei pozzi talmente chiari che le avevano fatto completamente perdere la testa, che le faceva mozzare il fiato nella gola come se stesse assistendo a un tramonto, ma il tramonto era lui; il contatto fra le loro mani che scatenavano quei due fulmini, bianco e nero, come se essi stessi fossero l’essenza stessa, creava una specie di attrazione che lei non riusciva ancora a decifrare, si sentiva attratta da quel ragazzo anche se non lo conosceva affatto, anche se si erano incontrati solo due giorni prima, e si erano immediatamente odiati fin dal primo momento, lei non riusciva a capire quella strana sensazione che percepiva e si proiettiva dentro di lei, era una cosa strana e che non aveva mai sentito prima di allora. Qualcosa di surreale
Stava camminando su per la scarpata, con la testa fra le nuvole, immischiata nel tumulto dei suoi pensieri, quando sentì dietro di lei una voce familiare, smise di tenere lo sguardo in basso alle sue scarpe e lo girò: -Ran?- 
La sottoscritta stava correndo come una matta per raggiungerla, Kazumi intanto si era fermata per aspettarla. 
-Ran! - ripeté, quando la sua migliore amica si fermò, piegandosi sulle ginocchia per respirare con molta calma. -Cosa succede? - 
-Anf...panf... S-scusa Kazumi. - finalmente dopo aver preso abbastanza fiato, si rialzò e la fulgida chioma rossa le si spostò sulle spalle. 
-Ran, perché corri in questo modo assurdo? - 
-E me lo chiedi pure! - esclamò come se fosse arrabbiata. - Senti, non te l’ho detto perché prima tu te ne eri andata col belloccio. - 
Kazumi guardò Ran negli occhi, specchiandosi nei suoi profondi occhi scuri color marrone. 
- Con belloccio, intendi quel ragazzo vero? - la ragazza dissimulò, anche se il solo pronunciare quel nome nella sua mente le faceva andare in tilt il cervello, e il cuore iniziò ad accelerare, come se perdesse il suo controllo, nonostante non si fosse spostata dalla sua posizione. 
-Kazumi, ehi? - fece Ran passandogli una mano vicino agli occhi, - Ci sei? ... Ok, terra Ran chiama terra Kazumi. Rispondete! - 
La ragazza si risvegliò dalla sua trans facendogli uscire dalla bocca solo un “ah..”
- Tu non mi stavi ascoltando! -
-Certo, ti stavo ascoltando eccome... - 
-E che diamine dicevo, Kazumi? - domandò, mentre le due iniziavano nuovamente a camminare su per la scarpata. 
-Boh... senti.. che cosa mi dovevi dire? - cambiò completamente discorso, facendo spallucce. 
-Parlavo di Usui. - 
- E io ti prego di non toccare nuovamente l’argomento “Usui” - 
-Si può sapere perché? - domandò di nuovo Ran, avendo intuito che la compagna non era indifferente a quel francesino. - In fondo, Usui è un bravissimo ragazzo e viene sopratutto dalla Francia. -
- Questo cosa centra? Io non mi innamoro... nemmeno se è un principe inglese, nipote della regina in persona. - 
- Hai detto la parola “innamorata”...? - 
- Sì... no.. volevo dire no... assolutamente! Io odio quello stupido! - esclamò Kazumi, mettendosi la borsa in spalla. 
- Se lo odi significa che lo ami. - lei cercò di controbattere, ma non le fu permesso. -Tu lo sai... che l’odio può evolvere in amore.. - 
Kazumi si fermò su due piedi. 
-Ma che diamine dici! Manco se stessimo nelle favole, e io fossi la principessa, come quella del bosco, dai.. - 
-E lui il tuo principe? - fece eco lei. 
- Mai e poi mai, e adesso smettila di infastidirmi. - tagliò corto Kazumi Fujimura, sapendo però che evitava l’argomento di cui non voleva discutere solamente perché alla fine si sarebbe confusa troppo, e non ci avrebbe capito più niente. -Parliamo di altro? - 
- Con piacere, ma lo sai che il tuo problema resta. - 
- Quale problema! - 
-Niente... allora, parlando di altro. - e Kazumi roteò gli occhi. - Guarda che ti ho portato. - e detto questo si fermò per cercare qualcosa nella borsa, e quando lo trovò glielo sventolò sotto gli occhi. 
-Cos’è? - fece Kazumi, guardando con attenzione le scritte sul volantino, che parlava in bella vista di un bar appena aperto. 
