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Autore: Vas Happening_Mary    27/08/2015    5 recensioni
Alekia Margaret Rose è il nome completo, Rose per gli amici.
Odia il buio, l’ansia di sua madre, i telegiornali deprimenti e gli estranei.
Soprattutto quelli belli.
Ama suo padre, l’inverno, la filosofia ed il suo migliore amico Adam.
Farebbe di tutto per lui.
Anche rapinare.
Ma ci sono tante cose che Rose non conosce e che non è in grado di classificare, come il ballare sotto la pioggia, l’uscire di notte senza permesso, l’amare qualcuno incondizionatamente.
O l’essere salvata durante una rapina per poi essere portata in un luogo sperduto.
Perché lei tutto si aspettava, furchè quello.
Non era pronta a scoprire la verità, non voleva sapere chi fossero realmente i suoi salvatori. E non voleva cambiare idea.
Ma avrebbe presto scoperto che era tutta questione di indoli; correre con i lupi non dispiaceva neanche a lei, tutto sommato.
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E, se la trama non vi ha colpiti, date alla storia almeno una possibilità.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heilà! Sono in big ritardo, come sempre, e vi chiedo perdono. Ringrazio per le recensioni, per le visualizzazioni, per la pazienza e per la fiducia che molti di voi mi hanno dato. Il capitolo potrebbe sembrare corto, in parte lo è, ma è ricco di avvenimenti. Ho già una breve parte del seguente pronta e spero di riuscire a postare presto, ma imprevisti like CICLODIMERDA possono succedere a tutti e.e 
Buona lettura, grazie ancora!


Just a bad dream.



Un odore di morto e terra mi investì in pieno appena cominciai a risvegliarmi.
Era buio, totalmente buio.
Sapevo che intorno a me ci fosse terreno, eppure ero avvolta con una coperta morbida e calda, probabilmente di un bambino.
Cercai di alzarmi ma il soffitto era troppo basso anche solo per stare con la testa piegata; che razza di posto poteva mai essere quello?
Sbuffai e mi divincolai dalla stretta della coperta, cominciando a tastare con le mani il terreno in cerca di un’uscita. Era umido, freddo, appiccicoso… mi venne da vomitare ed un forte senso di claustrofobia mi attanagliò i polmoni.
“Tiratemi fuori di qui!”; lo urlai con tutto il fiato rimastomi in corpo e sperai vivamente che mi avessero sentita.
Provai a sdraiarmi a pancia all’aria nel disperato tentativo di recuperare le forze, solo che sapere di essere chiusa in una buca non aiutava affatto.
Chiusi gli occhi ed immaginai di essere a casa, stesa sul mio letto spazioso ed in pigiama; ma avevo i vestiti impregnati di sudore ed emanavano un tanfo troppo forte per essere ignorato.
“Aprite!” urlai di nuovo, stavolta con voce più controllata, e tirai un calcio alla terra sopra di me.
Pessima mossa.
Una zolla di terreno si staccò dal pavimento improvvisato e mi finì dritta in faccia.
“Ma porco…”.
“Non si bestemmia qui dentro”.
Alzai la testa in direzione della voce ma avevo gli occhi ricoperti di quella roba e mi fu impossibile aprirli.
“Non lo farei se non ne avessi motivo, non credi?”.
“Pungente; mi piaci”.
“Ah, ah, ah, che ridere. Mi tiri fuori da qui o no?”.
Lui non rispose, ma il rumore di passi sempre più vicini mi lasciò capire le sue intenzioni.
Lo sentii spostare un po’ di terra e mi accorsi di quanto sottile fosse lo strato che mi separava dal resto del mondo.
“Ma dico, siete impazziti? Chi di voi mi ha chiusa qui sotto?”.
Il ragazzo mi poggiò le mani sulle spalle e mi tirò su con fin troppa facilità. “Calma tigre, è stata solo una precauzione”. Mi passò qualcosa di bagnato sul viso e sentii finalmente le palpebre libere dal fango. “Ti sei conciata come una bambina, assurdo”.
