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Autore: PuccaChan_Traduce    28/08/2015    2 recensioni
Bilbo Baggins torna a casa profondamente addolorato dopo la Battaglia delle Cinque Armate. Tutta la Terra di Mezzo ha saputo che Thorin Scudodiquercia e i suoi due nipoti sono caduti in battaglia. Sembra che a Bilbo non resti altro da fare che vivere un’esistenza tranquilla, seppur solitaria; una notte però il Fato, sotto forma di una giovane Elfa incinta, bussa alla sua porta...
Bilbo Baggins, a quanto pare, non è destinato ad avere una vita tranquilla.
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
QUESTA STORIA È INCOMPIUTA!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bilbo, Kili, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Quella notte il riposo di Bilbo fu turbato da una serie di brutti sogni che lo vedevano vagare per i corridoi in rovina di Erebor seguendo la voce di Thorin, che cantava di draghi e di antichi tesori. A volte la sua voce gli sembrava meravigliosamente vicina ma, ad ogni angolo che girava, si trovava davanti l’ennesimo corridoio deserto e disseminato di detriti e cadaveri mummificati.
Dopo aver camminato per quelle che gli parvero settimane, si ritrovò nello stesso salone in cui, assieme alla Compagnia, si erano rifugiati per sfuggire all’ira di Smaug. La stanza era piena di cadaveri, proprio come era stata nella realtà, solo che in quel sogno i morti gli erano tutti tremendamente familiari. Niente Nani sconosciuti lì: si trattava dei suoi amici, gli stessi con i quali aveva viaggiato in lungo e in largo nella Terra di Mezzo.
Bilbo iniziò a singhiozzare e a correre da un corpo all’altro, alla disperata ricerca di un segno qualsiasi di vita; ma trovò solo morte. Ad ogni corpo che scopriva si aspettava di trovare quello di Thorin, orrendamente sfregiato dalle ferite infertegli dalla mazza ferrata di Azog; ma, pur trovando tutti gli altri membri della Compagnia – inclusi, con suo profondo orrore, Fìli e Kìli – non riuscì a vedere Thorin da nessuna parte.
Un suono di voci che bisbigliavano forte lo strappò a quell’incubo. Bilbo si girò sulla schiena battendo le palpebre per scacciare gli ultimi residui di sonno, e vide Ori e Fìli che discutevano tra loro vicino all’entrata della stanza in cui si erano radunati per cercare di riposare, sul polveroso pavimento.
“Che succede?” domandò Dìs mettendosi a sedere. In qualche modo, riusciva ad essere intimidatoria anche appena sveglia e con i capelli in disordine.
“Nori non è ancora tornato.” Ori aveva preso a masticare l’estremità di una delle sue trecce, un’abitudine in cui indugiava sempre quando era nervoso e per cui Bilbo aveva visto più volte Dori rimproverarlo. “Aveva detto che avrebbe fatto tardi, ma ormai è giorno e non si è ancora visto. Dev’essergli successo qualcosa. Dobbiamo andare a cercarlo.”
“Mi dispiace, Ori, ma non possiamo,” disse Fìli.
“Cosa? Perchè no?”
“Tuo fratello conosce il mondo del crimine meglio di chiunque altro di noi,” rispose Fìli gentilmente, ma con fermezza. “Ammettendo che sia finito in qualche guaio, se ci intromettessimo in faccende che non capiamo peggioreremmo solo le cose. Nori è sveglio e sa quello che fa. Sono sicuro che ha tutto sotto controllo.”
“Ma... e se davvero si trovasse nei guai?” Ori sembrava prossimo alle lacrime.
“Niente paura, ragazzo,” disse Bofur piazzandogli un braccio intorno alle spalle. “Nori è più tosto dei pony delle miniere e ha la pelle più dura di quella di un Mannaro. Si farà vivo presto, vedrai. E scommetto che riderà di noi per esserci preoccupati per lui.”
Ori non parve affatto rassicurato, ma sospirò e rispose: “Immagino tu abbia ragione.”
Servendosi di quanto lasciato in cucina per loro dai figli di Bard, il gruppo riuscì ad imbastire una ricca colazione a base di porridge, pancetta e frittelle d’avena. Alla vista di queste ultime a Bilbo si rivoltò quasi lo stomaco: ne aveva mangiate a iosa durante il suo viaggio con i Nani e ne era sinceramente stufo, ma dovette ammettere che erano molto più gustose con l’aggiunta di burro fresco e conserva di more. Una bella teiera di tè, infine, riuscì a farlo di nuovo sentire ben disposto verso i suoi simili, a dispetto della notte agitata. Davvero il tè era in grado di curare qualsiasi malanno, come dicevano entrambe le sue nonne Tuc e Baggins, riflettè lo Hobbit sorseggiando la seconda tazza.
In quel momento un coro di voci all’altro lato del tavolo attrasse la sua attenzione.
“Come sarebbe che vuoi lasciarci qui?” chiese Kìli imperiosamente.
“Kìli, persino tu devi ammettere che non sei in condizione di affrontare una missione così pericolosa,” gli rispose Fìli. “L’unico motivo per cui sei ancora cosciente è che Tauriel ti sta tenendo per mano. Cosa accadrebbe se vi separaste?”
“Non sei stato tu a dire a zio Thorin che il tuo posto era con tuo fratello? Adesso che stai per diventare Re vuoi rimangiarti la parola?”
Fu un colpo basso; Fìli impallidì, poi diventò rosso di rabbia.
Ma prima che la disputa tra i due degenerasse sul serio, intervenne Tauriel. “Kìli, tuo fratello ha ragione. Noi dovremmo restare a Dale.” Malgrado le sue stesse parole, si vedeva che era combattuta. Bilbo sapeva quanto fosse penoso per lei ammettere di non essere in grado di partecipare allo scontro.
