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Autore: Menade Danzante    29/08/2015    3 recensioni
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[The Hobbit - Movieverse - Modern!AU]
Gandalf Gray consiglia a Bilbo Baggins di iscriversi ad un corso di disegno per crearsi nuovi interessi al di fuori della sua vita semplice e riservata. Bilbo si trova ad accettare, non troppo entusiasta. Il suo stato d'animo sembra cambiare quando, due settimane più tardi, il modello del corso cambia.
Dal testo: "Bilbo ebbe la sensazione che quell'uomo non fosse estremamente felice di essere lì, sdraiato per metà su un divanetto sobrio e bianco, che contrastava con i suoi colori, compresi quelli degli indumenti – blu scuro per i pantaloni di jeans e nero per la camicia arrotolata fino ai gomiti.
Siamo in due, pensò per niente confortato, sbuffando di nuovo e riprendendo l'analisi del foglio."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Arte per un incontro


I never thought that this could happen to me
In only seven days
It would take a hundred or more
For memories to fade”

(“In only seven days”, Queen)


Bilbo non sapeva esattamente quanto l'idea del suo amico fosse realizzabile, o utile, ma era lì, con un foglio da disegno e un set di matite di diversa consistenza a sua completa disposizione, e, davanti ai suoi occhi, un modello da dover ritrarre. Un modello nuovo, in verità.
Con grande incertezza, impugnò una matita morbida e cominciò a studiare il punto preciso per iniziare il lavoro. Vedeva che altri, disposti in un cerchio di cui anch'egli faceva parte, si perdevano prima a guardare il modello, poi a capire proporzioni e schemi da seguire. E, in effetti, non avevano tutti i torti.
Maledetto Gandalf, pensò, a metà tra l'incollerito e il rassegnato per essersi lasciato trascinare in quel corso di disegno di cui, ne era certo, Bilbo non aveva assolutamente bisogno. Il pensiero gli veniva confermato dal fatto che, nonostante fossero passate già due settimane, ancora aveva dei dubbi su cosa fare in primis.
Con un sospiro fissò il modello, del quale non aveva minimamente afferrato il nome. Più alto di lui, moro, dai capelli lunghi che gli ricadevano sulle spalle, e Bilbo indovinava che proseguissero anche sulla schiena, ma, dalla sua angolazione, non poteva vederli. La barba gli ricopriva la parte inferiore del volto, folta ma incredibilmente ordinata. Gli conferiva un aspetto veramente burbero, soprattutto grazie agli occhi cristallini che, in quel momento, avevano assunto un'espressione vagamente torva. Bilbo ebbe la sensazione che quell'uomo non fosse estremamente felice di essere lì, sdraiato per metà su un divanetto sobrio e bianco, che contrastava con i suoi colori, compresi quelli degli indumenti – blu scuro per i pantaloni di jeans e nero per la camicia arrotolata fino ai gomiti.
Siamo in due, pensò per niente confortato, sbuffando di nuovo e riprendendo l'analisi del foglio.
Tracciò qualche linea inizialmente incerta, cercando di riprodurre proprio il particolare che non gli mostrava grande fiducia, e a lui, Bilbo Baggins, le cose poco tranquille non piacevano affatto. Partì dagli occhi, quindi accennò appena la linea sottile – molto sottile – delle labbra, provando a non essere troppo invasivo con lo sguardo. Ecco, forse essere faccia a faccia con il modello non era un grande vantaggio per lui, abituato a perdersi in contemplazioni assorte e invasive.
Decise di continuare a disegnare senza farsi troppi problemi.


