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Autore: CallMeSana    28/08/2015    1 recensioni
"La vita è così difficile solo quando si è bambini?" chiese con la voce rotta mentre si tamponava il sangue che gli usciva dal naso.
"Lo è sempre."
Léon!AU § Léon!Louis Mathilda!Harry - metà anni '90
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era un'altra frenetica giornata, a New York.
Le strade erano stracolme di auto che correvano, come al solito, da una parte all'altra, mentre sui marciapiedi signori e signore distinti tenevano nota nei loro taccuini dei vari appuntamenti che li aspettavano.
Se la città fosse tutta così, nessuno si lamenterebbe della propria vita, anche se monotona nella sua frenesia.
Se la città fosse tutta così, probabilmente dovremmo andare da qualche altra parte per cercare qualcosa di interessante, davvero interessante, da raccontare.

New York, come tutte le città, non era completamente rose e fiori. Già, c'era cascata anche lei.
Siamo arrivati nella sua chinatown per notare come anche qui la gente vada avanti con frenesia, ma per scampare a qualche poliziotto o riuscire bene in uno scippo.

In un bar malfamato, stava entrando un tipo serio, come lo avevano definito più volte nell'ambiente, ma che Toni conosceva bene e accoglieva sempre come un figlio.
In effetti ci stava entrando proprio per questo motivo, anche se non l'avrebbe mai ammesso.

I convenevoli erano inutili, lì non c'era nessun signore distinto, né tantomeno lui lo era, quindi, nel suo completo nero, comprensivo di cappello e occhiali scuri anch'essi, l'uomo serio si sedette al primo tavolo comodo disponibile e aspettò.

"Questo è l'obiettivo, sarà una passeggiata per te. Un colpo solo e il messaggio sarà recapitato. Sei libero martedì?"

Il buon vecchio Toni era davvero l'unica persona di cui Louis si fidasse. 
Nonostante la gentaglia che si aggirava continuamente nel suo bar, era l'unico che non faceva domande sulle sue strane abitudini, l'unico che lo accoglieva con un bicchiere di latte fresco e faceva in modo di tenerlo in allenamento.
Certo, probabilmente era proprio perché abituato a gente come lui se stava zitto e fingeva di approvare.
Perché Louis era un killer di professione, il cui unico affetto pareva essere una pianta che spesso curava meglio di se stesso.
O forse sempre, a giudicare dalla poca cura che dava alle innumerevoli ferite che ricavava durante i suoi turni di 'pulizia'.

"Sì, sono libero martedì" si limitò a rispondere, mandando giù tutto d'un sorso quel bicchiere prima di tornare in silenzio verso il suo appartamento, che si trovava all'interno di un palazzo malfamato quanto bastava per far rizzare i capelli di qualunque signorina distinta. 
Ideale per una persona seria.

Anche quella mattina, Harry aveva saltato la scuola, e se ne stava appollaiato sulle scale di fianco alla porta di casa a fumare una sigaretta, incurante della possibilità che qualcuno - ad esempio suo padre - potesse vederlo.
Incurante perché non gliene sarebbe potuto importare di meno, tanto ogni scusa era buona per picchiarlo. 
Louis lo sapeva, del resto era il suo vicino di casa, e ormai aveva perso il conto delle volte in cui aveva sentito urla provenire da quella porta e quel ragazzino di appena dodici anni scappare via col sangue a colargli sul viso.
Lo sapeva, ma non era affari suoi, si ripeteva come scusa, mentre li osservava continuamente dallo spioncino e si assicurava, inconsciamente, che Harry fosse, in qualche modo, ancora tutto intero.

"Dovresti smettere di fumare" gli ripetè quando, tornando a casa, lo trovò sempre lì, sempre su quella scala, con le gambe magre penzoloni dalla ringhiera e la sigaretta in bocca.
"E a te che importa?" gli rispose Harry, guardandolo con aria di sufficienza, sperando non notasse l'enorme macchia scura che gli ricopriva metà guancia.
"N-niente" si ritrova spiazzato a rispondere perché non era per niente bravo a fare conversazione, figuriamoci con dei ragazzini.
Harry sbuffò facendo un altro tiro, mentre Louis si voltò e si diresse al suo appartamento e dalla sua pianta. Sembrava davvero l'unica cosa che contasse per lui.

Il fatto è che Louis non era sempre stato così, nel senso che non c'era mica nato. Aveva una vita, una volta, una donna, e le prospettive per un futuro felice, fino a quando quella donna e quell'amore totalizzante gli erano stati portati via con la forza.
E' facile finire nel baratro quando perdi totalmente fiducia nella vita e nel mondo, e a Louis era successo proprio questo, solo che, ormai, nemmeno lo considerava più un problema.
Ormai la sua vita passata era diventata qualcosa che non c'era mai stato, quindi se ne stava lì, assicurandosi di avere sempre il latte in frigo e che la sua pianta fosse abbeverata e godesse della luce giusta.

