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Arte per un incontro
“I
never thought that this could happen to me
In
only seven days
It
would take a hundred or more
For
memories to fade”
(“In only seven days”, Queen)
Bilbo non sapeva
esattamente quanto l'idea del suo amico fosse realizzabile, o utile,
ma era lì, con un foglio da disegno e un set di matite di diversa
consistenza a sua completa disposizione, e, davanti ai suoi occhi, un
modello da dover ritrarre. Un modello nuovo, in verità.
Con grande incertezza,
impugnò una matita morbida e cominciò a studiare il punto preciso
per iniziare il lavoro. Vedeva che altri, disposti in un cerchio di
cui anch'egli faceva parte, si perdevano prima a guardare il modello,
poi a capire proporzioni e schemi da seguire. E, in effetti, non
avevano tutti i torti.
Maledetto Gandalf,
pensò, a metà tra l'incollerito e il rassegnato per essersi
lasciato trascinare in quel corso di disegno di cui, ne era certo,
Bilbo non aveva assolutamente bisogno. Il pensiero gli veniva
confermato dal fatto che, nonostante fossero passate già due
settimane, ancora aveva dei dubbi su cosa fare in primis.
Con un sospiro fissò il
modello, del quale non aveva minimamente afferrato il nome. Più alto
di lui, moro, dai capelli lunghi che gli ricadevano sulle spalle, e
Bilbo indovinava che proseguissero anche sulla schiena, ma, dalla sua
angolazione, non poteva vederli. La barba gli ricopriva la parte
inferiore del volto, folta ma incredibilmente ordinata. Gli conferiva
un aspetto veramente burbero, soprattutto grazie agli occhi
cristallini che, in quel momento, avevano assunto un'espressione
vagamente torva. Bilbo ebbe la sensazione che quell'uomo non fosse
estremamente felice di essere lì, sdraiato per metà su un divanetto
sobrio e bianco, che contrastava con i suoi colori, compresi quelli
degli indumenti – blu scuro per i pantaloni di jeans e nero per la
camicia arrotolata fino ai gomiti.
Siamo in due,
pensò per niente confortato, sbuffando di nuovo e riprendendo
l'analisi del foglio.
Tracciò qualche linea
inizialmente incerta, cercando di riprodurre proprio il particolare
che non gli mostrava grande fiducia, e a lui, Bilbo Baggins, le cose
poco tranquille non piacevano affatto. Partì dagli occhi, quindi
accennò appena la linea sottile – molto sottile – delle labbra,
provando a non essere troppo invasivo con lo sguardo. Ecco, forse
essere faccia a faccia con il modello non era un grande vantaggio per
lui, abituato a perdersi in contemplazioni assorte e invasive.
Decise di continuare a
disegnare senza farsi troppi problemi.
Si avviò con le chiavi
della macchina in pugno verso la vettura parcheggiata a pochi passi
dallo studio d'arte. Nel silenzio serale, ovattato e compatto, non
tardò ad udire quello che identificò subito come un poderoso calcio
contro la carrozzeria di un'altra auto. Aveva appena infilato la
chiave, e considerò anche l'idea di allontanarsi il prima possibile:
l'ultima cosa che voleva, davvero, era rimanere coinvolto in chissà
che tipo di incidente in strada.
Fu l'imprecazione
sonoramente disperata di un uomo a fargli rimuovere la chiave dalla
serratura. Gli bastò sporgersi appena dal fondo della sua macchina
per vedere qualcuno di insolitamente conosciuto che si metteva le
mani nei capelli, pur mantenendo una certa stoica serietà. Realizzò
con un secondo di ritardo che si trattava del modello di cui a
lezione aveva ritratto il volto e il braccio su cui poggiava.
Non parlò, non si mosse.
E forse proprio per la sua statica curiosità dovette entrare nel
campo visivo dell'altro. Questi parve ricordarsi all'improvviso di
essere in strada, di non aver solo pensato quella maledizione
lanciata con foga e di essere osservato. Lo accusò con lo sguardo di
averlo spiato, ma unì al gesto un imbarazzato colpo di tosse.
Bilbo si riscosse:
«Ehm... Serve aiuto?»
Ricevette uno sguardo
bieco in risposta, ma anche una sorta di spiegazione verbale.
«No, non proprio» disse
l'uomo, scostandosi dal viso ciocche di lunghi capelli sfuggite ad
una coda bassa dietro la schiena.