Si avviò con le chiavi della macchina in pugno verso la vettura parcheggiata a pochi passi dallo studio d'arte. Nel silenzio serale, ovattato e compatto, non tardò ad udire quello che identificò subito come un poderoso calcio contro la carrozzeria di un'altra auto. Aveva appena infilato la chiave, e considerò anche l'idea di allontanarsi il prima possibile: l'ultima cosa che voleva, davvero, era rimanere coinvolto in chissà che tipo di incidente in strada.
Fu l'imprecazione sonoramente disperata di un uomo a fargli rimuovere la chiave dalla serratura. Gli bastò sporgersi appena dal fondo della sua macchina per vedere qualcuno di insolitamente conosciuto che si metteva le mani nei capelli, pur mantenendo una certa stoica serietà. Realizzò con un secondo di ritardo che si trattava del modello di cui a lezione aveva ritratto il volto e il braccio su cui poggiava.
Non parlò, non si mosse. E forse proprio per la sua statica curiosità dovette entrare nel campo visivo dell'altro. Questi parve ricordarsi all'improvviso di essere in strada, di non aver solo pensato quella maledizione lanciata con foga e di essere osservato. Lo accusò con lo sguardo di averlo spiato, ma unì al gesto un imbarazzato colpo di tosse.
Bilbo si riscosse: «Ehm... Serve aiuto?»
Ricevette uno sguardo bieco in risposta, ma anche una sorta di spiegazione verbale.
«No, non proprio» disse l'uomo, scostandosi dal viso ciocche di lunghi capelli sfuggite ad una coda bassa dietro la schiena.
Bilbo osservò prima lui, poi il pick-up che era stato brutalmente malmenato. «Ne è sicuro? Se... beh, ecco, se si sta facendo problemi a chiedermi aiuto... non deve» tentò malamente. «Insomma, io ero al corso di poco fa e-»
«Sì, so che era là» assicurò il modello, guardandolo come se fosse idiota. Probabilmente non aveva capito che la precisazione di Bilbo era stata spinta dal desiderio di far sapere di essere una persona affidabile – come se un tipo con quei muscoli, che tanto avevano stupito Bilbo mentre li disegnava, potesse aver paura degli sconosciuti.
«Sono a secco» spiegò d'un tratto il moro, regalando alla macchina uno sguardo rabbioso.
Bilbo annuì comprensivo. Fece per voltarsi e tornare ai suoi propositi di andare via, quando ci ripensò.
«Se vuole... Io ho la macchina. Posso darle un passaggio. Abita lontano da qui?»
«Non si disturbi. Chiamo i miei nipoti e mi verranno a prendere»
«Ma ci vorrà più tempo. Io sono già qui»
Bilbo si sentì soppesato dagli occhi glaciali dell'altro, e desiderò solo di essersi fatto gli affari propri.
«D'accordo, allora. I miei nipoti sono ancora al lavoro, non potrebbero venire subito», e Bilbo si sentì immediatamente rilassato, come se avesse superato una grande prova di forza. Lo guardò fare il giro del pick-up per prendere le chiavi ancora inserite, e poi andare verso di lui tenendo una giacca leggera in mano.
«Comunque...» fece il più basso, vagamente a disagio, come sempre in fatto di presentazioni, «Io sono Bilbo Baggins», e gli porse la mano.
«Thorin Oakenshield» rispose la voce profonda dell'interlocutore, restituendo il gesto. Bilbo avvertì la sua mano stritolarsi contro quella forte e grande di Thorin.
Dopo poco aveva già messo in moto.


Thorin l'aveva fatto parcheggiare non troppo lontano dalla strada secondaria che Bilbo doveva prendere per arrivare a casa sua. Si scoprì meravigliato nel constatare quanto abitassero vicini.
Quando la macchina si fermò, il modello si voltò verso di lui. Era stato piuttosto silenzioso, aveva aperto bocca solo per dirgli dove abitasse, perciò quel movimento sorprese un poco il disegnatore.
«La ringrazio» scandì Thorin, abbozzando perfino un mezzo sorriso stirato sul volto perennemente serio. «È stato gentile a disturbarsi»
«Non c'è di che» sorrise Bilbo a sua volta. «Io abito qui nei dintorni, sa. Avrei fatto questa strada comunque»
Non seppe decidersi se ritenersi scortese o meno per aver detto ciò, ma non ritirò niente. Aspettò che l'altro finisse di annuire e che un pesante silenzio calasse tra di loro.
«Bene. Arrivederci» disse Thorin forzatamente, muovendosi per aprire la portiera.
«Ci vediamo al corso» La frase era uscita dalle labbra di Bilbo senza che ci ragionasse troppo. Thorin aveva assunto una colorazione leggermente più rosata in volto e il guidatore s'impose di non farci caso.
«Giusto» farfugliò prima di evadere dall'abitacolo.
«Buona serata» tentò Bilbo, ma l'altro era già sgattaiolato via.