“Cosa?” Kìli la guardò incredulo, con gli occhi spalancati.
Ma Tauriel fissò quegli occhioni da cucciolo supplichevole senza scomporsi. “Considerate le condizioni in cui ci troviamo, non faremmo che mettere gli altri in pericolo,” gli disse in tono conciliante. “Io non voglio avere un tale peso sulla coscienza. E tu?”
Kìli aprì e richiuse la bocca più volte, poi sospirò e disse con aria scontrosa: “No, certo che no.” Ma si vedeva benissimo che era lungi dall’aver accettato la decisione del fratello.
Fìli raddrizzò le spalle e annunciò: “Partiremo per Erebor domani, non appena farà buio.”

~
 
Fu solo nel pomeriggio, quando la maggior parte del gruppo si fu sparso per le stanze della servitù al fine di riposare il più possibile prima della partenza, fissata di lì a qualche ora, che Dìs riuscì a trovare Tofa da sola. Sembrava che la mercenaria fosse diventata il braccio destro di Fìli, poichè aveva trascorso gran parte della mattinata china insieme a lui sulla rudimentale mappa che avevano disegnato, a rivedere i dettagli del piano da cima a fondo.
Finalmente però era riuscita a scovarla da sola. Fìli era andato a far pace con suo fratello, dopo la discussione di quella mattina, e Tofa era uscita in cortile per conto suo; Dìs uscì dalla stessa porta e la vide in piedi con il viso rivolto alla debole luce del sole che tramontava.
Non succedeva spesso che Dìs restasse a corto di parole, ma in quel momento non sapeva proprio come iniziare una conversazione con la donna che poteva o non poteva essere la stessa che aveva conosciuto più di mezzo secolo prima.
“Se continui a fissarmi in quel modo, mi scaverai un buco in faccia,” disse Tofa mentre Dìs stava ancora cercando qualcosa da dire. Le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso, ma continuò a parlare rivolta al pallido cielo blu sopra di loro. “Non so se lo fai perchè stai cercando di ricordare dove mi hai già vista prima, o perchè te lo sei ricordato e vorresti incenerirmi con il potere del tuo sguardo.”
Dìs incrociò le braccia sul petto. “E dovrei avere un motivo per volerti incenerire?”
“Forse.” La mercenaria le lanciò un’occhiata laterale, sempre con quel sorriso ironico. “Dipende se mi hai o meno perdonata per ciò che ho fatto sessantotto anni fa.”
Dunque era proprio la stessa donna che aveva conosciuto durante il lungo viaggio verso le Montagne Blu. Che strano andamento aveva preso il mondo per farle reincontrare Tofa proprio lì, dopo tutti quegli anni. Dìs era convinta che, dopo la loro aspra separazione a Ered Luin, non l’avrebbe mai più rivista.
Sollevò orgogliosamente il mento, incurante che l’altra fosse più alta di lei di quasi mezza testa. “Dipende se sei o meno disposta a chiedere perdono per quello che hai fatto.”
Tofa si girò completamente dalla sua parte e sollevò le mani vuote, come a volerle dimostrare che non era armata. “Se ben ricordo, ti ho chiesto perdono in quello stesso momento. Sei tu che ti sei rifiutata di accettare le mie scuse.”
“Perchè non hai voluto ammettere di aver sbagliato anche solo a pensarlo!” sbottò Dìs, un pò più forte di quanto avesse voluto. Sperava che le pareti fossero troppo spesse perchè qualcuno degli altri sentisse la loro conversazione. L’ultima cosa che voleva era dover spiegare ai suoi figli di cosa stavano discutendo lei e Tofa.
“Ah. Quello.” Tofa si passò una mano tra i capelli finemente intrecciati, socchiudendo gli occhi al ricordo. “Bene, riconosco che aver tentato di baciarti senza il tuo permesso sia stato uno sbaglio.”
Dìs aprì la bocca per rispondere, ma Tofa la precedette. “Questo comunque non significa che anche aver voluto baciarti lo fosse.”
“Come sarebbe a dire? Io sono vedova,” sibilò Dìs.
“Sì, lo so.” Tofa le rivolse un caldo sorriso e aggiunse: “I tuoi ragazzi sono diventati proprio due bei giovanotti.”
Era quasi come voler discutere con Thorin. Anzi, era peggio, perchè perlomeno suo fratello poteva essere sconfitto a suon di urla. Dìs sospirò e voltò le spalle alla mercenaria. “Fammi sapere quando sarai diventata più ragionevole.”
La voce di Tofa risuonò bassa e dolce come il miele. “Se volerti baciare è irragionevole, mia signora, allora la verità è che non c’è fibra in me che possa essere considerata ragionevole.”
Dìs non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma a quelle parole un brivido traditore le corse lungo la schiena. “Argh, sei impossibile!” ringhiò incamminandosi a passi pesanti verso la porta, e quasi travolgendo uno degli Elfi quando la spalancò.
Ignorando gli sguardi del gruppetto raccolto intorno al tavolo di cucina, Dìs corse quasi nella più piccola delle stanze che avevano eletto a zona notte: dentro c’era il solo Ori, il quale, non appena la vide, balzò in piedi e raccolse le coperte, inchinandosi a più riprese e borbottando che se ne sarebbe andato all’istante.
Dopo aver trascorso un pò di tempo a camminare avanti e indietro e a trarre respiri profondi, Dìs si sentì più calma, ma anche un pò stupida per essersi lasciata trascinare dagli eventi in quel modo. Lei era sempre stata quella più costante nella loro famiglia, quella che riusciva a tenere sotto controllo le emozioni e che impediva a Thorin di prendere decisioni azzardate; ma c’era qualcosa in Tofa che le faceva proprio perdere la bussola.
Qualcuno bussò alla porta. “Posso entrare?” Era Fìli.