“Senti coso,” dissi aprendo gli occhi. “nessuno vi ha chiesto di portarmi qui e nessuno ti autorizza a parlarmi, intesi?”.
Lui sorrise, i denti bianchissimi e le labbra piene erano proprio all’altezza del mio sguardo.
Inclinai la testa all’indietro e vidi i suoi occhi verdi squadrarmi dall’alto, coperti appena da un ciuffo cenere solitario, considerato che il resto dei capelli fossero quasi completamente rasati a zero.
“In realtà sono stato incaricato dal mio capo di tenerti sotto controllo e di spararti la verità in faccia il prima possibile, ma lo farò più tardi e con modi gentili”.
“Come no” sbuffai scocciata.
Guardai oltre le sue spalle larghe e capii di essere in una casa, sebbene più simile ad una baita di montagna che ad una vera e propria villa.
Alzai un sopracciglio e passai in rassegna il vario arredamento, completo di caminetto, divani, tavolo da pranzo e poltroncine sparse ovunque. Non era decorato con alcun quadro, segno che fosse un ritrovo abbastanza arrangiato, ma la cosa non mi stupì. Mi stupì di più ritrovarmi con altra terra sotto i piedi e sapere che, fino a poco prima, fossi lì sotto.
“Ma scusa…” cominciai, attirando la sua attenzione. “mi tenevate davvero chiusa lì sotto?”.
Lui annuì e si avvicinò ad una finestra per aprirne le tendine rosa, nettamente in contrasto con i mobili scuri ed i rivestimenti in legno.
La luce di quella che riconobbi come alba entrò delicatamente nell’area, illuminandola tutta con colori caldi ed accoglienti. Quel posto non sarebbe stato male, arredato in modo più decente.
“Non ci credi, eh? E sei solo all’inizio”.
Lo ignorai e feci qualche passo avanti, sentendo improvvisamente un brivido di freddo lungo la schiena.
Abbassai lo sguardo e per poco non urlai dalla rabbia. “Ma che diavolo vi è saltato in mente, razza di depravati!”.
Ero nuda. O meglio, lo ero quasi completamente.
Sghignazzò e fece gesto con la mano di guardarlo e solo allora vidi che anche lui, come me, era dotato solo di biancheria intima. E fisico di un dio greco, che però io non avevo.
“Altre precauzioni, così siamo sicuri che nessuno entri armato. Abbiamo delle vite da proteggere, sai?”.
“Ad esempio?” lo sfidai.
Lui mi guardò e sorrise, portò due dita alla bocca e fece un fischio leggerissimo, appena udibile.
Due teste rosse sbucarono da dietro una colonna in pietra e sorriso debolmente.
Erano due bambini, gemelli, un maschio ed una femmina. Avevano lineamenti dolci e grandi occhi azzurri, dotati di una straordinaria bellezza.
“Da qualche parte dovevo pur cominciare, quindi ti presento Rudie e Ruby, i piccoli del gruppo. Hanno sette anni, sono con noi da quando ne avevano due, ma non abbiamo mai ritrovato i genitori”.
Rimasi incantata a vagare con lo sguardo sui corpicini piccoli e ben vestiti dei bambini, domandandomi come ci fossero finiti in quel posto da matti.
“Sono bellissimi, davvero”.
Lui sorrise di nuovo ed annuì. “Sono gli unici bambini che abbiamo, dobbiamo proteggerli anche a costo della nostra stessa vita”.
Ammisi a me stessa di non capire di cosa stesse parlando, considerato il modo serio e solenne con cui cercava di spiegare la situazione.
Mi mise un braccio intorno alle spalle in un gesto di confidenza che fui certa non avessimo; “Ti porto fuori, così conoscerai i tuoi salvatori. Vuoi?”.
