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Autore: GiuliaStark    28/08/2015    1 recensioni
Brooklyn, inizio anni novanta. Un gruppo di otto ragazzi, amici fin dalla nascita; tutti diversi tra loro eppure così uguali. Michael, Calum, Joey, Elizabeth, Ashton, Kayla, Luke e Ross. Gli outsiders del quartiere, i casi sociali, i sognatori, quelli che sfidavano i limiti della vita cercando di respirarne il più possibile. Quelli che trovavano un porto sicuro tra di loro, che si raccoglievano i pezzi a vicenda per ricomporli assieme. La musica come scudo dal mondo, il solito pub come rifugio e la loro voglia di scappare come una tacita promessa. Le promesse che sia fanno tra amici alle due mattina, da ubriachi mentre si vaga per strada ma che alla fine sono quelle che rimangono, sono le più vere. Le avventure, disavventure, i loro sbagli, i sogni e gli amori di un’età sempre in bilico tra la follia e l’oblio. Una generazione abbandonata a se stessa. Una storia: la loro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era il 1974 quando venni al mondo.
Non ringrazio particolarmente i miei per averlo fatto, ma ormai sono qua, che ci potevo fare? Non starò a dilungarmi sul fatto che la mia famiglia è un disastro, ormai tutte lo sono, non è così eclatante; anzi, è diventato quasi un obbligo, come se fosse un marchio di fabbrica.
L’unica cosa di cui ringrazio erano i miei amici.
Qui nei quartieri di Brooklyn ci conoscevamo più o meno tutti e loro erano i miei compagni d’avventura fin da quando ne ho memoria.
Ora siamo grandi, o almeno ci diverte pensarla così.
Diciamo che abbiamo tutti, più o meno, diciotto anni… ecco, così andava decisamente meglio.
Ne parliamo spesso tra noi quando la sera ci ritroviamo nel solito vecchio pub in fondo alla strada.
Quello con la porta rotta, la birra da due soldi ma con un jukebox da far invidia anche ai locali più esclusivi.
Non vogliamo diventar grandi.
Non vogliamo perdere quello spiraglio di vita vera che ti offre la nostra età, ma soprattutto non vogliamo dimenticare come siamo ora.
Passiamo qua la maggior parte delle giornate a parlare, bere e divertirci dimenticandoci dello schifo che ci circonda, dei problemi, di tutto… ci siamo solo noi ed i nostri sogni.
Noi e le nostre aspettative, le fantasie di partire tutti assieme ed andare lontano;di prendere un furgone e metterci su un’autostrada sconfinata senza avere una meta precisa con solo il cielo come limite.
La gente del quartiere, vedendoci assieme, pensa che siamo un gruppo di casi sociali, di disagiati e forse è vero. Dopotutto nessuno di noi può essere considerato normale.
C’è quel coglione di Michael ed i suoi capelli colorati, che sicuramente un giorno perderà, ma a lui piace e a noi piace lui, quindi è tutto normale; adora la pizza.
Ancora ricordo quella volta che scoppiò una litigata tra me e lui per l’ultima fetta.
Che idioti.
È un vero patito per i videogiochi, beh… in questo gruppo tutti lo siamo, forse l’unica eccezione è Joy che non sa tenere nemmeno un joystick in mano.
Credo che le piaccia Michael già da un po’ e penso che la cosa sia ricambiata, sarà interessante vedere come si svilupperanno le cose.
Ashton è il più grande, neanche tanto se ci pensiamo… alla fine è solo un anno, ma a lui piace badare a noi e noi lo lasciamo fare.
È nel suo istinto visto che ha due fratelli più piccoli e poi quando usciamo fuori a divertirci serve sempre qualcuno che rimanga sobrio, no? Gli piace suonare la batteria ed è anche bravo, ma delle volte ci viene voglia di rompergli uno dei tamburi in testa per il rumore che fa.
Diciamo che è il nostro modo per dirgli che gli vogliamo bene.
Elizabeth, chiamata da tutti Beth, è la sognatrice del gruppo.
