A BOYFRIEND
Autore: Darik
1° PARTE
TRE MESI DOPO
QUARTIER GENERALE DELLA NERV/SALA TEST
“Va bene ragazzi, per oggi abbiamo finito”, annunciò la dottoressa
Ritsuko Akagi rivolta verso i monitor.
Il nuovo, ennesimo, test delle tre unità Eva si era concluso.
“Uffa, che pizza”, borbottò Asuka.
“Qualcosa non va?”, le chiese Shinji attraverso la finestra
olografica.
“Tu stai zitto! Possibile che non capisci perché mi lamento?
Sei davvero stupido!”
Quella risposta turbò Shinji, aveva soltanto voluto sapere se la sua
compagna stava bene, ma lei aveva risposto così bruscamente.
Asuka riprese: ”Mi sto solo lamentando per tutti questi test sempre
uguali”.
Rei ascoltava in silenzio le discussioni tra Shinji e Asuka, senza
cambiare espressione.
“Quei due”, commentò Misato con un sorriso, “chissà
quando impareranno ad andare d’accordo”.
“Secondo me, proprio il modo in cui Asuka tratta Shinji, dimostra
che tiene a lui”, osservò Ritsuko.
“Probabile. Parlando d’altro, cosa sai della riunione segreta a
cui deve partecipare oggi il comandante Ikari?”
“Non molto, solo che doveva incontrarsi con i capi del servizio di
sicurezza”.
Misato osservò la dottoressa che le aveva parlato senza togliere
lo sguardo dai monitor.
Non credeva affatto che Ritsuko non sapesse di cosa avrebbe trattato
quella riunione.
QUARTIER GENERALE DELLA NERV/UFFICIO DEL COMANDANTE SUPREMO
“Rapporto!”
La voce di Gendo risuonò cavernosa nell’enorme ufficio
occupato solo da una scrivania e da una sedia con lui sopra. Dietro il
comandante stava Kozo Fuyutsuki, in piedi.
I tre uomini in completo nero davanti alla scrivania risposero: “L’arrivo
delle tre nuove unità Eva è previsto tra due settimane. Non
ci sono stati problemi per quanto riguarda l’attivazione. I piloti
stanno ultimando i test, ma sono pronti”.
“Bene, ottimo lavoro”.
Dopo qualche attimo di silenzio Gendo riprese: “E quell’altra
questione invece?”
Dei tre uomini in nero quello in mezzo aprì un fascicolo, lo mise
sulla scrivania del comandante e disse: “Abbiamo completato le
analisi effettuate sui filmati registrati durante lo scontro tra l’Eva-01
e il 3° Angelo. Avevamo ragione, quelle ombre erano due uomini che
stavano prelevando dei campioni dalle tracce di sangue lasciate dall’unità
01. Tuttavia non siamo ancora riusciti ad ottenere informazioni precise
sulla loro identità o su eventuali mandanti ”.
Gendo osservò le foto del fascicolo, poi lo chiuse e li congedò.
Il comandante e il vice-comandante rimasero da soli e
in silenzio per qualche attimo, poi Fuyutsuki esordì: ”A quanto pare
qualcuno vuole rubarci il lavoro”.
“Già!”, esclamò Gendo. “E dobbiamo scoprire di
chi si tratta. Occorre una ricerca estesa, mobilita tutte le nostre
risorse, i nostri esperti devono passare al setaccio l’intera rete
informatica mondiale e controllare le forniture tecnologiche simili alle
nostre”.
IL GIORNO DOPO
STATI UNITI/LOCALITA’ SCONOSCIUTA
Il ragazzo stava leggendo un libro, ma in realtà la lettura non lo
interessava più di tanto, d’altronde non l’aveva scelta
lui, gliela avevano data i suoi superiori per fargli passare il tempo,
senza pensarci troppo però.
Chiuse il libro, si alzò dalla sedia e si sdraiò sul letto,
pensando a come era finito in quella situazione.
Fino a neanche dieci anni fa era un normalissimo bambino americano come
tanti altri, aveva due genitori che gli volevano bene e viveva in una
bella casa, una situazione tranquilla.