Bilbo osservò prima lui,
poi il pick-up che era stato brutalmente malmenato. «Ne è sicuro?
Se... beh, ecco, se si sta facendo problemi a chiedermi aiuto... non
deve» tentò malamente. «Insomma, io ero al corso di poco fa e-»
«Sì, so che era là»
assicurò il modello, guardandolo come se fosse idiota. Probabilmente
non aveva capito che la precisazione di Bilbo era stata spinta dal
desiderio di far sapere di essere una persona affidabile – come se
un tipo con quei muscoli, che tanto avevano stupito Bilbo mentre li
disegnava, potesse aver paura degli sconosciuti.
«Sono a secco» spiegò
d'un tratto il moro, regalando alla macchina uno sguardo rabbioso.
Bilbo annuì comprensivo.
Fece per voltarsi e tornare ai suoi propositi di andare via, quando
ci ripensò.
«Se vuole... Io ho la
macchina. Posso darle un passaggio. Abita lontano da qui?»
«Non si disturbi. Chiamo
i miei nipoti e mi verranno a prendere»
«Ma ci vorrà più
tempo. Io sono già qui»
Bilbo si sentì soppesato
dagli occhi glaciali dell'altro, e desiderò solo di essersi fatto
gli affari propri.
«D'accordo, allora. I
miei nipoti sono ancora al lavoro, non potrebbero venire subito», e
Bilbo si sentì immediatamente rilassato, come se avesse superato una
grande prova di forza. Lo guardò fare il giro del pick-up per
prendere le chiavi ancora inserite, e poi andare verso di lui tenendo
una giacca leggera in mano.
«Comunque...» fece il
più basso, vagamente a disagio, come sempre in fatto di
presentazioni, «Io sono Bilbo Baggins», e gli porse la mano.
«Thorin Oakenshield»
rispose la voce profonda dell'interlocutore, restituendo il gesto.
Bilbo avvertì la sua mano stritolarsi contro quella forte e grande
di Thorin.
Dopo poco aveva già
messo in moto.
Thorin l'aveva fatto
parcheggiare non troppo lontano dalla strada secondaria che Bilbo
doveva prendere per arrivare a casa sua. Si scoprì meravigliato nel
constatare quanto abitassero vicini.
Quando la macchina si
fermò, il modello si voltò verso di lui. Era stato piuttosto
silenzioso, aveva aperto bocca solo per dirgli dove abitasse, perciò
quel movimento sorprese un poco il disegnatore.
«La ringrazio» scandì
Thorin, abbozzando perfino un mezzo sorriso stirato sul volto
perennemente serio. «È stato gentile a disturbarsi»
«Non c'è di che»
sorrise Bilbo a sua volta. «Io abito qui nei dintorni, sa. Avrei
fatto questa strada comunque»
Non seppe decidersi se
ritenersi scortese o meno per aver detto ciò, ma non ritirò niente.
Aspettò che l'altro finisse di annuire e che un pesante silenzio
calasse tra di loro.
«Bene. Arrivederci»
disse Thorin forzatamente, muovendosi per aprire la portiera.
«Ci vediamo al corso»
La frase era uscita dalle labbra di Bilbo senza che ci ragionasse
troppo. Thorin aveva assunto una colorazione leggermente più rosata
in volto e il guidatore s'impose di non farci caso.
«Giusto» farfugliò
prima di evadere dall'abitacolo.
«Buona serata» tentò
Bilbo, ma l'altro era già sgattaiolato via.
-
La lezione successiva fu
decisamente stressante per Bilbo. Non gli era sembrata una grande
conversazione quella avuta con Thorin tre sere prima, e questo lo
metteva fortemente in imbarazzo nel ritrovarselo di fronte, e
soprattutto come oggetto imposto della sua attenzione.
Aveva deviato per tutta
l'ora il forte impulso di accennargli un sorriso o una movenza del
capo, giusto per fargli sapere che non aveva dimenticato che si erano
parlati. Thorin, invece, l'aveva ignorato di sana pianta.
Fu talmente deconcentrato
che riuscì ad avanzare nel ritratto solo di mezzo busto, risultato
abbastanza deludente anche per lui che di disegno di certo non poteva
dirsi esperto.
Con la frustrazione nel
petto, Bilbo avanzò ad ampie falcate per riporre matite e disegno
nell'apposito e riservato scomparto. Mentre infilava l'astuccio, capì
che aveva dimenticato di prendere la giacca, rimasta ancorata alla
sedia. Andarla a recuperare implicava passare davanti al modello al
quale aveva fatto un grosso favore e che l'aveva ignorato
sgarbatamente. Gli sarebbe costato veramente molto tornare indietro
e...
