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Autore: SagaFrirry    29/08/2015    0 recensioni
Kasday, figlio del dio del Kaos, nasce come divinità dell’equilibrio in mezzo ad una guerra fra la sua famiglia e gli alleati della Dea del Destino. Riuscirà, fra rinascite, angeli, demoni e mutamenti, a svolgere il suo ruolo e trovare il suo posto? Una storia creata anni fa (il lontano ormai 2008) dove il tutto ed il nulla si mescolano, dove i concetti di giusto e sbagliato si confondono. Da uomo a donna, da angelo a demone, da vittima a carnefice..sarà lui il nuovo tutto..od il nuovo nulla?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender, Non-con
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- Questa storia fa parte della serie 'La città degli Dei'
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XXXI

 

REDENZIONE

 

 

“Buongiorno, fiorellino!”.

Una voce metallica salutava Luciherus, che si risvegliava.

“Non sono morto?” chiese il Demone, confuso.

“No, non ancora”.

Quella voce…si chiese il Principe. Quella voce…dove l’ho già sentita? Il Kaos!

“É stato tutto un sogno! E che strano sogno…io ora sento la tua voce, ma ho sognato la tua morte!”. Sogghignò, ad occhi chiusi. Aprendoli vide di essere avvolto in lenzuola blu e porpora.

“Questa è una cosa strana…” si accorse subito che qualcosa non andava. Se era tutto un sogno, cosa ci facevano i colori dell’Equilibrio nel suo letto? “Dove sono e che cosa è successo?” chiese.

“Sei morto per un po’…ma ora stai bene. Devi solo riposare” l’Arcangelo Rahahel gli stava vicino, sorridendo.

“E tu cosa ci fai qui, pennuto?!”.

“Non fare il bruto con me! Ti ho anche curato! Potevo lasciare che tu morissi! Ingrato…” incrociò le braccia, offeso.

“Me ne ricorderò. La prossima volta ti lascerò morire” di nuovo la voce del Kaos.

“Dove sono?” chiese Luciherus, sempre più convinto di avere i postumi di una sbornia addosso e non le conseguenze di una guerra.

Sto impazzendo…sento le voci. O forse no? Se il Kaos è vivo…allora Kasday è…

Chiuse gli occhi. Non voleva pensaci. E non voleva pensare al fatto che, se il Kaos era vivo, era ancora suo schiavo.

 “Sei nel palazzo dell’Equilibrio” rispose il Guaritore.

“La guerra è finita?”.

 “Sì e no”.

“In che senso?”.

“É complicato…”.

La voce del Kaos tornò a farsi sentire nel buio della camera: “Rahahel, puoi andare. Lasciaci soli, per favore. Ora sta bene. Puoi tornare a casa”.

L’Arcangelo si inchinò leggermente ed uscì, canticchiando di buon umore. Quando chiuse la porta dietro di se, la figura nel buio avanzò. Il demone respirò lentamente.

Mi hai salvato per ora torturarmi? Perché Rahy non è rimasto nella stanza?

“Stai bene? Vuoi un po’ d’acqua?”.

“Acqua?” ridacchiò il Principe “Quando mai?!”

“Non vorrai mica ricominciare subito a bere, vero? Piccolo stupido…”.

Da quando ti preoccupi per la mia salute? Ma…quella voce…

“Cugino?”.

 “Sì e no…”.

“Spiegati!”.

La figura andò a sedersi accanto al demone e venne illuminata dalla luce rossa: era completamente coperta. Sulla testa era calcato un pesante cappuccio, mentre una maschera cremisi celava la parte sinistra del viso, più buona parte della fronte, senza fessure per l’occhio di quel lato. La mano sinistra era infilata in un guanto di velluto e tutto il corpo era avvolto in una veste ampia, che ne nascondeva ogni tratto.

“Fa freddo? Che fai così imbacuccato? E, soprattutto, sei mio cugino o sei tu, Kaos, che ti diverti?”. L’unico occhio che appariva sotto tutta quella stoffa era azzurro e molto triste. E stanco.

Forse piangeva, e il Kaos non piangeva mai.

“Cosa ti è successo, Equilibrio? Perché nascondi il viso? La guerra l’ha sfigurato?”.

“Alla Dea della Guerra piacerebbe sfigurarmi. Ma non è questo il problema”.

“E allora cos’è?”.

Il Dio sospirò: “Non voglio mostrartelo. Né a te né a nessun altro” si alzò, appoggiandosi al suo bastone.

“Come stanno gli altri? Vereheveil?”.

Il Dio non rispose.

