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Autore: Paperback White    28/08/2015    1 recensioni
"Is there anybody going to listen to my story
All about the girl who came to stay?
She's the kind of girl you want so much it make you sorry
Still you don't regret a single day
Ah girl, girl"
Chi era questa misteriosa ragazza cantata da John, su un testo scritto insieme a Paul? E se fosse stata una presenza importante nella loro vita?
Questa è la storia del più grande gruppo rock degli anni sessanta, osservata attraverso gli occhi di una ragazza ai più sconosciuta, e di cui la cronaca non lascia alcun ricordo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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18. THE BEATLES
(P.S. I love you)

 
As I write this letter
Send my love to you
Remember that I'll always
Be in love with you
 
Treasure these few words till we're together
Keep all my love forever
P.S. I love you, you, you, you
 
I'll be comin' home again to you, love
Until the day I do love
P.S. I love you, you, you, you
 
 
In meno di una settimana i ragazzi sistemarono qualsiasi questione rimasta in sospeso. Furono tre giorni intensi per tutti quanti: l'euforia di quel contratto diede loro un'energia nuova e sconosciuta, che li fece trottare avanti e indietro per potersi preparare al meglio in quel poco tempo a disposizione. Chi lavorava presentò una lettera di licenziamento, chi studiava abbandonò i corsi, ma soprattutto tutti dovettero scontrarsi con i propri genitori, affrontando situazioni ed ostacoli diversi per avere il permesso di partire: completata quella missione poterono finalmente fare le valigie (1).
Il giorno precedente la partenza mi giunse una chiamata inaspettata. Paul mi propose di accompagnarlo a comprare delle nuove corde per la sua chitarra e non avendo alcun impegno accettai. Subito si aggreggò John, che incrociammo per strada insieme a George, usciti per prendere uno spartito da un loro amico. Ci ritrovammo quindi tutti e quattro insieme, girando da un posto all’altro di Liverpool per terminare i nostri doveri. Ma quell’impresa fu più ardua del previsto: ogni posto che visitavamo faceva tornare alla mente dei miei amici qualche nuovo oggetto mancante. Uno spazzolino da denti, un agenda, un qualsiasi cosa che spuntava magicamente sul momento, piccoli frammenti nella loro incasinata valigia mentale, tutto per colpa del poco tempo concesso loro per poter organizzare una trasferta abbastanza lunga. Non che dovessero portarsi chissà cosa ma avevano elaborato tutti insieme uno schema fisso di oggetti utili, o per lo meno quelli che ritenevano più utili nei primi tempi, per non dover perdere troppo tempo a cercare qualcosa una volta arrivati. A chiunque quei lunghi giri sarebbero apparsi noiosi ma per me non lo erano: ero felicissima di poter passare quel pomeriggio con loro come sarebbe successo qualche anno prima, quando eravamo solo noi quattro. Non che odiassi i loro amici ma con loro mi sentivo più legata; persino con George, che avevo conosciuto soltanto un estate prima della comparsa di Cynthia e Stuart, ma tanto era bastata per farmi affezionare profondamente a lui.
John, Paul e George erano per me il centro di un mondo fatto di bei ricordi, di innocenza, di bellezza, un periodo incantato, il più speciale della mia vita. Avevo iniziato conoscendo un bambino al parco, crescendo con lui, incontrandone altri due, e tutti insieme eravamo maturati. In realtà avevamo affrontato sfide diverse, anche momenti tragici come la perdita di Julia, ma eravamo tutti lì, ridendo, ancora uniti; loro erano la mia forza e la mia roccia, il segno che nonostante tutti gli enormi e spaventosi cambiamenti nella mia vita vi era una costante, rappresentata dai tre liverpooliani.