Poi quell’incidente, gli dissero che i suoi genitori erano morti
perché un pirata della strada a bordo di un camion non aveva
rispettato lo stop. Una cosa certo non rara, eppure i suoi genitori c’erano
rimasti e lui aveva solo quattro anni.
Non avendo parenti per due anni era vissuto in un istituto, finché un
giorno non erano venuti a prenderlo degli strani uomini, si erano presentati con
parecchi documenti e lo avevano portato via senza dirgli una parola.
Giunti in una villa bellissima, fu lì che incontrò il
suo futuro patrigno, Russel MacCoy, che gli fece una strana proposta, se
voleva diventare un pilota. Lui aveva accettato, senza capire cosa stava
succedendo, ma non voleva tornare nell’istituto.
MacCoy lo aveva adottato e da quel momento aveva cominciato a portarlo in un
luogo strano, una enorme base segreta, dove ogni giorno veniva sottoposto
a strani allenamenti in un grosso simulatore.
Quello che lo aveva stupito di più però era che quando gli
avevano detto che sarebbe diventato un pilota, lui aveva immaginato un pilota di
aerei, invece nel simulatore aveva dovuto imparare a manovrare un oggetto
gigantesco dotato di braccia e gambe.
Un robot? Impossibile saperlo, perché McCoy gli inculcava una
educazione severa, di stampo militare, e un buon soldato non fa mai
domande, esegue gli ordini e basta.
Il ragazzo sorrise, dopo tutto quel tempo ancora non sapeva perché
lo avessero scelto e cosa doveva fare, in cambio aveva scoperto cosa
avrebbe pilotato.
Lo aveva visto per la prima volta due mesi prima, quando aveva compiuto quattordici
anni: era un essere gigantesco, di colore nero, e aveva una forma umanoide,
il patrigno mostrandoglielo diceva orgoglioso che era il frutto
della tecnologia più sofisticata e che l’avrebbe affidato a
lui.
Alla domanda del ragazzo: “E’ un robot?”, il patrigno
rispose: “No, è un cyborg, un essere vivente creato in
laboratorio e attrezzato per combattere. Si chiama Evangelion-P. Ma puoi
benissimo chiamarlo Eva-P."
Il ragazzo fissò quel gigante come ipnotizzato e da quel momento
aveva cominciato ad addestrarsi su quello.
Il tempo passato nel simulatore lo aveva aiutato ad adattarsi, ma non ad immaginare che razza di sistema di pilotaggio avesse quell'Eva-P.
Infatti funzionava grazie ad una sincronizzazione neurale, il pilota lo
muoveva tramite il pensiero.
Adesso era arrivato il momento, il tasso di sincronia era molto alto,
aveva imparato ad utilizzare le armi dell’Eva e ora doveva impiegarlo
in combattimento, anche se non sapeva contro chi.
“Attenzione, il pilota Michael MacCoy è pregato di recarsi
immediatamente nella sezione A-25”.
La voce del altoparlante lo fece sobbalzare leggermente, si alzò e
disse: “Chissà cosa vuole da me il vecchio?”.
Stiracchiandosi la schiena si avviò verso la sezione A-25.
Nel gigantesco spazio l’Eva-P torreggiava, i tecnici stavano
applicando delle sonde sulle braccia, mentre un uomo con gli occhiali e in
camice bianco controllava i lavori.
“Dottor Land”, gridò un uomo alle sue spalle.
L’uomo si girò e rispose: “Cosa vuole signor MacCoy?”
L'altro si fermò davanti a lui: “Volevo sapere se sarà
tutto pronto entro il tempo previsto”.
MacCoyra un persona dall’aspetto distinto, sulla cinquantina, ma li
portava benissimo, tanto da mostrarne almeno dieci in meno.
Land invece, anche se aveva la stessa età, ne mostrava al
contrario di più, aveva già quasi tutti i capelli bianchi,
era magro e con la faccia piena di rughe.
“Non si preoccupi, saremo pronti entro quella data”.
“Bene, spero che la sua invenzione funzioni”.
“Funzionerà”, disse seccamente Land. Il fatto che MacCoy
continuasse a ronzargli intorno per chiedergli se tutto sarebbe andato bene
cominciava a infastidirlo. Pareva che non avesse fiducia in lui.