-


La lezione successiva fu decisamente stressante per Bilbo. Non gli era sembrata una grande conversazione quella avuta con Thorin tre sere prima, e questo lo metteva fortemente in imbarazzo nel ritrovarselo di fronte, e soprattutto come oggetto imposto della sua attenzione.
Aveva deviato per tutta l'ora il forte impulso di accennargli un sorriso o una movenza del capo, giusto per fargli sapere che non aveva dimenticato che si erano parlati. Thorin, invece, l'aveva ignorato di sana pianta.
Fu talmente deconcentrato che riuscì ad avanzare nel ritratto solo di mezzo busto, risultato abbastanza deludente anche per lui che di disegno di certo non poteva dirsi esperto.
Con la frustrazione nel petto, Bilbo avanzò ad ampie falcate per riporre matite e disegno nell'apposito e riservato scomparto. Mentre infilava l'astuccio, capì che aveva dimenticato di prendere la giacca, rimasta ancorata alla sedia. Andarla a recuperare implicava passare davanti al modello al quale aveva fatto un grosso favore e che l'aveva ignorato sgarbatamente. Gli sarebbe costato veramente molto tornare indietro e...
«Questa deve essere sua» sentì dire alle sue spalle. Aveva parlato Thorin.
Si girò di scatto, incrociando lo sguardo dell'uomo che gli allungava una mano alla quale era appesa la sua giacca. Bilbo finse sorpresa.
«Grazie, sì, è la mia» sorrise, in cuor suo pienamente soddisfatto che fosse stato Thorin ad andare da lui e non viceversa.
«L'ho notata l'altra sera» precisò il moro, schiarendosi la gola subito dopo. «Voglio dire, la indossava»
«Certo», e Bilbo si trovò a corto di parole. Per sua enorme fortuna, fu sempre l'altro a continuare.
«Sta andando via?» Era impossibile che la nota di profondo disagio passasse inosservata. Bilbo si chiese se fosse una domanda spontanea o solo una mera cortesia quella di proporgli di riportarlo a casa a sua volta – perché questo gli avrebbe chiesto, ne era più che certo.
«Sì, direi di sì»
«Ah. Mi avrebbe... fatto piacere... offrirle qualcosa. Per ringraziarla»
Bilbo spalancò gli occhi incapace di trattenersi. Non sapeva quanto era costata a Thorin quella proposta, che non era del tutto frutto del suo cervello, ma di quello dei nipoti che, colpiti da un gesto così carino nei suoi confronti, l'avevano spinto a sdebitarsi. Non sapeva nemmeno che, in fondo, a Thorin avrebbe fatto piacere. Non sapeva niente di tutto ciò, ma annuì comunque, ingoiando in una volta sola tutta la bile che aveva accumulato durante l'ora di corso.
«Va benissimo, non ho impegni» si affrettò a dire, con slancio, mentre infilava le braccia nella giacca.
Si sorrisero – Thorin spaventosamente composto, Bilbo con un'espressione sorpresa e piacevole sul volto.


La conversazione non poteva dirsi facile con uno come Thorin, ma Bilbo dovette ammettere che tutto l'imbarazzo della volta precedente e della lezione del giorno era scemato. Abbandonarono il linguaggio formale in poco tempo, cosa che lasciò lievemente l'amaro in bocca a Bilbo. Non era abituato a questa confidenza quasi immediata, ma si trovò meno dispiaciuto del solito.
Scoprì che Thorin aveva deciso di fare il modello per quella scuola di disegno per arrotondare i conti in casa, soprattutto per permettere ai nipoti di risparmiare dei soldi dal loro stipendio nella prospettiva di farsi una vita al di là della loro famiglia. Bilbo lo ammirò con una sincerità tale da scaldargli il cuore. Lui gli raccontò di come aveva deciso di diventare uno scrittore – perdonando a Thorin l'ammissione di non aver mai letto un suo libro – e di unire così la sua passione per le storie, specialmente fantasy, a quella di una vita poco caotica. «Il vantaggio di lavorare in casa» disse furbescamente, guadagnandosi un'occhiata di ridente approvazione.
Andarono avanti per più di un'ora. Fu Thorin a trovarsi costretto ad interrompere la piacevole serata alternativa quando suo nipote Kili gli ricordò con un colpo di telefono che toccava a lui fare la spesa e che, a causa del suo immenso e non previsto ritardo, in casa non avevano di che sfamarsi.
Bilbo rise di fronte al grugnire irritato del moro, ma quell'espressione imbronciata non gli impedì di chiedergli – e strappargli – il numero di telefono.