Era incredibile come la famiglia di Harry non si preoccupasse minimamente di lui. 
Quel pomeriggio, il telefono prese a squillare incessantemente, ma nessuno gli diede retta: sua sorella era troppo impegnata a seguire le lezioni di aerobica alla tv e sua madre troppo concentrata a rendersi presentabile per quel che aveva il coraggio di definire lavoro.
Squillava, poi smetteva, poi ricominciava, e nemmeno suo padre sembrava intenzionato a rispondere, troppo preso dalle sue losche macchinazioni.
Harry si guardava intorno schifato quando, sbuffando ulteriormente, prese la cornetta e azzardò un brontolante "pronto?"
"Sì, signora, sono la direttrice della scuola di suo figlio Harry. Volevo informarla che i voti del ragazzo stavano finalmente avendo un leggero miglioramento rispetto allo scorso quadrimestre, ma se si ostina a saltare le lezioni saremo costretti ad espellerlo."
La donna parlava, e per Harry niente di ciò che stava dicendo aveva senso o importanza.
"E' morto" disse quindi, chiudendo la comunicazione e trattenendo una lacrima.
Non sapeva da dove venisse questo stato di totale apatia, si aspettava che ben presto avrebbe trovato il modo di prendere la sua sorellina e scappare via da quello schifo, non appena fosse stata autosufficiente per non farlo impazzire troppo.
Gemma aveva solo quattro anni, e Harry era ancora troppo piccolo pure lui anche solo per pensare ad un modo, uno qualsiasi, per guadagnare soldi e scappare.
Odiava la sua famiglia e, se non fosse stato per Gemma, probabilmente sarebbe già in mezzo alla strada o chissà dove altro pur di non essere lì.
Resisteva per lei, almeno fino alla mattina più brutta della sua intera esistenza.

A New York puoi trovare di tutto, puoi imbatterti in chiunque e non restarne meravigliato. Quando il signor Styles aveva deciso che il modo più veloce per sfamare la sua famiglia fosse darsi allo spaccio di droga, avrebbe dovuto considerare con chi si metteva.
Ben Winston era un ispettore di polizia, ma anche la persona più corrotta di tutta la città, e il padre di Harry avrebbe dovuto ragionare bene prima di pensare, anche solo per sbaglio, di fregarlo.
Avrebbe dovuto immaginare che non l'avrebbe passata liscia.
Quella mattina, il ragazzo era di nuovo su quel pianerottolo, gambe sempre più magre penzoloni e sguardo perso, del tutto incurante della presenza di suo padre lì a pochi metri che discuteva con l'uomo il cui volto l'avrebbe ossessionato per tanto tempo.
Era troppo piccolo, Harry, per capire. Quindi, quando Louis, come ogni volta, alla stessa ora, tornò a casa e lo trovò lì, col volto sanguinante perché suo padre l'aveva scoperto a fumare e non aveva gradito, gli venne naturale porgli un fazzoletto.

"La vita è così difficile solo quando si è bambini?" chiese con la voce rotta mentre si tamponava il sangue che gli usciva dal naso.
"Lo è sempre."
Harry aveva uno sguardo che, Louis giurò, non aveva mai visto in nessuno della sua età.
Gli faceva paura, ma si diceva che non gliene doveva importare, che non era un problema suo.
Harry, nel frattempo, continuava a tamponarsi il sangue meglio che poteva, quando Louis gli disse "tienilo il fazzoletto" e si allontanò.
"Vuoi che ti compri il latte? Un litro o due? Sono due, vero?"
E, per la prima volta, Louis restò a bocca spalancata, non sapendo cosa dire, come rispondere.
Come faceva, come faceva quel ragazzino a cambiare espressione, tono di voce, tutto, nel giro di pochi secondi?
Gli faceva sul serio paura.

Harry andava sempre in quel piccolo mini market perché era poco lontano da casa e il vecchio negoziante non gli rivolgeva mai la parola se non per dirgli quanto gli doveva.
Fondamentalmente farsi gli affari propri era l'unico modo per campare a lungo, in quel quartiere.
A Harry, comunque, non importava, perché non era interessato a fare conversazione con nessuno.
A parte Gemma.
A parte Louis.

