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Autore: Alkimia    04/02/2009    2 recensioni
Una mia personalissima idea di come potrebbe continuare la storia del Fantasma dell'Opera, la fanfic comincia dove il film si interrompe, la sera del Don Juan. Erik è in fuga dopo l'addio di Christine ma alcuni incontri imprevisti gli mostreranno la prospettiva di una nuova esistenza, perchè anche il Figlio del Diavolo ha diritto a una vita normale...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TRENTESIMO

Vivianne osservava il paesaggio con il viso premuto contro il finestrino, gli alberi sparivano davanti ai suoi occhi a una velocità che trovava quasi spaventosa. Era abituata a viaggiare in carrozza, ma sua madre aveva ritenuto che non sarebbe stata una buona idea percorrere con i cavalli i quasi ottocento chilometri che separavano Marsiglia da Parigi, ci sarebbe voluta una settimana, se non di più, così aveva optato per il treno. Aveva messo in valigia lo stretto necessario, il resto della sua roba gli sarebbe stato spedito direttamente nella sua nuova casa.
Vivianne era sembrata entusiasta dell'idea di cambiare casa, evidentemente era troppo piccola per capire che quel trasferimento era dovuto a importanti scelte dei suoi genitori, a dei drastici cambiamenti nella vita di entrambi.
Con enorme stupore della marchesa, Colette aveva deciso di andare con loro, le aveva detto che quella casa sarebbe stata vuota senza lei e la bambina, ma Diane aveva il sospetto che per l'anziana domestica lasciare Parigi fosse stato più difficile di quanto aveva dato a vedere. Anche Martine, la bambinaia che si era sempre occupata di Vivianne, aveva deciso di seguire la sua padrona, aveva detto che non voleva rischiare di rimanere senza lavoro e che non riusciva a immaginare di dover essere al servizio di qualcuno diverso da Diane. L'affetto delle due domestiche era stato per la donna un vero sollievo, pensò che con loro si sarebbe sentita meno sola che in mezzo a cameriere e inservienti del tutto estranei.
Non era stato difficile partire e lasciare Louis, era abituata a vivere senza di lui e abbandonare il posto in cui aveva trascorso gli ultimi otto anni non era da considerarsi un dramma, dal momento che Parigi le era sempre sembrata estranea. Ciò che la spiazzava e le faceva veramente male era la sensazione che si stesse lasciando alle spalle i pochi ricordi di quel sogno che l'aveva resa di nuovo viva, come aveva scritto nella lettera a Christine. Era risoluta nel suo non voler dimenticare, nel  non lasciare che fosse il tempo a curare il suo dolore e a rimettere insieme i pezzi di un cuore che a volte le sembrava quasi non battesse più. Sapeva che prima o poi gli eventi avrebbero posto la giusta distanza tra lei e quell'amore che era durato appena il tempo di un bacio, ma dentro la sua anima niente sarebbe mai stato come prima. In fondo è questo che fa l'amore, stravolge irreversibilmente, senza possibilità di porre rimedio.
Il treno arrivò in stazione a sera inoltrata. Vivianne si era addormentata cullata dal dondolio del vagone, sua madre aveva dovuto portarla in braccio fuori alla stazione, mentre due facchini trasportavano i bagagli.
Una carrozza condusse le tre donne e la bambina verso il porto, le lasciò davanti a una pittoresca casa in mattoni preceduta da un patio e da un piccolo giardino. L'odore del mare era piacevole, come pure il suono cadenzato delle onde che si infrangevano sulla banchina. L'edificio a due piani confinava con un'altra costruzione più bassa e squadrata con un portone di legno scuro sormontato da un'insegna sulla quale era raffigurata una nave con accanto la scritta: Mercier Spedizioni.
“E' la sede della compagnia di mio padre- spiegò Diane- quando i miei genitori morirono fu data in gestione ma appartiene ancora alla mia famiglia, credo che ci toccherà svegliare il custode se non vogliamo restare qui fuori tutta la notte”, la donna lasciò Vivianne, ancora addormentata, tra le braccia di Martine e diede un energico strattone alla corda della campanella che era fuori al portone della sede della compagnia di spedizioni.
Si sentì un brontolio rauco provenire da dietro la porta, poco dopo le venne ad aprire un uomo di mezza età che teneva tra le mani una bugia con una candela quasi del tutto consumata. L'uomo si aggiustò sul naso un paio di occhiali dalle lenti tonde e osservò la donna che era davanti a lui,
“Madre del cielo, mademoiselle Diane!” esclamò stupito,
lei sorrise
“E' un piacere rivedervi Robert” disse
“Oh ma cosa ci fate qui mademoiselle... ah, che sbadato, dovrei dire madame... non avevate avvisato nessuno del vostro ritorno”
“Lo so, è stato un capriccio improvviso- tagliò corto la donna- ma ora siamo molto stanche, veniamo da un lungo viaggio e vorremmo riposare, potreste darmi darmi le chiavi di casa?”
“Certo, certo madame! Non immaginate che bella sorpresa”
Robert conosceva la famiglia di Diane da molto tempo, aveva sempre lavorato per suo padre ed era rimasto a fare da custode alla casa vuota. Si coprì con una giacca e frugò in un cassetto dal quale estrasse un mazzo di chiavi, poi si diresse verso il cancello della casa,