“Avanti! E dai…Kasday! Non dirmi che, dopo Ere di unione, adesso avete litigato! Non ci credo! Allora sei proprio il Kaos che mi sta prendendo in giro!”.

“Non mi va di parlare di questo. Ora riposa. Non immagini quanta gente ti stia aspettando là fuori, Satanahel”.

“Satanahel? Solo il Kaos mi chiama così!”.

Sul ciglio della porta, il padrone di casa si voltò: “Ah, sì. Prima di dimenticarmi, Luciherus…sei libero!”.

“Libero?”.

Il demone non capiva. Libero da cosa? Starnutì.

“Spero non siano le piume, Principe!”.

Piume? Le tue? Si mise a sedere, con la coda a punto di domanda. Un piuma dorata gli scese sul naso. Alzò lo sguardo e  lanciò un grido: aveva le ali dorate.

“Sono un Arcangelo!”.

“Non esattamente. Ora hai quattro ali: due da demone e due da angelo. Tua la scelta di quale usare e di che cosa fare della tua vita. Se vorrai essere Principe del regno dei Demoni, a me sta bene. Sei libero di tornare nel regno degli Angeli, oppure di andartene dove più ti aggrada. Per ora sta tua figlia sul trono. Se non vuoi rivendicarlo, spetterà a lei prendere il tuo posto. Se vuoi tornare al tuo palazzo, sei libero di farlo. Lilith è qua fuori, Erezehimsay la farà entrare, ora che sei sveglio. E d’ora in poi potrai dormire tranquillo: niente più incubi!”.

Luciherus ricadde sul letto, sfinito e sconcertato: “Grazie” sussurrò.

“Di niente. Auguri…e figli maschi!”.

Figli maschi? Ma certo…se la maledizione è tolta…

“Se le corna o altro ti danno fastidio dimmelo. Posso farti cambiare come mi pare…”.

“Sto bene così, cugino. Ma…aspetta…che cosa…”.

Ma il Dio era già uscito dalla stanza, chiudendo la porta.

 

 

L’Equilibrio entrò nella propria camera, scostando una pesante tenda blu oltremare, e si sedette, con la schiena contro il muro. Era stanco, stanco di controllare ogni pianeta. Farlo consumava molta della sua energia. Piangeva..quante volte lo aveva fatto da quando…

Fuori pioveva, di nuovo. Doveva smettere, ma lui non ci riusciva proprio. Si tolse tutte le vesti e si rifletté negli specchi della sala. Erano tanti, anche se storti e di forme strane. Si osservò, con odio.

Gettò la maschera sul bordo del letto, dove dormiva il suo nuovo Messaggero, Nosmagiès.

Glielo avevano affidato gli Alti “Per aiutarti a comunicare meglio con noi e per aiutare Erezehimsay, che ha già molto da fare”. In realtà, lui lo sapeva, era solo per controllarlo.

Invidiava quell’angelo. Aveva i capelli mossi, lunghi su tutta la schiena, del colore del rubino: quasi magenta, con degli occhi grandi e come la giada. Dormiva placidamente. Probabilmente era lì da ieri notte, quando il suo padrone aveva avuto la sua solita crisi isterica e lui aveva cercato di calmarlo. Alla fine, era rimasto a vegliarlo nel sonno, pregando che non succedesse di nuovo. Il Dio, svegliandosi, non lo aveva neanche notato.

Quanto lo invidiava!

Era bellissimo, con le ali argento e il viso dolce. Lui…invece…

Si guardò allo specchio. Senza abiti poteva osservarsi interamente e detestarsi in ogni suo centimetro. Tutto il suo corpo era diviso in due. La parte destra non era di molto diversa rispetto al periodo precedente alla guerra ma la sinistra…era come l’ebano. Era come il Kaos! Priva di tratti sicuri, divideva il suo volto in due metà. Perfino le sue labbra era divise in due: metà erano del colore del sangue e l’altra metà erano lucide e del colore dell’acciaio. Al centro della fronte, dove una volta campeggiava il simbolo dell’Equilibrio, ora stava un occhio, viola. I capelli erano per metà come era abituato: lisci, lunghi ed ordinati. L’altra metà era invece come la capigliatura di suo padre: fumosi e libranti a mezz’aria. Al centro poteva scorgere un ciuffo, che formava una piccola treccia: verde scuro. Nessun dettaglio poteva indicare se era maschio o femmina. In nessun modo poteva, ora, avere rapporti fisici. Si strinse con le braccia, graffiandosi con quella mano nera, così affilata e fredda. L’occhio destro era rimasto il suo di sempre, ed era l’unico che versava lacrime. Quello di sinistra era senza pupilla e contorno dell’iride: era completamente azzurro. Afferrò con le mani le due sferette che continuavano incessantemente a ruotargli attorno alla testa. Fece un passo indietro e la gamba gli inviò un chiaro segnale: finiscila, sono stanca. Faceva male.

