Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: The Writer Of The Stars    28/08/2015    1 recensioni
Nella tua vita da liceale puoi essere solo tre cose:
-Bello e popolare, giocatore di Football o Cheerleader.
-Normale e anonimo. Non sei né carne né pesce.
-Oppure puoi essere uno sfigato, e sai, se fai parte di questa categoria, ti consiglio di armarti di una buona dose di sopportazione e soprattutto mi auguro per te che ti piacciano le granite, perché in questi quattro anni ne riceverai centinaia. In faccia.
Quando per colpa di una serie di fatalità e problemi comuni Petra si ritrova costretta a passare un pomeriggio in aula punizioni insieme ad altri cinque ragazzi come lei, il suo unico pensiero è quello di non arrossire troppo dinanzi agli sguardi e alle occhiate dei suoi compagni. Ma basta una melodia improvvisata sul momento, l’audacia dei timidi e una sintonia perfetta e quasi utopica a far tornare a gridare forte come non mai la voce del vecchio Glee Club ormai inesistente. E loro non lo sanno, ma forse, grazie a quella punizione, potranno per una volta dimostrare di essere qualcuno e diventare, senza nemmeno saperlo, la voce di quelli che una voce non l’hanno mai avuta.
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Long AU! |Rivetra| |Accenni JeanMarco|
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Arlart, Hanji, Zoe, Mikasa, Ackerman, Petra, Ral
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Caro papà,

Sì, so cosa starai pensando. Me la immagino già la tua espressione sorpresa, i tuoi occhi di cui non ricordo il colore ma credo simili ai miei sgranarsi tanto da mostrare l’intera pupilla e sono consapevole di come tu stia ora spalancando la bocca che immagino contornata da un lieve accenno di barba, boccheggiando senza sapere cosa dire. È la prima volta che ti scrivo e sinceramente sento che la mano mi trema e il cuore batte un po’ troppo forte per i miei standard, ma almeno batte. So che in questi anni mi hai scritto tante lettere, le ho lette tutte, e scusa se non ti ho mai risposto, ma ti dico la verità, non avrei mai saputo cosa dire. Fino a qualche mese fa non avrei mai pensato di prendere carta e penna e scrivere quell’indirizzo sulla busta bianca, e se lo avessi fatto non avrei avuto nulla da scrivere, se non elencarti i gusti di tutte le granite che mi sono presa addosso in questi anni. Ero, e sono ancora, una sfigata pazzesca, ma la differenza dalla Petra di un anno fa e quella di allora, sta nel fatto che ora vado fiera di essere una perdente, e soprattutto sono orgogliosa di non essere sola. So che non ci starai capendo nulla, ma abbi pazienza, che ti devo raccontare un bel po’ di cose e non sarà una lettera breve. Sinceramente non so bene da dove cominciare, ti dico la verità, perché ho paura di risultare troppo confusa, incasinata come sempre. Levi dice che devo partire dal principio di noi, da quella punizione e da quegli strumenti da ripulire che sono stati la chiave di tutto. Credo che farò così, allora. Oggi non voglio parlarti solo di come sia essere gettata in un cassonetto della spazzatura, di che sapore abbiano le granite quando le prendi dritte sul naso, di come il mio cuore faccia i capricci o di come ogni sera la nonna mi chiede di suonare per lei un pezzo al violino. Adesso, voglio narrarti per la prima volta ciò che mi ha reso davvero felice in tutti questi anni e se hai un po’ di pazienza, ti racconterò di come abbia capito che fare parte di qualcosa di speciale non ci rende speciali, ma qualcosa è speciale perché siamo noi a farne parte …

 
 
Se frequenti il liceo e diventi popolare, tanto meglio per te, avrai accesso all’elitè di figli di papà e fighetti che giocano a football accompagnati dalle loro cheerleader indubbiamente stupide.

Se frequenti il liceo e rimani normale, senza farti vedere troppo e vivendo per conto tuo, vincendo di tanto in tanto qualche premio per un concorso matematico o scientifico, ancora meglio, potrai vivere tranquillamente la tua esistenza scolastica senza che nessuno venga a romperti le scatole e potrai camminare tranquillamente per i corridoi, a testa semialta, come
gente normale.

Se frequenti il liceo e diventi uno sfigato, allora comincia a munirti di una buona dose di forza interiore e spirito di sopportazione, perché quei quattro* anni passeranno per te come la peggiore delle torture, e ti consiglio di imparare a mangiare le granite ghiacciate, perché fidati, te ne tireranno addosso tante.