Ed era per questo motivo se quel giorno ero al settimo cielo al pensiero di passare quell’ultimo casuale pomeriggio con loro. Non che mi disturbassero gli altri ma sapere che Cyn e Dot erano impegnate e che gli altri ragazzi non c’erano era qualcosa che non mi faceva stare troppo male. Forse era davvero quella l’ultima occasione di rivivere un momento felice con i miei più cari amici.
-Che facciamo ora?- chiesi, quando tutti e tre esaurirono la loro lista di oggetti mancanti.
-Bé io ho qualche idea interessante... Ma dovremmo scaricare questi due- mi stuzzicò John, facendomi l’occhiolino
-Sei il solito maniaco- gli risposi, guardandolo con sufficenza.
-John sei pessimo- si unì Paul.
-Quanto vi scaldate per una battuta!- fece lui.
-No sei tu che sei senza speranza...- continuò a rispondergli Paul.
-E se andassimo a farci una passeggiata da qualche parte?- proposi io. Non avevo grandi idee ma non volevo proprio che finisse subito tutto così, con un “ciao ci vediamo domani alla partenza”.
-Io sono stanco di camminare- ammise George.
-E dire che sei il più giovane del gruppo, dovresti essere pieno di forze- lo presi in giro, afferrandolo per un braccio e scuotendolo, nel vano tentativo di infondergli le mie energie.
-Non dopo questa giornata. Poi ho anche fame- si lamentò lui.
-Su quello non ne avevamo dubbi- rise Paul, dandogli una pacca sulla spalla.
-Ok, controproposta: passiamo a prendere qualcosa e poi buttiamoci in qualche posticino tranquillo a riposare- la mia successiva idea sembrò conquistare tutti perché ricevetti una risposta positiva, vedendoli annuirmi convinti.
-Conosco il posto adatto- disse John con un sorrisetto furbo, sventolando un paio di chiavi scintillanti davanti ai nostri occhi.
-John la tua proposta di prima è sempre bocciata- gli ricordai io.
-Malfidata- mi guardò storto lui -Non sai che non tutte le chiavi servono solo per aprire un posto chiuso?-
Il luogo che aprivano quelle chiavi era un portone che ti immetteva in un pianerottolo con due rampe di scale che conducevano ad una piccola terrazza coperta, dove si poteva godere la vista della città. In realtà era più una stanzona con un’enorme finestra davanti, ma a quanto avevo capito veniva utilizzata con le funzioni di terrazzina aperta, con alcuni panni stesi ad asciugare a testimoniarci quell’utilizzo.
-E' stata una saggia idea mantenere le chiavi del mio vecchio alloggio- si congratulò con sé stesso il mio amico.
-Concordo Johnny boy!- gli sorrise Paul.
In effetti la terrazza sopra casa di Stuart era davvero il luogo adatto. Il suo proprietario era ancora in giro e John ci disse che non ci sarebbero stati problemi visto che per lui le porte di Gambier Terrace erano sempre aperte. Era da quella famosa sera che non vedevo quel posto e in realtà di primo impatto non fui per nulla contenta di dover andare lì, ma sapevo di non potevo dire nulla al riguardo, per evitare di sollevare qualsiasi sospetto. Inoltre tutti gli altri gradivamo quell'ubicazione, un posto riparato ma aperto a quella brezza piacevole che ci fece mangiare con ancora più gusto i nostri sandwich, quindi mi adattai alla situazione, facendo scomparire il mio disagio ogni nuovo boccone e ogni risata, distratta dalla compagnia dei miei amici. Guardai fuori, ammirando il sole che stava pian pian scomparendo dietro l'orizzonte, i cui riflessi rossastri davano a Liverpool una nuova tinteggiatura. Potevo con lo sguardo dividere in diverse zone quello che si estendeva davanti ai miei occhi e per ogni luogo avevo una decina di ricordi tutti diversi, testimonianza di come quella città si meritasse a pieno di titolo di essere considerata come una vera e propria casa per me. Dopo moltissimo tempo mi sentivo davvero in pace con me stessa.
-Liverpool, patria dei Liverpooliani! Sapete cosa mi piace di Liverpool?- ci chiese John, interrompendo il filo dei miei pensieri.
-No, cosa ti piace di Liverpool?- gli domandò Paul.
-Speravo che me lo dicesse lei signor McCartney! (2)- commentò lui.
-Uhm...E'davvero una bella domanda- Paul stette al suo gioco, ragionandoci sù.
-A lei signorino Harrison cosa le piace di Liverpool?- chiese John.
George riflettè qualche minuto -Il negozio di strumenti di Frank-
-Esistono mille e più negozi migliori di quel buchetto- lo riprese John.
-Si ma è il luogo in cui ho comprato la mia Futurama (3), il che lo rende il luogo più bello del pianeta!- concluse lui, prima di addentare il suo secondo panino.
-Io direi il porto e il lungoriva: è un luogo pieno di vita, dove succede sempre qualcosa, e dove noi stessi abbiamo così tanti ricordi! E, cosa non meno importante, è da là che è arrivato il rock'n'roll!- Fu Paul il secondo ad esprimere il suo giudizio, motivando in maniera impeccabile quella sua scelta.
-Oh e di sicuro deve essere un luogo davvero romantico per te non è vero? Magari è proprio lì che porti sempre la tua Dot per sbaciucchiarsi e fare altre cosucce insieme!- gli rispose acidamente John, mimando quegli eventuali atteggiamenti non proprio romantici che Paul e Dot avrebbero potuto fare.
-Insomma John, sempre pronto a criticare eh? Scommetto che ti diverti tantissimo a risponderci male!- Paul con lo trafisse sguardo, leggermente offeso dalle battute di John.
-Oh non sai quanto!- ammise lui, ridacchiando.
-Per lo meno è sincero- rispose George, facendo un alzata di spalle verso il minore, ancora contrariato. Poi si voltò verso di me -E a te Freddie?-
Fino a quel momento mi ero estraniata, ammirando quella commediola senza dire nulla, come se fossi una semplice spettatrice; ma il mio amico mi aveva appena catapultata sulla scena e mi trovai a cercare una risposta anche io.
-Uhm... Strawberry Fields, Penny Lane, il Casbah, il porto, il Jacaranda- iniziai una lista casuale, contando sulle dita ogni singolo nome che dicevo. Stavo improvvisando, elencando i posti che avevano fatto parte delle mie riflessioni precedenti.
-Ma tu ci hai dato mille nomi diversi mentre io volevo una sola risposta- si lamentò John.
-Allora posso rispondere solo Liverpool!- dissi alla fine.
-Di Liverpool ti piace Liverpool?- Paul appariva divertito da quella frase, dimenticando un momento l’acidità del ramato.
-Si... è così... Liverpool. Non saprei spiegarlo ma è la sua essenza, le sue persone, i suoi luoghi caratteristici. E' perché è casa e per quello ha una sua bellezza visibile ovunque ti giri- mi slanciai in quella motivazione che per me in quel momento era sin troppo vera. Confrontandola con la grigia e afosa Londra, Liverpool appariva come un luogo protetto dove sarei sempre e comunque stata al sicuro.
-E poi il romanticone sarei io- mi schernì sempre lui.
-Nessuna risposta è quella esatta!- John incrociò le braccia, guardandoci severamente –Forse ho fatto troppo affidamento su di voi, pensando tiraste fuori un qualcosa di più interessante-
Lo fissammo tutti male, offesi da quelle sue parole. Come al solito aveva espresso chiaramente quello che pensava senza mezzi termini, trattandoci come ragazzini.
-Illuminaci tu allora, sono proprio curioso!- lo esortò Paul, alzando un sopracciglio, dubbioso su che tipo di risposta potesse fornirci.
John assunse un espressione seria, prima di iniziare il suo discorso –Eppure è così semplice e palese… bah! Comunque, la risposta è nulla-
-Ti pare una risposta questa?- lo interruppi io, facendogli capire l’assurdità del suo discorso.
-Lasciami finire… E’ che voi tutti considerate Liverpool come un arrivo, una certezza, quando non lo è affatto. E’ il posto dove siamo nati e cresciuto ma stop, ci ha protetti in un certo qual modo ma ora ci va sin troppo stretta… Ed è questa la cosa migliore di questa città, non ha nulla che ti obblighi a rimanere, ma ti spinge fuori, ad esplorare il mondo, a farti conoscere e far sentire la tua voce. Liverpool per me è il porto da cui partirà la nave che ci porterà ad Amburgo ed io fremo al pensiero di lasciarmelo alle spalle!-
George rispose con un sorrisetto compiaciuto sul volto, annuendo a quello che aveva detto John. Gli occhi di Paul brillavano a quella prospettiva, così simile al suo modo di pensare. In quel brevissimo discorso John aveva ribaltato la situazione e ora lo guardavamo tutti e tre con ammirazione, riconoscendo del vero in quelle sue parole. Ma dopottutto questo era sempre stato il suo fascino.
Lanciai un’occhiata a tutti e tre, osservando quei grandi sognatori, pronti a tutto per raggiungere il loro scopo, ed ero più che certa che ce l’avrebbero fatta. Chi poteva vantare tanta passione, dedizione, coraggio e forza?
Ero così orgogliosa di loro, ma al tempo stesso il mio cuore non poteva gioire insieme a loro. Il motivo era che quel passo che stavano facendo era davvero lontano da me e questo mi provocava un'enorme paura: cosa sarebbe successo? Avrei sempre pregato e fatto il tifo per loro, ma una volta realizzato quel sogno loro sarebbero tornati indietro? Quei quattro ragazzini dentro quella soffitta si sarebbero mai più rivisti tutti insieme, come quattro anime libere e sorridenti?
Abbassai leggermente lo sguardo non volendo scorgere cosa ci fosse oltre quella giornata, augurandomi che il tempo si fermasse e potessi restare ancora per sempre con loro, in quella situazione. Il futuro era qualcosa di talmente grande che non ce la facevo a guardare avanti a me, spaventata da quello che avevo già dovuto affrontare. Per loro era un’avventura, mentre per me era una schiavitù, scandita da ritmi regolari con tante zone d’ombra e piccoli spicchi di sole, che diminuivano sempre di più.
-Noi comunque ti aspettiamo ad Amburgo- mi disse improvvisamente George. Il suo dolce sguardo si era posato su di me, individuando il mio stato d'animo. George era sempre stato una persona estremamente attenta verso gli altri, osservando silenziosamente i loro comportamenti. Col tempo aveva sviluppato quella caratteristica, sapendo cogliere le emozioni altrui a colpo d’occhio, forse perché abituato a guardarsi intorno. Il suo altruismo lo aveva sempre portato a fare qualcosa per risollevare il morale altrui, divendendo sempre più delicato e bravo in quel suo ruolo. L’empatia di George era una delle sue caratteristiche principali che sapevano conquistare chi aveva intorno, portando tutti inevitabilmente a volergli bene. E quella sua splendida dote era già visibile a quell’epoca, quando era ancora un ragazzino di soli 17 anni.
-Giustissimo- si unì Paul -Ti vogliamo presto con noi!-
Il sorriso sincero che mi fece fu un’ulteriore prova di quelle sue parole.
-Mi piacerebbe moltissimo...-
-Ah ma non prima di essere diventata una scrittrice. Amburgo vuole solo persone vincenti- mi rispose John. Sapevo che quello era il suo modo per farmi sapere che la pensava come gli altri.
-Lo sarò- gli dissi con tutta la decisione possibile, tentando di sostenendo il suo sguardo. Non ero convinta delle mie parole, ma quello rimaneva comunque il mio sogno e il mio obiettivo da raggiungere.
-Strano, eppure a me non è giunto nessun nuovo racconto... a te Macca?-
-Nemmeno a me-
-E’ così insolito, dici che il postino avrà sbagliato casa?-
-Non credo, mi fido del vecchio Phil… credo che sia più probabile che una certa persona stia battendo la fiacca qui!- disse il minore, guardandomi severo.
-Ehi ora vi coalizzate contro di me?- risi ad entrambi -Tranquilli che presto avrete tantissime cose da leggere-
-Potrei segnarmi quello che hai detto… sai, giusto per ricordartelo visto che tendi a dimenticarlo facilmente- fece John.
-Vi manderò una copia ad Amburgo e aspetterò di sentire il parere di tutti! Non mi sfuggirete!- continuai io, per confermargli il mio proposito.
-Sarà meglio andare- fece Paul improvvisamente, interrompendo quel momento di gioco –Il sole è ormai calato-
Guardai fuori, dove un velo scuro aveva coperto il cielo, ponendo fine a tutto. La fine della giornata, che purtroppo rappresentava la fine di quel momento con i miei amici. Non mi facevo illusioni: sapevo che stava tramontando un’epoca, quella più spensierata e felice, la mia adolescenza, che aveva allungato il suo ultimo raggio sino a quel momento.
Mordicchiai nervosamente il labbro mentre nella mia mente si stringevano questi pensieri. Non volevo andarmene e lasciare quel capitolo alle mie spalle, volevo scrivere ancora qualche nuova pagina su di esso, prolungarlo quanto più possibile. Non era stato un periodo perfetto, avevo gioito e sofferto e purtroppo avevo perso tante persone, idee e speranze che andavano a seppellire il mio futuro. Io ero ferma allo stesso punto, mi sentivo di aver ormai perso il ritmo della vita, di chi avevo intorno e dello scorrere del tempo, bloccata con tutto intorno a me che andava cambiando e scomparendo. Avrei voluto gridare “fermatevi tutti” ma non potevo, davvero non potevo farlo. Ora dovevo affrontare quello che sarebbe successo al prossimo sorgere del sole, guardando nuovamente un altro pezzetto della mia infanzia andarsene, senza sapere ancora se ne ero davvero pronta.