“Mi spiace che tu sia zoppo, figlio mio!”.

 “Taci, falso!”.

Lanciò le sferette contro lo specchio che aveva di fronte, mandandolo in mille pezzi: si ricostruì immediatamente. Quante volte aveva infranto quella superficie riflettente! Lanciò un grido, stringendosi la testa, e tornò a sedersi a terra.

Il nuovo Messaggero si svegliò di soprassalto, allarmato dal forte rumore.

“Signore!” urlò, spaventato “State bene?”.

“No! Certo che no!”.

L’angelo scese dal letto, avvolto da una veste turchese, ed andò accanto al suo Dio: “Ricordate che è solo una questione momentanea. Tutto questo passerà non appena le essenze degli altri creatori troveranno un corpo in cui rinascere!”.

Il Dio non rispose. Si guardava le mani.

“Smettete di piangere! Fuori piove incessantemente da tantissimo tempo perché voi piangete! Non lo fate!”.

“Lasciami stare”. Il Dio si scansò.

Una voce femminile parlò, senza che lui muovesse la bocca: “Sei fortunato, Equilibrio. Guardati! Hai delle labbra stupende, senza bisogno del trucco. Gli occhi sono i più belli che esistano e i capelli…”. La mano destra iniziò a pettinarli: “Se solo tuo padre li tenesse un po’ in ordine!”.

 “La finiamo con questi discorsi da finocchi? Ti ricordo che è un maschio, non un invertito!” tuonò una voce ferruginosa.

“A dirla tutta…sono metà femmina. Siamo…” aveva parlato di nuovo l’Equilibrio, con la  voce mista fra il maschile ed i femminile “E, sinceramente, se devo scegliere…”.

“Non lo dire!” esclamò, di nuovo, la voce profonda.

Era brutto avere quell’aspetto, sentire tre voci diverse provenire da sé, ed avere una di queste voci che insisteva per vedersi di continuo allo specchio.

Covava ancora rabbia dentro di sé.

“Và fuori, per cortesia, mio Messaggero”.

Nosmagiès obbedì, chinando il capo, ed uscì dal palazzo, coprendosi dalla pioggia con  un telo.

 

 

Una notte il Dio stava steso sul letto, da solo, chiudendo tutti e tre gli occhi e sprofondando con la testa nel cuscino. Il suo giaciglio era così grande da permettergli di tenere le ali completamente aperte.

La voce della Dea del Destino continuava a discutere con quella del Kaos nella sua testa.

“Basta!” supplicò. Voleva solo silenzio.

 Il suo Messaggero urlò: “Fermi! Non potete entrare! Tornate qui!”.

“Fa silenzio e levati, microbo!” parlò la voce della Dea della Guerra.

Sentì un’ esplosione. Evidentemente aveva fatto scoppiare la porta. Passi pesanti si avvicinarono velocemente e la tenda all’ingresso della sua camera bruciò, in fiamme a causa del Dio del Sole. Il padrone di casa si alzò a sedere, avvolgendosi, d’istinto, nella coperta e guardando l’ingresso. Ringhiò agli intrusi: “Come osate? Io, forse, entro così a casa vostra?”.

La Dea della Guerra lo guardava, con un’ espressione confusa: “Figlio mio?”.

“Mamma…” rispose lui, con la sua voce.

 “Marito mio!” continuò la Guerra.

“Moglie…” fu la risposta, questa volta con la voce del Kaos.

Vereheveil, che era entrato per ultimo, osservava l’occhio viola che aveva aperto al centro della fronte.

“Destino!” sussurrò.

“Sì, Dio delle Letterature” la voce, sta volta, era quella femminile della Dea.

“Per tutte le luci del cielo…com’è potuto succedere?” domandò il Dio del Sole, guardando la figura che stava sul letto.

“Che avete fatto al mio Messaggero? Avevo dato ordine di non far entrare nessuno…”.

“Niente di che, tranquillo. È solo legato ed imbavagliato nella stanza di là!”.

“Cosa ci fate qui?” sibilò il Dio seduto, che tentava invano di celare il suo aspetto ai presenti, soprattutto a Vereheveil.

