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Autore: dragon_queen    27/08/2015    4 recensioni
Gandalf fissava il sovrano di Gran Burrone, sul volto dai tratti affilati un'espressione più cupa e preoccupata del solito.
-Tu sapevi della sua esistenza- disse l'elfo, stringendo un poco i pugni sul bracciolo della sedia sulla quale stava seduto.
-Si, lo sapevo. Sono stato io a salvarla molti anni fa-
-E' un abominio, Gandalf. Dovresti saperlo anche tu. Quelli come lei non dovrebbero neanche esistere-
-Parli di quella giovane come se non fosse neanche qualcosa di umano, mio buon re, alla stregua delle creature che Saruman e l'Oscuro Signore stanno creando alle pendici delle loro torri. Il destino di quella ragazza è importante-
-Stregone, dovresti conoscere la profezia che aleggia sulla sua testa. Lei ci porterà alla rovina-
*******
Premetto: La storia seguirà pressocchè fedelmente i tre film della saga.
Se vi fa piacere leggete e lasciate anche qualche impressione. Non siate troppo cattivi però XD
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ANGOLO AUTRICE:
Meglio che non dica niente  -.-

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)




 
CAP XVI – UNA NUOVA ALBA

 

 

Legolas vide il corpo di Niniel accasciarsi a terra assieme a quello del capitano di Lorien, mentre Gereth e un altro paio di soldati di Rohan combattevano per impedire all'orda di Uruk di raggiungere i due.

Con fatica, in mezzo al caos che lo circondava, riuscì a percepire il battito flebile del cuore della giovane, affaticato dalla battaglia e ancora provato dalla spossatezza dovuta al veleno. Un'onda di un potere molto simile a quello che aveva mantenuto in vita Boromir aveva per un attimo fatto vibrare l'aria, cosa che aveva preoccupato non poco l'elfo, memore delle condizioni in cui si era ritrovata la mezz'elfa l'ultima volta.

Con un colpo preciso scoccò una freccia in mezzo agli occhi di una di quelle creature, colpendone altre due con lo stesso corpo dell'arco. Salì veloce sino al camminamento sul quale lei si trovava, facendosi largo sino a raggiungerla. Aveva intravisto Aragorn a pochi metri da loro, impiegato a favorire la ritirata dei soldati che erano rimasti.

Suoni per niente rassicuranti provenivano dal portone principale della fortezza, le grida degli uomini facevano capire che il duro legno stava per cedere sotto la potenza dell'orda nemica. Theoden, lo sguardo fiero che si richiedeva ad un re, era egli stesso sceso sino al livello delle porte, affiancato dai suoi generali.

Legolas evitò l'ennesimo attacco, conficcando uno dei suoi pugnali nella giugulare di un altro Uruk, uno dei pochi punti lasciati scoperti dalla spessa armatura che li ricopriva. Si prese qualche secondo per osservare il mostro che si accasciava a terra accompagnato da un grugnito di agonìa, mentre le goccie di pioggia scivolavano dai lunghi capelli biondi e andavano a morire sulla superficie sudicia dell'armatura nemica.

-Niniel...- sospirò poi, inginocchiandosi al fianco di lei non appena raggiunta e avvicinando un orecchio alle sue labbra.

Un lieve respiro gli accarezzò la pelle, facendolo un poco tranquilizzare. Con mano lieve le spostò alcuni ciuffi bagnati dalla fronte, concedendosi per qualche istante di osservarla in volto, il quale pareva provato non solo dalla battaglia, ma anche da qualcos'altro. Le sopracciglia erano incurvate in un'espressione di pura sofferenza, mentre le labbra, ricordate dall'elfo rosee e soffici, erano spaccate e dal colore violaceo. Il corpo era freddo e bagnato, rigido. La sollevò un poco da terra, carezzandole una guancia e chiamando il suo nome. Fino a quel momento si era chiesto cosa mai sarebbe accaduto nell'istante in cui lei avesse deciso di andarsene per sempre, se qualcuno o qualcosa l'avesse definitivamente strappata da quel mondo. Cosa avrebbe fatto lui? Come avrebbe continuato la sua eternità sapendo che lei non poteva farne parte? Per la prima volta, dopo davvero molti anni, aveva finalmente trovato un altro essere che non lo facesse sentire solo, che riuscisse a risvegliare nel suo animo una parte umana, sentimenti che aveva invano cercato di seppellire da quando sua madre aveva abbandonato lui e suo padre.

Spostò allora lo sguardo su Haldir, steso in parte sul corpo della mezz'elfa, la pelle pallida e le labbra livide quasi quanto lei. Con mano tremante portò due dita alla carotide dell'elfo, anche se dentro di sè si aspettava di non riuscire a sentire alcun battito. Fu per quello che si stupì quando avvertì lo scorrere del sangue nella vena, segno che il cuore del capitano ancora pompava.