Sorridendo, Dìs rispose: “Sì, certo. Entra pure, mia piccola gemma.”
“Mà,” fece il figlio lamentosamente entrando nella stanza; Dìs però notò che sembrava più compiaciuto che seccato dal nomignolo.
“Sai che sarai sempre la mia piccola gemma,” gli disse stringendolo in un abbraccio; Fìli borbottò un poco, ma poi ricambiò con forza sufficiente a farle scricchiolare le ossa. “Ti ho già detto quanto sono fiera di te per essere riuscito a fuggire e a mettere in salvo sia te che tuo fratello?”
“Una volta o due, mi pare. Ma posso sopportare di sentirlo ancora,” rispose lui contro la sua spalla.
Lei ridacchiò. “Allora credo che te lo dirò ancora una dozzina di volte. Sono fiera di te, Fìli.”
Quando infine si separarono, Fìli continuò a tenerle le mani sulle spalle e la scrutò bene in viso. “Va tutto bene?” chiese poi.
“Considerando che stiamo per infiltrarci a Erebor e catturare mio cugino, che potrebbe o non potrebbe essere cosciente delle sue azioni, e nella speranza che mio fratello sia ancora vivo... no, non direi che va tutto bene.”
“Mamma,” disse Fìli con un tono di rimprovero.
“Sì?”
“Di cosa avete parlato tu e Tofa prima? Mi è sembrato di capire che ci sia un passato in comune tra voi.”
“Cosa? Come potremmo mai avere qualcosa in comune io e quella tua mercenaria?”
Ma il figlio non si lasciò ingannare dal suo tentativo di sviare la questione. “Mà, so riconoscere quando ce l’hai con qualcuno. Tu hai qualcosa contro Tofa e non si tratta solo del fatto che è una mercenaria.”
Dìs era certa che Fìli avesse ereditato quella sua tranquilla ostinatezza dal lato paterno della famiglia. Anche la sua tendeva ad essere ostinata, questo era vero, ma di certo non restava tranquilla al riguardo.
“Non voglio parlarne. Ma ti giuro che non influenzerà la nostra missione.” E, vedendo che lui apriva la bocca per ribattere, sollevò una mano. “Sono ancora tua madre, anche se sei il Principe Ereditario.”
Fìli inclinò la testa di lato. “D’accordo, non ti chiederò altro. Per ora.”
Dìs annuì concorde. Era sicura che Tofa, una volta che loro avessero riconquistato Erebor, se ne sarebbe andata per la sua strada portando via con sè i suoi sguardi malandrini e le sue parole zuccherose. E lei non l’avrebbe vista mai più.
E sarebbe stato molto meglio così, ovviamente.

~
 
Elrohir fissò sbalordito la porta che lo aveva quasi colpito in faccia. Girandosi, vide la Principessa Dìs che attraversava la cucina come un fulmine per andare a rifugiarsi nella stanza che apparentemente un tempo era stata una dispensa; pochi istanti dopo uno dei Nani più giovani uscì dalla stessa stanza, stringendosi una coperta al petto e con un’aria preoccupata.
Qualsiasi cosa stesse accadendo, Elrohir era certo che ai Nani non sarebbe piaciuto se lui avesse ficcato il naso nei loro affari. Perciò si richiuse la porta alle spalle con molta più delicatezza di quando era stata aperta e si avventurò nel cortile esterno: qui trovò Tofa, che camminava avanti e indietro con un’aria chiaramente frustrata.
Elrohir si fermò e chiese: “Preferisci restare sola?”
“Cosa? No, non fa niente. Stavo comunque per rientrare e riposarmi un pò prima della partenza.” Ma nonostante queste parole la Nana continuò a indugiare all’esterno, come se non avesse voglia di rientrare. Considerata la furia dipinta sul volto di Dìs poco prima, Elrohir trovava la sua esitazione più che comprensibile.
“Beh, possiamo sicuramente condividere questo cortile,” le disse.
Lei parve trovare le sue parole divertenti. “Certo. Io resterò nel mio angolo e tu nel tuo, e saremo amichevoli l’uno con l’altro per quanto Elfi e Nani lo siano in questa parte di mondo.”
“Questa parte di mondo?”
“Il Nord. Io vengo da una regione più a sud, se non l’avevi notato.”
“Temo di avere poca familiarità con i vari regni dei Nani.”
Lei rise, anche se lui non era certo di cosa ci trovasse di così divertente nella sua risposta. “Beh, comunque non ne rimangono molti.” Dopo una pausa, gli chiese in tono diverso: “Allora, mi pare di aver capito che tu sei un Mezz’Elfo?”
“Un Peredhel,” la corresse lui. “Anche se nelle mie vene scorre il sangue degli Uomini, definirmi ‘Mezz’Elfo’ indicherebbe un minore retaggio elfico di quello che possiedo realmente.”
“Peredhel, allora. Anche tu hai la scelta concessa a coloro di retaggio mezzo elfico, vero? La possibilità di scegliere tra immortalità e mortalità?”
“Sì, è esatto,” rispose Elrohir, tentando di celare il disagio. Il fratello gemello di suo padre aveva scelto di vivere e morire come un comune mortale, ma lui non capiva proprio come si potesse compiere una simile scelta a sfavore dell’immortalità. Decidere di abbandonare volontariamente la famiglia e le persone care, sapendo che quella separazione sarebbe durata per sempre... non riusciva ad immaginare di compiere una scelta simile.
“Che roba,” mormorò Tofa; Elrohir non riuscì a capire dal suo tono che cosa intendesse con quelle parole. Dopo un pò, lei gli chiese: “Credo che a quest’ora Dìs si sarà calmata, tu che dici?”
Ricordando l’espressione tempestosa sul volto dell’altra Nana, Elrohir temporeggiò: “Non saprei proprio.”