“Luciherus è uscito, dopo una convalescenza lunga, e ci ha detto di averti visto. Ci ha detto che sembravi triste e che avevi dei problemi. Non potevo sopportarlo e sono venuto qui!” si giustificò il Dio delle Letterature.

“Io, invece…” parlò il Dio del Sole “…sono qui perché, se non ti dispiace, vorrei fare il mio lavoro anche su questo pianeta. Ma, da quando è finita la guerra, non fa altro che piovere. E so che è colpa tua…”.

Il creatore abbassò lo sguardo.

“Io glielo avevo detto di smettere di piangere e di fare l’uomo…ma  lui mai che mi ascolti!” parlò il Kaos.

“Ti ascolto anche troppo!” gracchiò l’Equilibrio.

La divinità della Guerra si avvicinò al letto: “Tu sei mio figlio..e mio marito? Come convivono due voci dentro di te?”.

“Due? Veramente sono tre…”.

“Il Dio triplice!” sussultò Erezehimsay, corso nella stanza a sua volta.

“Non dire cazzate!” esclamò la voce del Kaos “Questa è solo una situazione temporanea! E poi…non dirmi che alla tua età credi alle storielline sul Dio triplice!?”.

Calò il silenzio.

“Il mio ruolo” parlò l’Equilibrio “È quello di mantenere in vita le essenze degli altri due creatori, in attesa che nascano delle divinità con i loro ruoli. Purtroppo, nonostante sia creatore, non posso plasmare degli Dèi come me. Solo gli Alti possono. A lungo ho pregato affinché venissero al mondo nuove divinità del Kaos e del Destino, ma a nulla è servito. Come sempre, non mi hanno ascoltato”.

“Ma com’è potuto accadere?” domandò di nuovo il Dio del Sole.

“Ho chiamato i loro veri nomi. E loro sono entrati in me. Ora siamo in tre, in un corpo solo. L’Equilibrio, la personalità dominante e con maggior potere, il Kaos e il Destino. Ho tutte le loro capacità e difetti…il problema è che parlano di continuo. Anche se, ultimamente, hanno smesso di litigare, riuscendo a leggere i pensieri l’uno dell’altro hanno, in parte, capito le ragioni dell’avversario”.

“Come mai non esci da questo luogo?” domandò Vereheveil.

 “Perché? Innanzi tutto perché, a volte, non riesco a controllare del tutto le diverse personalità. Chiedete a quel povero Messaggero. Quante volte ho perso completamente la ragione! Senza contare che dormo molto a causa del super lavoro di controllo dei tre Universi che mi tocca fare. E poi…non volevo che tu mi vedessi così. Non volevo che qualcuno mi vedesse con questo aspetto. Volevo aspettare che tutto passasse, per poi tornare alla mia vita. Con te e nostro figlio”.

La Dea della Guerra lo abbracciò: “Amor mio! Non puoi uscire da questo corpo?”.

La voce del Kaos tornò a farsi sentire: “Certo. Ma solo per un tempo limitato. E, comunque, sarei con le braccia incatenate al polso sinistro di mio figlio. Come una qualsiasi essenza, resisterei poco senza un corpo. Abbiamo provato…ma dopo poche ore io, anima, perdevo consistenza e lui, corpo ospitante, si indeboliva con me. Poche ore…cos’è un ora per un Dio? Poco più di un battito di ciglia. Non vale la pena di rischiare di scomparire per sempre, senza possibilità di rinascita, per un tempo così esiguo!”.

La Dea lo baciò, con gli occhi lucidi.

Sto baciando mia madre!

L’Equilibrio avvertiva quanto forte fosse il sentimento che univa i suoi genitori e appoggiò la testa alla spalla della Guerra, senza opporre resistenza.

“Non mi odi, madre e moglie mia, per quello che ho fatto?”.

“E come potrei? Ho tanto pianto, temendo di avervi persi, ed invece siete qui! Entrambi!”. Vereheveil prese coraggio e si sedette al alto opposto, abbracciandolo a sua volta.

“Perché non mi hai detto di te e del Destino?” sussurrò l’Equilibrio.

La Guerra si alzò. Vereheveil  pareva triste, ma  l’Ordine sorrise: “Tanto…siamo entrambi qui!” e si baciarono.

Anche il terzo occhio, viola, si chiuse e  il Kaos non disse nulla, avvertendo lo stesso sentimento che lo legava alla moglie.

“Scusami, Dio del Sole, se faccio sempre piovere. Ma sono…abbattuto. Speravo che il mio futuro sarebbe stato diverso e invece…” sospirò “Sono imprigionato in un corpo che non  mi permette di amare, né di dare vita. È tremendamente triste…”.