Così, con un grido che riuscì a sovrastare il rumore della battaglia e lo scrosciare incessante della pioggia, chiamò Gereth. Avrebbe voluto lui stesso portare i due in un posto sicuro, ma era suo dovere rimanere a combattere.

Quello, dopo aver allontanato l'ennesimo orco che cercava di recidergli la testa dal collo, si avvicinò all'elfo, attento. L'elfo faticava a fidarsi di quello sconosciuto, soprattutto perchè aveva notato il legame che lo univa a Niniel. Purtroppo però era anche l'unico che avrebbe potuto portare a termine quel compito senza rischiare di fallire.

-Devi condurre entrambi all'interno della fortezza- disse Legolas, fissandolo negli occhi.

-E così Niniel ce l'ha fatta?- chiese, sorpreso, spostando lo sguardo sul capitano di Lorien.

-Tu sai?- domandò l'altro, capendo che quell'uomo era a conoscenza di molto più di quanto andava raccontando.

Dunque Niniel si fidava di lui a tal punto da rivelargli l'origine di quello strano potere che invece aveva taciuto a tutti loro? Perchè?

Eppure, nonostante l'infinita curiosità di sapere, capì da sè che quello non era certo nè il luogo nè il momento più adatti. Così si affrettò ad aggiungere:

-Prendi con un te un soldato abbastanza in forze perchè possa trasportare Haldir. Dopodichè, mentre io vi aprirò la strada, portate entrambi al sicuro all'interno delle mura-

-Sai che lei non te lo perdonerà, vero?- disse Gereth, un sorriso impudente sulle labbra, mentre metà del viso era macchiata dal sangue che gli usciva da una ferita alla fronte.

Lo sapeva, eccome se lo sapeva. Niniel non gli avrebbe mai risparmiato un'accesa discussione dopo che tutto fosse finito.

-Se vorrà odiarmi, sarà comunque viva per farlo- rispose di rimando l'altro, ricambiando il ghigno, per poi alzarsi e cominciare ad abbattere i nemici che li circondavano.

 

***

 

Gereth correva, il corpo di Niniel appoggiato malamente sulla schiena, un braccio a sorreggerla nel vano tentativo di non farla cadere, l'altro, la spada in pugno, pronto ad affrontare chiunque gli si presentasse davanti. Alle sue spalle due giovani arcieri, ancora con abbastanza fiato, trasportavano con fatica il corpo di Haldir, talmente debole da equivalere ad un peso morto. In fondo erano dei ragazzini, due dei molti che erano stati assoldati in mancanza di combattenti esperti. Li aveva intravisti semi nascosti alle macerie del trombatorrione, le mani tremanti che impedivano alle freccie dei loro archi di raggiungere adeguatamente il bersaglio. Aveva avuto pietà di loro, della giovinezza che, se li avesse lasciati lì, non avrebbero mai vissuto, e così li aveva scelti.

Il giovane dagli occhi ametista si voltò verso i due, incitandoli a non aver paura, ma a continuare verso la loro meta. Sentiva dentro di sè qualcosa di estraneo, una sensazione che, da quel poco che riusciva a ricordare, non aveva mai realmente provato. Era come se il desiderio di aiutare quei due ragazzini fosse qualcosa di nuovo, che andava al di fuori di ciò che il cuore gli aveva imposto sino a quel momento. Inoltre era più che sicuro che quello sconvolgimento emotivo fosse tutto dovuto alla giovane che in quel momento gli giaceva sulla schiena.

Sentiva come se la conoscesse da tempo, da molto più di chiunque altro. In alcuni istanti, mentre la guardava, gli pareva quasi di poter sovrapporre un altro volto al suo, molto simile, ma più infantile, un ricordo scomparso quasi subito tra le nebbie dell'amnesia.

Una cosa però la sapeva per certo: sarebbe morto per lei. Ancora non conosceva l'esatta origine di quell'idea, ma era sicuro di essere nato con un compito come quello, trovare qualcuno da proteggere sino alla fine. Non ricordava se avesse mai posseduto una famiglia, amici o compagni, ma Niniel racchiudeva in sè ognuno di quegli aspetti. Per quello doveva al più presto portarla via da quella battaglia.

Aveva perso di vista Legolas qualche attimo prima. Fu allora che un paio di orchi gli si pararono davanti e lui si arrestò, in quanto, con il peso della ragazza sulle spalle, non sarebbe mai riuscito ad affrontarli. Mentre però stava già pensando di lasciare Niniel alle cure di uno dei due giovani arcieri e liberarsi dell'ostacolo per poter proseguire, due colpi fulminei di spada recisero ad entrambi gli orchi la testa. Quando i corpi caddero tra il fango e il sangue, alle loro spalle comparve la figura di un uomo, il quale però Gereth non riconobbe immediatamente a causa dei capelli bagnati appicciati al volto che lo rendevano pressocchè irriconoscibile.