“Hai ragione, dovrei darle più tempo. Penseresti che una vecchia guerriera come me abbia imparato l’arte della pazienza ormai, e invece...”
“È difficile avere pazienza quando si tratta di questioni che riguardano il cuore,” rispose Elrohir, pensando con nostalgia a Lindir.
“E chi ha detto niente di questioni di cuore?” Lui la osservò scettico e lei distolse lo sguardo. “Beh, suppongo fosse abbastanza ovvio. Forse anche per tutti quelli là dentro.”
Elrohir non riuscì a trovare una risposta diplomatica e perciò rimase in silenzio.
Tofa sospirò a lungo. “Bene, penso di aver atteso abbastanza perchè Dìs non mi uccida sul posto. Il cortile è tutto tuo,” gli disse con uno strano inchino elaborato che lui si ritrovò automaticamente a ricambiare.
Dopo che Tofa fu rientrata, Elladan lo raggiunse con tale rapidità che Elrohir sospettò il fratello fosse rimasto dietro la porta in impaziente attesa che lei se ne andasse.
“Per Arda, ma di cosa avete mai parlato tu e la mercenaria così a lungo?” gli chiese Elladan in Sindarin.
“Oh, sai: vita e morte, pazienza, amore... quel genere di cose.”
“Capisco.” Elladan gli rivolse un’occhiata scettica, ma sembrava avere a cuore argomenti ben più urgenti, perchè subito dopo disse: “Cosa ne pensi di questo piano scellerato di entrare a Erebor? Ho assicurato ai Nani il mio aiuto, ma in tutta onestà ritengo che saremo destinati a fallire.”
“Forse è così, ma non si lasceranno dissuadere. Pensi di andare lo stesso?”
“Intendo fare tutto ciò che è in mio potere per tenere in vita i parenti acquisiti di Tauriel.”
Elrohir annuì. “Io resterò qui a vegliare su di lei e accertarmi che sia al sicuro.”
Elladan lo fissò con i suoi occhi acuti. “C’è qualcosa che non mi stai dicendo. Riguardo Tauriel.”
Era ovvio che non sarebbe mai riuscito a tenere dei segreti con suo fratello gemello, men che meno se si trattava di Tauriel. “Non sono neppure certo che ci sia qualcosa.”
“Parlamene, fratello.”
“Sono preoccupato per la sua connessione con il Nano,” confessò Elrohir. “Il modo in cui lo spirito del Principe Kìli sembri disancorarsi dal corpo se Tauriel non è in contatto fisico con lui mi preoccupa molto. Ho osservato il flusso di energia che intercorre tra i loro spiriti e comincio a temere che il legame possa risucchiare le energie di Tauriel per tenere suo marito in vita.”
Elladan s’immobilizzò del tutto. “Ne sei certo?”
“Non sono certo di nulla, ma il modo in cui i loro spiriti interagiscono con la connessione mi preoccupa. Non so cosa fare.”
“Dovresti chiedere consiglio alla Nonna,” disse suo fratello con uno sguardo duro. “Non possiamo chiedere a nostro padre, ci vorrebbero settimane per mandare un corvo a Imladris e ricevere una risposta.”
Elrohir annuì. Tauriel poteva non avere le settimane di tempo che richiedeva mandare un messaggio al loro padre. Il fatto però che fosse straordinariamente difficile per entrambi mettersi in contatto con la nonna era sottinteso.
“Vai, fratello,” disse Elladan. “Io ti veglierò.”
Elrohir si sedette a gambe incrociate sul duro pavimento in pietra e rilassò il corpo e la mente, entrando in trance con la rapidità derivata da un lunga pratica. Immaginò il suo spirito assumere la forma di un falco dalle grandi ali, che cavalcava il vento sempre più in alto lasciandosi alle spalle la sporca città affollata di Uomini.
Volò a lungo sopra le alte cime degli alberi di Bosco Atro, cercando le tremolanti luci di Lothlòrien nel mondo degli spiriti; le sue ali erano esauste quando attraversò l’ampia foresta buia e la distesa desolata delle praterie e raggiunse finalmente le familiari spirali luminose della città alberata di sua nonna.
Non venne accolto alla periferia di Lothlòrien dallo spirito di lei, com’era sempre stato, e il falco dovette volare fin quasi sulla cima della sua pergola alberata prima di sentire la ricca e calda voce di Galadriel nella mente.
Uccellino mio, lo salutò lei. Sembrava stanca, la voce mentale era stranamente sommessa. Perchè hai volato così lontano e così in fretta?
Elrohir era quasi allo stremo delle forze, perciò, invece di rispondere, preferì aprire del tutto la mente al potere di sua nonna.
Ci fu una lunga pausa mentre lui rimaneva sospeso nello spazio, le sue ali battevano con tanta lentezza che non avrebbero mai sostenuto un falco vero. Quando lei parlò di nuovo, la preoccupazione nella sua voce era soffusa di divertimento. In cosa vi siete cacciati tu e tuo fratello questa volta?
Fosse stato nel suo corpo reale, Elrohir sapeva che sarebbe arrossito fino alla punta delle orecchie.
Ebbe la vaga impressione che lei lo baciasse sulla fronte. Non temere, mio caro. Vi manderò aiuto. Non siete soli.
Ma cosa dobbiamo fare nel frattempo?, le chiese, ma non era certo che la domanda le fosse arrivata. Stava iniziando a perdere la presa sulla forma del falco, il suo spirito era quasi al limite; e prima che lei rispondesse, l’invio perse tutta la coesione e lo spirito fece un brusco balzo all’indietro di centinaia di miglia, come una corda tesa che si spezza all’improvviso, atterrando nel corpo con una scossa portentosa.
Elrohir si mise a sedere ansimando in cerca d’aria; Elladan gli si accucciò accanto, posandogli una mano rassicurante sulla spalla. “Stai bene, fratello?”