Al Wall Maria High School vigeva la regola non scritta ma impressa nella mente di tutti gli studenti, secondo la quale gli sfigati andassero torturati e presi di mira per puro divertimento personale. Gli sfigati della scuola erano gli invisibili seduti in ultimo banco nelle classi, i fantasmi alle assemblee di istituto e gli esclusi che i giocatori di football si divertivano a denigrare quando essi passavano per i corridoi della scuola, camminando svelti a testa bassa e sperando di passare inosservati, come sempre. E se venivano presi di mira, non era per un motivo vero e proprio. Semplicemente, faceva comodo divertirsi alle spalle di chi non sapeva difendersi sapendo che tanto, al preside non sarebbe importato più di tanto. Se la squadra di football vinceva campionati su campionati, accrescendo il prestigio della scuola, non vi era ragione alcuna per punire i giocatori e si poteva tranquillamente chiudere un occhio sul loro comportamento.


Petra Ral lo aveva imparato a sue spese. Mediamente riceveva tre granite in faccia al giorno, rigorosamente ghiacciate, la mattina appena arrivata, durante la pausa pranzo e all’uscita. Non si era mai capacitata del perché di quel volerla perseguitare, forse il suo modo di starsene sempre sola, zitta e in disparte, seduta senza alcuna compagnia, aveva fatto sì che i bulli si fossero accorti di quanto vulnerabile e facilmente raggirabile quella deliziosa ragazzina del secondo anno dai capelli e gli occhi color del miele  fosse.  Petra si passò veloce una mano sulla guancia dove quella mattina sua nonna le aveva depositato un bacio, prima di lasciarla uscire, e guardandosi intorno ringraziò la campanella per aver dichiarato l’inizio delle lezioni. Subito le sovvennero alla mente le parole di Reiner, quel tipo che giocava nella squadra di football, ricordarle che quel giorno avrebbe dovuto passargli i compiti di biologia che lui, ovviamente, non avrebbe mai fatto. Colta da un presentimento tutt’altro che buono, Petra aprì con foga il proprio vecchio zaino, setacciandolo da cima a fondo alla ricerca dei fogli per il ragazzo.

“No no no no …” sussurrò tra sé in una nenia angosciante, rendendosi conto di aver dimenticato i compiti per il ragazzo a casa.

“Cavolo …” imprecò a mezza voce, conscia che non poteva presentarsi in classe senza il lavoro richiestole, se voleva evitare di fare un bel giro nel cassetto della spazzatura a fine lezioni. Terrorizzati i suoi occhi vagarono per i corridoi ormai deserti fino a quando, incontrando la porta della sgabuzzino dei bidelli, un’idea le balenò in testa. Attenta a non farsi vedere da nessuno, si avvicinò alla stanza e dopo un’ultima occhiata si chiuse la porta alle spalle, traendo un sospiro di sollievo. Sarebbe rimasta lì per il resto dell’ora e nessuno si sarebbe accorto di lei. Sì, poteva andare. Sebbene non avesse mai saltato una lezione, con i sensi del rimorso a divorarla ricordò a sé stessa che non aveva avuto altra alternativa e dando retta al suo carattere da studentessa ligia al dovere, tirò fuori dallo zaino il libro di biologia, rileggendo per l’ennesima volta il capitolo assegnatole per quel giorno e che ormai conosceva a memoria. Avvolta dal buio di quella minuscola stanza colma di scope e strofinacci e abituatasi ormai all’odore di prodotti chimici per la pulizia, proclamò finita la sua lettura sulle specie marine dell’era paleo logica e con delicatezza, tirò fuori dalla tasca anteriore dello zaino il suo libro. Con mano dolce accarezzò la copertina vecchia e sgualcita di quel piccolo tomo che ormai aveva letto mille volte e che portava sempre con sé, senza mai abbandonarlo, come se fosse l’unico amico che avesse.

Canto di me stesso”, un libro di poesie di Walt Withman di cui si era innamorata sei anni prima, quando lo aveva scoperto nella vecchia libreria di casa sua e da cui non si era mai più staccata. Con occhi colmi di amore aprì una pagina a caso del libro, iniziando a leggere una di quelle poesie per la milionesima volta sino ad allora. Gli occhi subito volarono agli ultimi versi di quella poesia, sottolineata più e più volte con una matita pesante in una notte di pioggia in cui non era riuscita a dormire e aveva divorato tutto il libro in poche ore.

“Tutto continua e tutto si estende, niente si annienta,
e il morire è diverso da ciò che tutti suppongono, e
ben più fortunato …”

lesse in un sussurro rapito, persa nel suo mondo fino a quando, compiendo un movimento troppo brusco, fece cadere una delle scopre lì vicino, causando un rumore assordante.