Quando però notò la singolare fattura dello scudo, il quale mostrava un'arte unicamente gondoriana, e il bianco corno appeso alla cintola, capì chi mai fosse il loro salvatore.

-Boromir- disse allora, la voce dispersa nella pioggia e stroncata dalla fatica.

-Avanti, vi permetterò di raggiungere la fortezza prima che sia tardi- rispose l'uomo con un mezzo sorriso, muovendosi alle spalle dei due arcieri e sostituendone uno nel trasporto del moribondo Haldir.

Il corvino lo seguì con lo sguardo per quanto gli fu possibile, poi riprese la sua avanzata verso l'interno del forte di Helm.

Bastò uno sguardo scambiato in fretta tra i due per capire quale sarebbe stato il luogo più sicuro per sistemare entrambi i feriti. Non con poche difficoltà riuscirono a raggiungere uno dei portoni che conducevano al cuore della fortezza, aiutati da alcuni soldati che allontanarono gli orchi quel tanto che bastò a loro di passare.

Senza rallentare di un solo passo, avvertendo il respiro di entrambi i moribondi sempre più debole e flebile, presero a ridiscendere velocemente verso le caverne sotterranee dove si trovavano le donne, gli anziani e i bambini. Furono urtati più volte da soldati che correvano su e giù per la fortezza, in attesa di uscire in battaglia per sostituire quelli già morti. Ma niente li rallentò, raggiungendo qualche minuto più tardi la loro meta.

L'uomo di Gondor si gettò con tutta la sua forza sul grosso portone di legno massiccio che si parava loro davanti, richiamando l'attenzione delle guardie che vi erano state lasciate di sentinella dall'altra parte.

-Aprite questa dannata porta!! Abbiamo necessità di entrare!!-

-Il re ha ordinato di non far accedere nessuno a questa ala, neanche se dovesse spirare di fronte alla porta-

-Portiamo due feriti gravi e, al momento, solo dama Eowyn sarebbe in grado di far scampar loro alla morte-

Trascorse qualche minuto prima che le porte si schiudessero, tanto che i due stavano già progettando di buttarle giù a spallate se fosse stato necessario, rivelando la figura esile della principessa di Rohan che andava loro incontro.

-Portateli dentro- disse rivolta alle due guardie e, in cuor suo, non potè fare a meno di ammettere di aver avuto ragione riguardo alle condizioni di quella spocchiosa mezz'elfa quando la vide sulle spalle del giovane moro.

Non evitò neanche di notare gli sguardi che entrambi quegli uomini rivolsero alla moribonda mentre la lasciavano, assieme all'elfo, in consegna alle guardie. Pensò di non aver mai visto tanta apprensione come negli sguardi di quei due, tanta speranza di poter rivedere quella stessa persona per un'altra volta soltanto.

Sorrise ai due, come a voler loro infondere grinta e rassicurazione riguardo le condizioni dei feriti.

-Si prenda cura di loro, mia signora- disse Boromir con un inchino, imitato da Gereth, per poi riprendere entrambi la strada per tornare sul campo di battaglia.

-Non avete da temere sinchè saranno qui. Siate prudenti, guerrieri, entrambi, in quanto penso che per lei siate importanti in egual misura-

I due uomini si voltarono, stupiti da tali parole. La dama bionda sorrideva loro teneramente, mentre le porte le si chiudevano dinnanzi agli occhi.

Quando Boromir e Gereth si trovarono soli, gli abiti lordi di sangue proprio e non, le ferite che attraversavano i loro corpi, non poterono fare a meno di scambiarsi un'occhiata.

-Non è necessario fissarmi con quello sguardo carico di risentimento, gondoriano. Non è con me che hai perso la strada per il cuore di Niniel-

-Non è certo a quello che stavo pensando, in quanto con lei ho già parlato a sufficienza del sentimento che ci unisce, amicizia a detta sua, niente di più. Mi chiedo però ciò che muova te, estraneo sino a poco più di una settimana fa. Cosa ti unisce a lei?-

Gereth distolse lo sguardo, impugnando più saldamente la sua arma.

-Qualcosa che tu non puoi ancora capire- rispose, per poi precederlo verso il campo di battaglia.

 

***

 

Aprii gli occhi, mugolando a causa della fitta alla testa che mi colse non appena lo feci. Dove mi trovavo? Che ne era stato della battaglia? Avevamo vinto?

Probabilmente, se ero ancora viva, forse non era tutto perduto. Forse un miracolo era accaduto, i Valar ci avevano concesso di vivere un altro giorno, soffrire per ancora qualche ora, ma con la consapevolezza di esserci salvati. Sentivo le membra pesanti, il respiro lento e quasi inudibile, ma dentro di me avevo la certezza di averla scampata ancora. Era stata una follia tentare l'incantesimo per la seconda volta, soprattutto dopo che il legame era stato rotto. La mia forza, da sola, non era sufficiente per uno sforzo di quelle dimensioni.