-Un bar che si è appena aperto, e indovina... resta aperto fino alle dieci! - esclamò tutta euforica. - e inoltre potremo andare persino ora, e ha anche il cioccolato dietetico così non rischierò di morire per overdose di calorie, che dici Kazumi, ci vieni? - 
-Arienaiiii! Vorrei... - iniziò Kazumi, rattristandosi improvvisamente, visto che doveva andare a prendere suo padre per andare a casa. - Però mamma, tu lo sai, è incinta, e non può guidare, così io devo andare a prendere mio padre che sta quasi per smontare.- Scusa Ran - 
-Non fa niente Kazumi. - e detto questo la salutò con una vigorosa pacca sulla spalla. - Adesso devo andare, amica. - e prese un vicolo diverso, scomparendo dietro l’angolo; Kazumi osservava il vicoletto in cui era sparita la sua migliore amica, e dopo un paio di minuti, ricominciò a camminare nella direzione in cui vedeva già comparire all’orizzonte la clinica ospedaliera in cui lavorava suo padre Shogo. 
Entrò nel parcheggio, salutando la guardia, ed entrò dentro l’ambulatorio; suo padre si trovava sempre lì quando doveva smontare, egli lavorava come medico primario, ed era il direttore del reparto medicina interna, lo era diventato quando lei aveva solamente tre anni, e lei lo amava tantissimo, era il suo eroe, come quello che compare nelle favole, il suo supereroe, il suo grande papà. 
Si inoltrò nei corridoi dell’ospedale, tra quelle luci troppo forti e asettiche, che le facevano male la vista. 
Salutò affettuosamente Haruka, una donna che lavorava come infermiera, e assisteva suo padre da molto tempo, ma ovviamente la donna che da quando era bambina le preparava caffè e cioccolatini non era mai stata un punto di discussione per i suoi genitori, dato che aveva già passato la quarantina, era una donna buona, gentile, e lei la considerava sua nonna.
Quando andava a prendere suo padre di ritorno dal suo turno, si appostava sempre lì, insieme a lei, come fece anche quel giorno, visto che non le era permesso avventurarsi nei reparti senza l’apposito camice e senza mascherina. 
-Haruka! Ciao! - la salutò non appena entrò nel reparto, ma senza inoltrarsi tra le stanze dei pazienti. 
La donna non appena la vide, le fece un grande sorriso, ed uscì dalla guardiola, andandola ad abbracciare. 
- Tesoro, cosa ci fai qui? - le chiese, facendola sedere nella guardiola. 
- Haruka, sono venuta a prendere mio padre, il suo turno è finito? - 
Haruka si alzò, osservando il tabellone dei turni dei medici, che era appeso dietro di loro. La donna si portò una mano vicino alla bocca, e se la strofinò, poi si girò verso la sua “nipotina” - Uhm, sì il suo turno è finito da molto tempo, ma ancora non è sceso. - 
-É strano... mio padre è sempre molto puntuale. - disse Kazumi, sistemandosi meglio sulla sedia, mentre osservava la piccola stanzetta, tutta bianca, vi era una scrivania, dietro di loro, appiccicata al muro, il cartellone dei turni, e i campanelli di emergenza del reparto. 
Quell’ospedale era il migliore in tutta la regione, e suo padre Shogo era uno dei chirurghi più richiesti, infatti il suo turno si sarebbe dovuto concludere alle sei e mezza, ma l’orologio appeso al di sopra del crocifisso, segnava le sette, e lui non era ancora arrivato. 
Sicuramente sua madre a casa si stava preoccupando, con la cena già in tavola e il muso lungo. Sua madre non era solita aspettare, non le piaceva affatto, anzi lo odiava, se sapeva che lei o suo marito tardavano più del previsto andava in escandescenza, in paranoia, e iniziava a ripetere quella strana parola, gridandola in tutti gli angoli della loro casa, ovvero “Arienai!” era da quando era nata, e probabilmente la sua prima parola che ha detto, probabilmente secondo i racconti di sua madre non fu mamma, papà, o nonna, ma Arienai, visto che la sentiva pronunciare da sua mamma in ogni dove, anche se sua madre l’aveva accusata diventata più grande di avergliela rubata. 
Dopo un dieci minuti si sentì una forte voce maschile che conversava con alcuni colleghi sulle condizioni dei pazienti, e Kazumi uscì dalla guardiola e si affacciò, vedendo un uomo vestito di un camice verde acqua, che stava discutendo con altre due infermiere. Poi, dopo averle congedate si dirigette verso la guardiola per finire la sua lunga giornata lavorativa. 