«Questa deve essere sua»
sentì dire alle sue spalle. Aveva parlato Thorin.
Si girò di scatto,
incrociando lo sguardo dell'uomo che gli allungava una mano alla
quale era appesa la sua giacca. Bilbo finse sorpresa.
«Grazie, sì, è la mia»
sorrise, in cuor suo pienamente soddisfatto che fosse stato Thorin ad
andare da lui e non viceversa.
«L'ho notata l'altra
sera» precisò il moro, schiarendosi la gola subito dopo. «Voglio
dire, la indossava»
«Certo», e Bilbo si
trovò a corto di parole. Per sua enorme fortuna, fu sempre l'altro a
continuare.
«Sta andando via?» Era
impossibile che la nota di profondo disagio passasse inosservata.
Bilbo si chiese se fosse una domanda spontanea o solo una mera
cortesia quella di proporgli di riportarlo a casa a sua volta –
perché questo gli avrebbe chiesto, ne era più che certo.
«Sì, direi di sì»
«Ah. Mi avrebbe... fatto
piacere... offrirle qualcosa. Per ringraziarla»
Bilbo spalancò gli occhi
incapace di trattenersi. Non sapeva quanto era costata a Thorin
quella proposta, che non era del tutto frutto del suo cervello, ma di
quello dei nipoti che, colpiti da un gesto così carino nei suoi
confronti, l'avevano spinto a sdebitarsi. Non sapeva nemmeno che, in
fondo, a Thorin avrebbe fatto piacere. Non sapeva niente di tutto
ciò, ma annuì comunque, ingoiando in una volta sola tutta la bile
che aveva accumulato durante l'ora di corso.
«Va benissimo, non ho
impegni» si affrettò a dire, con slancio, mentre infilava le
braccia nella giacca.
Si sorrisero – Thorin
spaventosamente composto, Bilbo con un'espressione sorpresa e
piacevole sul volto.
La conversazione non
poteva dirsi facile con uno come Thorin, ma Bilbo dovette ammettere
che tutto l'imbarazzo della volta precedente e della lezione del
giorno era scemato. Abbandonarono il linguaggio formale in poco
tempo, cosa che lasciò lievemente l'amaro in bocca a Bilbo. Non era
abituato a questa confidenza quasi immediata, ma si trovò meno
dispiaciuto del solito.
Scoprì che Thorin aveva
deciso di fare il modello per quella scuola di disegno per
arrotondare i conti in casa, soprattutto per permettere ai nipoti di
risparmiare dei soldi dal loro stipendio nella prospettiva di farsi
una vita al di là della loro famiglia. Bilbo lo ammirò con una
sincerità tale da scaldargli il cuore. Lui gli raccontò di come
aveva deciso di diventare uno scrittore – perdonando a Thorin
l'ammissione di non aver mai letto un suo libro – e di unire così
la sua passione per le storie, specialmente fantasy, a quella di una
vita poco caotica. «Il vantaggio di lavorare in casa» disse
furbescamente, guadagnandosi un'occhiata di ridente approvazione.
Andarono avanti per più
di un'ora. Fu Thorin a trovarsi costretto ad interrompere la
piacevole serata alternativa quando suo nipote Kili gli ricordò con
un colpo di telefono che toccava a lui fare la spesa e che, a causa
del suo immenso e non previsto ritardo, in casa non avevano di che
sfamarsi.
Bilbo rise di fronte al
grugnire irritato del moro, ma quell'espressione imbronciata non gli
impedì di chiedergli – e strappargli – il numero di telefono.
-
A volte, il pensiero di
dover ringraziare profondamente il suo amico Gandalf Gray gli passava
per la mente e vi albergava per molto tempo. Solitamente, non lo
ammetteva, né osava mettere in pratica il suo proposito, ma Bilbo
Baggins sapeva che Gandalf meritava molte più lodi da parte sua di
quelle che riceveva. Sì, perché ogni volta che Gandalf decideva di
prendere in mano la vita di Bilbo, lo faceva con pochissimo garbo,
con un'invadenza che minacciava crisi isteriche da parte dello
scrittore, ma anche con il desiderio di farlo più felice, di tirarlo
fuori dalla tana lustra e povera di emozioni che era la sua casa,
dalla quale, per giorni e giorni, poteva decidere di uscire solo per
fare in modo di mangiare.