Nell’incertezza della confusione mi ritrovai ad annuire, quasi dimenticandomi del fatto che gli stessi fossero dei grossi lupi con zanne affilate come rasoi.
Si mosse in avanti lentamente, io con lui, e mi guidò verso una porta in legno con un buco sulla parte alta che permetteva probabilmente di guardare all’esterno. La aprì con la mano libera e vidi i bambini passargli sotto al braccio per correre verso lo spazio aperto ed immenso che si apriva di fronte a noi.
Tutto era verde, ben curato, senza la minima presenza di rocce o altro che potesse ricordare una foresta. Un diametro di minimo novanta metri che circondava la casa in un perfetto cerchio, delineato da alti alberi dietro i quali sparirono i gemelli.
Mi voltai.
La casa aveva due piani, sebbene non fossi riuscita a vederne le scale, ed immaginai che al piano di sopra ci fossero le camere da letto. Non aveva balconi, solo tante finestre, ed era interamente fatta in legno. Era bella, certo che lo era, ed in armonia con il paesaggio circostante.
“Perché qui è tutto così bello?”.
“Perché per quelli come noi esiste o il tutto o il niente”.
“Quelli come voi?” chiesi, e lui annuì.
Mi allungò una mano e la afferrai istintivamente, seguendolo verso il centro della zona verde.
Indicò con la sinistra un punto di fianco alla casa, sulla nostra destra, e mi sussurrò di guardare attentamente.
Aguzzai lo sguardo, inutilmente, e sbuffai. “Vedo solo tanta legna”.
“Questo perché non sai usare bene i tuoi occhi. Riprova, noterai qualcosa che ti farà ricredere”.
Piegai leggermente le gambe e mi sporsi in avanti: dietro la legna accumulata per l’inverno, vidi muoversi lentamente una folta coda grigiastra.
Spalancai la bocca e guardai il ragazzo senza fiato, indicando anche io il punto in cui la vedevo. “Ma che è? Uno di quei lupi giganti?”.
Lui scosse la testa. “Quella è una semplice lupa, si chiama Arabi, è la compagna di un Halfwolf del branco”.
Alzai un sopracciglio, “Halfwolf? Che cos’è?”.
“Si chiamano così le persone trasformate fuori dalla luna rossa, quelli che rimangono in forma canina senza poter mutare”.
Non poteva essere serio.
“Tu scherzi, ti burli di me solo perché sono scossa”.
Scosse la testa di nuovo, “No, giuro, dico il vero”.
“Come puoi pensare che io ti creda? I licantropi… quegl’esseri orrendi di cui i libri parlano, no? Non possono essere veri, la scienza li avrebbe già trovati e la loro esistenza sarebbe già stata rivelata al mondo”.
Lui mi guardò a metà tra il divertito ed il serio. “Vuoi davvero costringermi ad usare le maniere forti? Guarda che se non apprenderai tutto entro stasera, con ogni probabilità, ti lasceranno di nuovo nel bosco”.
“E quindi? A casa ci so tornare”.
“Non hai idea di dove siamo, credimi. Tornare giù è impossibile se non conosci il territorio come le tue tasche”.
Non aveva tutti i torti, a conti fatti: durante il tragitto ero miseramente svenuta e già il ricordare di aver saltato un burrone mi fece venire un vuoto allo stomaco.
Sbuffai. “Per la precisione… cosa dovrei apprendere? Giusto per intenderci”.
“Almeno le cose basilari, accettare la realtà verrà da sé dopo”.
Annuii e tornai con lo sguardo alla lupa.
“Come dicevo… non esistono solo gli Halfwolf, ma anche gli Halfman, quelli trasformati durante la luna rossa e che quindi possono cambiare forma, anche se non in modo controllato”.
“Che significa?”.
“Che deve esserci un forte sentimento per mutare, come la rabbia o la tristezza. Quelli che invece sono in grado di scegliere si suddividono in Origin e Standard, che non hanno un nome preciso. Gli Origin sono i discendenti diretti di una lupa ed un umano, nascono lupi e diventano umani col tempo, imparando poi a gestire le mutazioni; possono anche nascere da un’umana però, e qui il procedimento è invertito”.