-


A volte, il pensiero di dover ringraziare profondamente il suo amico Gandalf Gray gli passava per la mente e vi albergava per molto tempo. Solitamente, non lo ammetteva, né osava mettere in pratica il suo proposito, ma Bilbo Baggins sapeva che Gandalf meritava molte più lodi da parte sua di quelle che riceveva. Sì, perché ogni volta che Gandalf decideva di prendere in mano la vita di Bilbo, lo faceva con pochissimo garbo, con un'invadenza che minacciava crisi isteriche da parte dello scrittore, ma anche con il desiderio di farlo più felice, di tirarlo fuori dalla tana lustra e povera di emozioni che era la sua casa, dalla quale, per giorni e giorni, poteva decidere di uscire solo per fare in modo di mangiare.
Anche in quell'ultima settimana Bilbo sentiva di dover ringraziare Gandalf. Come sempre, si era accorto prima di lui che stava trascurando la sua persona, si stava abbrutendo in un'esistenza confortevole ma troppo piccola, ed era intervenuto, dandogli il biglietto da visita di una scuola di disegno. Un hobby come un altro, culturale, intellettuale, degno di Bilbo. E l'aveva di nuovo aiutato. Si sentiva meglio, aveva la mente occupata non solo dalla scadenza ultima per presentare il prossimo capitolo del libro al quale lavorava, e questo lo allietava. Era piacevole dover pensare necessariamente ad altro.
Aveva deciso di volersi cimentare degnamente nella sua nuova attività. Aveva cominciato a documentarsi sull'utilizzo della matita, sull'importanza delle luci e delle ombre in un disegno e su come stendere le une e le altre sull'oggetto raffigurato. Più faceva ricerche in Internet, più era impaziente di tornare al corso il martedì successivo per modificare, arricchire e impreziosire il ritratto di Thorin.
Thorin. Quell'uomo lo aveva colpito, non c'era altra spiegazione plausibile, non che se ne volesse dare altre. Aveva tentato di non pensarci, ma più si diceva di non pensare a Thorin, più, logicamente, il volto incorniciato dalla cascata di capelli e dalla barba scura gli si presentava alla mente. Continuava a sovrapporre i tratti che stava disegnando e quelli del vero Thorin, compiacendosi dell'incredibile somiglianza, crogiolandosi nell'attesa di rivederlo nuovamente.
Gli mancavano pochi dettagli per finire il ritratto, così come agli altri studenti. Questo gli infondeva un senso di abbandono particolare. Infatti, l'insegnante aveva annunciato che già dal prossimo incontro le postazioni di ciascuno di loro, modello compreso, sarebbero cambiate. Ciò significava che Bilbo non avrebbe più potuto guardarlo negli occhi mentre tentava di riprodurne l'iride azzurra in tutte le sue screziature o le rughe d'espressione che circondavano il profilo allungato e vigile delle palpebre. Allo stesso tempo era allettato dall'idea di poter studiare indisturbatamente parti fisiche di Thorin che, in un normale approccio conoscitivo, non avrebbe potuto osservare con disinvoltura. Quando, tuttavia, si sorprendeva a pensare queste cose, non poteva fare a meno di darsi bonariamente dello stupido, e la sua bocca si stendeva in un sorriso felice, così lieto da fagli muovere le dita sulla tastiera del telefono per digitare un Grazie ed indirizzarlo a Gandalf Gray.
Non c'è di che, ragazzo mio, fu la risposta, e Bilbo lo immaginò ridere.