Elrohir si prese la testa tra le mani e trasse dei respiri profondi fino a che il suo cuore non si fu calmato; una volta fatto ciò, rispose con voce flebile: “Nonna ha detto che manderà aiuto.”
Elladan scosse il capo. “Quale aiuto? E come? Lothlòrien dista settimane di viaggio da qui.”
“Non lo so. Non ha detto altro.”
“Bene, ma ti ha detto cosa dobbiamo fare nel frattempo?”
Elrohir si strinse nelle spalle. “Io cercherò di far sì che la connessione non danneggi irreparabilmente Tauriel mentre tu ti infiltrerai in una cittadella nemica con una manciata di Nani, uno Hobbit, l’unico figlio ed erede di Re Thranduil e tenterai di mantenerli tutti in vita fronteggiando al contempo un nemico oscuro e potente?” suggerì.
Elladan gli rivolse un’occhiata che ai tempi della loro lontana gioventù sarebbe stata foriera di una dolorosa manata alla testa o di un viaggio inaspettato fino alla pozza di fango più vicina. “Davvero di grande aiuto, fratello.”

~
 
Era scesa la notte e il gruppo che avrebbe tentato di introdursi a Erebor si raccolse nelle vecchie stanze della servitù.
Fìli e Kìli stavano avendo un’intensa, ma tranquilla conversazione in Khuzdul mentre Bilbo salutava Tauriel; nel corso del pomeriggio i due fratelli erano riusciti ad appianare le loro divergenze, con gran sollievo di Bilbo. Odiava l’idea di saperli ai ferri corti, in particolare adesso che uno dei due stava per avventurarsi in un probabile pericolo.
Cercando di ignorare la lingua che sapeva non avrebbero dovuto imparare – anche se in verità si chiedeva come potessero evitarlo, visto che i Nani insistevano a parlarla davanti a loro – lo Hobbit disse a Tauriel: “Non preoccuparti, mia cara. Saremo di ritorno prima che tu te ne accorga.”
Lei non parve rassicurata. “Fai attenzione, mellon. Non mi piace doverti mandare nel periglio senza di me. Sei troppo impaziente di gettarti in esso, Bilbo Baggins.”
Bilbo ridacchiò. “È molto gentile da parte tua, mia cara. Ma chi tra i due è davvero il più impaziente, mi chiedo?”
“Ammetterò solo che siamo entrambi egualmente spericolati.”
“E invece io penso che questa gara l’abbia vinta tu quando hai deciso di attraversare metà Terra di Mezzo da sola e a piedi.”
“Ti ho già spiegato che all’epoca mi sembrava un progetto ragionevole,” disse Tauriel. Era difficile dirlo a quella fioca luce, ma gli parve che le orecchie dell’Elfa fossero diventate più rosse.
“Ragionevole? Elfi,” sospirò Bilbo roteando gli occhi.
Tauriel s’inginocchiò con attenzione, apparendo un pò impacciata per via della gravidanza e della necessità di continuare a tenere Kìli per mano; senza smettere di parlare con il fratello, Kìli riaggiustò automaticamente la presa per aiutarla a mantenere l’equilibrio.
Tauriel abbracciò Bilbo con il braccio libero. “Qualunque cosa accada con Thorin,” bisbigliò, “ricorda che tu sei importante per tutti noi. E se il Re Sotto la Montagna dovesse maltrattarti in qualsiasi modo, dovrà scambiare due parole con me.”
Bilbo ricambiò l’abbraccio con impeto, per nascondere il fatto di avere gli occhi lucidi – ma giusto un pochettino. Poi si separò da lei e si riassettò la giacca con fare scenografico. “Molto bene! Tu pensa solo a riposare e ad impedire a quel tuo sciocco ragazzo di seguirci.”
“Ehi! Passi lo ‘sciocco’, ma il ‘ragazzo’ no,” protestò Kìli con un gran sorriso. Nonostante la differenza di statura, non fece una piega quando Tauriel gli si aggrappò per risollevarsi. Tornando serio, il Nano disse poi a Bilbo: “Quando vedrai zio Thorin, digli che il suo sciocco nipote lo considererà un vero idiota se non s’inginocchierà ai tuoi piedi implorando perdono.”
“Ah, beh... a questo penseremo una volta arrivati a destinazione,” rispose Bilbo schiarendosi la gola. Con suo ulteriore imbarazzo, anche Kìli volle abbracciarlo prima di consentirgli di raggiungere il resto del gruppo.
E così, dopo un ultimo giro di saluti, la compagnia fu in marcia.
Durante la loro fuga da Erebor, il gruppo di Fìli aveva preso due armature da guardie unite a quella che Tofa indossava quando aveva scelto di disobbedire agli ordini di Skalgar. Fìli ne indossò una dicendo che già sapeva gli sarebbe stata bene, e Dìs l’altra, con un’espressione talmente feroce che nemmeno suo figlio osò obiettare; e considerato che le uniche altre opzioni disponibili erano Bofur e Ori, nessuno dei quali particolarmente tagliato per quel compito, perfino Bilbo dovette ammettere che Dìs era la scelta migliore.
I tre Nani più Bilbo avrebbero costituito la guardia avanzata, per così dire, dato che grazie alle armature erano più difficili da individuare; il gruppo restante, composto da Bofur, Ori, Elladan e Legolas, li avrebbero seguiti non appena gli altri si fossero accertati che la via era libera.
Otto guerrieri (Bilbo presumeva di potersi considerare tale dopo tutte le sue peripezie) che si accingevano a penetrare nel cuore del covo nemico per cercare di salvare il  legittimo Re; era forse il piano meno organizzato cui lo Hobbit avesse mai preso parte, incluso quello in cui lui avrebbe dovuto sottrarre una gemma dalle grinfie di un drago. Ma, nonostante la gravità della situazione, Bilbo si ritrovò a ridacchiare tra sè e sè: eccolo lì, che stava per sottrarre un Re. Difficilmente adesso avrebbe potuto continuare a sostenere di non essere uno scassinatore.