“Una vita per una vita” mi aveva detto Lui quel giorno, quando ci eravamo appena incontrati, e io avevo sorriso, non prendendo le sue parole come reali. In quel momento, in quel letto nel quale mi resi conto di trovarmi, quella frase non mi parve molto lontana dalla verità.

Eppure ero viva, anche se ciò significava che molto probabilmente non ero riuscita a salvare Haldir. Distolsi lo sguardo dal soffitto, voltandomi alla mia destra e lo vidi, steso su di un giaciglio poco lontano da me. Qualcuno era chino su di lui, intento a fargli bere un infuso da una ciotola. Ciò significava che era vivo, che l'incantesimo era riuscito, anche se non completamente, in quanto potevo vedere le bianche fasciature che circondavano l'addome dell'elfo, segno che le ferite non si erano del tutto richiuse.

Mi resi conto di star piangendo solo quando avvertii le lacrime scivolarmi sulle guancie e macchiare la federa del cuscino di paglia che avevo sotto la testa. L'ultimo di coloro che avevo considerato un tempo come una famiglia camminava ancora tra i vivi, ero riuscita per la seconda volta a battere il volere di Mandos, dando a me la possibilità di rimediare al dolore che gli avevo provocato in quegli anni. A dire il vero non sapevo se lui mi avrebbe mai perdonato, ma non me ne curai in quel momento. Ci era ancora stato donato del tempo e, per quanto mi riguardava, non lo avrei sprecato.

Fu allora che la figura china su Haldir si voltò, mostrandomi il volto di Eowyn. Rabbrividii rincontrando quegli occhi chiari e limpidi, il viso dai tratti belli e quasi eterei, l'espressione dura quando si accorse che ero vigile.

Nonostante la volta precedente non le avessi riservato un trattamento che potesse essere definito rispettoso, quella però mi sorrise, sincera.

-Ti sei svegliata, mezz'elfa. Non ho mai odiato aver ragione come nel momento in cui ti ho visto portata qui dai tuoi compagni- mi disse con voce lieve, il tono che mostrava un sincero sollievo.

Distolsi lo sguardo, vergognandomi di essermi mostrata così scontrosa nei suoi confronti, quando lei si era adoperata per salvarmi la vita per ben due volte.

-Mia signora, le sono grata per quello che ha fatto per Haldir e me- dissi allora, andando contro ad ogni mio principio e azzerando completamente il mio orgoglio.

In realtà mi resi conto che dire quelle parole non mi era costata alcuna fatica, in quanto nell'animo le pensavo, esattamente come le avevo pronunciate. Era come se l'aver scampato la morte per la seconda volta avesse abbattuto una parte di quel muro che ancora circondava il mio cuore, risvegliando una parte della vecchia Niniel che, dovetti ammettere, non mi dispiaceva affatto mostrare.

-Chiamami Eowyn, mezz'elfa. Ricominciamo come se non ci fossimo mai incontrate- mi rispose lei, avvicinandosi al mio letto, poggiandomi una mano sulla spalla in segno di conforto.

-E tu chiamami Niniel. Non mi piace che qualcuno sottolinei di continuo la mia natura- risposi, per la prima volta con un tono che non voleva essere nè pungente nè sarcastico, riservandole un sorriso che voleva essere completamente sincero.

-Come vuoi tu, Niniel- concluse lei con un cenno del capo, alzandosi poi per andarsene dopo aver recuperato alcuni dei medicamenti che probabilmente aveva usato su me ed Haldir.

La osservai allontanarsi verso l'uscita, i lunghi capelli biondi sciolti sulla schiena mossi da un vento invisibile. Pensai per un attimo a quante cose mi differenziassero da lei, da quante mancanze sentissi nei confronti del suo portamento e della sua persona, così regale e femminile.

Per un istante avrei voluto dare ad altri una visione diversa di me, più debole, fragile, una creatura da proteggere. Mi chiesi come, nonostante mi fossi mostrata sempre forte e combattiva, alcuni di quelli che avevo incontrato sentissero il profondo desiderio di vegliare comunque sulla mia incolumità. Poi capii che io stessa sarei stata pronta a dare la vita per ognuno di loro, per la prima volta ne ebbi la certezza.

-Mi dispiace- dissi quasi senza accorgermene, prima che dama Eowyn si fosse allontanata troppo per sentirmi.

-Per cosa?- mi domandò quella.

-Per avervi accusato di essere un infantile, per avervi minacciata senza alcun apparente motivo, per aver dimostrato per l'ennesima volta che è meglio che le persone mi stiano lontane-

La vidi sorridere dopo qualche attimo di smarrimento. Mi stupii non poco di tale reazione e per un istante mi parve di rivedere in lei il volto di Arwen la prima volta che la incontrai.