E' strano come pochi minuti possano cambiare la vita di una persona, è beffardo il destino che si prende gioco di te. 
Probabilmente era questo che pensava Harry quando, con la non troppo grande busta della spesa tra le braccia, salì le scale che lo portava al suo appartamento e si accorse che non ne era rimasto più niente.
Solo legno bucherellato, porte spaccate e pavimenti sporchi di sangue.
Non aveva pensato subito che, inconsciamente, Louis gli avesse salvato la vita, ma gli erano venuti gli occhi lucidi quando aveva sentito la voce dello scagnozzo di Ben Winston comunicargli di aver ucciso una bambina di quattro anni, facendolo infuriare perché "era una bambina, cazzo, non si toccano i bambini!"
Gli erano venuti gli occhi lucidi e rossi e, mentre camminava dritto, fingendo di non sapere chi fossero quelle persone che si aggiravano per casa sua alla ricerca di chissà che cosa, si ripeteva nella testa che no, che non era stato un buon fratello. Che Gemma era morta per colpa di quella merda di suo padre e per colpa sua che non c'era stato nel momento in cui ne aveva più bisogno.
Aveva gli occhi rossi e lucidi a tal punto da avere difficoltà a trovare quel fottuto campanello.
Suonò. Una, due volte, ma Louis era diffidente, era un sicario, non si fidava di nessuno, figuriamoci di un dodicenne a cui avevano appena sterminato la famiglia.
Quindi lo guardava dallo spioncino, lo sguardo triste, la busta della spesa sempre stretta tra le braccia e le lacrime che, finalmente, iniziavano a scendere.
"La prego, apra la porta" diceva con un fil di voce mentre continuava a premere quello stramaledetto campanello, e Louis lo spiava ponendosi mille domande che trovarono una sola risposta: non avrebbe permesso a quella gente di toccarlo.
Non prima di lui, almeno.
"La prego."
Andiamo Louis, da qualche parte un pezzetto di cuore ti sarà pur rimasto.
Aprì la porta su un piangente Harry che sbattè gli occhi incredulo. Aprì la porta e lo fece entrare.
Il ragazzino poggiò la busta sul primo tavolo che trovò e si sedette guardando nel vuoto, mentre Louis richiudeva la porta e continuava ad osservare la scena sul pianerottolo dallo spioncino.
Cercava di apparire normale, ci provava perché sapeva di aver fatto una enorme cazzata a far entrare il ragazzo in casa sua.
Cercava di apparire normale mentre pensava già ad un modo per sbarazzarsene, sapendo che non ne conosceva nemmeno uno che non prevedesse la sua sparizione totale.
Dalla vita, intendo.

"Devi andartene."
Ecco, questo era il pezzetto di cuore che gli batteva nel petto a parlare.
Harry aveva ancora lo sguardo assente, e Louis sospirò mentre pensava che forse doveva ripetergli ciò che aveva detto, che forse non gli avrebbe fatto tanta paura quello sguardo.
"Devi andartene, non hai nessuno?" chiese, quasi speranzoso.
Harry scosse la testa, sempre con quella espressione angosciante stampata in faccia. I brividi che percorrevano la schiena di Louis, cosa parecchio inusuale per lui.
"Beh... non puoi stare qui" gli aveva annunciato categorico, ma con un leggero tremore nella voce. Non era una persona loquace, Louis, questo si era capito, a stento era in grado di formulare delle intere frasi di senso compiuto, a senso sapeva leggere e scrivere.
"Come ti chiami?" gli chiese, alzando finalmente lo sguardo nella sua direzione, gli occhi verdi totalmente liquidi.
"Louis, mi chiamo Louis" rispose, mentre beveva un po' del suo latte.
"Che nome del cazzo" esclamò Harry, facendolo sputare, e continuò chiedendo "che cosa fai per vivere, Louis?" 
Era sul serio curioso, sebbene sapesse già la risposta a quella domanda, e Louis non era stupido, l'aveva capito dal modo subdolo in cui lo guardava.
Non c'era un briciolo di innocenza in lui.
"Faccio le pulizie." Un modo carino per dire ammazzo la gente.
"Insegnami. Insegnami a pulire, aiutami a..." Louis lo interruppe, aspettandosi tutto quello.
"Senti, ragazzino, mi dispiace per la tua famiglia ma... questa non è una soluzione, uccidere quella gente non li riporterà indietro, hai dodici anni, sei un bambino, dovresti essere a scuola, non qui a..." si interruppe a sua volta. Si interruppe perché lo stava guardando che aveva ricominciato a piangere e si era detto che non parlava così a lungo da troppo tempo e non era abituato.
"Cosa vuoi che mi importi di quei porci? Mio padre era uno schifo, mia madre non era nemmeno mia madre e mia sorella... beh, lei voleva solo dimagrire."
"E allora che cosa vuoi...?"
"Harry, mi chiamo Harry, e sono arrabbiato," gli disse singhiozzando, "perché hanno ucciso la mia sorellina. Lei che cosa centrava? Aveva solo quattro anni!"
E fu in quel momento che nella testa di Louis qualcosa si illuminò, come un campanello d'allarme.
Doveva assolutamente liberarsi di lui, non c'era altra soluzione.
E doveva farlo al più presto.