“Mi fa strano pensare ad un uomo ed un animale che… si accoppiano” lo interruppi.
“Sì, anche per me fu così all’inizio, ma quando ne conosci uno poi fidati che cambi idea. In ogni caso, i figli degli Origin sono Standard puri, ma quando vengono incrociati diventano semplici Standard, i più comuni”.
“Tu cosa sei?”.
“Standard, figlio di Standard figli di altri Standard. E mi chiamo Sean, se te lo stessi chiedendo”.
“Piacere, Sean, mi chiamo Rose”.
Lui allungò una mano, “So chi sei, ti seguiamo da un po’ ormai”.
“Sono una semplice studentessa, non mi pare di aver fatto nulla per attirare la vostra attenzione”.
Sean riabbassò il braccio e nascose la leggera delusione dietro un sorriso tirato. “In realtà hai ragione, ti spiegherò il perché un altro giorno magari”.
Un soffio di vento mi ricordò della mia nudità e strinsi forte le braccia al petto.
“Potrei…ehm… riavere i miei abiti?”.
Lui mi sorrise ed annuì, “Certo, appena entri sulla destra. Volevo presentarti almeno il Rosso, ma se proprio non resisti ci pensiamo dopo”.
Non che l’idea mi allettasse particolarmente, ma capii di non avere altra scelta.
Camminai verso la porta, entrai, e svoltai a destra; appesi alla parete, con un’attenzione impossibile da non notare, c’erano un jeans ed una canotta rossa. Erano miei, li riconobbi, ma non ero tanto certa di averli messi nel borsone. Li presi ugualmente e me li infilai in silenzio, maledicendo chiunque avesse progettato l’arredamento per non aver messo neanche uno specchio.
Prima di tornare fuori, neanche dieci minuti dopo, mi fermai a prendere un lungo respiro.
Non è reale, mi dissi, domani sarò a casa. E ci sperai davvero.
Sean era ancora lì dove lo avevo lasciato, immobile. I suoi muscoli erano tesi, i pochi capelli scompigliati dal vento, ed i suoi occhi… sembravano sorridere.
“Dove avete preso questi vestiti?”.
Mi fece l’occhiolino, “Piccoli segreti del mestiere”.
Lo raggiunsi e portai le braccia sotto al seno per scaldarmi il più possibile. “Non avete recuperato niente di mio?”.
Lui mi guardò ed alzò un sopracciglio. “Roba mia… vestiti, telefono, o…”.
“Oggetti rubati? No, nulla di quello che avevi con te è stato toccato, ma forse ci avranno pensato le autorità”.
Ingoiai a vuoto e feci un passo indietro.
L’erba sotto i piedi era fresca e umidiccia, ma in modo molto piacevole. Non provavo quella sensazione da tempo e -quando anche il sole arrivò a toccare la mia pelle- tornai a pensare a quando ero piccola e giocavo con mio fratello nel giardino della vecchia casa.
Da piccoli è tutto più facile, anche credere nei licantropi mi sarebbe riuscito senza il minimo sforzo.
“Tranquilla, qui non ti troveranno”.
Alzai lo sguardo. “Chi?”.
“Le autorità, polizia e cose varie. Qui non ci arrivano. O meglio, sanno dove siamo ma non hanno interesse per noi”.
“E questo come fai a dirlo? Potrebbero presentarsi alla vostra porta da un momento all’altro”.
Sean si voltò alla sua destra ed indicò l’inizio di un piccolo sentiero nella foresta battuto a mano. “Quello è l’unico modo che ogni essere a due zampe ha per arrivare qui. Il resto del bosco e percorribile solo da animali agili e svelti, o rischierebbero la morte”.
“Appunto, qui possono arrivarci attraverso quello”.