-Ho già dimenticato Niniel, in quanto ho compreso la situazione e il momento nelle quali tali parole sono state pronunciate. Non preoccuparti, non hai da temere niente da me, in nessun caso. In fondo, nonostante il tono poco carino che abbiamo usato la prima volta, mi duole ammettere che le tue parole erano fin troppo vere. Ma in fondo io voglio solo una possibilità, un'occasione per dimostrare che anche le donne possono affrontare le battaglie di questo tempo, senza essere ritenute deboli o inferiori-

Rimasi stupita da una tale risposta, tanto che anche a me venne da ridere. Distolsi lo sguardo, continuando a sorridere, mentre le lacrime scendevano ormai senza sosta. Perchè avevo la sensazione che si stesse riferendo a qualcuno in particolare? Perchè mi rispecchiavo in maniera così personale nelle sue parole? Nonostante fossi cresciuta tra gli elfi, in mezzo ai quali non vi era alcuna distinzione di sesso tra i guerrieri, una parte di me si era sempre sentita in dovere di dimostrare che potevo farcela.

-Grazie- conclusi, per poi richiudere gli occhi e ricadere nell'oblio.

 

***

 

Avvertii un'ondata di calore attraversarmi il corpo e fermarsi al centro del petto, in maniera molto simile a quando avevo uno dei miei attacchi. Non mi era più ricapitato da quando avevo usato le mie energie per salvare Boromir, da quando credevo che il legame con Lui si fosse spezzato.

Poi delle fitte martellanti mi scossero, una alla spalla e l'altra alla coscia, proprio dove ricordai essermi ferita durante l'esplosione del trombatorrione.

Il mio fisico stava cedendo, impedendo in quel modo alle ferite di cominciare a rimarginarsi dopo le cure. Nell'incoscienza mi parve quasi di sorridere dell'ironia della mia situazione: prima mi era stato permesso di rivedere per un'altra volta ancora la luce di un nuovo giorno, per poi trascinarmi via lentamente, stesa in un letto, e non invece come avrei voluto, su un campo di battaglia, la spada in pugno e il sangue del nemico sulla pelle e i vestiti.

Stavo affondando sempre di più nell'oscurità dalla quale non riuscivo più a risalire, abbandonandomi al tepore e alla spossatezza della febbre. Mi parve per un attimo di udire una voce che si diffuse come un eco nel mio cervello, scuotendomi, ma pensai solo ad un'impressione. Poi di nuovo, come un boato di un tuono.

-Ragazzina!-

Era lui, era tornato.

-Come puoi essere qui?-

La mia voce uscì debole, anche se ero certa che avessi solo pensato quelle parole.

-Avevo solo bisogno di tempo, sperando tu rimanessi in vita nel frattempo. Mi deludi, lo sai?-

Sembrava quasi stesse ridendo di me, della mia debolezza.

-Se non ti sta bene questa “debolezza”, allora perchè hai scelto me?-

-Perchè ho letto la tua anima, Roquen, e ho pensato che nessuno fosse più adatta di te-

-Dove sei?-

-Sto arrivando-

Fu come se d'improvviso il dolore si fosse attenuato, così come il caldo provocato dalla febbre. Il tepore che in quel momento avvertivo era differente, ma al tempo stesso dannatamente familiare. Lentamente sentii le palpebre riaprirsi di nuovo, ma la vista era appannata e gli occhi bruciavano.

Mi voltai appena, cercando di vedere se Haldir riposava ancora nel letto al mio fianco, ma non valse a niente. Un rumore, seguito da un grugnito, attirò la mia attenzione.

Ai piedi del mio giaciglio distinsi poco chiaramente la sagoma di qualcuno, il busto libero di camicia o armatura, intento, sembrava, a curarsi una ferita ad un braccio con ago e filo, o almeno così mi parve. La poca luce della stanza più la vista non affatto nitida non mi faceva essere sicura di niente.

Chi era con me in quella stanza? Non riuscivo a riconoscerlo e per un attimo ne ebbi paura. Poi, nella semioscurità, mi parve di intravedere qualcosa sulla pelle dello sconosciuto, all'altezza delle spalle, un disegno che scendeva giù sino a metà schiena. Non ebbi però il tempo di accertarmi di altro, in quanto sentii nuovamente i sensi venire meno e scivolai dolcemente nelle tenebre dell'incoscienza.

 

***

 

Una lieve brezza mi sfiorò il viso, facendo appena bruciare i sottili tagli, ormai quasi invisibili, che ancora lo segnavano. Lentamente sollevai una mano, sfiorando la ferita alla spalla che si era ormai richiusa, mentre la coscia ancora mi dava qualche problema.