Si dice che la notte porti consiglio, che aiuti a farti prendere le decisioni giuste e ad affrontare al meglio la nuova giornata.
Louis, però, la notte non dormiva mai, non con entrambi gli occhi, almeno.
Se ne stava seduto su quella poltrona malmessa che dio solo sa da quanti anni si trovasse in quell'appartamento, con la pistola in mano, al buio, e con un occhio aperto, mentre l'altro riposava.
Aveva detto al ragazzino che avrebbe potuto dormire tranquillamente nel suo letto, poi il giorno dopo avrebbe iniziato ad insegnargli come fare le pulizie.
Più che altro glielo aveva detto perché lui non si sdraiava su quel letto da talmente tanto tempo che a stento lo ricordava.
Harry lo aveva guardato, mentre si rannicchiava sotto quelle coperte morbide e affondava la testa nel cuscino, e Louis, per l'ennesima volta, lo aveva osservato intimorito, una cosa che cominciava a dargli molto fastidio. 
Lui non si lasciava intimorire mai.
Da nessuno.
"Sei stato davvero buono con me, Louis, e questa è una cosa che non capita spesso" gli aveva detto allungando un braccio per prendergli la mano. Louis rabbrividì al contatto, perché non era abituato alle carezze, ma anche perché quella mano era talmente piccola da scomparire nella sua, e si era sentito stranamente debole.
Debole quando si avvicinò al letto di soppiatto mentre dormiva e gli puntò la pistola alla tempia ripetendosi che non poteva prendersi cura di lui.
Debole quando, mentre caricava il grilletto, sentiva la voce del vecchio Toni ripetergli "niente donne e bambini".
Debole quando lo vide sospirare e lo trovò del tutto innocente.
Debole quando se ne tornò a dormire con un occhio solo sulla sua poltrona senza aver concluso nulla.

Al mattino, Harry si era svegliato molto presto ed era già da un bel pezzo che saltellava per casa rovistando nell'armadio di Louis. Era strano come ne tirò fuori cose che per un uomo potevano ritenersi alquanto improbabili, come ad esempio fasce per capelli, foulard colorati e rossetti.
Chissà se aveva capito che quella casa non era sua, chissà se se lo era chiesto. 
A Louis non importava, non importava nulla di quello che pensava Harry.
Il bicchiere di latte era stato bevuto tutto d'un fiato e per Louis solo in quel momento sarebbe potuta iniziare la giornata.
Harry, invece, di bere latte era proprio stanco.

"A chi devo sparare?" chiese tranquillamente il ragazzo, come se si stesse informando sul tempo o su un vecchio amico, mentre se ne stavano sdraiati sul tetto del palazzo con un fucile di precisione puntato verso la folla in strada.
"Chiunque" aveva risposto Louis. 
Harry tolse il coperchio dal mirino, ma subito Louis lo ricoprì quasi deluso da quel gesto istintivo.
"Non aprirlo mai subito, perché il riflesso del sole potrebbe farti scoprire, ricordalo. Fallo sempre all'ultimo momento." Ed era serio mentre lo diceva, professionale, come se ci credesse davvero.
Come se volesse davvero trasformare quel ragazzino che fumava di nascosto dal padre morto ammazzato in un killer.
"Ok" aveva detto annuendo, prima di puntare un uomo di mezza età che si preparava a fare un po' di corsa nel giardinetto lì di fronte. Sparò la sua pallina di vernice rossa che lo colpì allo stomaco e il sorriso fiero che tirò fuori fece venire un colpo a Louis.
Non sapeva bene dove, ma fu comunque un colpo.
"La prossima volta voglio che usiamo i proiettili veri" disse tranquillo, mentre si rialzava e raccoglieva il telo e i piccoli cuscinetti che avevano usato per poggiarsi.
Louis non gli rispose nemmeno, si limitò ad assicurare il fucile tra le sue braccia e a tornare dentro casa.
Non sapeva che dirgli, in fondo.

E' normale, quando vivi con qualcuno di nuovo, scoprire continuamente cose sul suo conto. Harry e Louis avevano già scoperto le peggiori di entrambi, eppure sembravano conviverci bene.
Rientrando in casa, trovarono un bigliettino vicino alla porta. Non era niente di che, probabilmente era scivolato a qualcuno, ma Harry era troppo curioso e l'aveva dato a Louis che lo guardò come un oggetto non identificato. 
Lo fece sorridere.
"Tu non sai leggere" esclamò, e Louis provò a restare serio, a non vergognarsene.
"Non ho mai avuto il tempo di imparare" rispose balbettando. Che diamine, era un uomo, aveva visto e fatto le cose peggiori, perché un dodicenne riusciva a tenergli testa e metterlo in imbarazzo?
"Facciamo un patto" propose Harry con voce squillante "tu mi insegnerai a fare le pulizie sul serio, in cambio io ti farò la spesa e ti insegnerò a leggere e scrivere, cosa ne dici?"
Louis non rispose, sapeva di non avere scampo. Harry, quindi, corse ad abbracciarlo, sorprendendolo. Non sapeva davvero più come comportarsi.