-Papà, ciao! - lo salutò Kazumi, abbracciandolo, e uscendo fuori allo scoperto. 
-Principessa, finalmente ti stavo aspettando. - i due entrarono nella guardiola, perché Shogo doveva riporre il camice, prima di tornare a casa da sua moglie, in trepidante attesa oltre che dolce, mentre la figlia lo seguiva come un cagnolino, mettendogli il broncio. 
-Papà, non ho cinque anni! - 
-Sì lo so, ma sarai sempre la mia dolce principessina. - 
-Papà, ho quattordici anni... - 
- E ciò ti da il diritto di sentirti già adulta? - le domandò lui, mentre si toglieva il camice e guardava dritto negli occhi sua figlia, quegli occhi, di quell’inconfondibile color caramello, che aveva visto soltanto in un’unica donna, la sua bellissima moglie Nagisa; amava il modo in cui sua figlia Kazumi somigliasse in modo perfetto a sua moglie, come se quattordici anni fosse nata Nagisa in una nuova forma, e lui adorava sua figlia dal preciso momento in cui l’aveva vista piangere in sala operatoria, dopo l’incidente di sua moglie. Ne era passata di acqua sotto i ponti da quel brutto momento che avevano passato, da quando sua figlia era venuta al mondo, da quando sua moglie era rimasta vittima di quel brutale incidente con la loro auto, adesso invece tutto tra Shogo e la moglie era tornato a posto magnificamente, erano una vera famiglia, e presto avrebbero avuto un nuovo componente, visto che Nagisa era di nuovo incinta. 
- No, papino... sono perfettamente in grado di scegliere da sola, senza il tuo aiuto. - 
- La mia autodidatta - fece il medico, facendole da dietro il solletico, sotto lo sguardo divertito dalla signora Haruka. 
-Papà! Ti prego - brontolò Kazumi, mostrando un po’ quel suo carattere così ribelle, che tanto ricordava a Shogo la madre, anche Nagisa da giovane era così, ma ciò che la rendeva speciale era l’essere diversa da tutti gli altri, l’essere una persona esplosiva, e vivace, che prendeva la vita con allegria, e che aveva coraggio per affrontare qualsiasi mostro che le sarebbe capitato a tiro, magari con calci e pugni lo avrebbe steso. Shogo conosceva la parte nascosta della moglie, una cosa che i due di tacito accordo non avevano mai rivelato alla loro bimba. 
-Sai... mi ricordi un po’ tua madre da giovane. - le disse Shogo, facendola arrossire. 
-Ah sì,... pazza... esuberante, e una mangiona, eh? - 
- Mi hai letto nel pensiero, principessa. - le accarezzò con fare paterno quei suoi capelli, quel visetto un po’ simile al suo, così pasticcione ma guardandola negli occhi si rendeva conto di quanto fosse stato cieco, di quanto fosse ottuso nel pensare che sua figlia fosse ancora una bambina piccola desiderosa del suo affetto e delle sue attenzioni, ma adesso nel suo viso vedeva una maturità che non aveva mai notato, una maturità che aveva anche lui, che aveva acquisito nel tempo, e che alla sua età non aveva mai avuto. 
-Basta, papà. Piuttosto vogliamo andare, mamma starà veramente andando fuori dai gangheri.. - gli ricordò, e Shogo si mise a pensare a tutte le volte in cui aveva fatto arrabbiare la moglie, tutte le volte che era arrivato in ritardo ai loro appuntamenti per colpa degli allenamenti di calcio, tutte le volte che avevano fatto il tiro e molla con la storia delle Pretty Cure, tutte le volte in cui lei lo aveva lasciato, tutte le volte in cui si erano ripresi come un boomerang, tutte le volte in cui lei gli aveva mollato uno schiaffo, giusto in testa, oppure sulla nuca, oppure le tante volte in cui l’aveva spinto per farlo cadere a terra e fargli provare la sensazione di vuoto, eh sì il suo amore era una vera manesca. Shogo ingoiò la saliva che gli era rimasta nella gola, terrorizzato. 