Anche in quell'ultima
settimana Bilbo sentiva di dover ringraziare Gandalf. Come sempre, si
era accorto prima di lui che stava trascurando la sua persona, si
stava abbrutendo in un'esistenza confortevole ma troppo piccola, ed
era intervenuto, dandogli il biglietto da visita di una scuola di
disegno. Un hobby come un altro, culturale, intellettuale, degno di
Bilbo. E l'aveva di nuovo aiutato. Si sentiva meglio, aveva la mente
occupata non solo dalla scadenza ultima per presentare il prossimo
capitolo del libro al quale lavorava, e questo lo allietava. Era
piacevole dover pensare necessariamente ad altro.
Aveva deciso di volersi
cimentare degnamente nella sua nuova attività. Aveva cominciato a
documentarsi sull'utilizzo della matita, sull'importanza delle luci e
delle ombre in un disegno e su come stendere le une e le altre
sull'oggetto raffigurato. Più faceva ricerche in Internet, più era
impaziente di tornare al corso il martedì successivo per modificare,
arricchire e impreziosire il ritratto di Thorin.
Thorin. Quell'uomo lo
aveva colpito, non c'era altra spiegazione plausibile, non che se ne
volesse dare altre. Aveva tentato di non pensarci, ma più si diceva
di non pensare a Thorin, più, logicamente, il volto incorniciato
dalla cascata di capelli e dalla barba scura gli si presentava alla
mente. Continuava a sovrapporre i tratti che stava disegnando e
quelli del vero Thorin, compiacendosi dell'incredibile somiglianza,
crogiolandosi nell'attesa di rivederlo nuovamente.
Gli mancavano pochi
dettagli per finire il ritratto, così come agli altri studenti.
Questo gli infondeva un senso di abbandono particolare. Infatti,
l'insegnante aveva annunciato che già dal prossimo incontro le
postazioni di ciascuno di loro, modello compreso, sarebbero cambiate.
Ciò significava che Bilbo non avrebbe più potuto guardarlo negli
occhi mentre tentava di riprodurne l'iride azzurra in tutte le sue
screziature o le rughe d'espressione che circondavano il profilo
allungato e vigile delle palpebre. Allo stesso tempo era allettato
dall'idea di poter studiare indisturbatamente parti fisiche di Thorin
che, in un normale approccio conoscitivo, non avrebbe potuto
osservare con disinvoltura. Quando, tuttavia, si sorprendeva a
pensare queste cose, non poteva fare a meno di darsi bonariamente
dello stupido, e la sua bocca si stendeva in un sorriso felice, così
lieto da fagli muovere le dita sulla tastiera del telefono per
digitare un Grazie ed indirizzarlo a Gandalf Gray.
Non c'è di che,
ragazzo mio, fu la risposta, e Bilbo lo immaginò ridere.
Terminata la consueta
ora, nonostante i buoni propositi del disegnatore di concentrarsi sul
fatto di poter esplorare e imitare tratti che mai avrebbe notato di
Thorin, Bilbo non poté che sentirsi sollevato quando incrociò,
finalmente, lo sguardo del modello.
Si sorrisero e si
incamminarono fuori insieme.
«È fastidiosa la nuova
posa» commentò Thorin, ruotando il capo a destra e a sinistra nel
tentativo di rilassare i muscoli del collo.
«È anche meno
affascinante da disegnare, credimi»
Il moro si strinse nelle
spalle, come a dire che non era colpa sua. Tuttavia, un sorriso gli
increspò le labbra.
«Questa sera dànno un
bel film, al cinema, sai?» fece Bilbo con finta casualità,
appoggiandosi al paraurti del pick-up di Thorin. Sperò che
quest'ultimo non avesse badato al modo buffo con cui aveva
pronunciato quella frase. In fondo, aveva posto una semplicissima
domanda. Solo lui sapeva che, tra le righe, aveva lanciato un sottile
invito a fargli compagnia. Pur ipotizzando che Thorin non si fosse
accorto della cosa, non sarebbe stato imbarazzante. Affatto.
«Sì, ho notato» annuì
l'altro, fatalmente impacciato. Bilbo trattenne il fiato nel momento
in cui il dubbio che Thorin non avesse la benché minima idea di
quali film fossero in programmazione al cinema gli sfiorò la mente.