“No!” imprecò alla sua solita sbadataggine, rimettendo il libro nello zaino e preparandosi a scappare. Ma il vecchio bidello Ray, accortosi del frastuono, era stato più lesto di lei e in un attimo, prima che potesse rendersene conto, la porta dello sgabuzzino era aperta e Ray le porgeva, con espressione in realtà non troppo arrabbiata, un foglietto giallo. Arrossendo come un peperone, Petra afferrò il foglietto con mano tremante, sgranando gli occhi dinanzi a ciò che vi era scritto. Non era mai stata in punizione, possibile che proprio ora dovesse capitarle una cosa simile?

 
“DETENTION!”
 
 

Nonostante la sua altezza non propriamente elevata, Levi Ackerman era uno che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. E forse ciò non era un bene, perché quando un emarginato come lui veniva coinvolto in una rissa, inevitabilmente finiva sempre per rimetterci qualche occhio nero e un giretto dal preside, se andava bene.

“Forza, Ackerman, che ti prende, non riesci più ad alzarti?” Levi ingoiò un groppo di saliva, osservando dolorante il suolo di ghiaia del cortile sotto i suoi occhi. Osservò alcune goccioline del suo sangue sporcare il terreno e un conato di vomito risalì fino alla sua epiglottide nel pensare a quanti germi stessero invadendo ora il suo labbro spaccato e le mani poggiate su di esso.

“Vedi che succede a suonare uno strumento per finocchi? Diventi debole come una femminuccia!” continuò imperterrito l’energumeno che aveva ridotto Levi in quello stato, seguito a ruota dalle risate sguaiate dei suoi compagni senza cervello, buoni solo ad emulare un idiota come lui. All’udire quelle parole, l’animo di Levi subì una scarica di violenta rabbia, perché nessuno doveva permettersi di giudicare il suo pianoforte e la sua passione per esso. Poteva anche essere schernito lui stesso, non gliene fregava nulla; ma il pianoforte no.

“Stai zitto, coglione!” ringhiò, alzando il capo dal terreno. Il bullo rise ancora, sorpreso da tale audacia.

“Hey, ragazzi, attenzione, Mozart si è incazzato!” esclamò, suscitando altre risate idiote. In un gesto colmo d’ira, Levi si alzò in piedi gettandosi dritto sul ragazzo e pronto a sferrargli un pugno. Pugno che venne però prontamente schivato dall’energumeno e bloccato poi a pochi centimetri dal volto del professor Hokane, arrivato proprio dietro ai due ad assistere alla scenetta impassibile.

“Ackerman.” Esclamò severo, stringendo ancora il pugno del ragazzo a pochi centimetri dal suo volto.

“In punizione.” Decretò mollando malamente il pugno e allontanandosi sotto gli occhi inespressivi di Levi e quelli soddisfatti dei bulli, che intanto avevano deciso di andarsene.

 
“DETENTION!”
 

Sasha Brouse amava il cibo. Era la sua più grande cotta, l’amore della sua vita a cui aveva promesso eterna fedeltà e, non di meno, il suo unico amico. Sasha odiava le lezioni di scienze, il professor Figgins e il suo compagno di banco di cui non ricordava il nome ma comunque fissato con la matematica. Il suo esatto opposto. Per questo, annoiata a morte e affamata come al solito, Sasha lanciò uno sguardo indiscreto e fugace alla classe, e scoprendo di non essere osservata, tirò fuori dal proprio zaino una patata dolce intera, iniziando a sgranocchiarla il più discretamente possibile. Abbandonata ai piaceri del sapore del suo cibo preferito, Sasha non si rese conto che il Professor Figgins era arrivato alle sue spalle e la stava osservando severamente mangiare indisturbata.

“Brouse!”  la richiamò d’un tratto, facendola saltare su dalla sedia.

“Ahh!” gridò colta dallo spavento vedendo subito dopo il suo insegnante afferrare la patata e togliendola dalle sue mani, sostituendola con un  fogliettino giallo.

“No! La mia patata!” gridò Sasha disperata, dinanzi allo sguardo serio del professore e a quello divertito dei suoi compagni.

“E’ vietato mangiare in classe, signorina Brouse.” Le ricordò duramente il professor Figgins, prima di gettare la patata nel cestino e riprendere la lezione. Sasha lanciò uno sguardo disperato al suo grande amore che finiva malamente la sua vita in un misero cestino di cartacce, prima di lanciare una sguardo frustato al foglietto consegnatole, sospirando esasperata.