-G-già... ci conviene andare eh, altrimenti... tua madre invece di arrostire il pollo, arrostirà qualcun altro stasera. - 
- Ovvero, papà? - 
-Eh... t-te lo spiegherò poi. - disse Shogo, prendendo le chiavi della sua macchina e salutando Haruka con un “buonanotte” e un “ci vediamo domani” e poi lasciò il reparto insieme a Kazumi. I due fecero la strada a ritroso, verso il parcheggio, dove il dottore aveva lasciato la sua Renault, una nuova macchina che aveva acquistato dopo l’incidente di Nagisa, e che la moglie fin da quando aveva scoperto di aspettare il suo secondo figlio non aveva nemmeno toccato, neanche per fare rifornimento di benzina o per andare a fare un giro o una passeggiata. Shogo prese il telecomando, e sbloccò le portiere. Lui prese posto alla guida, mentre la figlia le si sedette accanto, e si appuntò la cintura di sicurezza mentre il padre iniziava ad accendere il motore e lo faceva lentamente surriscaldare. 
Il campanellino all’accensione iniziò a trillare, per avvisare Shogo che non aveva messo la cintura, ma lui non ci fece caso, e iniziò a fare la retromarcia per uscire. Intanto la sua bambina si appoggiava al finestrino con l’avambraccio, e teneva la testa sopra di quello, immersa nuovamente nei suoi mille pensieri, Usui aveva deciso di farla veramente impazzire, quel ragazzo da quando era entrato nella sua vita non aveva smesso neanche una volta di occupare i suoi pensieri, lo vedeva in tutti i posti in cui vagava con lo sguardo, lo vedeva nella strada, passeggiare con quel suo passo elegante, lo vedeva in quel cielo che si stava iniziando a colorare di un blu profondo, lo sentiva accanto a sé, in ogni suo momento, lo sentiva percorrere il suo dito sul suo corpo, e stava veramente diventando una pervertita, sentiva persino la sua voce calda e melodiosa, le sue mani sui suoi fianchi, forse avrebbe dovuto chiedere a suo padre una consulenza immediata dallo psicanalista della famiglia, oppure avrebbe dovuto chiudere il suo cuore con i lucchetti in modo che non si muovesse più, magari gettarlo in un pozzo, sarebbe stato meglio che rendersi conto di essersi invaghita di quel tipo francese da quattro soldi, non voleva ammetterlo, perché non lo era. Suo padre stava guidando a circa 80 chilometri orari, aveva lo sguardo dritto verso la strada, non poteva guardare l’indecisione della figlia stampata sul suo volto, ma quando si fermò a uno dei semafori che Kazumi conosceva a memoria, allora sì che iniziò seriamente ad osservare l’atteggiamento della sua bimba, della sua dolce principessa, e la sua mente si scolorò nel passato. 
La macchina prese invece posto della sala operatoria della clinica, a quei quattordici anni prima, quando sua moglie entrò in coma per quel brutto incidente, che avrebbe anche potuto compromettere la loro vita, la loro famiglia. Le condizioni di Nagisa erano davvero disperate, fortunatamente sua moglie aveva la cinta, e ciò aveva evitato un volo di oltre dieci metri, e la gravidanza sicuramente si sarebbe interrotta, sua figlia sarebbe morta, e lei pure, lui non se lo sarebbe mai perdonato. Il chirurgo che la stava operando permise a lui di entrare, per dare sostegno a sua moglie, che purtroppo non era cosciente, a seguito della forte emorragia e del trauma cerebrale, ma comunque lo avrebbe sentito lo stesso, perché tutti sanno che durante il coma, anche quello più profondo, si riescono a sentire le emozioni, ovviamente in maniera differente. Shogo si dispose vicino a lei, e iniziò a stringerle coraggiosamente la mano, baciandole la fronte, e rassicurandola dicendo: - Dai, tesoro, resisti. Presto sarà tutto finito e avremo la nostra bambina. - intanto le stringeva ancora più forte la mano, voleva che lei, nonostante quel sonno profondo, riuscisse a percepire il suo amore, la sua preoccupazione per non averla lì a fianco, per non vederla sorridergli con una delle sue facce buffe, per non riuscire a sentirla pronunciare quell’unica parola “arienai” ogni volta che succedeva qualcosa di davvero incredibile, ora quel suo sorriso si era assopito, e i suoi occhi erano serrati ermeticamente, e non mostravano quel colore inconfondibile di cui lui si era perdutamente innamorato fin dalla prima volta in cui lui l’aveva incontrata, perché quel colore lo aveva solo lei, ma un po’ ci sperava che anche sua figlia lo ereditasse per rendersi ancora più convinto di ciò che provava, e perché non credeva di poter amare Nagisa più di quanto la amava già, il suo cuore era sul punto di scoppiare, e non sapeva più dove aggiungerne altro, non ci sarebbe entrata una nuova dose di amore, nemmeno se lo avesse liberato con la pala. Erano pazzo, sì, ma non voleva perderla. 