Difficile da non manifestare fu il sorriso puramente fiero che gli
nacque poco dopo sulle labbra.
«Avevi intenzione di
andarlo a vedere?» chiese Thorin, i tratti del viso che formavano la
maschera innocente di un bambino.
«Mi sarebbe piaciuto,
dico la verità, però non amo molto vedere i film in solitudine,
soprattutto al cinema... Mi fa sentire fuori luogo, capisci?»
Bilbo aveva preparato
quella frase il giorno precedente, nell'eventualità in cui il primo
tentativo fosse andato a segno. Non si preoccupò di suonare troppo
teatrale, piuttosto cercò di non fargli capire che, generalmente,
era tutto il contrario: Bilbo odiava guardare film con altre persone,
soprattutto al cinema. Doveva avere la possibilità di
assaporare la pellicola da solo, con le sue emozioni, le sue
impressioni, il suo modo di vedere le cose. Solo in seguito ammetteva
che altri mescolassero le loro idee alle sue, con le dovute
limitazioni.
Eppure, non vedeva l'ora
che Thorin gli dicesse:
«Non c'è problema, ti
accompagno io»
Bilbo spalancò la bocca,
senza nemmeno provare a frenare l'istinto.
«Se ti va, ovviamente»
«Certo! V-Va bene!»
esclamò in fretta, temendo di sentirlo ritirare l'offerta. O forse
solo perché fremeva al desiderio di dirlo.
Come d'accordo, alle
dieci in punto entrambi erano lì, accomunati non solo
dall'appuntamento – perché solo così potevano chiamare
quell'uscita –, ma anche dall'indecisione. La verità era che
nemmeno Bilbo si era preoccupato di controllare i titoli disponibili.
Fu grato a Thorin per aver finto di non vedere il suo attimo di
completo smarrimento.
Optarono per un film dal
sapore drammatico, per poi trovarsi a guardare due ore di sparatorie
ed effetti speciali.
In fondo, era stato
meglio così: usciti dal cinema, nessuno dei due sapeva di cosa
trattasse la storia vista sul grande schermo: erano stati troppo
impegnati a fare in modo che le loro ginocchia si toccassero
casualmente.
-
18 giugno 2015 – ore
15.43
Ciao, Thorin. Sono
Bilbo. Mi chiedevo se fossi libero questa sera. Se sì, ti va di
mangiare una pizza insieme nel ristorante italiano di cui mi hai
parlato?
B.
18 giugno 2015 – ore
15.50
Molto volentieri.
Facciamo alle 21.30?
T.
18 giugno 2015 – ore
15.53
Perfetto. Ci vediamo
alle 21.30. A dopo.
B.
18 giugno 2015 – ore
21.15
Potrei fare tardi.
Scusa.
T.
18 giugno 2015 – ore
21.15
Non preoccuparti. Io
sono quasi arrivato. Se vuoi, prenoto già il tavolo.
B.
18 giugno 2015 – ore
21.17
Meglio di no.
Aspettami.
T.
18 giugno 2015 – ore
21.35
Thorin, dove sei? Io
sono davanti al ristorante.
B.
18 giugno 2015 – ore
21:48
Thorin?
B.
Chiamata in uscita da Bilbo – 18 giugno 2015 – ore 21.50
Una chiamata senza risposta – 18 giugno 2015 – ore 21.50
18 giugno 2015 – ore
22.00
Thorin! Dove sei
finito? Mi sto spazientendo. Perché non rispondi?
B.
Chiamata in entrata da Thorin – 18 giugno 2015 – ore 22.35
«Bilbo? Dove sei?»
«Sono a casa, naturale!»
«Cosa? A casa? –
Sei tornato a casa?»
«Certo. Mi hai piantato
in asso davanti al ristorante, che cosa avrei dovuto fare?»
«Ti ho cercato
dappertutto! Avresti potuto avvisare»
«E tu avresti potuto
avvisare prima di non essere disponibile per oggi»
«Non lo sapevo quando
mi hai chiesto di uscire»
«Ah no?»
«No»
«E non ti scusi
nemmeno?»
«Scusa, ma vorrei che
capissi che non potevo prevedere che mi avrebbero trattenuto al
corso»
«Corso? Quale corso?»
«Il corso di disegno.
Lavoro tutta la settimana lì»
«Non me l'hai detto!»
«Non l'hai chiesto»
«Va bene, ma il corso
finisce alle nove!»