Nei molti secoli in cui avevo vissuto non mi era mai capitato di ridurmi in quello stato, la parte elfica era sempre riuscita a supplire diligentemente alla debolezza di quella umana, risanando ogni ferita ancora prima che mi rendessi conto di perdere sangue. Probabilmente stavo lentamente perdendo le energie a causa del legame spezzato, anche se il sogno avuto qualche giorno prima aveva riacceso in me la speranza. Risentire la sua voce nella mia mente mi aveva dato la possibilità di sperare. Ricordare quell'intonazione, così profonda e potente, matura, mi fece correre dei brividi lungo la schiena, tanto che mi distrassi dal panorama quel tanto che impiegai per udire i passi di qualcuno nel corridoio. Non fui perciò sorpresa di veder comparire sulla soglia della camera la bianca figura di Gandalf. Avevo sentito dire che lo stregone aveva fatto ritorno proprio nel momento in cui tutto pareva perduto, ribaltando le sorti della battaglia grazie alla schiera di Rohirrim che si era portato dietro. Sorrisi nella sua direzione, ravviandomi per un attimo i capelli e stringendomi di più nella coperta che tenevo sulle spalle.

-Aaye, Mithrandir[1]-

-Mae govannen[2], Niniel- ricambiò lui il saluto.

-Vedo che la febbre è scesa e il tuo corpo è quasi completamente guarito- continuò, chiedendomi con uno sguardo il permesso di accomodarsi sul giaciglio che mi aveva ospitato per quell'ennesima notte.

-Ci ho impiegato più tempo del previsto, stavolta- risposi, abbassando lo sguardo.

Eravamo soli nella stanza, in quanto il giorno prima il letto di Haldir si era liberato, dato che l'elfo, convinto che le sue ferite fossero ormai in via di guarigione, aveva deciso di tornare verso Gran Burrone, ansioso di riferire a re Elrond quanto accaduto al fosso di Helm. Prima di andarsene però mi aveva riservato una lunga ed intensa occhiata. Mi sentii studiata da quello sguardo così attento, tanto che avvertii il mio corpo irrigidirsi, come se non avessi neanche la forza di respirare.

Fui per questo sconcertata e contenta al tempo stesso quando notai le labbra del capitano incurvarsi in un accennato sorriso. Probabilmente l'avergli salvato la vita aveva intaccato un poco quel velo d'odio nei miei confronti che lo circondava da ormai secoli.

Continuando a torturarmi la mano con la cicatrice, la quale aveva ricominciato a pizzicare da quando avevo fatto quello strano sogno qualche giorno prima, fissai l'anziano stregone per attimi che mi parvero infiniti, spegnendo poi il mio sorriso e assumendo un'espressione colpevole.

-Hai saputo ciò che ho combinato, non è vero?-

-A cosa ti riferisci?- chiese lo stregone, fintamente confuso.

-Al fatto che sono fuggita come una codarda, lasciandomi alle spalle i miei compagni e la mia missione-

Gandalf si fece pensieroso, poggiando il suo lungo bastone sulle ginocchia e sospirando.

-Sapevo che sarebbe giunto il momento Niniel, in quanto, nel tuo animo, la paura di soffrire si è fatta a poco a poco più forte del dovere verso la causa-

-Cosa ti fa pensare che sia mai stata la mia causa?- risposi piccata.

-Amica mia, ti conosco ormai da tempo e so esattamente quali sono i sentimenti che ti muovono, come sono sicuro che questa missione è divenuta tua non appena hai conosciuto Frodo- sorrise quello.

Lo fissai dubbiosa aggrottando le sopracciglia. Poi compresi:

-Lo sapevi, non è vero? Sapevi che mi sarei affezionata all'hobbit, per questo mi hai mandato a tenerlo d'occhio, a tenerlo al sicuro-

-Non so di cosa tu stia parlando. Comunque sia, sono contento che tu abbia ripensato alla tua decisione di andartene. Inoltre sono venuto a dirti che domattina partiremo-

-Per dove?- domandai.

-Andremo ad Isengard-

Fu come se una saetta mi attraversasse completamente, tanto che rimasi paralizzata sul posto per qualche istante, come se avessi solo immaginato quelle parole. Poi esclamai:

-Vengo con voi!-

-Sapevo lo avresti detto, ma te lo permetterò solo se sarai in grado di tenere il passo-

-Sto bene, posso farcela- conclusi.

-Bene. Ti attendo quindi alle porte principali alle prime luci-

-Ci sarò-

 

***

 

Non appena Gandalf se ne fu andato, borbottando qualcosa sul fatto che dovesse andare a cercare Aragorn, mi resi conto che ognuno dei miei compagni era passato a sincerarsi delle mie condizioni. Persino Gimli, con il suo fare scostante e burbero, mi era parso sollevato nel constatare che stessi bene. Boromir, una volta rimasti soli, mi aveva invece comunicato che il ramingo gli aveva chiesto, ma con molta probabilità ordinato, di recarsi a Minas Tirith, in modo da informare il sovrintendente di quanto stava accadendo a poca distanza dalla capitale, e che sarebbe partito il giorno stesso.