Adora fare fantasie sui viaggi che faremo e che ci porteranno via da qua verso mille avventure.
La amiamo.
La amiamo perché ci fa sognare, ci fa sentire liberi e soprattutto ci permette di pensare ad una seconda occasione.
Calum è l’amante degli animali; ricordo che avrà chiesto almeno un centinaio di volte ai suoi di prendergli un cucciolo.
Purtroppo puntualmente gli dicevano sempre di no e per questo andava sempre a casa di Luke per giocare con la sua Molly.
Già Luke, o come lo chiamavo io, Lukey, il musicista, il bravo ragazzo che però sapeva come divertirsi.
Lui era l’anima sensibile del gruppo, tutto il contrario di Kayla.
La ribelle.
Sotto molti aspetti eravamo abbastanza simili.
Due anime libere, nere come l’inchiostro, sempre a far danni e con un bagaglio fin troppo pesante.
Il buio nella luce della nostra combriccola.
Eccomi qua alla fine del giro.
Ross Coleman.
Figlia problematica, scrittrice maledetta e fotografa dell’imperfezione.
Non mi piaceva stare al centro dell’attenzione quindi spesso mi rifugiavo nella mia stanza o nel pub al solito angolo e scrivevo.
Scrivevo tutto quello che mi passava per la testa: le avventure, le disavventure e le cazzate fatte assieme.
Gli altri lo chiamavano il ‘’Diario delle malefatte’’, un nome davvero cretino ma almeno faceva ridere ogni volta che lo si menzionava.
Eravamo un gruppo ben assortito, gli scarti della società, gli outsiders di un mondo che ci stava stretto e nel quale cercavamo di farci spazio a suon di gomitate.
La nostra era l’amicizia epica, quella viscerale che andava oltre i legami di sangue, oltre la comune definizione. Quella delle corse in macchina alle tre della mattina, con il vento tra i capelli, la radio ad alto volume con la musica di questi anni Novanta, le urla e le risate che si perdevano nel buio della notte che dormiva tra le braccia dell’alba.
Era quell’amicizia che ti faceva apprezzare la vita, che ti spingeva ad alzarti dal letto la mattina e ti dava la voglia di vivere.
Ovviamente non era sempre tutta unicorni ed arcobaleni colorati, niente di reale lo è; anche noi avevamo i nostri alti e bassi, le nostre liti, le risse tra quegli idioti dei ragazzi che giocavano a fare i duri, ma alla fine si risolveva sempre tutto.
Funzionava perché volevamo che andasse così, perché senza il gruppo non eravamo niente.
Noi eravamo il nostro mondo.
Nella nostra scuola c’erano due tipologie di persone: quelli che ci guardavano con invidia e quelli che invece ci odiavano.
A noi non importava, anzi, ci divertiva perché molti di loro non avrebbero mai capito ciò che ci legava.
Era soltanto una nostra esclusiva.
Per strada giravamo cantando, facendo baccano come se volessimo gridare la mondo e chi lo abitava che c’eravamo anche noi, che facevamo parte della vita e che avremmo lottato per lasciare il segno.
Erano le parole di Luke.
Lui desiderava fare qualcosa per cui fosse stato ricordato quando non ci sarebbe stato più.
Voleva lasciare un pezzetto di lui in questo mondo, come a dire ‘’Io c’ero’’.
Odiava il fatto di rimanere uno dei tanti di passaggio.
Ma alla fine non lo eravamo tutti? Tante anime che vagavano in cerca di un qualcosa che occupasse il loro tempo finché erano ancora su questa terra? Delle volte ci piaceva prenderlo in giro al riguardo, ma in realtà era quello che volevamo tutti: essere ricordati, lasciare il segno.
Lui ci credeva con tutto se stesso e questo spingeva, segretamente, anche noi a faro.
Eccoci qua, un gruppo di otto fuori di testa, ognuno con la propria identità le sue stranezze, passioni, i suoi pregi ed i suoi difetti ma ci amavamo così come eravamo: veri, sinceri, semplicemente noi.
I Basket Cases di Brooklyn.
  
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