Lui rise e mi portò di nuovo un braccio attorno alle spalle. “Cosa credi che intenda io per animali agili e svelti, Rose? Non parlo di lepri o scoiattoli, ma di puma e giaguari. Lupi, volpi, sciacalli in alcuni punti rocciosi, e persino gatti selvatici”. Prese un respiro e mi strinse più forte. “Salire qui sarebbe come tentare il suicidio”.
 
Verso l’ora di pranzo, dopo vari giri della proprietà e tante parole a favore della sua fantomatica specie, Sean mi condusse al piano di sopra della casa attraverso una rampa esterna di scale.
L’interno del secondo piano era strutturalmente simile al primo, ma arredato più come casa che come rifugio di fortuna. Aveva un tavolo bello grande e apparecchiato con otto sedie attorno, quadri appesi alle pareti, credenze, una cucina, e tutto quello che poteva ricordare un comune appartamento.
Carino, semplice, e alquanto affollato.
I gemelli, quelli della stessa mattina, giocavano con il viso incollato allo schermo di un vecchio videogioco sul divano in stoffa verde; un altro ragazzo, scuro in tutto e a petto nudo come Sean, stava dietro di loro e rideva; una donna, bionda e sulla trentina, si dava da fare vicino ai fornelli insieme ad una ragazza probabilmente poco più grande di me, anche lei bionda e con occhi scuri.
“Loro sono parte del branco, Rose.” mi sussurrò Sean all’orecchio. Indicò il ragazzo per primo, “Lui è Cody, ha diciannove anni e viene dal Kentucky. E’ con noi da quando ne aveva più o meno dieci, ci fidiamo ciecamente delle sue abilità da guardiano. E’ simpatico il più delle volte, ma sa essere un gran pezzo di bastardo, quindi attenta a come gli parli”. Mi spinse per le spalle leggermente in avanti e mi indirizzò verso la cucina. “Queste splendide fanciulle sono Paige e Margaret, sorelle. Paige è nel gruppo anche da prima di me, il vecchio capo la trovò in preda agli spasmi nel bosco mentre cercava di capire cosa le stesse succedendo. Era alle prese con la prima mutazione, una standard, ma sia lei che la sorella erano state date in affidamento molto piccole e non avevano idea di cosa stesse accadendo. Aveva dieci anni, Margaret solo tredici mesi. Adesso lei ne ha ventotto, Maggie diciassette, ed entrambe sono eccellenti cacciatrici, anche se Paige preferisce restare qui con i gemelli”.
Lo guardai e scossi la testa, togliendomi le sue mani da sopra le spalle. “Perché mi dici queste cose?”.
“Perché quando arriveranno i pezzi grossi dovrai avere qualcuno su cui contare”.
Indietreggiai ed aprii la bocca, cercai di dire qualcosa, di chiedere spiegazioni, ma altre due mani si appoggiarono su di me e mi costrinsero a voltarmi.
“Tu devi essere Alekia! E’ un vero piacere incontrarti, ho sentito tanto parlare di te!”.
Sorrisi, “A quanto pare solo io non ho mai sentito parlare di voi”.
Lei rise, sebbene la mia fosse un’affermazione tutt’altro che amichevole, e mi porse la mano. “Sono Paige, piacere, e lei è mia sorella Maggie”.
Ricambiai la stretta e vidi più dietro la sorella salutarmi con un piccolo cenno del capo ed un sorriso.
Perché erano tutti così socievoli?
“Immagino sarai stanca e confusa, ma capirai tutto a tempo debito, vedrai”.
“Lo spero”.
Lei rise di nuovo e mi indicò con la mano la tavola apparecchiata. “Abbiamo cucinato della pasta al pesto, se ti va, in alternativa abbiamo le cotolette; sai… i bambini le amano”.
Le sorrisi ed annuii, “Andrà bene qualsiasi cosa, grazie”.
Si allontanò allegra e tornò ai suoi fornelli mormorando qualcosa alla sorella riguardo il mio probabilmente grande appetito.