Terminata la consueta ora, nonostante i buoni propositi del disegnatore di concentrarsi sul fatto di poter esplorare e imitare tratti che mai avrebbe notato di Thorin, Bilbo non poté che sentirsi sollevato quando incrociò, finalmente, lo sguardo del modello.
Si sorrisero e si incamminarono fuori insieme.
«È fastidiosa la nuova posa» commentò Thorin, ruotando il capo a destra e a sinistra nel tentativo di rilassare i muscoli del collo.
«È anche meno affascinante da disegnare, credimi»
Il moro si strinse nelle spalle, come a dire che non era colpa sua. Tuttavia, un sorriso gli increspò le labbra.
«Questa sera dànno un bel film, al cinema, sai?» fece Bilbo con finta casualità, appoggiandosi al paraurti del pick-up di Thorin. Sperò che quest'ultimo non avesse badato al modo buffo con cui aveva pronunciato quella frase. In fondo, aveva posto una semplicissima domanda. Solo lui sapeva che, tra le righe, aveva lanciato un sottile invito a fargli compagnia. Pur ipotizzando che Thorin non si fosse accorto della cosa, non sarebbe stato imbarazzante. Affatto.
«Sì, ho notato» annuì l'altro, fatalmente impacciato. Bilbo trattenne il fiato nel momento in cui il dubbio che Thorin non avesse la benché minima idea di quali film fossero in programmazione al cinema gli sfiorò la mente. Difficile da non manifestare fu il sorriso puramente fiero che gli nacque poco dopo sulle labbra.
«Avevi intenzione di andarlo a vedere?» chiese Thorin, i tratti del viso che formavano la maschera innocente di un bambino.
«Mi sarebbe piaciuto, dico la verità, però non amo molto vedere i film in solitudine, soprattutto al cinema... Mi fa sentire fuori luogo, capisci?»
Bilbo aveva preparato quella frase il giorno precedente, nell'eventualità in cui il primo tentativo fosse andato a segno. Non si preoccupò di suonare troppo teatrale, piuttosto cercò di non fargli capire che, generalmente, era tutto il contrario: Bilbo odiava guardare film con altre persone, soprattutto al cinema. Doveva avere la possibilità di assaporare la pellicola da solo, con le sue emozioni, le sue impressioni, il suo modo di vedere le cose. Solo in seguito ammetteva che altri mescolassero le loro idee alle sue, con le dovute limitazioni.
Eppure, non vedeva l'ora che Thorin gli dicesse:
«Non c'è problema, ti accompagno io»
Bilbo spalancò la bocca, senza nemmeno provare a frenare l'istinto.
«Se ti va, ovviamente»
«Certo! V-Va bene!» esclamò in fretta, temendo di sentirlo ritirare l'offerta. O forse solo perché fremeva al desiderio di dirlo.


Come d'accordo, alle dieci in punto entrambi erano lì, accomunati non solo dall'appuntamento – perché solo così potevano chiamare quell'uscita –, ma anche dall'indecisione. La verità era che nemmeno Bilbo si era preoccupato di controllare i titoli disponibili. Fu grato a Thorin per aver finto di non vedere il suo attimo di completo smarrimento.
Optarono per un film dal sapore drammatico, per poi trovarsi a guardare due ore di sparatorie ed effetti speciali.
In fondo, era stato meglio così: usciti dal cinema, nessuno dei due sapeva di cosa trattasse la storia vista sul grande schermo: erano stati troppo impegnati a fare in modo che le loro ginocchia si toccassero casualmente.


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18 giugno 2015 – ore 15.43
Ciao, Thorin. Sono Bilbo. Mi chiedevo se fossi libero questa sera. Se sì, ti va di mangiare una pizza insieme nel ristorante italiano di cui mi hai parlato?
B.


18 giugno 2015 – ore 15.50
Molto volentieri. Facciamo alle 21.30?
T.

18 giugno 2015 – ore 15.53
Perfetto. Ci vediamo alle 21.30. A dopo.
B.

18 giugno 2015 – ore 21.15
Potrei fare tardi. Scusa.
T.

18 giugno 2015 – ore 21.15
Non preoccuparti. Io sono quasi arrivato. Se vuoi, prenoto già il tavolo.
B.

18 giugno 2015 – ore 21.17
Meglio di no. Aspettami.
T.

18 giugno 2015 – ore 21.35
Thorin, dove sei? Io sono davanti al ristorante.
B.

18 giugno 2015 – ore 21:48
Thorin?
B.

Chiamata in uscita da Bilbo – 18 giugno 2015 – ore 21.50

Una chiamata senza risposta – 18 giugno 2015 – ore 21.50

18 giugno 2015 – ore 22.00
Thorin! Dove sei finito? Mi sto spazientendo. Perché non rispondi?
B.