A quelle parole avevo sentito uno strano peso sul petto, il quale mi era poi salito in gola, non riuscendo a rispondergli come invece avrei voluto. Capii in quell'istante che provavo un particolare affetto per il gondoriano, un sentimento fraterno, non più di quello, ma che vederlo andarsene, scortato solo da qualche soldato di Rohan, tra quelli che ovviamente ancora potevano cavalcare, mi recava una certa preoccupazione, una strana angoscia. Al mio silenzio lui aveva risposto con un accennato sorriso e un lieve bacio sulla fronte, mentre le sue dita affondavano trai miei capelli e i miei occhi si chiudevano

L'unico che ancora non era apparso sulla soglia era Legolas. Una parte di me sperava di vederlo sulla porta, l'arco a tracolla e il sorriso caldo a rischiarargli il volto, gli occhi puntati nei miei. A quel pensiero i battiti del cuore accellerarono, senza apparente motivo, o almeno per qualcosa che io stessa non volevo ancora accettare. Eppure, mentre continuavo ad osservare il giorno che moriva, facendo spazio al nero manto della sera, ero sempre più convinta che Legolas fosse colui che a lungo avevo atteso.

Come guidata da una misteriosa sensazione, mi voltai lentamente, trovandolo là, in piedi, che mi guardava.

-Ho bussato, ma probabilmente non mi hai sentito- mi disse solo, la mano destra ancora alzata poggiata alla superficie della porta.

Non risposi, riservandomi qualche minuto per osservarlo come mai avevo fatto. In quel momento, quando finalmente il mio cuore iniziava a schiudersi come un fiore sotto il sole di primavera, lasciando uscire tutta quella tristezza e quella solitudine che a lungo mi aveva tormentato e che avevo tenuta nascosta al mondo, non potei fare a meno di immaginare l'elfo come un faro nell'oscurità che mi divorava l'anima.

-Niniel, che ti succede?-

Non rendendomene conto, me lo ritrovai di fronte, una mano sul mio viso mentre con il pollice asciugava lentamente una lacrima che mi stava scendendo sulla guancia. Inclinai la testa leggermente, tanto per bearmi del calore che quel gesto mi stava trasmettendo. Chiusi gli occhi, cercando di concentrarmi sul contatto tra di noi, imprimermelo nella memoria e non dimenticarlo più. Sorrisi, per la prima volta per davvero. Perchè per secoli ero fuggita da sensazioni come quelle? Perchè avevo allontanato tutti coloro che mi avessero dimostrato un minimo di affetto?

La missione per molto tempo mi aveva mantenuto fredda, ferma sulle mie decisioni, ma improvvisamente mi accorsi che sino ad allora non avevo mai realmente vissuto. Adesso avevo qualcosa per cui combattere, dei compagni che mi consideravano una di loro e non solo uno strumento per uccidere, un uomo per il quale provare qualcosa di diverso dal risentimento e dalla vendetta.

-Niniel...-

Per i Valar, non mi ero mai resa conto di come suonasse il mio nome detto da lui. Lentamente schiusi le palpebre, portando una mano a coprire la sua, per poi avvicinarmi, sfiorandogli appena le labbra con le mie. Vidi i suoi occhi spalancarsi per lo stupore, fissarmi come non avevano mai fatto prima, il volto candido assumere una lieve sfumatura rosata.

-Perchè?- chiese poi senza smettere di guardarmi.

-Non è evidente?- risposi, allontanandomi da lui e interrompendo quel contatto.

-No, non lo è- disse lui piccato, cercando di riavvicinarsi.

Non parlai, abbassando il volto e stringendomi le braccia al petto. Così l'elfo continuò:

-L'ultima volta che ci siamo parlati, le tue intenzioni mi sono parse del tutto differenti da quanto invece mi pare di capire con questo tuo gesto. Cosa è cambiato?-

-Come mai mi sembri contrariato? Eppure mi era parso di capire che mi avresti avuta, con o senza il mio consenso- dissi allora acida, offesa da quella sua poca fiducia, ma che alla quale non potei dare del tutto contro.

-E' proprio questo che mi preoccupa. Non voglio che sia in questo modo. Dannazione, tu mi hai chiesto di lasciarti in pace!!-

-Non voglio più- risposi semplicemente, imbarazzata per la prima volta nella mia lunga esistenza.

Continuai a fissare il pavimento, attendendo una risposta che non arrivò. Invece avvertii nuovamente la sensazione della sua vicinanza, mentre una presa al mento mi faceva alzare la testa e tornare a fissarlo.