Nella sala operatoria, anche i dottori sentono di essere giunti a un bivio in cui scegliere, la scelta da compiere è facile, difficile è impostare la direzione, sarà nella morte, nel rimpianto di ciò che non si è vissuto o nella luce, la luce di una vita tutta da scoprire. E mentre le ore scorrevano impotenti, Shogo aumentava la sua angoscia, e il sangue gli saliva al cervello fino ad oscurargli la vista. Nagisa, lì, stesa sul lettino, bianca a pallida come un lenzuolo, come non lo era mai stata, sembrava una bambolina, e la cosa peggiore, sembrava già morta, una morte che la rendeva ancora più bella. Come avrebbe voluto portare allo scasso quella macchina del demonio, come avrebbe voluto fermare il tempo, tenerla ancora di più al telefono fino alla fine del turno, come avrebbe preferito esserci lui a quel posto, in fondo si trattava di un semplice scambio, una vita per due vite, ma che per lui erano importanti, quasi quanto l’aria che respirava.
Se veramente Dio esisteva, allora perché non gli permetteva di morire d’amore? Forse questo non è possibile, si chiese il medico. 
A un certo punto il tempo sembrò scorrere così velocemente, il chirurgo che la stava operando esultò, e Shogo dallo spavento per quella trans improvvisa, sussultò. - Dottor Fujimura, vedo la bambina! Infermiera, il dilatatore - 
Shogo aveva già gli occhi lucidi, al pensare che tra un po’ di tempo avrebbe conosciuto la bambina che aveva solamente immaginato in tutti quegli anni, e anche in quei nove mesi; l’aveva già vista nelle ecografie, ma così era tutt’altra cosa, adesso sarebbe stata in carne e ossa, tra le sue braccia, e lui emozionato le avrebbe dato il suo benvenuto nel mondo, e l’avrebbe stretta a sè. 
Shogo si alzò, ma non perdendo mai il contatto con la mano di sua moglie. 
-Nagisa, la nostra bambina! - esclamò. - Nagisa! - quasi come se fosse convinto che la moglie riuscisse a vedere e a sentire la sua stessa emozione, la loro bambina che fuoriusciva da lì, tutta sporca di sangue, della dimensione di una ranocchietta. 
Il chirurgo la prese in braccio, era talmente minuscola, madida di sangue, le manine morbide e strette a pugno, i piedini scalpitanti, la voce più strillante di tutte, mentre piangeva in braccio all’ostetrica, che la stava pulendo, con una asciugamano. La pesò, era di quasi tre chili, nonostante fosse nata prematura aveva tutto il coraggio necessario per affrontare le difficoltà che la vita le avrebbe posto dinanzi. 
L’ostetrica tornò nella sala con in braccio la sua neonata, e gliela diede in braccio; Shogo osservò la sua rannochietta grinzosa, mentre la teneva in braccio, stando attento alla testa, e sentì un amore indescrivibile, un amore che Nagisa gli aveva spiegato in tutti quei mesi, ma che lui non aveva mai compreso a fondo, adesso, adesso.. lui lo aveva capito, adesso aveva capito perché sua moglie accarezzava sempre la pancia, e sorrideva, parlando con una vocina deliziosa a quella sporgenza, magari aspettando che la bimba le rispondesse, delle volte lui le parlava della sua giornata, e Nagisa stava a pensare alla sua pancia, mangiando e abbuffandosi di patatine con ketchup, la odiava quando faceva così. 
Lui si arrabbiava, così tanto che avrebbe voluto ammazzarla, ma non appena provava in qualche modo a ribattere le sue decisioni, lei le si avventava contro come un cane, dicendogli che se non avrebbe fatto tutto ciò che lui gli diceva, lei lo avrebbe lasciato a dormire fuori al terrazzo, poi gli avrebbe dato un bel calcio nel sedere, e poi lo avrebbe mandato a stare da Kimata, in modo che imparasse la lezione e che non la offendesse più, succedeva sempre così. Il castano sorrise come uno scemo, e uscendo dalla sala operatoria, perché glielo avevano detto i medici perché Nagisa avrebbe dovuto sottoporsi a un intervento per ricucirla. Il ragazzo si era appostato fuori, e si era seduto sulla sedia, tenendo in braccio la sua bellissima bambina, per sceglierle un bel nome, visto che la madre non c’era per aiutarlo. 