-Non lo sai che le brave bambine sono già a casa a quest’ora?- John mi chiamò scherzosamente, per farmi tornare alla realtà e scendere da quella soffitta insieme a lui.
Io rimasi ferma e immobile, come se non mi avesse detto nulla.
-Mica avrai intenzione di dormire qui sopra? Guarda che non ti aspetto!-
Avvertivo il rumore dei suoi passi ma non la sua presenza.
-Freddie mi hai sent—le sue parole si fermarono a metà strada, quando mi fu davanti.
Il mio viso era percorso da impertinenti lacrime che mostravano all’esterno il mio stato d’animo. Ero rigida con le braccia stese lungo il corpo e le mani chiuse a pugno e guardavo l’infinità della notte, temendo che il sole rifacesse capolino da dietro l’orizzonte, allontanandomi per sempre dai miei amici. I miei occhi si voltarono verso di John, che era fermo davanti a me, catturando la sua figura. Mi vergognavo moltissimo di quello che stavo facendo ma non riuscivo a smettere di piangere. Dopo la morte di mio padre, di Mark, di Julia, dopo essere stata strappata alla mia felice infanzia, dopo i primi fallimenti nelle ricerche dei miei familiari, dopo aver passato tutto quel tempo a tenermi tutto dentro e a pensare agli altri qualcosa era cambiato, qualcosa che era stato scatenato dai discorsi fatti in quella soffitta. Vederli così pieni di voglia di fare, le loro speranze e la strada spianata mi aveva reso orgogliosa di quei tre piccoli uomini, ma il fatto che quello coincidesse con l’ennesimo addio da fare avevano rotto qualcosa. Un sentimento che era inaspettatamente ancora presente in me, che voleva gridare al mondo l’ingiustizia di quella mia vita imperfetta.
-Scus-sami JJohnn- cercai di dire, tra i primi singhiozzi che affioravano. Sentivo il suo sguardo severo che mi giudicava.
-Perché Freddie? Perché devi piangere? Non è un’addio lo abbiamo già detto- La sua voce era controllata e fredda, come se cercasse di trattenersi.
Sapevo bene che John non era il tipo che sapeva gestire i sentimenti, lo aveva dimostrato più e più volte. La tristezza, la malinconia, il dolore, erano cose che conosceva bene, ma non aveva mai avuto qualcuno che lo avesse abbracciato, coccolato, gli avesse detto “va tutto bene”. Ogni tanto Julia, ogni tanto io, ma mai una presenza costante, e quel modo diverso di ricevere conforto dal dolore aveva confuso ancora di più l’animo del mio amico.
E notavo come, in quel momento, quella mia reazione sembrasse infastidirlo.
-Freddie porca puttana perché devi essere la solita piagnucolona? Non andiamo mica in guerra!-
Lo vidi allargare le braccia in un gesto esasperato, come se odiasse quello che stavo facendo.
-Sono stanco di vedervi tutte piangere… piangete e piangete e non sapete fare altro! Tu, Cynthia… e un tempo anche mia mamma. Piangete e qualsiasi cosa vi si dica è totalmente inutile!- si fermò un momento, per poi continuare –Tu sai quante lacrime ho tirato fuori, eppure non mi hanno mai portato un cazzo! Perché farlo? Ti rendi conto che è una stronzata piangere? Ti fa solo apparire più piccola e debole-
-L’unico che mi sta facendo sentire una debole sei tu- dissi, stanca dei suoi rimproveri –Sei capace solo di straparlare John! Non pensi mai a come potrei stare io? Saperti lontano, chissà dove… Non capisci quanto cazzo mi mancherete tutti quanti?! Ti sono così tanto estranei questi sentimenti e questi pensieri?- gli urlai in faccia, fermando le lacrime. Quel suo comportamento così infantile e duro mi dava fastidio.
Lui mi fissò –Vorrei che lo fossero… Ma non possiamo farci abbattere da tutto questo lo sai-
-Non possiamo però io voglio concedermelo. Non ho mai potuto piangere per quello che mi è successo e ora voglio sfogarmi. Mi conosci da quasi 15 anni e sai bene come sono fatta. Non ci posso far nulla se per te sono una delusione, sei il mio migliore amico e devi accettarmi anche se sono fatta così- alle ultime parole una lacrima sfuggì, percorrendo in velocità la mia guancia sinistra.
John mi sfiorò delicatamente il viso, interrompendo la sua corsa.
-Vedi quanto sei stupida? Deludermi… accettarti. Ma come ti vengono in mente certe cose!- scosse la testa, mostrandomi un sorriso impacciato –La verità è che vorrei solo farti star meglio. Odio vederti piangere, non so mai cosa fare… io sono un disastro in queste cose…-
-Devi solo abbracciarmi, voglio solo questo-  gli risposi, avvicinandomi ancora di più a lui.
Ci guardammo qualche breve secondo negli occhi e poi lui mi prese tra le sue braccia, stringendomi forte. Non piansi, non sentivo il motivo di farlo: quella stretta così calda, il suo profumo e la morbidezza della sua pelle erano un lenitivo a quel mio dolore. Era lui l’unica cosa in grado di consolare quel mio cuore devastato, di ridarmi le forze per affrontare quello che sarebbe accaduto.
-Gli addii non sono mai per sempre (4)- mi sussurrò piano.
Un nuovo groppo alla gola fermò qualsiasi mia reazione mentre quella frase penetrava dentro di me, e io cercavo di assorbirne il significato.
Il suo corpo tremò un momento, come se fosse stato scosso da un brivido. Credo che il realizzare quelle parole fosse importante per lui, e che facesse sempre più fatica a nascondere le sue paure. Perché lui partiva sapendo cosa lasciava ma non sapendo cosa avrebbe trovato, avendo anche lui la medesima paura per il futuro. Ma non sarebbe stato il solito John se non l’avesse nascosto, incapace di chiedere aiuto o di sfogarsi con gli altri. Forse anche lui aveva bisogno di quel momento, di quell’abbraccio, per liberare i suoi sentimenti, approfittando del mio stato d’animo per non doversi esporre per primo.
-Tutto ok qui?- Paul spuntò improvvisamente alle spalle di John. Mi scostai da lui, in lieve imbarazzo per essere stata scoperta in quella situazione di confidenze tra di noi, e osservai Paul e George guardarci dalla porta della soffitta.
-Si Macca, stavolta ho assunto il tuo solito ruolo da principe azzurro e ho aiutato questa povera ragazza indifesa… spero non ti dispiaccia!- fece la sceneggiata lui.
-Freddie tutto apposto?- fece George con voce molto dolce, avvicinandosi a me.
-Tutto ok- risposi, sforzando un sorriso.
Paul mi osservò qualche momento –Sei sicura?-
-Le sta facendo un terzo grado ispettore McCartney?-  John si avvicinò a lui, dandogli una pacca sulla spalla –E’ tutto apposto-
-Bè sai, trovarvi così… uno si poteva preoccupare!- fece lui, rivolto al suo amico.
-E’ tutto ok Paul, ti ringrazio per l’interessamento… Ma ora è meglio rientrare, si è fatto davvero tardi per me- conclusi quella discussione. Non voler far impensierire anche Paul e George, e sinceramente proseguire quei discorsi mi faceva sentire solamente una stupida. Mi avevano già rassicurato tutti a sufficienza, e ora stava a me confidare in quelle parole.
-Ok- rispose lui –Mi basta che tu stia bene-
Annuì convinta verso di lui e iniziammo a scendere le scale. Io e Paul eravamo vicini, parlando di cose varie, e mi sentivo finalmente più tranquilla. Alle mie spalle vi erano gli altri due ragazzi che scambiavano qualche frase in modo più fitto e difficilmente avevo colto cosa dicessero: nonostante questo supposi che si trattasse di quello che era successo poco prima perché sentii George pronunciare la frase “Hai fatto benissimo Johnny”.