Così cominciò la routine, tra allenamenti, litri di latte e lezioni di grammatica.
Harry si rese conto presto che non era poi così divertente come pensava, si alzava sempre troppo presto ed era sempre più stanco, quindi propose un gioco.
"Gemma rideva sempre tantissimo quando mi travestivo. Dai, Louis, è facile, io mi travesto e tu devi indovinare chi sono, sarà divertente."
Stava davvero succedendo? Glielo stava davvero lasciando fare?
Se lo domandò tutto il tempo che spesero in quell'assurdo gioco di cui lui non aveva mai sentito parlare prima.
Se lo domandò mentre lo guardava cambiare aspetto, anche se blandamente, davanti a lui e intenerirsi per la passione che ci metteva.
Forse si stava rammollendo.
O forse no.
Quando finirono, con una vittoria schiacciante del più piccolo di casa (Louis non conosceva proprio nessuno), il sicario si ricordò di aver trascurato anche troppo la sua pianta. Harry se ne accorse, la trattava come una figlia.
"E' proprio come me" aveva detto, mentre la innaffiava "senza radici, senza padroni. La innaffio perché è l'unica amica che ho e voglio che cresca."
"E' me che devi innaffiare se vuoi che cresca" disse all'improvviso Harry guardandolo languidamente. Louis, di nuovo, non disse nulla.
"Dovresti riposare" suggerì.
"Non mi importa di dormire, voglio solo amore o morte, e basta." Louis sbuffò.
"Lasciami in pace, Harry, ne ho abbastanza dei tuoi giochetti."
E fu lì che successe. La prima volta che riconobbe se stesso in Harry, quando il ragazzino prese la pistola e si mise a sparare all'impazzata dalla finestra, non ottenendo niente se non il farsi cacciare dal palazzo e un Louis più indispettito da quello che dallo sguardo supponente che gli lanciò subito dopo.
Poggiando la pistola sul tavolo e sentendosi forte nell'aver provocato una potenziale strage.

Louis non andava dal vecchio Toni da quello strano martedì, se n'era accorto anche il barista, come si era accorto di quanto fosse cambiato dall'ultima volta.
"So che non ti ho mai chiesto nulla, e so che i miei soldi sono in buone mani ma... mi servono, Toni" aveva detto, i gomiti sul tavolo, le mani intrecciate tra loro.
Toni aveva visto Harry fuori al bar, aveva capito la ragione di tutto. Stava succedendo di nuovo.
"Devi stare attento, amico mio" gli aveva detto soltanto, mentre Louis nemmeno lo guardava più, troppo occupato ad osservare il ragazzo sconosciuto che offriva una sigaretta a Harry.
"Sì, scusami un attimo" disse alzandosi di fretta e correndo fuori per prenderlo da un braccio e allontanarlo dallo sconosciuto.
"Ehi, stai calmo Lou, stavo solo fumando una paglia" gli disse scocciato, lo sguardo strafottente.
"Non puoi dare retta a tutti, Harry, non posso pensare sempre anche a te, hai capito?" E da quando era rilevante, non se lo stava affatto domandando.
"Ok."
"E non parlare in quel modo, non è carino" continuò.
"Ok."
"E smettila di rispondere ok a tutto" adesso urlò.
"Ok."
Seguirono momenti di silenzio in cui Louis desiderò prenderlo a schiaffi, ma poi sarebbe passato dalla parte del torto, quindi non fece nulla.
"Esco tra cinque minuti, mettiti dove posso vederti."
Harry stavolta annuì soltanto mentre rientrava.
"Devi stare attento" gli ripetè Toni, una volta tornato a sedersi.
"E' tutto sotto controllo" lo rassicurò, anche se non ci credeva più nemmeno lui.
"Tu lo sai che ti voglio bene, non è vero, amico mio? Che di me ti puoi fidare, ma se vuoi i tuoi soldi per il ragazzino..."
"No, io... mi servono."
Toni aveva visto tante persone distruggersi per colpa dell'amore, e Louis c'era già passato una volta, non voleva certo ricapitasse, anche perché, nel suo caso, vedeva solo dolore e scelte sbagliate. 
Ma chi era lui per giudicare?
Gli diede una pacca sulla spalla e lo salutò con un mezzo sorriso.

Non avendo più un posto dove andare, presero alloggio in un piccolo hotel.
Con la scusa che Harry suonava il violino al conservatorio, riuscirono ad avere la stanza più lontana e appartata e il ragazzino fu ben felice di compilare le scartoffie necessarie alla prenotazione al posto del suo analfabeta 'padre'.
Il tipo della reception li trovava adorabili.
Una volta preso possesso della stanza, il ragazzino si buttò sul letto, mentre Louis sistemava la sua pianta nel punto migliore per lei e tirava fuori del buon latte.
Harry guardava al soffitto, respirava piano, sembrava tranquillo.
E forse, in fondo, lo era davvero.