-Ciao, piccola. - disse, mentre il suo piccolo palmo stringeva il suo indice molto più enorme. - Sono il tuo papà. - 
Si stupiva di quanto quella bambina lo facesse sciogliere come un gelato al sole. La dolce bambina, con i pugni stretti alla tutina, cominciò a svegliarsi fra le braccia del suo papà, e gli mostrò la bellezza dei suoi occhi, gli occhi che aveva ereditato da sua moglie, e Shogo ricordando che un mese prima Nagisa e Shogo avevano pensato a che nome darle, e che nella discussione era stato nominato anche “Kazumi” che significava bellezza vittoriosa, e così lui si decise il suo più prezioso tesoro, la sua dolce bambina, la sua primogenita, il solo e unico motivo per cui lui era venuto al mondo, si sarebbe chiamata Kazumi... Kazumi Fujimura
La sua bellezza vittoriosa. 
Quel rapido flashback le era passato davanti agli occhi a Shogo, osservando il volto un po’ perplesso della sua meravigliosa bellezza, la adorava tantissimo, era forse il gioiello più prezioso che lui avesse mai ricevuto in vita, ed era stata proprio Nagisa la fautrice. 
Fin da quando era bambina aveva cercato di darle quanto più amore possibile, di trattarla come una principessa, di farle avere tutta la felicità del mondo, e di regalarle persino la luna o il sole, se lei lo avesse chiesto, pur di vederla sorridere come la prima volta in cui l’aveva vista nascere; Shogo si era sempre prodigato per Kazumi, come anche per Nagisa, la sua famiglia risultava essere fra le cose più importanti, che lui metteva al primo posto, lavorava come un matto, di giorno, di sera, di notte, di pomeriggio, sempre, pur di accontentare i vizi di sua moglie, i capricci della sua bambina, e far in modo di avere un’esistenza dignitosa. 
Non parlava spesso con sua figlia. Kazumi era sempre impegnata con la scuola, con la cura della casa visto che sua madre, essendo agli ultimi mesi di gestazione ha bisogno di più riposo, dopotutto ha un grande pancione, non sarebbe giusto se Kazumi non la aiutasse con i servizi, lui, Shogo, purtroppo non aveva tempo nemmeno per sé stesso, quindi non riusciva mai ad essere presente nella vita della sua bambina da quando aveva compiuto i suoi quattordici anni e cominciava a frequentare le superiori, piena di problemi adolescenziali, che aveva passato anche lui, alla sua età, quando si era innamorato di Nagisa. 
Quando il semaforo passò a verde, lui accelerò di nuovo, e smise di essere silenzioso. 
-Tesoro.... - 
La ragazza che guardava con attenzione la strada si girò verso il padre. 
- Sì, papà? - 
- Senti.. ho notato che da quando siamo partiti, non hai detto una sola parola. Che succede, hai qualche problema? - 
La ragazza per il nervosismo si rialzò e si piantò sul sedile, dritta come una tavola. 
- N-no, cosa vai a pensare papà! - 
- Guarda che non mi inganni, ricordati che ti conosco benissimo... fin da quando eri neonata. - fece Shogo, facendo una veloce sterzata. 
La ragazza sospirò. 
- Non è un po’ esagerato? - 
-Cosa, tesoro?- 
- Che mi conosci così bene, papà! - 
-Sì, ti conosco talmente bene, che ti ho stampato dentro di me. - rise l’uomo. - E conosco bene il tuo sguardo, e so che hai un problema. - 
A Kazumi non piaceva stare nella macchina di suo padre, odiava andarlo a prendere alla fine del turno, non che non volesse incontrarlo, ma alle volte credeva che suo padre fosse uscito da uno di quei fumetti che leggeva lei, e che fosse uno dei nemici più potenti, con un rader rosso negli occhi capace di leggerti la mente, e immaginarlo in quel modo le fece fare un sorrisetto divertito. 
-Oh, bene, vedo che stai ridendo! - esclamò il signor Fujimura, girando il volante. 
-Chi? - domandò, puntandosi il dito al petto. - Io? No, no non oserei mai... visto che sei chi mi ha messo al mondo. - 
-Non proprio visto che il merito è di tua madre. - 
-Ok! - fece la ragazza. 
Shogo la guardò di nuovo in volto. 