D’accordo, lo aveva tolto da quella università dove le
sue teorie sulla clonazione e sulle leghe metalliche venivano regolarmente
denigrate, gli aveva dato tutti i soldi e i mezzi che voleva,
promettendogli di farlo lavorare su qualcosa di assolutamente unico, e
così era stato.
Ma McCoy aveva bisogno di essere continuamente rassicurato e alla fine
diventava noioso.
“Fra tre giorni daremo il via all’esperimento, e potrà
vedere con i suoi occhi l’efficacia del mio lavoro”.
“Come funzionano le armi incorporate? E la lega metallica?” “Tutto
a posto, stanno ultimando i controlli e non ci sono problemi. Piuttosto,
io mi chiedo se sia il pilota ad andare bene”.
“Certo che va bene, abbiamo scelto Michael dopo accurate selezioni,
e il suo addestramento è stato perfetto”.
Come evocato da quelle parole, Michael arrivò in quell’istante.
“Padre, dottor Land”, li salutò chinando leggermente la
testa.
Nonostante lo chiamasse padre, in realtà Michael non provava molto
affetto verso MacCoy, perché più volte gli aveva dato la
sensazione di essere sfruttato. E non gradiva neanche il fatto che non gli
rivelasse niente sulle sue intenzioni. Ma era stato abituato a obbedire
senza discutere.
“Michael, ragazzo mio”, esclamò MacCoy mettendogli un
braccio intorno alle spalle, “tra poco arriverà il momento in
cui dovrai mostrarci le tue capacità! Sei pronto?”
“Certo”.
“Bene, allora vieni con noi, ti illustriamo il piano di battaglia”.
Si avviarono tutti e tre verso un piccolo elevatore, che li condusse ad una
sala tattica con un grosso tavolo e sopra di esso uno schermo.
Si disposero attorno e cominciarono ad arrivare delle immagini.
“Guarda Michael, questo è il tuo obiettivo. E’ una città
e si chiama Neo-Tokyo 3. Si tratta di una città fortezza, dotata di
meccanismi difensivi ed offensivi mimetizzati nei palazzi, ma quelli non
sono un problema per il tuo Eva-P. Il tuo bersaglio è un altro.
Devi sapere che questa città in realtà è la base di
un agenzia segreta chiamata Nerv, e che anche loro hanno a disposizione
degli Evangelion. Sono tre. Meno sofisticati del tuo, ma comunque
pericolosi, Voglio che tu li batta”.
Michael rimase impietrito, non immaginava di dover fare una cosa simile.
Chiese: “Ma perché? Cosa hanno fatto?”
MacCoy e Land si guardarono: come osa fare domande?, pensarono.
Il patrigno non si preoccupò neppure di nascondere la sua irritazione, neanche lui provava affetto verso Michael, lo
aveva adottato solo perché aveva bisogno di un pilota di cui
disporre a piacimento.
“Non fare domande, il tuo compito è quello di guidare l’Eva-P,
e tu devi farlo contro gli Eva della Nerv”, lo rimproverò.
Anche Michael a quel punto si arrabbiò, avrebbe voluto gridargli: “Ma
cosa credi? Io non sono il tuo burattino, ho il diritto di sapere!”
Ma non lo fece, in parte per via della sua educazione, in parte perché
era comunque in debito con MacCoy, l’aveva tolto da quell’istituto
e gli aveva dato tutto, almeno materialmente.
Perciò inghiottì il rospo, ma da qualche parte dentro di
lui rimase acceso un impulso di ribellione.
“Chiedo scusa”, sussurrò il ragazzo.
“Va bene”, rispose Land, “ma non succeda mai più”.
“Comunque”, riprese MacCoy “domani partiremo per il
Giappone, abbiamo un’installazione segreta laggiù, porteremo
anche l’Eva-P e durante il viaggio ti daremo da studiare la
documentazione necessaria. Voglio anche che tu ti rechi a Neo-Tokyo 3 il
giorno prima dello scontro, in modo da poter vedere direttamente il campo
di battaglia”.
“D’accordo”, rispose il ragazzo, che si voltò a
guardare l’Eva-P attraverso una finestra e poi osservò un
padiglione sul lato destro dell’Eva.
Da quel padiglione entravano e uscivano in continuazione un gran numero
di tecnici, ma Michael non sapeva che cosa contenesse.