"Louis, credo proprio che mi sto innamorando di te. E' la prima volta per me, sai?" E di nuovo gli fece sputare il latte che stava bevendo.
"Come fai a sapere che è amore se non sei mai stato innamorato?" chiese.
"Perché lo sento" rispose, come se fosse ovvio.
"Dove?" Perché gli dava corda?
"Qui nello stomaco, è tutto caldo" rispose, poggiando piano le mani sul proprio stomaco, "prima c'era come un nodo, ora non c'è più" continuò con voce innocente e senza distogliere lo sguardo dal soffitto.
"Harry, sono contento che tu non abbia più mal di stomaco, ma questo non significa niente" gli disse, fingendo alla perfezione di non aver assorbito niente di ciò che gli aveva detto.
"Sono in ritardo per il lavoro, odio essere in ritardo per il lavoro."
Poggiò il bicchiere sul tavolo, si alzò dalla sedia e si accertò che la sua pianta stesse bene prima di prendere tutto l'occorrente per il suo nuovo incarico e uscire.
Harry stava ancora sdraiato sul letto, come se non avesse notato di essere rimasto solo.
Sembrava rilassato ma, se Louis avesse potuto vederlo, avrebbe capito che in lui balenava, come al solito, qualche strano pensiero.

Lo capì solo quando, tornando, lo trovò taciturno, ad osservare ogni suo minimo movimento mentre gli parlava delle cose più stupide, come a voler far sembrare normale la loro convivenza. Ma a Harry non importavano le parole dei suoi cosiddetti familiari, figuriamoci se avrebbe ascoltato quelle di Louis, che era solo un estraneo che credeva di amare.
Credeva.
"Dovresti tornare a scuola, dovresti uscire di qui..." incalcò, sapendo quanto fosse inutile e stupido.
"Sai che non posso e poi lì non voglio tornarci." Era serio, adesso, finalmente qualche parola spiccicata dopo minuti interminabili di silenzio assordante.
"Da quando ti ho incontrato è tutto diverso, ho bisogno di stare da solo per un po' e tu hai bisogno di crescere" sputò, rendendosi conto che certi discorsi non li aveva mai fatti con nessuno e gli sembrava così assurdo stesse succedendo adesso.
"Ho finito di crescere, Louis. Ho solo una cosa da fare, poi potrò andarmene, e tu..."
"Ho da fare, Harry" lo interruppe, la forza di reggere il suo sguardo svanita.

Avete presente quando siete stanchi?
Stanchi dei fallimenti, stanchi della gente, stanchi degli avvenimenti, stanchi del solito cibo, della solita routine?
Beh, Harry era stanco di vivere, ma Louis continuava a non dare il giusto peso al male interiore che il ragazzo stava sopportando perché, in fondo, lui coi ragazzini non c'aveva mai avuto a che fare.
Quindi era bastato qualche secondo di distrazione, un'eccessiva dose di fiducia, quando aveva ritrovato Harry con la pistola in mano e intenzioni esplicitamente bellicose.
Lo guardava serio e, per la prima volta, aveva iniziato a pensare seriamente a ciò che gli aveva detto quella mattina. 
Quelle parole gli rimbombavano nella mente e non capiva se fossero un semplice ricordo, una punizione o un modo per fargli ammettere qualcosa.
Qualunque cosa fosse.
"A te che ti frega se finisco con un proiettile in testa? Non mi è rimasto più niente, non sono nemmeno in grado di vendicare la mia sorellina. Cosa ti importa? Ti ho detto che ti amo, ma a te cosa importa se muoio?"
E aveva gli occhi lucidi, Harry, con le lacrime pronte a sgorgare copiose, mentre si puntava la pistola alla tempia. Perché era stanco di stare rinchiuso lì dentro, stanco di non avere nessuno con cui parlare, stanco di non vedere più il sorriso di Gemma, stanco di vivere.
E Louis avrebbe voluto dargli uno schiaffo, provare a disarmarlo, in fondo era solo un ragazzino inesperto, lui era un professionista.
Invece non lo fece.
"Niente" rispose, così che Harrry potesse piangere a dovere e premere il grilletto.
Fu una frazione di secondo, e la pistola sparò a vuoto verso il muro, mentre Harry cadeva all'indietro in un grido di disperazione.
Nel suo angolo, Louis cercò di convincersi di aver avuto quella reazione solo per il solito 'niente donne e bambini', mentendo a se stesso, anche se ancora non ne era sicuro.
Si guardarono e, per la prima volta, la differenza d'età tra i due sembrava non esserci mai stata.

Louis cominciò ad avere i primi dubbi quando, in appuntamento col vecchio Toni, aveva pronunciato la frase che aveva fatto preoccupare a morte quest'ultimo.
"Se mi dovesse succedere qualcosa, vorrei dessi a lui i miei soldi."
Un segno di attaccamento, di affetto, di non sapeva nemmeno lui cosa, perché quando Louis si era alzato dalla sua poltrona e non aveva trovato Harry da nessuna parte, aveva capito cosa stava succedendo.
Era analfabeta, ma non era stupido.

