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Autore: valarmorghulis    29/08/2015    2 recensioni
Una ragazza, due vite. Un passato che ritorna. Il destino che la porta a diventare nemica di sé stessa.
Sono una ventunenne con una passione per le serie tv, la scrittura e i sogni. Questa storia è il risultato della combinazione di queste tre.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Mystic Falls, Virginia; 12:10 A.M.
Lo fissai sbalordita e lui mi fissò a sua volta, i grandi occhi chiari fissi nei miei. Bah, paese che vai, matto che trovi.
Si rigirò nervosamente il grottesco anello blu e bianco che portava al medio della mano destra, osservando senza muovere la testa il viavai di persone che passavano accanto al tavolo e passandosi distrattamente di tanto in tanto le dita tra i capelli biondo scuro. Dopo quello che mi sembrò un tempo infinito, prese fiato e avvicinò le labbra al mio orecchio, sporgendosi sul tavolo di legno. 
"Non c'è niente per te qui" disse con voce roca, sussurrando in modo che solo io potessi sentirlo ma scandendo le parole, e si ritrasse con calma ma senza serrare del tutto le labbra, come se avesse altre parole per me impigliate sulla punta della lingua. Lo guardai sbalordita ancora una volta. Subito l'iniziale attrazione per quella voce così calda e rassicurante si trasformò in irritazione.
"Oh io credo di sì invece, e si trova proprio qui, nel piatto davanti a me. Quindi se vuoi scusarmi.." feci per afferrare il panino e lasciare il tavolo, infastidita da quell'ospite indesiderato, ma lui mi prese il polso e lo strinse come una morsa d'acciaio. Restai immobile, concentrata sia per mantenere salda la presa sul panino e il piatto che per non farmi vedere spaventata, ma mi aveva effettivamente colta di sorpresa.
"Stai seduta" sussurrò calmo fissando il tavolo, ma senza mollare la presa. Per un attimo contemplai la possibilità di urlare, ma qualcosa nella sua determinazione mi suggerì che non sarebbe stata una buona idea. Tornai a sedermi fingendo indifferenza, e lui allentò la presa.
"Bene", sospirò "come ti ho appena detto, non c'è niente per te a Mystic Falls, né da nessun'altra parte. Smetti di cercarlo prima che lui inizi a cercare te"
Va bene, quello era il colmo. Ero stufa di sentir parlare di cose che non capivo, ero stufa di sentirmi dire quello che dovevo e non dovevo fare. Stavo per scaricare tutta la rabbia sul misterioso individuo seduto di fronte a me, quando lui parve leggere la mia espressione.
"Non sei venuta da sola". Non era una domanda. Ora la sua espressione sicura aveva ceduto il posto a una mal celata preoccupazione.
"No. Cioè senti, credo che tu mi abbia veramente scambiato per qualcun'altro perché giuro che non so di cosa stai parlando e non so chi sei ed è la prima volta in tutta la mia vita che vengo in questo posto". E sarà sicuramente l'ultima, aggiunsi tra me e me. 
Non so cosa mi aspettassi esattamente come risposta. Una spiegazione, magari? Delle scuse? Beh, non ricevetti nessuna delle due cose.
"Vieni" mi disse all'improvviso, cambiando tono e mollando completamente la presa sul mio braccio per poi alzarsi dalla sedia con un unico movimento fluido.
"Ma scusa ti stai ascoltando? Per quale motivo dovrei seguirti?". La situazione stava diventando così assurda da risultare quasi divertente.
Mi fissò intensamente negli occhi per qualche istante. "Perché ho le risposte alle domande che ti sei posta negli ultimi anni, quindi seguimi". Prima di lasciare il locale si voltò verso la ragazza mulatta e il suo amico e sussurrò loro qualcosa. Non ero mai stata brava a leggere il labiale, ma riuscii a capire le prime e le ultime parole: Bonnie, Jeremy e Damon, e poi qualcosa come "avvisare", o forse "avvistare".
Non capivo cosa stavo facendo né perché lo stavo facendo. Era come se una parte di me avesse sviluppato un'improvvisa autonomia  dal resto del mio corpo e avesse deciso di seguire il ragazzo. Non sentivo più la fame, non ero più spaventata né diffidente. Lo seguii e basta. Mi fece salire in macchina e guidò senza dire una parola per non saprei dire quanto tempo, fuori dalla cittadina e poi attraverso un vialetto alberato verso una casa giagantesca, marrone fuori e con il tetto spiovente. Abbandonò la macchina davanti all'imponente abitazione e mi fece cenno di seguirlo all'interno. 
Ebbi appena il tempo di leggere la targhetta di ottone sul muro accanto al portone d'ingresso, che aveva inciso in corsivo "Salvatore", prima di entrare e sentir chiudere la porta alle mie spalle.
   
 
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