«Mi hanno permesso di
recuperare un'ora alle quale non ho potuto partecipare qualche giorno
fa. Non ho potuto perdere l'occasione»
«Mh»
«Rimediamo domani, ti
va?»
«Come?»
«Ti porto a cena
fuori domani, dopo il nostro
corso. Vuoi?»
«Se tu non hai altri
impegni imprevisti...»
«Bilbo»
«Va bene»
«A domani, allora.
Buonanotte»
«Buonanotte, testone»
Chiamata terminata – 18 giugno 2015 – ore 22.45
-
Thorin aveva mantenuto la
promessa, e Bilbo, nonostante si fosse ripetuto che gli spettava
ricevere quelle scuse, non riuscì ad impedirsi di essere contento
oltre ogni dire per essere seduto lì, di fronte a Thorin, ad un
tavolo per due e con il menu da scorrere per cercare una portata che
facesse al caso suo. Aveva recitato la parte dell'uomo offeso dal
comportamento dell'altro per tutta l'ora del corso, ignorandolo
volutamente. Aveva smesso l'aria sostenuta quando Thorin, con una
gentilezza sulla quale doveva aver lavorato per tutto il giorno, gli
aveva messo una mano sulla spalla nel dirgli che sarebbe stato un
piacere, per lui, andare con una sola macchina, e che avrebbe
accompagnato Bilbo a riprendere la sua auto l'indomani in mattinata.
Era un gesto semplice, ma Bilbo vide in esso un'intimità che non gli
sembrava vera.
Sdolcinato di un
Baggins, si disse con una ben poco convinta irritazione nel
soffermarsi a guardare i giochi delle luci del locale sui lineamenti
di Thorin. Si ricompose all'istante, concentrandosi sull'argomento di
cui stavano parlando. Gli piaceva quella scintilla di passione che
faceva capolino negli occhi del moro quando si lanciava in
discussioni che lo facevano vibrare di curiosità. Era una reazione
che di lui rivelava un lato caratteriale che tendeva a nascondere.
Non era così burbero come voleva far credere persino ai suoi nipoti,
con i quali inveiva al telefono quando lo disturbavano fuori casa.
Sotto la scorza dell'uomo spigoloso e scontroso c'era uno strato di
sensibilità che faceva sorridere Bilbo ogni volta che riusciva a
scorgerlo, perché creava un alone di tenerezza nel modello
imperscrutabile con il quale era inaspettatamente riuscito ad
interagire, lui che non amava le nuove compagnie.
Rivide d'un tratto, senza
preavviso, quella dolcezza spontanea e celata quando tornarono alla
macchina. Il cellulare di Thorin aveva vibrato nella tasca della
giacca nel momento in cui il nome Fili era comparso sullo
schermo. Sopra di esso, una foto che ritraeva un bambino biondo e
ridente di non più di sei anni che giocava con una sorta di lancia
culminante in una picca di pietra. Bilbo comprese subito: Thorin era
così tenero da voler ricordare il suo nipotino così com'era da
piccolo, innocente e infantile. Distolse lo sguardo per ritrovare un
briciolo di compostezza.
Quando salirono in
macchina, la telefonata era già conclusa e l'uomo sbuffava meno del
solito. Sorrideva.
«Sei soddisfatto?»
chiese dal nulla, sornione, guardando Bilbo con la coda dell'occhio.
«Per cosa?»
«Per come mi sono fatto
perdonare», e la voce gli uscì con una nota di costrizione che fece
ridere serenamente l'altro.
«Non proprio, sai?»
ironizzò Bilbo, sistemandosi meglio sul sedile del passeggero. «Mi
aspettavo di più!»
L'occhiataccia che gli
saettò Thorin gli fece tossire una risata spontanea, che unì
piacevolmente ad una manata sulla spalla del moro.
«Sto scherzando»
«Meglio per te»
borbottò Thorin, una mano sul volante e una ad infilare la chiave.
Bilbo colse il tono sarcastico e decise di aumentarne la dose.
«Come hai detto, scusa?»
domandò fintamente sordo, avvicinandosi di parecchio con fare
risentito.
Aveva compiuto un grosso
errore. Non aveva affatto calcolato che Thorin si sarebbe girato per
guardarlo negli occhi mentre gli ripeteva, con un tono più alto, la
stessa frase. Non aveva lontanamente immaginato che si sarebbe
ritrovato a pochi centimetri dal volto dell'uomo, tanto vicino da
sentire il suo fiato caldo sulle guance. Non si era aspettato,
soprattutto, di arrossire come un bambino e di deglutire a vuoto. Non
aveva neanche pensato ciò che fece dopo.