La notte passò in fretta e mi ritrovai catapultata subito al giorno seguente. Sotto un cielo opaco, la mattina di ferragosto, osservai i miei amici salire sul furgone di Williams, pronto per la partenza. I saluti erano stati dolorosi ma smorzati da una risata: nessuno doveva piangere, quello era solo un arrivederci perché, come ci disse John "Torneremo a Liverpool come dei veri musicisti".
Dot e Cynthia si strinsero a me e io accettai quell'abbraccio. Ripensai alla sera precedente, al calore del corpo di John, all’affetto di Paul, alle parole di George, e sentii il mio animo farsi più leggero.
Basta piangere, basta davvero. Lasciai che fossero solo le due fidanzate a sfogare la loro tristezza su di me e io non crollai. Non sarei ricaduta in un pianto disperato, non ne avevo alcun bisogno.
I Silver Beetles lasciarono Liverpool con tante speranze e una grande voglia di fare, sfidando un destino vasto e oscuro, sfidando la sorte e qualsiasi cosa che avressero trovato davanti a loro. Morivano dalla paura, il timore di fallire e di fare la scelta sbagliata, sapevano che quello era un rischio enorme e solo una certezza li mandava avanti: qualsiasi ostacolo si fossero trovati davanti loro l'avrebbero affrontato tutti insieme.
 
***
 
Quello che accadde in quei mesi mi venne raccontato via posta da John, Paul e George, che mandavano tutti e tre insieme le loro lettere dentro un'unica busta, a cui io rispondevo compilando tre risposte diverse per ciascuno. Con George mi ero sempre sentita molto poco e da quella partenza il nostro scambio di cartoline iniziò ad aumentare, incentivato dalla distanza che ci aveva in qualche modo avvicinati ancora di più, facendo crescere la nostra amicizia. Farti leggere tutto il materiale di quel periodo dilungherebbe di troppo il mio racconto, appesantendoti la storia: in questo caso eviterò di citarti parti intere di quelle lettere, scorrendo il tutto come se fosse un’unica raccolta e non semplici storie quotidiane. Il resoconto che posso donarti è la completa e sintetizzata storia di una parte molto importante della vita della band, a cui aggiungerò parti che mi erano state omesse dai loro racconti, e di cui rimasi all’oscuro per molto tempo; ma pian piano capirai di cosa sto parlando.
Quel 15 agosto il furgone di Williams raggiunse il porto di Harwich per imbarcarsi per Hock van Holland (5), viaggiando poi tra Olanda e Germania in un'odissea duranta ben 36 ore: arrivarono di notte, stremati dallo scomodo viaggio (6).
Attraversarono una piccola parte di Amburgo per arrivare alla loro destinazione, il quartiere di St. Paulie e la sua via principale, Reeperbahn (7): era ormai notte fonda ma si poteva ancora vedere la fauna locale aggirarsi per quelle strade, composta principalmente da criminali, prostitute e travestiti. I ragazzi osservarono quello spettacolo tra lo stupore e la paura: tanto squallore non lo avevano mai visto nella pulita Liverpool e tutto ciò appariva ai loro occhi come un qualcosa di violento e improvviso, come se qualcuno avesse sempre tappato loro gli occhi nascondendogli un mondo cattivo; questa realtà era il St. Pauli, che offriva ai suoi visitatori divertimenti carnali, alcool e droga. Per loro sfortuna, chi doveva attendere il loro arrivo aveva perso le speranza e si era ritirato al letto: la band e i loro accompagnatori si guardavano intorno straniti, non sapendo bene cosa fare. Riprendendo in mano la situazione, Williams riuscì a svegliare il proprietario di un club vicino e a farsi ospitare da lui per quella notte, su dei sedili di pelle rossa dove poterono fare il loro primo riposo decente dopo un viaggio passato sopra i loro scomodi amplificatori (8).
Il giorno dopo poterono finalmente vedere il signor Koschmider, il proprietario dell'Indra (9), il locale per cui erano stati ingaggiati. Quel posto mi venne descritto come un luogo esotico, la cui immagine era richiamata dalla presenza della statua di un elefante posto sulla strada, che per assonanza doveva ricordare l'India. Anche all’interno si tentava di rievocare la stessa atmosfera, creando un luogo piccolo, scuro e misterioso. Non avrei mai immaginato che con "piccolo, scuro e misterioso" intendessero che assomigliasse ad un impresa di onoranze funebri, con pochissimi tavoli e un perenne odore di chiuso e di qualcosa di cattivo: un posto soffocante, totalmente diverso rispetto al Cavern Club, che nonostante fosse uno scantinato aveva un odore e un’atmosfera decisamente migliori.
Comunque, i ragazzi non ebbero nemmeno il tempo di realizzare che subito furono portati al locale per avere un primo approccio con il loro nuovo pubblico, suonando quel 17 agosto per la prima volta con quel nome che mai più avrebbero abbandonato: The Beatles (10). Quel nome erano loro, la loro ironia e la loro naturale evoluzione, il loro carisma e il loro obiettivo. Erano già alcuni giorni che ci avevano pensato, in un periodo di incubazione in cui i Quarry Men avevano scalzato molti nomi, approdando poi alla loro definitiva identità. Lessi più e più volte quel rigo in cui mi veniva scritto per la prima volta quel nominativo, sospirando e pensando tra me e me, ripetendolo anche ad alta voce per sentire come suonasse: mi risultava ancora strano e pensai che fosse dovuto al fatto che fosse così nuovo e diverso, in un certo qual modo innovativo: dovevo forse iniziare ad abituarmi che quei The Beatles erano i miei ragazzi, oppure si sarebbero evoluti in altro?