Si ficcò i pollici nei taschini del gilet per accertarsi che il suo anello fosse ancora dove doveva essere: la sua freschezza e il peso familiari lo fecero sentire subito più rilassato.
Presero una strada attraverso Dale che era chiaramente sgombra da qualsiasi sentinella. Bard poteva anche non sostenerli apertamente, ma aveva fatto quel che poteva per sgombrare loro la via. Quando raggiunsero il cancello che avevano usato per uscire dalla città, corsero rapidamente attraverso il terreno aperto punteggiato da ruvidi arbusti che avevano caratterizzato il territorio conquistato da Smaug; dopodichè non dovevano far altro che salire un pendio roccioso al buio, evitare le sentinelle, e trovare la strada che conduceva alla porta segreta.
La combinazione della abilità elfiche e naniche si rivelò cruciale per la riuscita dell’impresa. I Nani avevano una vista notturna sorprendentemente acuta mentre gli Elfi, anche se non erano altrettanto abili a vedere al buio, avevano un udito sopraffino. Una volta che Nani ed Elfi ebbero smesso di guardarsi in cagnesco e iniziarono a collaborare, la scalata del pendio verso la porta segreta fu effettuata con facilità e sicurezza.
Fuggendo da Erebor, Fìli, Ori e Tofa avevano bloccato la porta con una roccia; ora scivolarono silenziosamente all’interno per la seconda volta nella vita di Bilbo, il quale sperò ardentemente di non doverlo più rifare.
Fìli fece per calciare via la roccia e chiudere la porta, ma Ori lo bloccò.
“No, fermo!” esclamò. “Dobbiamo lasciarla aperta per Nori!”
Bilbo vide benissimo che Fìli non credeva che Nori li avrebbe raggiunti, ma non voleva dirlo all’amico.
“Concordo che dovremmo lasciarla aperta,” intervenne Dìs. “Se qualcosa a Dale dovesse andare terribilmente storto, Kìli potrebbe dover fuggire a Erebor e la porta gli servirà per entrare.”
Deciso questo, proseguirono lungo il corridoio verso la seconda porta. Durante la fuga, Fìli e Tofa l’avevano bloccata mettendo un cuneo nella cerniera, e lì lo lasciarono per impedirle di chiudersi. Quando terminarono la scalata degli apparentemente infiniti gradini che conducevano agli appartamenti reali, a Bilbo dolevano le gambe.
Elladan restò accucciato presso la porta che sigillava il passaggio per diversi minuti, in ascolto di qualunque suono provenisse dall’altra parte; alla fine fece un breve cenno col capo e Fìli la aprì.
Nel corridoio non si udiva alcun rumore. Fìli si arrischiò a sbirciare da una parte e dall’altra, e finalmente fece un cenno con la mano che Tofa tradusse per i non-Nani: “Via libera.”
Scivolarono tutti al di qua della porta e la lasciarono chiudersi. Fìli e Dìs rivelarono agli altri la sequenza in cui dovevano essere premute le stelle del bassorilievo per riaprirla, dato che non potevano rischiare di lasciarla aperta come avevano fatto con le altre due.
Dìs si mise in testa al gruppo, poichè era quella che aveva l’idea più chiara della topografia degli appartamenti reali. Li condusse lungo uno stretto corridoio il cui ingresso era seminascosto da una colonna scolpita, e Bilbo pensò che doveva essere un passaggio utilizzato a suo tempo dalla servitù. Al termine del corridoio Dìs fece cenno agli altri di restare lì, parzialmente nascosti da un pilastro, mentre lei, Fìli, Bilbo e Tofa andavano avanti.
Gli appartamenti reali consistevano in un vasto labirinto con camere comunicanti riccamente decorate, dove la famiglia reale risiedeva quotidianamente e gli affari minori del regno venivano trattati dal Re e dai suoi più stretti collaboratori. Sapevano che il figlio di Dàin era rimasto a governare i Colli Ferrosi in assenza del padre, perciò l’unica persona che era più probabile vivesse lì, a parte lo stesso Dàin, era Skalgar.
In precedenza avevano discusso su quali stanze avessero più possibilità di trovare Dàin di notte e alla fine si erano accordati su tre: la stanza che Thrain aveva usato come studio personale, la Camera di Consiglio, o la camera reale vera e propria. Dopo un’altra piccola discussione, decisero di ispezionare per prima la camera da letto. Prevedevano di trovarla presidiata, ma invece non si vedeva alcuna guardia fuori dalla doppia porta incrostata d’oro.
“È arrivata l’ora della tua magia Hobbit,” disse Fìli in un bisbiglio appena udibile.
Bilbo trasse un respiro profondo, si mise una mano in tasca e s’infilò l’anello il più segretamente che potè: subito si ritrovò immerso nella strana atmosfera grigia e ovattata che vedeva ogni volta che lo indossava.
Pensò brevemente che, se mai qualcuno della Compagnia incontrasse un altro Hobbit e pretendesse di veder svanire anche lui per effetto della sua supposta ‘magia’, sarebbe stato difficile spiegare come stavano realmente le cose. Ma supponeva di potersene preoccupare un’altra volta... sempre che fossero riusciti ad uscire vivi da quella situazione.
Bilbo aprì la porta quel tanto che bastava per poter scivolare all’interno, sentendosi terribilmente esposto nonostante l’invisibilità. La stanza era illuminata da un singola lampada a olio: lo stoppino era molto consumato e l’ambiente appariva enorme e indistinto. Cominciò a dare un’occhiata in giro, aspettandosi in ogni momento di urtare qualcosa e attirare così le guardie.