Agguantando il coraggio
dalle recondite profondità del suo essere, allungò il collo fino a
toccare con le labbra l'angolo della bocca di Thorin. Non ricordava
nemmeno come si facessero queste cose, come capire che era
arrivato il momento per tentare questo, né come intuire che
ci fossero reali possibilità di mettere in pratica quel contatto. Ma
lo fece. Gli pressò le labbra sulla pelle, tenendo gli occhi ben
aperti in attesa di trovare l'odio sul viso del suo autista
straordinario.
Odio che non arrivò.
Sentì l'altro rilassarsi piano, contemporaneamente agli impulsi che
gli facevano capire cosa stesse succedendo. Fu Thorin a premere
delicatamente le dita sulla nuca di Bilbo, ruotandogli piano la testa
perché le loro labbra potessero combaciare perfettamente e non solo
per sbaglio.
Bilbo non capì chi dei
due avesse lasciato posto alla lingua dell'altro. Seppe solo che il
bacio divenne umido, caldo, dolce, dal retrogusto del buon vino
francese che avevano sorseggiato durante la cena.
Quando si staccarono,
ansanti e vagamente imbarazzati, si sorrisero. Bilbo sentì il cuore
mancare un battito e riprendere le sue attività solo assieme al
motore rombante del pick-up che Thorin si era deciso ad avviare.
Il colpo arrivò mentre
Bilbo era immerso nel ricordo di pochi minuti prima.
Non ci furono molti
attimi per capire: il tempo di un enorme frastuono, di un salto sul
sedile e di vedere tutto nero.
-
La testa pesava
incredibilmente, come se fosse schiacciata da qualcosa su entrambi i
lati. Non aveva il pensiero lucido e questo fu il primo segnale che
aiutò Bilbo a capire che qualcosa non andava. Il secondo fu il
perpetuo fastidiosissimo bip che continuava a diffondersi
vicino al suo orecchio.
Mugugnò qualcosa che non
sentì, ma che sentirono altri intorno a lui.
«Sta aprendo gli occhi»
gli giunse terribilmente ovattato, ma non ebbe dubbi sull'oggetto
della conversazione.
Impiegò qualche altro
lungo istante per inquadrare e mettere a fuoco quello che identificò
come un infermiere che gli sorrideva, lieto e mesto allo stesso
tempo.
«Si sta svegliando del
tutto, signor Baggins» constatò, mentre Bilbo si chiedeva perché
qualcuno avesse tanta premura per il suo sonno interrotto.
Roteò gli occhi per
fissarli sul comodino vicino al letto. Vi erano un cellulare, un
mazzo di chiavi e un portafoglio in pelle.
«È t-tutto m-mio...?»
disse, la voce impastata. L'infermiere annuì, visibilmente
rilassato.
Mazzo di chiavi. Casa,
macchina... Macchina. Bacio.
«Thorin!»
esclamò, fallendo nel tentativo di farsi sentire perentorio e
preoccupato al ricordo sfocato di una sera, forse la precedente.
Il ragazzo davanti a lui
si schiarì la voce, ma non rispose con lo stesso argomento.
«Vado ad avvisare il
dottore. La informerà di tutto»
Bilbo sentì, nella
stanchezza, il fantasma di una lacrima che gli rigava il volto, ma la
luce bianca proveniente dal soffitto era troppo forte perché potesse
tenere gli occhi aperti ancora per un po'. Il resto del pianto scemò
nel sonno.
-
Bilbo Baggins era in
piedi, e non sapeva come. Si chiedeva con insistenza come le sue
gambe potessero sopportare il peso del suo corpo. Non trovava una
risposta logica, complice il suo intelletto che non voleva
collaborare in alcun modo. Si sentiva svuotato, privato di qualcosa
di importante, di una piccola parte di se stesso, e questo gli
procurava un dolore fisico acuto che avrebbe voluto non provare.
Tuttavia, dentro di sé
sentiva che lì, in piedi sulla fossa che già ospitava una bara di
lucido legno di rovere, era l'unico posto in cui desiderava essere.
Non ricordava niente del
momento in cui aveva smesso di averlo vicino vivo e vegeto. Dopo quel
bacio lo aveva guardato solo di sfuggita, il tempo necessario per
ricordare all'infinito un singolo momento.