Chiamata in entrata da Thorin – 18 giugno 2015 – ore 22.35

«Bilbo? Dove sei?»
«Sono a casa, naturale!»
«Cosa? A casa? – Sei tornato a casa?»
«Certo. Mi hai piantato in asso davanti al ristorante, che cosa avrei dovuto fare?»
«Ti ho cercato dappertutto! Avresti potuto avvisare»
«E tu avresti potuto avvisare prima di non essere disponibile per oggi»
«Non lo sapevo quando mi hai chiesto di uscire»
«Ah no?»
«No»
«E non ti scusi nemmeno?»
«Scusa, ma vorrei che capissi che non potevo prevedere che mi avrebbero trattenuto al corso»
«Corso? Quale corso?»
«Il corso di disegno. Lavoro tutta la settimana lì»
«Non me l'hai detto!»
«Non l'hai chiesto»
«Va bene, ma il corso finisce alle nove!»
«Mi hanno permesso di recuperare un'ora alle quale non ho potuto partecipare qualche giorno fa. Non ho potuto perdere l'occasione»
«Mh»
«Rimediamo domani, ti va?»
«Come?»
«Ti porto a cena fuori domani, dopo il nostro corso. Vuoi?»
«Se tu non hai altri impegni imprevisti...»
«Bilbo»
«Va bene»
«A domani, allora. Buonanotte»
«Buonanotte, testone»

Chiamata terminata – 18 giugno 2015 – ore 22.45


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Thorin aveva mantenuto la promessa, e Bilbo, nonostante si fosse ripetuto che gli spettava ricevere quelle scuse, non riuscì ad impedirsi di essere contento oltre ogni dire per essere seduto lì, di fronte a Thorin, ad un tavolo per due e con il menu da scorrere per cercare una portata che facesse al caso suo. Aveva recitato la parte dell'uomo offeso dal comportamento dell'altro per tutta l'ora del corso, ignorandolo volutamente. Aveva smesso l'aria sostenuta quando Thorin, con una gentilezza sulla quale doveva aver lavorato per tutto il giorno, gli aveva messo una mano sulla spalla nel dirgli che sarebbe stato un piacere, per lui, andare con una sola macchina, e che avrebbe accompagnato Bilbo a riprendere la sua auto l'indomani in mattinata. Era un gesto semplice, ma Bilbo vide in esso un'intimità che non gli sembrava vera.
Sdolcinato di un Baggins, si disse con una ben poco convinta irritazione nel soffermarsi a guardare i giochi delle luci del locale sui lineamenti di Thorin. Si ricompose all'istante, concentrandosi sull'argomento di cui stavano parlando. Gli piaceva quella scintilla di passione che faceva capolino negli occhi del moro quando si lanciava in discussioni che lo facevano vibrare di curiosità. Era una reazione che di lui rivelava un lato caratteriale che tendeva a nascondere. Non era così burbero come voleva far credere persino ai suoi nipoti, con i quali inveiva al telefono quando lo disturbavano fuori casa. Sotto la scorza dell'uomo spigoloso e scontroso c'era uno strato di sensibilità che faceva sorridere Bilbo ogni volta che riusciva a scorgerlo, perché creava un alone di tenerezza nel modello imperscrutabile con il quale era inaspettatamente riuscito ad interagire, lui che non amava le nuove compagnie.
Rivide d'un tratto, senza preavviso, quella dolcezza spontanea e celata quando tornarono alla macchina. Il cellulare di Thorin aveva vibrato nella tasca della giacca nel momento in cui il nome Fili era comparso sullo schermo. Sopra di esso, una foto che ritraeva un bambino biondo e ridente di non più di sei anni che giocava con una sorta di lancia culminante in una picca di pietra. Bilbo comprese subito: Thorin era così tenero da voler ricordare il suo nipotino così com'era da piccolo, innocente e infantile. Distolse lo sguardo per ritrovare un briciolo di compostezza.
Quando salirono in macchina, la telefonata era già conclusa e l'uomo sbuffava meno del solito. Sorrideva.
«Sei soddisfatto?» chiese dal nulla, sornione, guardando Bilbo con la coda dell'occhio.
«Per cosa?»
«Per come mi sono fatto perdonare», e la voce gli uscì con una nota di costrizione che fece ridere serenamente l'altro.
«Non proprio, sai?» ironizzò Bilbo, sistemandosi meglio sul sedile del passeggero. «Mi aspettavo di più!»
L'occhiataccia che gli saettò Thorin gli fece tossire una risata spontanea, che unì piacevolmente ad una manata sulla spalla del moro.
«Sto scherzando»
«Meglio per te» borbottò Thorin, una mano sul volante e una ad infilare la chiave. Bilbo colse il tono sarcastico e decise di aumentarne la dose.
«Come hai detto, scusa?» domandò fintamente sordo, avvicinandosi di parecchio con fare risentito.
Aveva compiuto un grosso errore. Non aveva affatto calcolato che Thorin si sarebbe girato per guardarlo negli occhi mentre gli ripeteva, con un tono più alto, la stessa frase. Non aveva lontanamente immaginato che si sarebbe ritrovato a pochi centimetri dal volto dell'uomo, tanto vicino da sentire il suo fiato caldo sulle guance. Non si era aspettato, soprattutto, di arrossire come un bambino e di deglutire a vuoto. Non aveva neanche pensato ciò che fece dopo.
Agguantando il coraggio dalle recondite profondità del suo essere, allungò il collo fino a toccare con le labbra l'angolo della bocca di Thorin. Non ricordava nemmeno come si facessero queste cose, come capire che era arrivato il momento per tentare questo, né come intuire che ci fossero reali possibilità di mettere in pratica quel contatto. Ma lo fece. Gli pressò le labbra sulla pelle, tenendo gli occhi ben aperti in attesa di trovare l'odio sul viso del suo autista straordinario.
Odio che non arrivò. Sentì l'altro rilassarsi piano, contemporaneamente agli impulsi che gli facevano capire cosa stesse succedendo. Fu Thorin a premere delicatamente le dita sulla nuca di Bilbo, ruotandogli piano la testa perché le loro labbra potessero combaciare perfettamente e non solo per sbaglio.
Bilbo non capì chi dei due avesse lasciato posto alla lingua dell'altro. Seppe solo che il bacio divenne umido, caldo, dolce, dal retrogusto del buon vino francese che avevano sorseggiato durante la cena.
Quando si staccarono, ansanti e vagamente imbarazzati, si sorrisero. Bilbo sentì il cuore mancare un battito e riprendere le sue attività solo assieme al motore rombante del pick-up che Thorin si era deciso ad avviare.