Fu davvero una strada in salita per loro. Le serate erano massacranti, dovendo stare 6-7 ore sopra quel palco, fino ad esaurire ogni singola forza. Dovettero impararsi nuove canzoni (11) per piacere e per occupare tutto quel tempo, non potendo ovviamente ripetere i brani già eseguiti. Per lo più era John a cantare (e da quel che capii successivamente, spesso questo gli causò alcuni problemi alla voce), ma si potevano sentire moltissimi pezzi di Paul e due o tre brani eseguiti da George, Pete e Stuart. Oltre questa situazione già complicata di suo, si trovarono davanti un pubblico non facile: ai soliti ragazzi tedeschi (12) si alternavano adulti distratti a quello che accadeva sul palco, oppure peggio, malavitosi e criminali, prostitute e spacciatori che non erano interessati ad una band di stupidi ragazzini inglesi (13). Oltrettutto, il loro modo di suonare era sin troppo statico e noioso per quei pochi spettatori che venivano a vederli, che li insultavano o peggio li ignoravano: cosa che non sembrava gradire molto il signor Koschmider, che più volte riprese i ragazzi chiedendo loro di darsi una mossa. Quel suo affare sembrava non funzionare e i ragazzi capirono di star rischiando molto. Fu quello a dargli una spinta ulteriore a cambiare radicalmente atteggiamento. Tentarono il tutto per tutto e si lasciarono andare, assumendo un comportamento spericolato, strafottente e al limite della decenza e della professionalità, mangiando, bevendo e fumando sul palco, in alcuni casi facendo le tre cose insieme, poi accasciandosi sopra il pianoforte per dormirci sopra, svegliati da getti di acqua fredda e da fastidiose spintonate col manico della scopa. Tutta questa loro stanchezza non era solo colpa delle innumerevoli ore di lavoro, ma anche del poco cibo e della scomodità del loro terribile alloggio, il retro di uno sporco cinema a luci rosse sempre di proprietà di Koschmider: il Bambi Kino (14).
Non ebbi modo di vedere quel luogo, ma lo immaginai come la peggiore delle gabbie di cemento armato, coperta da una vecchia carta da parati e con i letti ammassati in davvero poco spazio per vivere. Ovviamente anche quel particolare mi fu omesso dalle prime lettere, insieme a molte altre cose: non compare in nessunissimo foglio l’accenno a queste loro prime difficoltà. Non mi ritraevano una situazione rosa e fiori perché ovviamente sarebbe apparsa sospettosa, ma non dissero nulla sullo schifo che stavano vivendo. Lo fecero per non farmi preoccupare, un po’ anche per orgoglio credo, ma da parte di nessuno di loro tre trapelò mai nulla sulle reali condizioni in cui vivevano, al limite della sopravvivenza. Tutto quel che leggevo erano solo bugie su bugie: facevano turni massacranti, non si potevano lavare adeguatamente, mangiavano poco e prendevano della pasticche per poter andare avanti sino allo stremo, Preludin (15), che venivano passate loro dai camerieri del locale. I pagamenti di Koschmider erano irregolari (16) e questo non migliorava quella loro esistenza allo sbando, ma non gli impedì di gettarsi anima e corpo su quel palco, mangiando, fumando e bevendo, indossando tavolette del water per lo show e gridando insulti al pubblico tedesco, che non potevano capirli e al contrario iniziavano ad acclamarli (17).
L'unico sfogo erano le tedesche con cui passavano la notte, una diversa per ogni nuova avventura: potevano essere prostitute o normalissime ragazze, l'importante era che potessero divertirsi con loro, prima di scrivere parole d’amore nelle varie lettere che mandavano alle proprie fidanzate (18).

Una delle cose che non mi fu nascosta fu il loro rapporto con Pete: era l’ultimo arrivato e sembrava davvero faticare ad amalgamarsi con gli altri. Era sempre il più taciturno, quello che usciva per conto proprio, tornava solo quando ve ne era bisogno e spariva nuovamente. Fu durante quel soggiorno che si evidenziò come il batterista non fosse realmente parte del gruppo, come lui stesso fosse il primo a non sentirsene e nemmeno a sforzarsi di diventarlo, preferendo la sua solitaria e tranquilla vita rispetto alla banda di scalmanati in cui si trovava. Questo non vuol dire che non parlasse con gli altri, ma che nonostante qualche battutina, una bevuta e due chiacchiere nulla di vero si consolidò tra di loro, soprattutto a causa di queste sue misteriose sparizioni. Fu Paul dopo una grave discussione a scoprire il motivo del suo comportamento, che sembrava peggiorare ogni giorno di più: Pete aveva una ragazza, una spogliarellista, che frequentava assiduamente ma con cui le cose non sempre andavano bene, e che teneva loro nascosto. Non biasimo il suo comportamento, ognuno affronta le situazioni nel modo che ritiene più opportuno, ma in quel caso quel suo rapporto burrascoso non solo non permise di creare un rapporto più solido con il gruppo, ma lo tenne lontano da loro, facendolo mancare ad alcune esibizione e quindi portandoli a discutere (19).