“Ma tu sei un creatore! Anzi…sei tre creatori in uno! Avrai di certo altri  modi per donare l’esistenza!” obbiettò il Dio del Sole, con un sorriso.

“Già…immagino sia così…” non sembrava molto convinto “Mi sei mancato, Vereheveil. Volevo solo rivedere te ed il piccolo ma…come può reagire mio figlio vedendomi così? E come reagisci tu all’idea che mai più nulla sarà come prima? Fino a quando le essenze dei creatori non troveranno il loro nuovo corpo, saranno sempre qui, dentro me, e non…”.

“Non importa. Sono ancora un angelo, in fondo. Non ho bisogno di altro all’infuori della tua voce e della certezza che stai bene. Non avendo più tue notizie, ci eravamo tutti preoccupati. Temevamo che fossi stato portato via dagli Alti o che ti fosse successo qualcosa di peggio…il Pianeta, a volte, era senza controllo…”.

 “Scusami. Scusatemi”.

“E adesso alzati da lì ed esci! La gente fuori ti aspetta! Così come i tuoi figli, gli Dèi, bambini e no, e molti altri. Muoviti!” gli ordinò il Dio delle Letterature.

“Andate a liberare il mio Messaggero…” iniziò a parlare il padrone di casa.

Erezehimsay obbedì alle richieste e, dopo qualche attimo, il Messaggero degli Alti apparve, protestando vivacemente contro tutti i presenti. Guardò il suo signore: “Che maleducati! Capisco siano vostri amici, ma…”.

Il Dio creatore sorrise, con la testa sulle ginocchia: “Mio Messaggero…io voglio uscire da qui!”. L’angelo era raggiante, e cambiò espressione di colpo. Corse al bordo del letto, porgendo una veste variopinta al suo padrone ,che la indossò. Quando il suo capo fu in piedi, il nuovo Messaggero si inchinò e gli baciò la mano.

“Che notizia lieta, mio Dio!”.

“Alzati subito!” gli ordinò l’Equilibrio. Poi guardò Erezehimsay: “Va là fuori, Messaggero dell’Ordine, e dì loro che io sono qui, sto bene…e credo che sia il caso che veda un po’ la luce del Sole!”.

Il Dio degli Astri e dei fuochi uscì, illuminando il cielo con la stella del Pianeta: dopo tanto aveva smesso di piovere. Kasday indossò una collana a due colori, bianco e nero. Brillava. Era particolarmente utile quando una delle due essenze estranee si allontanava. Bastava vedere quel ciondolo per sapere se stava bene o se si stava spegnendo, come la luce del gioiello.

Raccolse i capelli come poteva, la parte del Kaos si agitava a vanvera per aria, e poi uscì, accompagnato dalla Dea della Guerra e da Vereheveil.

Fuori la gente danzava. Fuori la gente festeggiava. Erano finiti i conflitti, c’era di nuovo bel tempo e il loro creatore stava bene. Uscito dalla porta, il Dio del Pianeta si coprì il viso, non abituato alla luce. Preferiva stare al buio nelle sue stanze, per non vedersi più di tanto. Uscì e tutti si fermarono, guardandolo. L’Equilibrio temeva quel momento ma, invece di sentire i commenti e le reazioni che si aspettava, avvertì la gioia dei presenti.

“Siete la divinità più bella degli Universi!” si sentì dire.

Io? Una divinità bella?

Stupito da questo, si arrestò sulla collina. Si voltò verso l’ingresso, dove aveva fatto mettere due specchi a lato della porta, momentaneamente assente a causa dell’esplosione provocata dalla Dea della Guerra. Si specchiò e sussultò. Su quella superficie, incastonata in un occhio di pietra, la sua pelle, nel lato oscuro, splendeva tantissimo, riflettendo i raggi del Sole.

I capelli si erano sciolti e si libravano in aria, gli occhi erano sfavillanti di luce azzurra e viola,  i bracciali, che aveva indossato, tintinnavano al ritmo dei suoi movimenti.

Sentendo la musica, iniziò a danzare, come non faceva da tempo, sospeso a mezz’aria, evitando così di sentire il dolore alla gamba.

È solo una situazione di passaggio. Presto tornerai quello che eri. Per ora…accetta ciò che sei!

Si disse, cantando con tre toni diversi. Si accorse che anche suo padre aveva una bella voce, quasi dolce, quando voleva. Aprì le braccia verso il cielo.

È tutto finito? No…non ancora.

   
 
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