Riuscì a malapena a trattenere un’esclamazione di sorpresa quando il suo piede trovò qualcosa di grande e solido celato dalla penombra. Si chinò a guardare da vicino e si accorse che si trattava di un Nano: indossava l’armatura delle guardie di Dàin e giaceva sul pavimento ad occhi chiusi. Non si era mosso neanche dopo la sua pedata, che pure era stata piuttosto forte.
Bilbo doveva essersi lasciato sfuggire un verso di qualche tipo, perchè subito la porta si spalancò e il resto del gruppo irruppe nella stanza con le armi spianate.
“Bilbo, stai bene?” sibilò Bofur.
“Sì, io sì, ma questo tipo mi sa di no. È... è morto?”
Elladan s’inginocchiò accanto al corpo, lasciando sospesa una mano a pochi centimetri dal petto e chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio; Bilbo trattenne il respiro.
Finalmente, l’Elfo si risollevò a guardarli con occhi cupi. “Il Nano è vivo, ma temo non lo sarà ancora per molto. Il suo fae è stato completamente separato dal corpo e le sue condizioni sono gravemente compromesse.”
“Questo è ciò che hanno tentato di fare a mio figlio, vero?” mormorò Dìs con un’espressione orripilata.
“Credo di sì,” confermò Elladan. “Sospetto che questo è proprio ciò che sarebbe accaduto al Principe Kìli se il suo faelif non avesse continuato a tenere lo spirito legato a questa esistenza. Il corpo di questo Nano ormai è solo un guscio vuoto. Senza il fae, egli avvizzirà e morrà entro pochi giorni.”
Inginocchiandosi presso il corpo, Fìli accennò a Tofa di avvicinarsi. “Non è la guardia che stava davanti alla porta della cella di Kìli?”
Dall’espressione pentita e nauseata che le attraversò i lineamenti, Bilbò capì che la donna lo aveva riconosciuto. “Sì, è proprio lui. Giocavamo a carte insieme. Sapevo che sarebbe stato punito per la vostra fuga, ma non credevo che...” Guardando poi Elladan, gli chiese: “Non c’è proprio niente che puoi fare per lui?”
“È una cosa che va oltre le mie possibilità.” Rialzatosi, il signore elfico aggiunse lentamente: “Non sono neppure certo che mio padre potrebbe curarlo. Qui vi è qualcosa all’opera di ben più potente per poter essere giustificato da una semplice pozione.”
“Come può Skalgar avere il potere di fare questo?” domandò Fìli. “Chi è?”
Bilbo lo guardò. “Credo che la domanda che dovremmo porci a questo punto sia piuttosto: che cosa è?”

~
 
La porta dell’ala della servitù si richiuse dietro al gruppo di Nani, Elfi e dello Hobbit che partivano, e all’improvviso sembrò molto silenzioso con solo loro tre rimasti.
Elrohir s’inchinò cortesemente e si scusò, dicendo che aveva bisogno di meditare. Tauriel apprezzò la sua discrezione: le sembrava fossero trascorsi secoli da che era potuta restare da sola con il suo amato.
Rimasti soli, avvicinarono le fronti fino a toccarsi nella maniera nanica e restarono così per un pò, ciascuno respirando l’aria dell’altro; alla fine, Kìli sospirò e disse: “Odio essere lasciato indietro.”
Tauriel sentì un moto di tenerezza per lui. “Lo so. Pesa anche a me, meleth nin.”
Lui le diede un rapido bacio prima che si separassero. “C’è qualcosa che vuoi mostrarmi, vero?”
“Sì, infatti. Come l’hai indovinato?” chiese Tauriel guidandolo verso il tavolo della cucina e tenendolo per entrambe le mani.
Lui ghignò. “Ti ho letto nel pensiero.”
Lei roteò gli occhi al suo scherzo. “Però è vero, c’è qualcosa che voglio mostrarti. Ho chiesto a tua madre degli usi matrimoniali presso il vostro popolo.”
“E lei te ne ha parlato? Devi piacerle davvero molto.” Kìli deviò il loro percorso verso il tappeto davanti al camino, dove la aiutò a sedersi con tanta scioltezza che sembrava avessero compiuto quel gesto migliaia di altre volte. Si sedettero dunque a gambe incrociate, con le ginocchia unite e le mani – sempre allacciate – poggiate su una gamba di Tauriel.
“Lo spero. Non sembra odiarmi, ad ogni buon conto.” Con un moto di apprensione Tauriel s’infilò una mano in tasca, cercando con le dita la superficie di un fermaglio scolpito. Lei non aveva mai scolpito niente in vita sua e temeva che il risultato sarebbe parso grezzo e dilettantesco agli occhi di un Nano.
“Sono sicuro che è perfetto,” disse Kìli passandole la mano libera tra i capelli; le sue dita trovarono la treccia che le partiva dalla tempia e ne seguirono il contorno fino all’estremità, dov’era chiusa dal fermaglio matrimoniale che vi aveva apposto lui.
“Ma come fai a sapere che si tratta– ah, eccolo qui,” disse Tauriel, distraendosi quando ebbe localizzato il fermaglio sul fondo della tasca. “Spero sia accettabile. Tua madre mi ha spiegato ciò che i simboli dovevano indicare e come realizzarli.”
E tese una mano, nel cui palmo brillava il piccolo fermaglio di pietra verde. Kìli lo prese con sorprendente delicatezza, rigirandolo da tutte le parti per vedere gli intagli. “Oh, gimlinh,” mormorò.
“Va bene?” chiese lei, mordendosi nervosamente un labbro.
Un gran sorriso gioioso si dipinse sul volto di Kìli. “Se va bene? È perfetto.” Si sporse su di lei e si baciarono a lungo. “Assolutamente perfetto,” sussurrò poi, senza quasi separare le labbra dalle sue. “Mettimelo tu.”