Ma tutto questo accadde nel periodo in cui l'Indra fu chiuso per il troppo baccano, verso l'inizio di ottobre. Temendo di essere rimandati a casa prima del tempo, i ragazzi andarono a parlare con Koschmider chiedendo loro una qualche soluzione, e lui aveva già la risposta pronta. Visto il discreto successo che avevano raccolto decise di mandarli in un altro locale di sua proprietà, il Kaiserkeller (20), dove si sarebbero alternati ai Rory Storm and the Hurricanes, arrivati ad Amburgo in quel periodo per sostituire un’altra band britannica, i Derry and the Seniors. I miei amici mi mandarono commenti entusiasti sul nuovo locale, maggiormente di loro gradimento con quegli splendidi addobbi in stile marinaro (21) e con una clientela più vasta e decisamente migliore. Inoltre, dopo un periodo di solitudine, finalmente conobbero altri artisti, oppure in questo caso, ebbero modo di rincontrarsi con un vecchio amico, Rory (22). Si formò un gruppetto affiatato che vedeva soprattutto gli Hurricanes e i Beatles uscire insieme, uniti anche dal fatto che erano i pochi inglesi presenti in quel momento in città e tra di loro potevano ridere e parlare della loro cittadina, nascondendo dietro una risata quanto gli mancasse casa. Oltre agli Hurricanes, i Beatles frequentarono anche i Jets, e fu proprio con loro che spesso visitavano i vari negozi di musica, i locali e i parchi di quella città, finendo quelle passeggiate al porto. Durante una di quelle uscite che Rory accompagnò John a comprare la sua prima Rickenbacker (23) e George il suo amplificatore Gibson, entrambi con gli occhi che brillavano davanti a quei magnifici strumenti, frutto di un saggio consiglio da parte dei loro amici.
Tra i nomi delle compagnie che frequentarono in quel periodo, Rory era quello che mi era più familiare. Ricordavo il bel biondino visto ad alcune feste e spettacoli, con il suo carattere espansivo e i modi di fare da playboy, che richiamavano l’attenzione su di sé e ti lasciavano un ricordo forte di quel ragazzo. Oltre a lui, i ragazzi strinsero una forte amicizia con un altro membro degli Hurricanes. Lo incontrarono durante i momenti di cambio tra le due band, spesso appiccicato a Rory, che ascoltava silenzioso tutto quello che il leader gli diceva, guardandosi intorno e limitandosi ad annuire. Aveva un’aria severa e un modo di fare sicuro di sé e per questo era apparso a tutti loro come un attaccabrighe, uno che poteva portare soltanto guai. Era maggiormente Paul a parlarmene: mi diceva su come tutti loro una volta avessero parlato di quel tizio, chiedendosi cosa ci facesse un vero e proprio Teddy boy, di quelli che girano con catene e coltelli, nella band di Rory, e come sinora il cantante fosse riuscito a tenerlo lontano da qualsiasi rissa. Lo stesso John non si fidava di lui e nascondeva il suo timore verso quel ragazzo avvertendo i suoi compagni di non dargli troppa confidenza. Fortuna volle che una sera, Rory e il misterioso Teddy boy andassero a prendere una birra con i Beatles, costringendoli a vedere da vicino quanto fosse pericoloso. Fu quindi quell’incontro e il legame con Rory che gli fece davvero conoscere con quel tipo (24), confermandogli che il detto “l’apparenza inganna” non erano solo delle semplici parole. Bastò veramente una mezz'oretta di chiacchiere per capire molte cose su di lui e soprattutto una, la più importante: dietro a quell’espressione seria e quel gel per i capelli vi era una delle persone più pacifiche del mondo, dalla simpatica sconfinata e un umorismo tutto suo, molto particolare. Si sprecarono tante e tante belle parole per descrivere questo misterioso Richard, il batterista degli Hurricanes e nuovo amico dei ragazzi, che divenne il loro batterista sostitutivo ad ogni sparizione di Pete, a confermare come tra i Beatles e gli Hurricanes non esistesse alcuna rivalità. Anzi, loro erano stati felici di poter suonare con lui, trovandosi presto a loro agio con quel ragazzo, che seppe adeguarsi al gruppo. Ma, purtroppo, Rory si teneva ben stretto il suo caro amico, che al momento sembrava felice dove si trovava.
Il Kaiserkeller fu quindi l’avvento di un periodo più positivo per i Beatles, dopo il mese nero passato dentro l’Indra. Ma fu anche qualcos’altro a cambiare, una novità che divenne vitale e importantissima per la storia futura di quel gruppo. Il tutto avvenne per una serie di fortunate coincidenze che portarono un giovane amburghese a vagabondare per il quartiere a luci rosse, passando davanti proprio ad un certo locale, al cui interno fu richiamato dall’assordante ma magnetica musica che veniva suonata con foga dal complesso al suo interno.
 
NOTE
(1)= Ognuno di loro affrontò in modo diverso la partenza per Amburgo:
-George, sprovvisto di obblighi lavorativi o scolastici, fece le valigie senza problemi. Il padre era leggermente titubante visto che, se tornava, non aveva un lavoro da cui iniziare; al contrario, la madre era sicura che il figlio avrebbe avuto successo.
-Paul studiava ancora quando ricevettero l'offerta per Amburgo. Era iscritto al Sixth Form College per diventare insegnante, ma lasciò gli studi visto che quell’incarico sembrava ben pagato. Scrisse al preside dell’istituto: "Capirà se non mi ripresenterò a settembre, ad Amburgo offrono 15 sterline alla settimana" come per dirgli "guadagno più di lei". Jim era titubante a lasciare andare il figlio, preoccupato dell'ambiente che avrebbe trovato, ma dopo varie insistenze lo lasciò partire, riempiendolo comunque di consigli su come comportarsi.
-Stuart frequentava il college e aveva persino iniziato una carriera come pittore. Tutti cercarono di farlo ragionare, di non fargli sprecare il suo talento: il professor Ballard, uno dei più grandi sostenitori di Stuart, parlò più volte con il ragazzo, ma lui sembrava non voler sentire ragioni.
-John sembrava non avere nulla da perdere. Non aveva alcuna prospettiva di ottenere un’utile qualifica dal college e nessuna idea sul mestiere da scegliere. Il solo ostacolo da superare era zia Mimi che come sua tutrice poteva proibirgli di partire. E naturalmente la sua reazione di orrore e sconcerto alla notizia fu proprio quella che John si aspettava. Ma questa volta poteva replicare: la paga settimanale che avrebbero ricevuto ad Amburgo era di quasi 100 sterline, che in realtà era di sole 2 sterline e mezzo al giorno per ogni componente del gruppo, ma sembrava pur sempre una cifra astronomica rispetto a quanto prendevano a Liverpool. Alla fine ella capì che se non gli avesse dato il permesso, probabilmente John sarebbe comunque scappato di casa per non tornarvi mai più.

(2)= Modifica dello scambio di battute tra John e Stuart del film Backbeat (1994).

(3)= George comprò al negozio di Frank Hessy la sua Futurama III / Grazioso, la chitarra che portò con sé ad Amburgo, una pessima imitazione di una Stratocaster. La comprò insieme a Paul: la mamma di George firmò il contratto di acquisto rateale (una sterlina di acconto e il resto se e quando la prendono). La Futurama è una chitarra dell'azienda ceca Dreokov, prodotta nel regno unito da Selmer tra il 1957-1958. Fu la Selmer ha dare il nome di "Futurama solid guitar”, con cui compariva nel catalogo.

(4)= Citazione ripresa da Supernatural stagione 10 episodio 20 (Angel Heart).