Il colpo arrivò mentre Bilbo era immerso nel ricordo di pochi minuti prima.
Non ci furono molti attimi per capire: il tempo di un enorme frastuono, di un salto sul sedile e di vedere tutto nero.


-


La testa pesava incredibilmente, come se fosse schiacciata da qualcosa su entrambi i lati. Non aveva il pensiero lucido e questo fu il primo segnale che aiutò Bilbo a capire che qualcosa non andava. Il secondo fu il perpetuo fastidiosissimo bip che continuava a diffondersi vicino al suo orecchio.
Mugugnò qualcosa che non sentì, ma che sentirono altri intorno a lui.
«Sta aprendo gli occhi» gli giunse terribilmente ovattato, ma non ebbe dubbi sull'oggetto della conversazione.
Impiegò qualche altro lungo istante per inquadrare e mettere a fuoco quello che identificò come un infermiere che gli sorrideva, lieto e mesto allo stesso tempo.
«Si sta svegliando del tutto, signor Baggins» constatò, mentre Bilbo si chiedeva perché qualcuno avesse tanta premura per il suo sonno interrotto.
Roteò gli occhi per fissarli sul comodino vicino al letto. Vi erano un cellulare, un mazzo di chiavi e un portafoglio in pelle.
«È t-tutto m-mio...?» disse, la voce impastata. L'infermiere annuì, visibilmente rilassato.
Mazzo di chiavi. Casa, macchina... Macchina. Bacio.
«Thorin!» esclamò, fallendo nel tentativo di farsi sentire perentorio e preoccupato al ricordo sfocato di una sera, forse la precedente.
Il ragazzo davanti a lui si schiarì la voce, ma non rispose con lo stesso argomento.
«Vado ad avvisare il dottore. La informerà di tutto»
Bilbo sentì, nella stanchezza, il fantasma di una lacrima che gli rigava il volto, ma la luce bianca proveniente dal soffitto era troppo forte perché potesse tenere gli occhi aperti ancora per un po'. Il resto del pianto scemò nel sonno.