 
“DETENTION!”
 
 

“Arlert!”  Armin alzò la testa bionda in direzione della professoressa di lettere, sobbalzando un poco e guardandola interrogativo con i suoi occhioni azzurri da dietro le spesse lenti degli occhiali.

“Vieni pure e presentaci la tua ricerca.” Lo intimò con calma la donna, aspettandosi da quel ragazzo dai voti perfetti un lavoro impeccabile. Armin annuì, abbassando la testa e ficcandola nello zaino, alla ricerca del lavoro svolto con tanta cura in quei giorni. Suo padre, quando non era in officina a riparare automobili, lo osservava spesso studiare e scompigliandogli i capelli sorrideva, dicendogli che era certo che un giorno sarebbe diventato l’avvocato migliore del paese.

Avvocato. Se solo avesse saputo quale fosse il suo vero desiderio, probabilmente l’avrebbe sbattuto fuori di casa, e non solo per quello. Broadway era solo un sogno, e tale doveva
rimanere.

Armin spalancò gli occhi, sconcertato e restando immobile. La ricerca. La ricerca non c’era da nessuna parte. O meglio, una cartella uguale c’era, ma era quella colma degli schizzi e dei modelli di abiti ideati da lui stesso, e non poteva di certo consegnare quella alla sua insegnante! Come accidente aveva fatto a confondersi, quella mattina …

Si morse un labbro agitato, tenendo lo sguardo basso.

“P – professoressa, mi spiace, non riesco a trovarla da nessuna parte …” si scusò il ragazzo, evitando lo sguardo di tutti i suoi compagni che lo detestavano. La professoressa Rast spalancò leggermente la bocca, incredula.

“Armin, non è mai capitato che non consegnassi un lavoro.” osservò delusa. Armin annuì, tenendo lo sguardo basso e stringendo segretamente  la cartellina incriminata colma di modelli e disegni fatti nel tempo libero. D’un tratto percepì la presa su di essa allentarsi e prima che se ne rese pienamente conto,Jean, un ragazzo dinanzi a lui, aveva afferrato la cartella in mano e la stava sventolando a tutta la classe.

“Tsk, eccola invece! Uh, aspetta aspetta aspetta, cosa abbiamo qui …” esclamò, sfogliando la cartellina con un ghigno. Armin si sporse in avanti rosso in viso, cercando di recuperare il proprio lavoro.

“Fermo, non sono affari tuoi!” esclamò pieno di vergogna, mentre Jean mostrava a tutta la classe il talento di Armin nel disegnare abiti.

“Guarda guarda, Arlert passione stilista …” esclamò ridacchiando, seguito a ruota da tutti. Irato e pieno di vergogna, Armin si alzò in piedi di scatto, gridando con i pugni serrati fino a fargli male:

“Ridammela, bastardo!”

“Armin!” lo richiamò sconcertata da tale reazione la professoressa Rat. E incontrando gli occhi colmi di delusione dell’insegnante, vi lesse all’interno un’unica parola:

 
“DETENTION!”
 
 
“Jaeger, Dio Santo, sono due ore che tieni quella palla, quanto è difficile fare un semplice passaggio?!” Eren serrò gli occhi infastidito, sentendo lo sguardo di tutta la classe e del suo insegnante puntato su di lui. Odiava le ore di ginnastica e più di tutti odiava il calcio. Non capiva perché dovesse per forza giocare anche lui a quello stupido sport durante quelle tre ore settimanali di educazione fisica, ma sapeva che il Professor Strein era uno tosto e se ordinava una cosa non poteva tirarsi indietro. Già era abbastanza umiliante essere preso in giro da tutti, figuriamoci se ci si metteva pure il professore.

Chiudendo gli occhi, Eren decise che non gliene fregava più nulla e alla cieca, caricò un calcio, colpendo senza rendersene conto la palla in maniera spropositatamente forte. Per diversi secondi si udì solo il fischio del pallone che librava in aria e poi, d’un tratto, un tonfo secco.

“Ahhh!” Eren aprì gli occhi di scatto, riconoscendo terrorizzato quella voce. Poco più avanti, il Professor Strein si teneva dolorante una mano sull’occhio colpito dalla palla, mentre tutt’intorno i ragazzi cercavano invano di trattenere le loro risate.

“Idiota!” gridò il professore contro Eren. Il moretto spalancò gli occhi, terrorizzato dalla furia del suo insegnante.

“In punizione! Subito!” gridò, prima di allontanarsi alla ricerca di un po’ di ghiaccio per alleviare il dolore.