(5)= -Harwich è una cittadina di 15.500 abitanti della contea dell'Essex, in Inghilterra.
-Hock van Holland (in olandese Hoek van Holland, letteralmente "angolo dell'Olanda"), noto anche come De Hoek o in inglese The Hook, è una città in Olanda occidentale. Il suo nome si riferisce alla sua posizione geografica nel "corner" del sud-ovest dell'Olanda corretta, alla foce della nave canale Nieuwe Waterweg nel Mare del Nord.

(6)= Secondo il racconto dei tre Beatles, Williams si era mal organizzato e non aveva chiesto a nessuno di loro i permessi di lavoro: se vedevano qualsiasi controllo dovevano fingersi studenti in viaggio. George ricordava: «Era uno schifo. Il furgone non aveva neanche i sedili: dovevamo stare seduti sugli amplificatori.»

(7)= St. Pauli è un quartiere (Stadtteil) di Amburgo, appartenente al distretto (Bezirk) di Hamburg-Mitte. Si trova immediatamente ad ovest del centro cittadino ed è affacciato sul fiume Elba, in prossimità del porto di Amburgo. Il nome della via più famosa del quartiere, la Reeperbahn, è pertanto traducibile come "via dei Cordai". St. Pauli ha una lunga tradizione come centro di divertimento; il grande porto di Amburgo vi portava una grande quantità di marinai che spendevano il loro tempo in attesa che la nave venisse caricata prima di ripartire. Da allora la prostituzione rimane un fattore connotante di St. Pauli: tutt'oggi il distretto a luci rosse si trova in Reeperbahn.

(8)= Notizie raccolte dal racconto che viene fatto da Paul durante un'intervista.

(9)= L'Indra fu il primo locale in terra tedesca dove il gruppo si esibì. L’Indra si trovava in una traversa della Reeperbahn, al numero 64 di Große Freiheit (Grosse Freiheit, una via divenuta tipica per i quartieri a luci rosse dopo il saccheggio francese del 1814), di proprietà di Bruno Koschmider che lo aveva aperto nel 1950; i Beatles si esibirono nel locale a partire dal 17 agosto 1960 e consecutivamente per quarantotto serate. E fu un'esperienza determinante, non solo dal punto di vista musicale dal momento che il gruppo dovette imparare anche le tecniche di seduzione per attirare folla in quel locale semideserto. Dopo meno di due mesi le proteste dei vicini per il rumore assordante costrinsero Koschmider a riconvertire l’Indra in un locale di striptease. Esternamente aveva l’aspetto di un’impresa di onoranze funebri e all’interno era arredato con quattro tavoli a destra e due a sinistra. Ciascun tavolino era illuminato da una lampada con un paralume rosso, il tutto su una spessa moquette che copriva il pavimento; in fondo si trovava il palco dove si esibivano le spogliarelliste. Il posto, che poteva accogliere non più di sessanta persone, era poco adatto alla musica perché i pesanti drappeggi rossi alle pareti e il tappeto smorzavano i suoni.

(10)= I ragazzi si esibirono con il nome "The Beatles" per la prima volta in assoluto il 17 agosto 1960, all'Indra. Molti sono i racconti su come arrivarono a quel nome, se prima di Amburgo o proprio quella sera: era la naturale evoluzione dei The Beetles, richiamando in questo modo due concetti diversi, come avevano già ammirato in precedenza nei The Crickets (Cricket come gioco e come grillo, anche se, come constatarono Paul e gli altri qualche anno dopo parlando con loro, la band non conosceva il gioco del cricket). Loro erano Beatles con la "A", richiamando i coleotteri e al tempo stesso la musica Beat, scrivendo solo in modo diverso quella parola. Come in precedenza, anche in questo caso si considera una paternità Sutcliffe-Lennon per il nome.
(In realtà documenti diversi riportano sia il nome "Silver Beetles" che il nome "Silver Beatles" precedente all’esperienza amburghese, quindi non escludo che l'avessero pensato e forse usato ben prima di partire. In questo caso ho scelto di fare utilizzare la parola Beatles solo e direttamente ad Amburgo, dove appunto è attestato che fu utilizzata per la prima volta).

(11)= Furono costretti ad imparare moltissime canzoni per suonare tutte quelle ore al locale, riempiendo una canzone di 20 assoli e facendola durare più di 20 minuti. Suonarono tutto Gene Vincent, Chuck Berry, Little Richard, Buddy Holly e gli Everly Brothers, i Fats Domino: qualsiasi cosa. E' ad Amburgo che hanno imparato a suonare davanti alla gente, anche se non gli venne in mente di scrivere canzoni loro. Avevano scritto piccole cose ma erano inezie, e Paul non voleva mostrarle a nessuno.

(12)= All'inizio il pubblico era molto giovane, tra i 15-16 anni, dopo le 8-9 arrivavano dai 18 anni in sù. Alle 2 del mattino vi erano gli ultimi ubriachi e i proprietari di altri club che passavano a trovare Bruno, i malviventi e la mafia locale.

(13)= I Beatles lavorarono all'Indra per sette settimane, sei ore a sera, un'ora sul palco e quindici minuti di pausa. Spesso erano costretti ad uscire fuori e a richiamare il pubblico per strada, per potersi esibire davanti a qualche spettatore.

(14)= Il Bambi Filmkunsttheater, meglio noto in zona come il Bambi Kino, era una sala cinematografica dove si proiettavano film a luci rosse alternati a pellicole western e noir. Si trovava non lontano dall’Indra, al 33 della Paul-Roosen Straße, strada in cui confluiva la Große Freiheit. I tre vani annessi al cinema e destinati al gruppo erano spogli e tetri: le pareti erano di cemento senza traccia di tappezzeria né di pittura, e mancavano anche i bagni e il riscaldamento. In una stanza c’erano due brande e un divano e i due stanzini ciechi erano così angusti da contenere a malapena il letto. Questi ultimi furono occupati da Paul e da Pete Best; nella stanza più grande si sistemarono John e Stu, e George si accaparrò il divano. In assenza di servizi per l’igiene personale utilizzavano i gabinetti del cinema vicini ai tre vani, in particolare quello delle signore perché più pulito. Usavano il lavandino per lavarsi e per radersi, e durante la loro permanenza al Bambi Kino non poterono mai farsi una doccia, almeno finché non conobbero Astrid che li accolse a casa sua e li fece pulire e mangiare meglio. All'interno del Bambi fecero amicizia con la custode dei cessi, Rosa Huffmann (che chiamavano affettuosamente Mutti), che li prese a benvolere riservando loro asciugamani puliti e scaglie di sapone.

(15)= Preludin è un preparato anfetaminico (Fenmetrazina HCI) che veniva venduto all'epoca come pillola dimagrante. I camerieri durante gli spettacoli le offrivano alle band per poter tirare avanti con lo spettacolo, avendo un effetto stimolante, aumentando le capacità di rimanere svegli, attuandosi più a lungo poiché veniva ingerita. L'utilizzo a lungo termine provoca dipendenza, ansia, insonnia e in casi più gravi la perdita di denti e di capelli; essendo tossica, sopratutto mischiandola ad altre sostanze, può provocare una morte per overdose.

(16)= I pagamenti dovevano avvenire una volta a settimana, ma spesso i ragazzi non riuscivano a trovare Koschmider e per questo rimanevano alcuni giorni senza soldi.