-


Bilbo Baggins era in piedi, e non sapeva come. Si chiedeva con insistenza come le sue gambe potessero sopportare il peso del suo corpo. Non trovava una risposta logica, complice il suo intelletto che non voleva collaborare in alcun modo. Si sentiva svuotato, privato di qualcosa di importante, di una piccola parte di se stesso, e questo gli procurava un dolore fisico acuto che avrebbe voluto non provare.
Tuttavia, dentro di sé sentiva che lì, in piedi sulla fossa che già ospitava una bara di lucido legno di rovere, era l'unico posto in cui desiderava essere.
Non ricordava niente del momento in cui aveva smesso di averlo vicino vivo e vegeto. Dopo quel bacio lo aveva guardato solo di sfuggita, il tempo necessario per ricordare all'infinito un singolo momento.
Non gli aveva nemmeno detto addio prima che ne se andasse.
Non si era accorto che, sul sedile accanto al suo, qualcuno stava perdendo la vita mentre lui perdeva solo conoscenza con il ricordo di un bacio stampato nella mente.
L'uomo che giaceva nella bara, invece, era morto sul colpo. Così gli era stato detto quando aveva aperto gli occhi. Nella disperazione – sua e dei parenti – era riuscito a pensare che era stato meglio così. Non aveva sofferto. Non aveva sentito il pezzo di lamiera che gli lacerava le carni, non aveva sentito nemmeno il vetro del finestrino che gli tagliava l'avambraccio, schizzandogli di sangue la maglia verde; non aveva sentito niente perché prima aveva battuto la testa, svenendo, morendo.
E lì, al suo funerale, non sentiva il pianto accorato di una famiglia che non sapeva cosa fare e dire, come reagire e quando. Non sentiva nemmeno il sordo battere del cuore di Bilbo che non riusciva a pronunciare il suo nome, quel nome insolito che aveva rubato in una sera sfortunata e propizia allo stesso tempo. L'aveva urlato in ospedale, l'ultima volta; aveva provato a balbettarlo il giorno dopo; non aveva tentato più.
Si avvicinò cauto alla fossa rettangolare, guardando giù: un mucchio di fiori dai colori sobri ricopriva la superficie del legno. Bilbo si domandò per la prima volta cosa l'uomo avrebbe desiderato per il suo funerale. Si diede prima dello sciocco per aver formulato un pensiero così blando nell'occasione, poi rifletté di non saper rispondere.
Per sé, il signor Baggins avrebbe desiderato delle campanule. Per lui, aveva scelto un fiore di ciliegio¹.
Osservò il rosa del suo fiore spiccare sul bianco e sul giallo degli altri, ma lo spettacolo perse il suo fascino molto in fretta. Bilbo si voltò, salutò di nuovo i nipoti e gli amici dell'uomo che avevano preso parte alla cerimonia, e si allontanò verso l'uscita del cimitero.
Gli balenò in mente un pensiero, veloce e doloroso, una stilettata al cuore: di lui gli rimanevano soltanto due ritratti, uno scambio di SMS salvato nella cronologia del telefono e lo spettro di un bacio.
Lì, appoggiato al cancello di ferro nero e arrugginito, Bilbo Baggins non pensò più, né parlò: semplicemente, scoppiò in lacrime.




FINE



Note:

[¹] Il fiore di ciliegio ha diverse simbologie nel contesto giapponese. Tra le più comuni, sicuramente da citare sono la rinascita della natura, la caducità della vita in quanto viene associato all'uomo stesso nel suo ciclo vitale, ricchezza, buon auspicio; a seconda del numero di petali, il fiore rappresenta persino interi concetti/episodi religiosi – esempio: il fiore a cinque petali può rappresentare anche il dio del fuoco che, secondo la cosmologia nipponica, è diviso in cinque parti –. È anche associato ai samurai per la loro tenacia e lo spirito coraggioso con cui si lanciano in battaglia. Di tutti questi significati e altri, ho voluto attribuirgli la caducità della vita umana. Può esserci anche un riferimento al carattere di Thorin, ma non è necessario vederlo.



Angolo dell'autrice:

Salve! Come è scritto anche nell'introduzione, questa OS è stata scritta per un contest a pacchetti nel quale, tra le indicazioni possibili, vi era un'allegra Death!Fic. Dal momento che il nome del pacchetto corrispondeva alla canzone “In only seven days”, ho deciso di dare un tributo anche a lei, pur non scrivendo una song-fic. Infatti, la storia occupa un arco temporale più lungo, ma i giorni qui riportati sono sette: un rapporto in sette giorni – perciò molto basilare – e la drammatica fine violenta.
Non ho molto da dire se non che anch'io non mi aspettavo un andamento del genere ^^”. Mi è venuto molto naturale, ecco, strutturare così la storia una volta trovata l'idea scatenante!
È la mia prima Thilbo ed è molto confortante che finisca in tragedia! Spero di aver mantenuto l'IC dei personaggi.
Ringrazio col cuore tutti coloro che arriveranno fin qui a leggere, ma anche tutti coloro che semplicemente apriranno la FF! :D
Un bacione e alla prossima!

Menade Danzante

   
 
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