-Bene.. adesso mi dici che cos’hai? - continuò l’interrogatorio il padre di Kazumi, visto che adesso aveva l’opportunità di scoprire i sentimenti di sua figlia, dato che a causa del suo cerca persone non aveva mai tempo di parlarle un po’ a quattr’occhi. 
-Sì hai ragione papà... posso chiederti una cosa? - 
Shogo annuì. 
-Uhm, questa però è una cosa molto importante, e ti chiedo di essere completamente sincero. - 
-Certo, tesoro. Chiedi pure. - 
-Allora, e-ehm... tu cosa p-provavi... - poi si fermò, mentre il padre la ascoltava in silenzio. - Per la mamma? - 
-Non ti capisco, tesoro. Sii più chiara. - le chiese Shogo. 
-Bene, - la ragazza iniziò a sentirsi accaldata, è come se fosse non ci fosse aria in quella vettura, o come se l’argomento fosse troppo da persona matura, e lei non lo era affatto, per niente. -Tu, quando hai c-conosciuto mia madre... - 
-Sì, continua. - 
- Tu cosa hai sentito per l-lei? - finì, mentre Shogo per guardarla, stava per sbattere contro un palo della luce. -Papà! Diamine, che ti è accaduto? Stavi per andare a sbattere contro un palo, stavamo per ammazzarci! - 
-Ti prego, tesoro! - esclamò lui, furioso, spegnendo improvvisamente il motore, - Non dirmi che ti sei ... - e tolse le mani dal volante per metterselo in faccia. -Dimmi ti prego chi ti ha messo le mani addosso! - continuò, aprendo la portiera nel bel mezzo della strada. 
- Papà ma a cosa stai pensando? - domandò lei. 
- Io lo uccido, tu sei la mia bambina, non ti permetterò che ti tocchi! - 
-Ma cosa... c-cosa hai capito, papà! - gridò Kazumi, - Ho soltanto chiesto... - 
-Sì, tu mi hai chiesto cosa sentivo per tua madre quando la incontrai, per il semplice motivo che la mia piccolina si è invaghita di qualcuno! - urlò nuovamente.  - e io se trovo quello stupido che ti ha messo le mani addosso, stasera non sarà solo il pollo di tua madre a friggere, ma anche lui. - 
-Papà, mi vuoi ascoltare! - 
-No... non voglio, io non accetto che la mia piccolina si innamori a questa età! - 
-Non sono innamorata - precisò Kazumi, mentre il padre prendeva a calmarsi. - É solo curiosità, papà. - 
Shogo sospirò, liberato di un grande peso, e richiuse la portiera. 
-Fiu! Tesoro, precisa le cose o mi farai venire un infarto. - 
-Non mi hai nemmeno dato il tempo di parlare, che ti sei messo a urlare come un pazzo, e quando accadrà veramente? - 
- Cosa! Kazumi, piccola mia, non dire ciò che stai per dire. - 
- E invece lo dico, perché è una cosa normale, succede a tutti, è capitato anche a te, e non essere iperprotettivo! - 
-Sì, va bene. - si scusò il padre, riaccendendo i motori, - Ciò che sentivo per tua madre è.. amore tesoro, lo capisci, una sensazione che ti parte da dentro, una sorta di .. farfalle che prendono a volare nello stomaco, ti senti strano, non hai respiro, e lo vedi in ogni tua azione, lo vedi e senti che è la persona più giusta. - 
Kazumi si lasciò scivolare sul sedile della macchina, perché quella sensazione che le aveva descritto suo padre, sembrava la stessa che provava lei quando parlava di quel tale ragazzo, quando sapeva che il giorno dopo avrebbe potuto incontrarlo a scuola, e la peggior cosa era che stava seduto accanto a lei, e che ogni volta che perdeva il libro voleva il suo, avvicinandosi ancora di più, e lei andava in pallone completamente; mentre stava per scivolare gettò uno sguardo al sedile posteriore, e vide la sua incudine che lo salutava. Usui era seduto, sul sedile posteriore, e la salutava con lo stesso sorriso strafottente. 
- No! Anche in macchina... lasciami in pace! - urlò lei, mettendosi una mano sul viso. 
-Ti devo lasciare in pace? - chiese Shogo, molto perplesso, quando vide sua figlia svincolarsi dalla cinta. 
-No! No! - continuò lei, mentre il padre parcheggiava la macchina sotto il garage, che Nagisa aveva rimasto aperto. 
I due scesero giù dalla macchina, Shogo scese dalla macchina e la chiuse, per dirigersi verso la porta di casa.