Feci per voltarmi verso Sean quando un petto largo e muscoloso mi si parò avanti.
Alzai lo sguardo ed incontrai quello di Cody, serio e sospettoso, e feci automaticamente due passi indietro.
“So che sai chi sono, e so che sai che so chi sei tu, saltiamo i convenevoli. In cosa potresti tornarmi utile?”.
Lo guardai con un sopracciglio alzato e per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.
Era bello, molto bello, decisamente quanto Sean; aveva i capelli raccolti in un piccolo codino dietro la testa, neri e folti, occhi neri come la pece e pelle olivastra. Mi ricordò un indiano.
“Ti faccio ridere?”.
Scossi la testa.
“E allora quale sarebbe il problema?”.
Misi una mano sul fianco destro. “Il problema, caro Cody, è che io non ho la più pallida idea di come ci sia finita qui e perché. Al momento, tornarti utile è l’ultima delle mie preoccupazioni”.
I gemelli smisero di giocare al videogioco e si voltarono verso di noi, così come le sorelle dalla cucina. Persino Sean, dietro di lui, mi fece segno di stare zitta.
Ma Cody rise e mi tirò in un abbraccio partito da non seppi dove e mi strinse forte; “Finalmente qualcuno capace di tenermi testa, era ora!”.
Non  poteva essere serio, non dopo quello che aveva fatto pochi istanti prima.
Allontanai il suo corpo dal mio e mi aggiustai la maglietta lievemente stropicciata.
“Hai perfettamente ragione, sai? Solo che da domani i ritmi riprenderanno regolari, vedrai come si sopravvive tra noi e, beh… dovrai scegliere che ruolo assumere, oltre quello che hai già”.
“Un ruolo che ho già? Ma di che parli?”.
Sean gli tirò una botta dietro la testa, “Idiota col caschetto, non riesci mai a tenere la bocca chiusa”.
“Disse il pelatone con il ciuffo alla Elvis!”.
“Almeno i miei capelli possono essere definiti tali!”.
“Ma se sono più inguardabili di quelli di Justin Bieber!”.
“Smettetela, tutti e due, e spiegatemi di cosa stavate parlando” mi intromisi, forse rischiando di beccarmi uno spintone.
Sean mi guardò e sospirò a metà tra il combattuto ed il dispiaciuto. “Vedi, Rose… Sebbene gli Standard siano licantropi a tutti gli effetti, non possono procreare quando vogliono loro, devono sempre aspettare la luna rossa”.
Annuii, “Quindi?”.
I due si lanciarono un’occhiata veloce, poi Cody prese parola:  ”Quindi, quando arrivano quei tre giorni particolari, è bene che ogni branco abbia un certo numero di femmine per garantirne la sopravvivenza. Capitano una volta di seguito ogni tre anni, e questa è la prima volta che ogni nostro membro può realmente usufruirne, visto che tre anni fa eravamo tutti ancora poco più che adolescenti”.
“Quello che stiamo cercando di dirti ma che avrei voluto aspettare a riferire, è che tu sei essenziale per questo compito. Siamo quattro ragazzi, ognuno di noi deve provarci, e non è garantito che le ragazze restino gravide perché c’è tutta una serie di complicanze dietro riguardanti la compatibilità degl’individui”.
“Mi state dicendo che sono qui per essere usata come una puttana?”.
“No! Assolutamente no!”.
“Sei libera di scegliere chi vuoi tra noi, nessuno ti costringerà a fare nulla”.
Mi passai le mani sul viso e mi tirai uno schiaffo. “Sto sognando, per forza. Sono in un brutto incubo”.
“Ci dispiace, Rose, ma il tuo nome era scritto e…”.
Tirai un pugno al muro. “Ma scritto dove? Cosa? Chi siete voi per decidere se io debba o meno restare incinta? Di uno sconosciuto oltretutto! Avevo una vita io –ho una vita a cui tornare! Con quale coraggio mi presenterei a casa incinta, eh? E Paige e Margaret? Ci sono anche loro, no? Due cuccioletti per ora basteranno, siete giovani!”.