Harry, infatti, come tutti i ragazzini, imparava in fretta, e aveva preso sul serio la storia del 'un'ultima cosa poi avrò finito', quindi, armato fino ai denti e camuffato come un vero membro di una baby gang, era riuscito ad entrare negli uffici di polizia.
Doveva trovare Ben Winston, doveva vendicare la sua sorellina.

Sembrava tutto perfetto, tutto fin troppo facile, non aveva pensato come un dodicenne possa non passare inosservato in un ufficio pieno di poliziotti corrotti.
"Sei solo, ragazzino? Quella scatola è per me? Sei stato carino a portarmi il pranzo" sentì, quando si trovò bloccato in fondo al corridoio del bagno dove, come un allocco, aveva seguito Winston, convinto di non essere visto.
"E dov'è l'uomo che sta sempre con te, quello che ha ucciso il mio amico?"
"Sono venuto da solo" rispose Harry, cercando di camuffare come meglio poteva la sua voce tremante. Doveva essere maturo, non poteva permettersi cedimenti, doveva farlo per Gemma.
"Oh, capisco... e che cosa volevi fare, eh? Uccidermi, magari? Sai almeno tenerlo in mano quel fucile, ragazzino?" Ben era sempre più vicino, e tendeva a parlare piano come a voler rendere solenne ogni suo sospiro.
"Vai subito via di qui, sparisci, se non vuoi fare la fine di quel porco di tuo padre!"
E Harry, braccato, indietreggiò, cercando una via di fuga quando qualcuno entrò.
"Ehi capo... h-hanno detto che... è qui, quell'uomo... è qui... h-ha ucciso Jeff e Nick... e credo stia venendo a cercare lei. Dovremmo andarcene."
Ben si voltò lentamente, l'effetto della pasticca che aveva appena preso stava iniziando a farsi sentire.
"Tu resti qui" ordinò.
"Ma..."
"TU. RESTI. QUI."
E lo scagnozzo eseguì l'ordine mentre Ben uscì, ma fece solo pochi metri prima di essere colpito alla testa e svenire a terra.
Louis aveva fatto praticamente strage di chiunque avesse provato a fermarlo, era arrivato lì dove sapeva di trovare Harry, e l'aveva raggiunto allargando le braccia per infondergli coraggio.
Harry lo guardò col cuore caldo e il viso che gli si allargò in un sorriso. 
Gettò tutto a terra e gli corse incontro, lo abbracciò e Louis lo sollevò letteralmente da terra. Era talmente piccolo tra le sue braccia che quasi si preoccupò di stringerlo troppo.
Forse in quel momento anche qualcosa nel cuore di Louis si stava muovendo.

E' scientificamente provato che quando sconvolgi la tua vita, non ha importanza con cosa, cominci a perdere la ragione, a non sapere più cosa fare, ad essere impreparato.
Era successo questo a Louis dal momento in cui aveva deciso di aprire la porta del suo rifugio a Harry e l'aveva fatto entrare nella sua vita.
Quindi non meravigliatevi se questa storia non avrà un lieto fine, questa è una storia dove i buoni vincono ma, purtroppo, vincono anche i cattivi.

Ben Winston non era uno qualunque, ci aveva messo poche ore a trovare il nascondiglio del killer e del suo giovanissimo protetto.
Ci aveva messo pochi minuti a catturarlo.
Certo, era stato costretto a ricorrere alla squadra speciale, ma l'aveva catturato.
Però... sì, c'era un però... c'era una sola cosa che Ben non era riuscito a penetrare, ed era il legame indissolubile tra Louis e Harry.
Louis aveva capito che la resa dei conti, la fine, come la volevamo chiamare, era vicina. Sapeva di doversi considerare braccato, quindi aveva detto a Harry di usare un codice particolare di identificazione ogni volta che rientrava in casa.
Il fatto è che anche Harry l'aveva capito, e quando i poliziotti, armati fino al collo, manco stessero andando a sventrare una cellula terroristica, l'avevano catturato mentre tornava allegro dal minimarket, aveva dato loro un codice di accesso errato.
Non poteva salvare nè vendicare sua sorella, ormai, ma poteva ancora salvare Louis, glielo doveva.
Perché se quelli erano uomini corrotti e senza scrupoli, Louis era molto peggio: non li guardava nemmeno in faccia mentre gli sparava alla testa e usciva incolume dal palazzo confondendosi con gli agenti in tenuta anti sommossa che erano stati avvertiti a causa della sparatoria in corso.
Harry si era domandato come potesse essere sopravvissuto a tutto quello, come avesse potuto avere il tempo di pensare alla sua pianta mentre piovevano pallottole da ogni angolo.
Si era domandato dove fosse andato dopo che l'aveva stupidamente convinto a scappare tramite i condotti nella parete.
"Non posso, Lou, non c'è spazio per tutti e due, io resto qui con te." 
Ma Louis non diceva niente, sapeva cosa c'era da fare, l'unica cosa necessaria da fare, e non poteva permettere, non doveva permettere che Harry fosse coinvolto, che ne fosse ferito.
"Vai, Harry, ci vediamo dal vecchio Toni tra un'ora." E Harry piangeva mentre lo guardava, piangeva e non si staccava dalle sue spalle. Louis lo prese di peso, come un pupazzo, e lo mise in quella crepa, gli accarezzò il viso più volte, dio era così piccolo e, prendendogli una mano, gli disse "ti amo" prima di allontanarlo.