(17)= Questo è quanto viene riportato dai loro racconti: i ragazzi erano spericolati sotto l'effetto del Preludin, stanchi e anche entusiasti quando ricevevano qualche attenzione in più, assumendo un comportamento sfrontato e ribelle sul palco. Nel corso di quei tre mesi cambiarono completamente atteggiamento: John ebbe modo di sfogare il suo lato più dispettoso e sarcastico, approfittando che nessuno potesse capirlo per gridare "nazisti" al suo pubblico.

(18)= Gli stessi Beatles hanno riportato questa parte della storia: ad Amburgo furono "svezzati" anche sotto quel punto di vista. Spesso facevano sesso tutti insieme, fregandosene di chi dormiva o di chi stava facendo qualcosa accanto a loro. Paul soprattutto si concedeva molti divertimenti e già in quel periodo si vociferava che potesse aver messo incinta una ragazza. Per George invece fu là che lo fece per la prima volta: in stanza erano presenti anche i suoi amici che appena ebbe finito gli fecero un sonoro applauso.

(19)=  La ragazza di Pete lavorava fino alle 4 di mattina e lui restava sveglio per vederla e andare a casa di lei, dove dormivano insieme fino alle 10. Questo gli comportava di far tardi a lavoro, cosa che fece infuriare tutti, creando una delle prime incomprensioni tra lui e il gruppo.

(20)= Il Kaiserkeller si trovava nella stessa strada dell’Indra, al numero 36, all’angolo con Schmuckstrasse. Anch’esso di proprietà di Bruno Koschmider, il Kaiserkeller costituiva un salto qualitativo rispetto all’Indra, essendo assai più spazioso tanto da poter accogliere 300 spettatori. Spinta la porta a vetri ci si trovava in un ambiente arredato in stile marinaresco: il bancone a forma di una nave, i tavolini che sembravano barili o parapetti di un’imbarcazione, reti da pesca decorative pendenti dal soffitto, oblò alle pareti e ornamenti di ottone, tutto materiale proveniente dal porto. A paragone con l’Indra il palco era più ampio e l’acustica non risentiva di tendaggi pesanti, anche se l’ambiente era più violento e le risse scoppiavano in continuazione. Dal punto di vista artistico, l’incontro più significativo ebbe luogo nell’ottobre del 1960, quando Lennon, McCartney e Harrison si ritrovarono in una session estemporanea all’Akustik Studio con due elementi del gruppo di Rory Storm che si esibiva anch’esso al Kaiserkeller; il bassista Lou Walters e Ringo Starr assieme ai Beatles registrarono tre brani, di cui non ci fu più traccia. Fu la prima occasione in cui Starr suonò con quelli che sarebbero stati i suoi futuri compagni.

(21)= Il Kaiserkeller piacque molto ai ragazzi con la sua pista da ballo, i tavolini piazzati dentro parti di navi, con barili come tavoli, gomene e oggetti nautici ovunque.

(22)= Non l'ho approfondito abbastanza, però i Beatles erano grandi amici di Rory Storm e di sua sorella Iris, che piaceva molto a George. Secondo alcune fonti lei sarebbe stata sia insieme a lui che a Paul, ma non essendo una cosa sicura ho preferito non approfondirla troppo. Spesso i ragazzi passavano molte giornate a casa dei Caldwell, soprattutto nel periodo prima degli Hurricanes, quando Rory era più libero (questa è una mia deduzione, visto che sia Ringo che gli altri Beatles dicono di essersi realmente parlati solo ad Amburgo, mentre in precedenza si erano visti per lo più di sfuggita durante concerti e serate).

(23)= I ragazzi frequentavano maggiormente due negozi: Steinways e Musikhaushummel. Fu qui che andavano a rifornirsi per qualsiasi cosa, e fu anche il luogo dove John comprò la sua Rickenbacker 325 con il manico corto, la sua prima chitarra elettrica (e prima di una lunga serie di strumenti di questo marchio), mentre George acquistò un amplificatore Gibson. Questi furono gli unici due grandi acquisti del gruppo, visto che erano sempre portati al "riciclaggio" per via dei pochi soldi: spesso si scambiavano le corde dei propri strumenti o prendevano in prestito quelle del pianoforte al Kaiserkeller, con risultati di suono alquanto deludenti. Ovviamente al tempo non avevano una vera e proprio conoscenza approfondita di strumenti (persino George, che era il più documentato del gruppo), e nemmeno i negozi di musica erano così riforniti come oggi.

(24)= John e gli altri avevano ammesso di aver avuto una brutta impressione da Ringo: gli sembrava un duro, uno da cui tenersi alla larga, capace solo di fare a botte. Ma gli bastò parlare con lui per capire subito quanto si erano sbagliati. Ho introdotto io Rory come mediano tra di loro, immaginandomi che comunque fosse sempre presente quando Ringo si trovava con i ragazzi.

(Curiosità: Secondo quanto racconta Ringo, appena arrivò ad Amburgo, il primo che vide fu Stuart, che lo portò a mangiare delle frittelle sulla Grosse Freiheit e gli fece fare un giro del posto)

ANGOLO DELL'AUTRICE: Si ho più di 10 giorni di ritardo... e so che non ho scuse. Ma la prima parte del capitolo si era cancellata e risistemandola sono stata costretta a cambiarla, notando come non funzionasse. Non è stato facile e forse sono andata troppo OC con John, ma non sapendo esattamente come fosse di carattere forse posso prendermi qualche piccola licenza, cercando di mantenere coerenza almeno col personaggio che ho creato.
E... niente, questa estate è stata davvero dura per me, piena di lavoro, di piccole cose negative e di molti pensieri, che stanno pian piano maturando, ma non sono qui per parlarvi di me ma solo per farvi capire che il ritardo è dettato da molti fattori esterni.
Secondo punto fondamentale è che il periodo amburghese è un disastro completo! Purtroppo i fatti sono narrati in modi diversi e in momenti diversi e mi sto sforzando per darvi una cronologia quanto più affidabile mi sia possibile... quindi questo è un ulteriore motivo di ritardo.
Tornando a noi, spero che il capitolo vi piaccia, è frutto di davvero tanti ripensamenti e correzioni, ma credo si possa ritenere giusto. Come me, anche Freddie non se la passa bene (sarà un caso?), e le ci vorrà tempo, mentre dall'altra parte la band va avanti per la sua strada, con le difficoltà che più o meno tutti conosciamo!
La canzone del sottotitolo vuole ricordare le tanto famose lettere d'amore che i ragazzi scrivevano alle loro fidanzate, piene di piccole bugie e inesattezze, a rafforzare questo particolare importante (inoltre, è stata scritta o iniziata da Paul più o meno in quel periodo e dedicata a Dot).
Ringrazio tutte quante voi per il solito supporto, chi ha potuto con le vacanze e lo studio e chi no, mi siete sempre state molto vicine, grazie mille <3
Visti i problemi elencati sopra non posso darvi una data precisa per il cap, per non incorrere nel rischio di dover rimandare ancora: comunque, vorrei pubblicare il prossimo capitolo tra la fine di settembre e massimo i primi giorni di ottobre.
So che il periodo è lungo ma davvero mi serve tempo, sia perché ne ho poco e sia perché sto scrivendo dei capitoli mooolto interessanti e pieni!
Grazie per il vostro appoggio e la vostra pazienza <3
Alla prossima
White
  
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