-Te lo ripeto: cosa è cambiato?-

La sua voce era dura, ma c'era anche dell'altro, una sfumatura nel tono che mi parve quasi dolce.

-Ho smesso di avere paura- risposi di getto, incapace di continuare a mentirgli.

-Paura di cosa?-

-Di accettare ciò che sento. Mi sono arresa, tu mi hai reso debole, ma non posso dire che mi dispiaccia, ora lo so. Finalmente mi sento in grado di accettare quel turbine di sentimenti che da secoli mi hanno divorato, mostrando un'immagine di me irreale, finta, mentre la mia anima sanguinava. Non ho mai amato, Legolas, o almeno non davvero, neanche il mio maestro. Temevo di rivivere l'esperienza di mia madre, intrappolata in un amore a senso unico. Non sarei stata capace di sopportarlo, non anche quello-

Un'altra lacrima scese traditrice sulla pelle liscia del mio viso, mentre un singhiozzo mi scuoteva il corpo. Mi parve di essere tornata bambina, i primi tempi a Lorien, durante i quali rimpiangevo la morte di mia madre e non comprendevo l'odio che gli elfi provavano nei miei confronti e verso ciò che ero. Mi sentivo tornata in quegli anni, debole e priva di ogni difesa.

Mi portai entrambe le mani al viso, premendole con forza sugli occhi, continuando a piangere.

Ero stanca, sfinita di quell'esistenza senza scopo, almeno fino a quel momento.

Avvertii le dita di Legolas stringersi attorno ai miei polsi, costringendomi a scoprirmi il viso. Poi, con un movimento lento, l'elfo poggiò la fronte contro la mia, affondando invece le mani tra i miei capelli.

Eravamo così vicini che i nostri respiri avrebbero potuto fondersi, tanto che il mio divenne corto e affannato.

-Non ti permetterò di avere più paura- mi sussurrò prima di baciarmi, candidamente.

Chiusi di nuovo gli occhi, abbandonandomi a lui, anima e corpo, senza ripensamenti. Lasciai che mi sfiorasse le labbra più e più volte, assecondandolo. Mi piaceva quel suo modo di fare, tenero, quasi sfiorato. Le sue mani, in quel momento a racchiudermi il retro della testa, con una leggera pressione, mi spinsero ancora di più verso di lui. Le mie, invece, si andarono a posare sul suo petto, stringendosi attorno al tessuto della casacca per poi, piano, risalire sino alle spalle, sfiorandole, finendo con l'unirsi attorno al suo collo.

A quel punto il bacio divenne più profondo, le bocche si schiusero, lentamente, mentre le lingue si toccavano a malapena, cercandosi, sfiorandosi, assaporandosi. Piegai leggermente la testa, in modo da avvicinarmi di più, in quanto ormai sentivo che di lui non avrei più potuto fare a meno.

Sorrisi sulla sua bocca, pensando che era stato necessario quasi morire per rendermene conto.

Fu allora che mi resi conto che una delle sue mani stava lentamente scendendo lungo la mia schiena, provocandomi brividi in tutto il corpo, per poi stringersi con prepotenza sul mio fianco, facendomi sobbalzare.

-Scusa...- sussurrò lui ancora sulle mie labbra, ma ero sicura che stesse sorridendo.

Così, per pura ripicca, gli morsi appena il labbro inferiore, facendolo sussultare. Lui si allontanò appena, fissandomi contrariato, mentre io lo ricambiavo con un piccolo e malefico ghigno. Senza dirmi niente, si rituffò con prepotenza su di me, riprendendo possesso delle mie labbra.

Non so quanto durò quel bacio. Cercai di comprenderlo, di analizzarlo assieme alle sensazioni che mi suscitava, ma pensai che mai in vita mia mi ero trovata così in difficoltà. Decisi quindi di smettere semplicemente di pormi domande.

Le mani di Legolas si trovavano entrambe sui miei fianchi, le sue dita che spostavano i tessuti della camicia leggera che indossavo, carezzandomi la pelle che era divenuta rovente. Mi resi conto che anche lui stava tremando, mentre, non so se involontariamente o no, cercava di stringermi a sè.

D'un tratto mi allontanai, in quanto il respiro quasi mi mancava. Era stato così intenso che quasi mi ero dimenticata come si faceva a respirare. Mi portai due dita a sfiorarmi le labbra, sentendole gonfie, immaginando che fossero anche rosse.

Legolas mi sfiorò il mento, avvicinando nuovamente la sua bocca, passandomi la lingua sulle labbra e ribaciarmi con la medesima intensità di prima.

Poi finalmente fu lui a decidere di fermarsi, almeno per qualche secondo.

-Mai più- risposi io al suo sguardo, sorridendo, poggiando la fronte contro il suo petto e chiudendo di nuovo gli occhi.

 

 

[1] Salute, Mithrandir

[2] Ben trovata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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