Tauriel s’immobilizzò per un istante quando si rese conto che le servivano entrambe le mani per fargli la treccia. Kìli ridacchiò e le lasciò andare la mano, posando la propria sul ginocchio di lei per continuare a restare in contatto. Quando lei iniziò ad intrecciargli una ciocca di capelli, vicino all’orecchio, Kìli sollevò il fermaglio nella mano destra e lo guardò ancora per bene. “Cosa significano i simboli che hai scelto?”
“L’agrifoglio simboleggia il mio clan e la foglia di quercia la foresta in cui sono nata. E sull’altro lato, dove ci sono un arco e una freccia sotto una stella, quello è il simbolo che ho scelto come mio personale. So che hai detto che non importava se non avevo un fermaglio da apporre sui tuoi capelli, ma, dopo aver visto quanto era importante per tua madre, ho capito che aveva un significato più profondo di quanto pensassi.” Terminò la treccia e prese il fermaglio per chiuderla, incespicando un pò con le dita finchè non si fu assicurata che tenesse bene.
Quando ebbe finito, Kìli lo toccò con un’espressione di meraviglia. “Amrâlimê,” sussurrò, immergendo le dita tra i suoi capelli e tirandola a sè per baciarla. Tauriel chiuse gli occhi e ricambiò teneramente il bacio, avvertendo crescere in sé una passione bruciante che la lasciava senza fiato.
In quel momento la porta della cucina si aprì quasi senza rumore; i due si voltarono e videro Nori che entrava e richiudeva la porta.
“Dov’è la Principessa Dìs?” chiese il Nano. I suoi capelli non erano più acconciati nei soliti tre rigonfiamenti, ma in tre semplici trecce e spalmati di una qualche misteriosa sostanza marrone scuro.
“Sono andati tutti a Erebor,” rispose Tauriel.
“E voi due piccioncini siete rimasti qui da soli?”
“No, Lord Elrohir è rimasto con noi.”
La smorfia che apparve sul volto di Nori la diceva lunga sul suo pensiero in proposito. “Da quanto tempo se ne sono andati?”
“Ormai sarà quasi un’ora. Che succede, Nori?” chiese Kìli.
“Che il resto della Compagnia è finito in prigione, ecco che succede.”
“Cosa? Com’è potuto accadere?”
“Grazie a tuo cugino Dàin, ovviamente.” Nori prese a camminare avanti e indietro con un’espressione frustrata. “Sono andato a Erebor – sì, ho mentito sull’investigare a Dale, sono certo che tua madre mi metterà sui carboni ardenti quando lo saprà – e sono riuscito a mettermi in contatto con certi miei conoscenti, che si guadagnano da vivere scovando tutti quei segreti che gli altri vorrebbero restassero segreti. È così che ho scoperto che i membri restanti della Compagnia sono stati arrestati ieri con l’accusa di tradimento.”
“Tradimento?!” esclamò Kìli. “Come ha potuto permetterlo Dàin?”
“È il Re. O almeno lo è per il momento,” aggiunse Nori minacciosamente e toccando l’elsa del suo unico coltello visibile (Tauriel aveva avuto modo di imparare, durante il loro viaggio, che il Nano teneva un gran numero di coltelli nascosti sulla propria persona). “Il mio contatto dice che la sentenza di morte sarà eseguita all’alba.”
“Cosa? Sentenza di morte?” esclamò Tauriel. Si sentiva male alla sola idea.
“Dobbiamo salvarli,” affermò Kìli balzando in piedi e porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
“Puoi scommetterci che dobbiamo,” ringhiò Nori.
Dopo aver rapidamente spiegato la situazione ad Elrohir, si radunarono intorno al tavolo per organizzare un piano.
“So dove li tengono e so come raggiungerli senza farci scoprire dalle guardie,” cominciò Nori. “Una volta liberata la Compagnia, dovremo fuggire da Erebor usando il passaggio segreto.”
“E come facciamo ad arrivarci?” chiese Kìli. “Non penso che le prigioni siano facilmente raggiungibili dagli appartamenti reali o dalla tesoreria, che sono gli unici posti in cui sappiamo conduce il passaggio segreto.”
“Ah, ma quelli non sono gli unici posti. Mentre Thorin era occupato a contare il suo tesoro e a cercare l’Archengemma – nonchè a struggersi per il suo Hobbit – io mi sono preso un pò di tempo per esplorare. Posso portarvi a un tiro di schioppo dalle prigioni, non dubitare.”
“Sto cominciando a chiedermi quanti passaggi segreti il mio bisnonno abbia fatto costruire,” disse Kìli. “L’intera montagna sembra esserne lastricata.”
“Io ne ho scoperti solo una manciata. Finora,” aggiunse Nori strizzando un occhio.
“Oh, questo è molto rassicurante.”
“Allora il piano è chiaro,” riassunse Tauriel. “Partiremo per Erebor tutti insieme, non appena le guardie mandate da Bard torneranno alle loro postazioni.”
“Concordo,” disse Elrohir.
Puntando un dito verso Kìli, Nori domandò: “Non è che cascherai in terra come una pera matura non appena voi piccioncini smetterete di tenervi per mano?”
“A quanto pare abbiamo un margine di cinque minuti,” rispose Tauriel dopo aver rivolto un’occhiata ansiosa a suo marito. “Più o meno.”
“Non preoccuparti, gimlinh,” disse lui. “Basterà che rimaniamo insieme e andrà tutto bene. Mi assicurerò che non ti succeda niente.”
“Io mi assicurerò che non succeda niente a te,” rispose lei con fermezza.
Nori roteò gli occhi. “E io mi assicurerò che non succeda niente a me. Benissimo,” aggiunse poi con entusiasmo palesemente finto. “Andiamo a salvare la Compagnia prima che la Principessa Dìs mi uccida per avervi messo in pericolo!”
  
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