 
“DETENTION!”
 
 
Mikasa amava il rock, se hard pure meglio. Se ne fregava degli insulti della gente, delle occhiate degli altri ragazzi e del giudizio degli insegnanti e camminava fiera e a testa alta per i corridoi della scuola, con indosso le magliette delle sue band preferite e l’espressione dura e impassibile. Come quel giorno.

La professoressa Foster stava camminando a testa alta per il corridoio, annunciando col ritmico alternarsi dei suoi tacchetti il suo arrivo e sorridendo fieramente agli studenti che più riteneva meritevoli della sua stima. Mikasa camminava dalla parte apposta alla sua e quando la vide arrivare, il suo sorrisetto si trasformò subito in una smorfia di disgusto e disapprovazione. Avvicinandosi svelta alla ragazza le si parò davanti, frenando infastidita il suo incedere.

“Bene bene, signorina …” cominciò, squadrandola da capo a piedi.

“Cosa abbiamo qui?” chiese, indicando la maglietta della ragazza. Mikasa la guardò stralunata.

“Una maglietta?” chiese retorica. La donna sbuffò.

“Questo lo vedo, Miss Simpatia. Intendo dire cosa c’è sopra la maglietta.” Fece indicando le due pistole affiancate dalle rose rosse leggermente insanguinate sullo sfondo nero. Mikasa osservò la maglietta con lo stemma dei Guns N’ Roses, sentendosi fiera del suo piccolo cimelio. Nessuno poteva toccare i suoi gusti musicali. Nessuno.

“E allora?” chiese annoiata la ragazza. La donna la guardò irritata.

“E allora non mi sembra una maglia consona all’ambiente scolastico, signorina!” rispose piccata e nervosa. Mikasa sorrise leggermente di un ghigno divertito.

“Che c’è, Prof, non le piacciono i Guns?” chiese con ironia, scatenando le ire della professoressa Foster.

 
“DETENTION!”
 
 
 

Petra fece il suo ingresso nell’aula punizioni alle 14.00 esatte, come ordinato dal foglietto. Si sentiva a disagio, non essendo mai stata in punizione e essendo inciampata due volte durante la sua frenetica ricerca di quell’aula tanto misteriosa e abbandonata. Non appena aprì la porta il suo cuore capriccioso subì uno sbalzo troppo veloce, dettato comunque non dai soliti problemi fisici ma quanto più emotivi. Non era sola in quell’aula. Seduti sui vecchi banchi rotti e ormai da buttare, vi erano diversi ragazzi che dimostravano all’incirca la sua età, ognuno per conto suo. Lanciò prima un’occhiata al biondino che teneva la testa tra le mani, evidentemente anche lui sconvolto nel trovarsi lì, per poi passare ad una moretta coi capelli raccolti in una coda di cavallo che sembrava alla ricerca di cibo, seguita da un moretto con ancora la divisa da ginnastica indosso e una ragazza dai lunghi capelli neri con indosso un paio di anfibi poggiati rudemente sopra al banco e con la schiena gettata sulla sedia. Infine, in ultimo banco, un ragazzo dai capelli neri e il fisico snello e minuto si guardava intorno con  espressione impassibile e quando i loro occhi si incontrarono per pochi secondi, Petra percepì le guance imporporarsi dinanzi a quelle iridi che avevano il colore del mare in tempesta. Arrossendo più che mai, mimò un saluto con la mano agli altri, andando poi a sedersi a testa bassa su uno dei banchi rimasti liberi e abbassando il capo sulla superficie lignea piena di scarabocchi, rossa d’imbarazzo e non sapendo cosa fare.

Socializzare non era mai stato il suo forte.
 

“E fu lì, papà, in quella aula punizioni dimenticata da tutti, piena di polvere e vecchi strumenti musicali gettati in terra, che cominciò tutto quanto …”
 
 

Nota autrice:
Salve! Come vedete, nonostante abbia all’incirca cinque storie in corso tra il fandom di Dragon Ball, quello di Detective Conan e quello dei Queen, non ho potuto fare a meno di cominciare questa nuova avventura (sì, sono masochista) in questo fandom in cui in realtà sono approdata da poco tempo. Sarà una long AU con ambientazione scolastica ispirata alla serie tv “Glee” (altro mio fandom) e al film “Lemonade Mouth” ed inoltre riprenderò molti elementi utilizzati in una mia vecchia fan fiction pubblicata nel fandom di DB lo scorso anno. Spero che questa introduzione vi abbia incuriosito, fatemi sapere che ne pensate!


Alla prossima!


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