-Sicuro che la mamma non si arrabbierà? -chiese Kazumi, conoscendo la reazione di sua madre, quando arrivavano alle otto di sera. 
-Uhm, e noi diremo che abbiamo avuto dei problemucci... - rispose Shogo, mettendo la chiave nella toppa. 
- Certo, dirai pure che per colpa tua stavamo per fare un incidente? - 
-No! No, già ho speso assai per la prima macchina, tua madre ci bombarderà con i suoi arienai, meglio di no! - 
- Perfetto- fece Kazumi, quando entrarono dalla porta inoltrandosi nel corridoio. Suo padre posò il giubbino sull’attaccapanni, e lei dispose la sua cartella sul pavimento, mentre stavano per entrare in cucina, si trovarono di fronte a loro la figura di Nagisa, con un grembiule che le si stringeva sulla pancia, entrambe le mani sui fianchi, e le faccia di una che è molto arrabbiata. 
Shogo fece un sorrissetto alla moglie, e andandole vicino la salutò. -Ciao amore! - le diede un bacio a stampo sulle labbra. 
-Amore, cosa credi di fare con quel bacio? - domandò Nagisa, minacciando il marito con il suo mestolo tinto nella salsa. 
-N-niente, solo calmarti. Nel tuo stato, insomma... devi essere molto calma. - 
Nagisa aggrottò le sopracciglia. 
-Uhm, tesoro.. stai per caso dicendo che sono una pazza appena uscita dal manicomio? - chiese. 
Shogo fece segno di no con la testa. 
- Tesoro, ti prego non ti arrabbiare, non sei una pazza, ma a furia di urlare farai agitare nostro figlio. - precisò, toccandole la pancia, per sentire i calci di suo figlio, -e dopo nasce come te.. - 
Nagisa le tolse la mano dalla sua pancia, puntandogli il mestolo contro il mento. 
-Stai dicendo che sono una che urla sempre a vanvera, Shogo Fujimura. - 
-No, ma se stessi zitta farebbe piacere ad entrambi. - e anche Kazumi appoggiò suo padre. 
La madre sembrava quasi un sergente, mentre a piedi nudi, girava tre ore sullo stesso posto, per decidere cosa fare con suo marito e sua figlia che non solo arrivavano a un orario così sballato, ma che si permettevano di darle della pazza appena uscita da una casa di cura, di una che urla sempre a venvera, e di prenderla per i fondelli come faceva il marito cercando di baciarla, e di una che sarebbe meglio che in alcune occasioni stesse zitta, per non dire schiocchezze. 
- Bene, allora è così. - puntò il mestolo contro il marito. -Tu! - 
Shogo indietreggiò. 
- ... tesoro, tu vai in cucina, io mi siedo sul divano, e ti vedo lavorare per farmi una crepes, altrimenti non ti perdono. Ah, e inoltre vai un attimo giù, mi compri una bella cioccolata, in fretta, non farmi attendere, mai far attendere una donna in dolce attesa, altrimenti ti ammazzo col mestolo e divento vedova prima del tempo, capito tesoro? - 
Shogo fece segno di sì con la testa, recuperando il giubbino, e uscendo in fretta dalla porta. 
Poi Nagisa puntò il mestolo contro sua figlia. 
-Kazumi, tu per farti perdonare, vai immediatamente a pulire la tua cameretta. Io non sono una schiava, e sono anche incinta, quindi.. ti do cinque secondi, poi vieni a mangiare, a studiare e poi a dormire, chiaro tesoruccio? - 
Kazumi fece segno di sì con la testa, anche lei e andò dritta in camera. 
Nagisa sorrise vittoriosa, - ah... come è bella la vita quando hai tutto sotto controllo, vero piccolo mio? Il tuo papà è cotto a puntino, e la tua sorella maggiore anche. Che mamma ingegnosa che hai! - esclamò, e con in mano il mestolo tornò in cucina. 






**Angolo della Love** 

Salve amici! Questo capitolo è stato dedicato a Kazumi, e non è comparso Usui, ma non vi preoccupate nel prossimo potrete scoprire anche i sentimenti di quel ragazzo bellissimo che questa storia ha come protagonista. Hahhaha avete visto come è stato diretta la nostra Nagisa? Io la amo proprio perché ha questi suoi scatti pazzeschi di ira, tesorini, io adesso vi lascio alla lettura! 
Bye Bye... e come sempre ringrazio Rosanera e Zonami84. 
Vi adoro tantissimo. 
#Love












 
   
 
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