“Quando ci sono quei giorni dobbiamo fare appello a tutte le nostre forze per non… accoppiarci con il primo essere che capita. Sarebbe un vero disastro se un’altra umana restasse incinta al posto di una delle nostre, non reggerebbe lo stress, ne morirebbe, capisci?”.
“E che mi importa! Usate una lupa allora!”.
“Per buttare all’aria quattro generazioni di licantropi? Ne nascerebbero solo dei lupi, no, grazie”.
Mi voltai verso Cody e per poco non arrivai a tirargli un pugno in pieno viso. Fu la mano di Sean a trattenermi, forse anche più forte del necessario. “Rose, calmati. Paige è sterile, ci ha provato già il vecchio capobranco tre anni fa, poco prima della sua morte. Sperava  di dare un ultimo membro al branco, sebbene non Puro come i suoi primi figli, ma il medico ci ha chiaramente detto che Paige non sarà mai in grado di concepire, e nessuno ha intenzione di usarla solamente per sfogo. Maggie… lei è del nuovo capo, se riuscirà a restare incinta sarà la madre del capobranco che verrà, nessun altro al di fuori di lui può toccarla. Io, Cody ed il Puro fratello dell’alfa non abbiamo nessuno, e le probabilità di trovare un’altra come te sono praticamente ridotte al minimo. Mancano due settimane alla luna”.
Risi sonoramente, una risata isterica e nervosa che non riuscii in alcun modo a controllare.“Voi siete tutti matti”.
Aprii la porta di legno e mi precipitai fuori, poi giù per le scale. Ogni cellula del mio corpo mi urlava di provare a percorrere il sentiero mostratomi da Sean, anche a costo di restarne uccisa.
Attraversai il giardino a grandi falcate e solo passandomi una mano tra i capelli mi accorsi delle lacrime.
Tutto un brutto sogno.
Arrivai al confine boccheggiando e con il fiato corto.
Il lupo rosso che la notte prima mi aveva salvata comparì all’improvviso avanti a me con le fauci spalancate.
“Togliti!”, ma lui non mosse un passo, si limitò ad abbassare le orecchie.
Provai a spostarlo di lato e a raggirarlo, sicura che non mi avrebbe fatto del male, ma mi prese per il colletto della maglia e mi sollevò in aria.
“Mollami subito! Mettimi giù!”.
Lanciai dei calci in aria a vuoto e lui ne sembrò alquanto infastidito, tanto che scosse la testa e mi mosse tutta.
Urlai.
“Rose, ti prego, lascia che ti spieghi”.
Sean ci comparve avanti con le braccia aperte rivolte nella mia direzione.
“Spiegare cosa? Che mi avete strappata alla mia vita per usarmi come puttana in questa gabbia di matti?!”.
Cody, Paige e Margaret gli furono presto accanto.
Tirai un altro calcio a vuoto.
“Dannazione Rose, smettila di agitarti!”.
“Lasciatemi andare, voglio tornare a casa mia, devo tornare dai miei genitori! Hanno bisogno di me!”.
Il Rosso abbassò la testa e lasciò che i miei piedi toccassero la terra.
“Il tuo nome era segnato tra le persone che potrebbero aggiungersi presto o tardi al branco, non potevamo ignorarti”.
“Chi? Chi ha scritto il mio nome?”.
I quattro si guardarono rapidamente, “Tuo fratello”.
Guardai Cody come se fosse la più brutta carogna al mondo e gli urlai contro.
“Bugiardi! Mio fratello è morto su una fottutissima nave, con voi non aveva niente a che fare!”.
Il Rosso mi ritirò su con uno scatto.
“Rose!” mi chiamò Paige, e decisi finalmente di smetterla. “E’ lui. Nick, tuo fratello, è lui”.
E mi sentii cadere a terra.
  
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