Non si sarebbero più visti. 
Harry era andato dal vecchio Toni, ma Louis non ci era mai arrivato, morto nell'esplosione causata da lui stesso alla centrale di polizia.
Se ne stava lì seduto, mentre l'uomo lo guardava con cipiglio severo.
"Louis mi ha dato dei soldi per te, potrai chiedermeli ogni volta che vorrai, sono tuoi, ma tu sei troppo piccolo per gestirli, ci penserò io, nel frattempo."
Harry non lo ascoltava nemmeno, un'espressione sconvolta stampata in viso.
"Posso... posso restare qui, pulire il locale, cose del genere" aveva provato a dire quando finalmente era riuscito a riacquistare la facoltà di parola. 
Toni, però, era diverso da Louis... ah, se solo avesse preso esempio da lui, forse sarebbe ancora vivo.
"Tu non puoi stare qui, alla tua età la gente va a scuola, devi smetterla con questa merda, hai capito? Louis è morto, e non c'è niente che possiamo fare perché questo cambi, quindi vattene e non farti più vedere fino a quando non ne avrai davvero bisogno!" sbottò perché Toni aveva previsto questo futuro quando aveva detto al suo amico di stare attento, sapendo di sprecare il fiato.
Sbottò perché non era giusto che fosse finita così, perché Louis era appena andato via e gli sembrava già l'avesse lasciato da secoli.
Sbottò perché si ritrovava a condividere quel dolore con un ragazzino di dodici anni che in così poco tempo aveva già masticato un dolore per tutto.

Ora erano Harry e la pianta. Non gli era rimasto altro. 
Arrivò alla scuola da cui mancava ormai da talmente tanto tempo che nessuno degli altri allievi lo riconobbe. 
Si fece ricevere dalla direttrice, la quale non credette nemmeno per un secondo alla storia dei genitori morti in un incidente d'auto.
"Se non mi dici la verità io non so come aiutarti" l'aveva esortato la donna, quindi Harry respirò profondamente e cominciò a parlare, in mente ancora i rumori dei proiettili che frantumavano i vetri delle finestre di casa mentre cercava rifugio tra le braccia di Louis.

"La mia famiglia è stata sterminata dagli agenti dell'Anti-Droga per un problema di roba. Io sono venuto via con l'uomo più strepitoso che esista sulla faccia della Terra. Era un sicario, è morto stamattina e... se lei non mi aiuta, io sarò morto entro stasera."
La direttrice sbiancò rendendosi conto che qualsiasi parola sarebbe stata inutile con lui.

Harry non guardò in faccia nessuno quando uscì di lì. 
Alcuni ragazzi che fumavano sulle scalette dell'ingresso lo osservarono chiedendosi se qualcuno lo conoscesse ma ricevendo risposte negative.
Si diresse verso il cortile, scavò una buca e ci mise la pianta.
Assicurandosi che fosse ben salda, si mise più comodo, gambe incrociate e sguardo basso. 

"Penso che qui staremo bene, Louis" esclamò.



***
Confusione, ciò che regna qui è la confusione, ma se siete arrivati fino alla fine vuol dire già qualcosa.
Come ho scritto nell'introduzione, questa AU è ispirata ad un film di Luc Besson del 1994. Si intitola Léon e se non l'avete mai visto cosa campate a fare... no scherzo, ma provvedete subito!
Nella pellicola, Léon è un uomo di non meno di quarant'anni interpretato da Jean Reno, mentre la piccola Mathilda è interpretata da una sorprendente Natalie Portman, quindi provate anche ad immaginare Louis e Harry nei loro panni e boh, odiatemi un po' di più.
Il titolo viene da una canzone di Sting che è anche colonna sonora del film, il risultato, come al solito, non soddisfa le mie aspettative, ma non riuscivo a cambiare e far meglio di così. Forse dovrei solo evitare di ispirarmi a film e farli crepare in modi più originali, ahahahah no, ok, scherzo di nuovo.
Sono stanca e non so che altro scrivere, fatemi quindi sapere che ne pensate, come volete e dove volete (chi vuole sa dove trovarmi) e vi auguro buona serata.
xxx

 
  
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