Non gli aveva nemmeno
detto addio prima che ne se andasse.
Non si era accorto che,
sul sedile accanto al suo, qualcuno stava perdendo la vita mentre lui
perdeva solo conoscenza con il ricordo di un bacio stampato nella
mente.
L'uomo che giaceva nella
bara, invece, era morto sul colpo. Così gli era stato detto quando
aveva aperto gli occhi. Nella disperazione – sua e dei parenti –
era riuscito a pensare che era stato meglio così. Non aveva
sofferto. Non aveva sentito il pezzo di lamiera che gli lacerava le
carni, non aveva sentito nemmeno il vetro del finestrino che gli
tagliava l'avambraccio, schizzandogli di sangue la maglia verde; non
aveva sentito niente perché prima aveva battuto la testa, svenendo,
morendo.
E lì, al suo funerale,
non sentiva il pianto accorato di una famiglia che non sapeva cosa
fare e dire, come reagire e quando. Non sentiva nemmeno il sordo
battere del cuore di Bilbo che non riusciva a pronunciare il suo
nome, quel nome insolito che aveva rubato in una sera sfortunata e
propizia allo stesso tempo. L'aveva urlato in ospedale, l'ultima
volta; aveva provato a balbettarlo il giorno dopo; non aveva tentato
più.
Si avvicinò cauto alla
fossa rettangolare, guardando giù: un mucchio di fiori dai colori
sobri ricopriva la superficie del legno. Bilbo si domandò per la
prima volta cosa l'uomo avrebbe desiderato per il suo funerale. Si
diede prima dello sciocco per aver formulato un pensiero così blando
nell'occasione, poi rifletté di non saper rispondere.
Per sé, il signor
Baggins avrebbe desiderato delle campanule. Per lui, aveva scelto un
fiore di ciliegio¹.
Osservò il rosa del suo
fiore spiccare sul bianco e sul giallo degli altri, ma lo spettacolo
perse il suo fascino molto in fretta. Bilbo si voltò, salutò di
nuovo i nipoti e gli amici dell'uomo che avevano preso parte alla
cerimonia, e si allontanò verso l'uscita del cimitero.
Gli balenò in mente un
pensiero, veloce e doloroso, una stilettata al cuore: di lui
gli rimanevano soltanto due ritratti, uno scambio di SMS salvato
nella cronologia del telefono e lo spettro di un bacio.
Lì, appoggiato al
cancello di ferro nero e arrugginito, Bilbo Baggins non pensò più,
né parlò: semplicemente, scoppiò in lacrime.
FINE
Note:
[¹] Il fiore di ciliegio ha diverse simbologie nel contesto giapponese. Tra le più comuni, sicuramente da citare sono la rinascita della natura, la caducità della vita in quanto viene associato all'uomo stesso nel suo ciclo vitale, ricchezza, buon auspicio; a seconda del numero di petali, il fiore rappresenta persino interi concetti/episodi religiosi – esempio: il fiore a cinque petali può rappresentare anche il dio del fuoco che, secondo la cosmologia nipponica, è diviso in cinque parti –. È anche associato ai samurai per la loro tenacia e lo spirito coraggioso con cui si lanciano in battaglia. Di tutti questi significati e altri, ho voluto attribuirgli la caducità della vita umana. Può esserci anche un riferimento al carattere di Thorin, ma non è necessario vederlo.
Angolo dell'autrice:
Salve!
Come è scritto anche nell'introduzione, questa OS è stata scritta
per un contest a pacchetti nel quale, tra le indicazioni possibili,
vi era un'allegra Death!Fic. Dal momento che il nome del pacchetto
corrispondeva alla canzone “In only seven days”, ho deciso di
dare un tributo anche a lei, pur non scrivendo una song-fic. Infatti,
la storia occupa un arco temporale più lungo, ma i giorni qui
riportati sono sette: un rapporto in sette giorni – perciò molto
basilare – e la drammatica fine violenta.
Non
ho molto da dire se non che anch'io non mi aspettavo un andamento del
genere ^^”. Mi è venuto molto naturale, ecco, strutturare così la
storia una volta trovata l'idea scatenante!
È
la mia prima Thilbo ed è molto confortante che finisca in tragedia!
Spero di aver mantenuto l'IC dei personaggi.
Ringrazio
col cuore tutti coloro che arriveranno fin qui a leggere, ma anche
tutti coloro che semplicemente apriranno la FF! :D
Un
bacione e alla prossima!
Menade Danzante