“Queste sono Martine e Colette, le mie domestiche” spiegò Diane
“E questa bambina meravigliosa immagino sia vostra figlia” concluse Robert osservando la piccola che era rimasta addormentata tra le braccia della sua governante tanto il viaggio l'aveva spossata,
“Si, Vivianne”.
L'uomo aprì la casa e si occupò di portare dentro i bagagli delle donne, poi sollevò alcuni teli che coprivano i mobili dell'ingresso sollevando degli sbuffi di polvere,
“La casa è esattamente come quando ve ne siete andata, madame- spiegò- vostra madre, Dio la abbia in gloria, non è mai stata amante dei cambiamenti, e da quando il Signore l'ha chiamata a Sé nessuno ha più toccato niente qui dentro”,
Diane osservò la casa nella penombra, mentre Robert accendeva qualche candela. Si accorse che i ricordi che quelle stanze le suscitavano erano meno vividi e precisi di quanto pensasse, era come se la giovinezza che aveva vissuto in quella casa fosse stata un'altra vita. Si poggiò con la mano contro il muro cercando di tenere testa alle emozioni,
“Domani, se volete, farò venire qualcuno ad aiutare le vostre domestiche a dare una ripulita alla casa” aggiunse Robert, dopo aver mostrato a Colette la cucina e le camere della servitù,
“Molto bene, è bello essere a casa- mormorò Diane in tono riconoscente- ma ora vorremmo riposare, ci vediamo domani Robert”
“Si madame. Ah, avete intenzione di fermarvi a lungo?” domandò lui
“Si, credo proprio di si” rispose la donna distrattamente.
La casa era meno spaziosa della villa di Louis ed era molto diversa, anche se era ugualmente una dimora elegante e decorosa. Al pianterreno c'era un piccolo salotto dalle pareti coperte con una carta da parati color verde acqua, sulla destra c'era la porta della camera da pranzo che era direttamente collegata con la cucina, sulla sinistra c'era una scala di legno scuro che portava al piano superiore, e nel sottoscala c'era una porta che introduceva nelle stanze riservate ai domestici. Il secondo piano era diviso tra le camere da letto e una piccola libreria. Il retro della casa affacciava su una piccola mulattiera che costeggiava la banchina del porto, su quel lato dell'edificio i mattoni erano coperti da una patina bianca di salsedine.
Quando il custode se ne fu andato Colette salì al secondo piano, cercò le lenzuola e preparò la stanza più grande per la sua padrona e una delle due camere più piccole per la bambina, pensando che non vedeva l'ora di rendere quella casa di nuovo pulita e confortevole. Sapeva bene che una casa è solo un'idea e non un luogo, non si tratta di mura o di mobili, ma di sensazioni familiari e sicurezze, senso di protezione e di appartenenza. Lei aveva provato tutto ciò nei lunghi anni in cui aveva prestato servizio in casa dei De Valois, e adesso doveva ricominciare da capo a costruire la propria casa in un luogo diverso. Non sarebbe stato facile, ma non se l'era sentita di abbandonare la marchesa e la bambina, era giunta ad un età in cui aveva bisogno di credere che ci fosse qualcuno che non potesse fare a meno di lei e siccome non si era mai costruita una famiglia Diane e sua figlia erano i suoi unici affetti.
Dopo aver messo la bambina a letto Diane si chiuse nella sua stanza. Dormire nel letto dei suoi genitori le sembrava così strano. Aveva quasi odiato suo padre quando l'aveva costretta a sposare Louis, con il tempo poi aveva capito che lo aveva fatto per il suo bene, per garantirle quello che a lui sembrava un futuro splendido, anche se non sempre le scelte dei genitori possono rivelarsi quelle giuste. Ripensando a suo padre la donna si chiese quali conseguenze avrebbe avuto su Vivianne la sua scelta di andarsene, quando si stese sul letto e sentì sotto la schiena il materasso più morbido di quello su cui si era abituata a dormire si sentì persa, Parigi non era mai stata casa sua, ma quel posto ormai non lo era più. Si sentì vuota, senza scopo, e nuovamente sola.
Diane si girò su un fianco stringendo tra le dita un angolo del guanciale, scoppiò a piangere violentemente, per la prima volta dopo tutto quello che le era accaduto, si addormentò stanca con le tempie doloranti e il volto ancora umido di lacrime.

*

Erik fissava il vuoto con i gomiti poggiati sul tavolo, la camicia gli aderiva al petto sudato, era tornato indietro correndo, cercando di mettere in ordine i pensieri, continuando a ripetersi che forse era destino che lui e Diane non si rincontrassero.
“Marsiglia...” mormorò come se stesse cercando di convincersene.
“Marsiglia- ripeté madame Giry- ma perché?”
“E' la città dove è nata, ma non capisco perché sia partita, proprio adesso per giunta”
“Pensavi sarebbe rimasta ad aspettare la tua esecuzione, volevi che venisse a guardare?” borbottò Eloise in tono di sfida
Erik fece una smorfia di disgusto
“Certo che no, ma mi sembra così strano che abbia lasciato Parigi, affrontato un viaggio così lungo con una bambina. E se è andata così lontano temo che ci rimarrà per molto tempo...”
“Potresti raggiungerla” suggerì madame Giry,
l'uomo sollevò il capo verso di lei e sgranò gli occhi come se la sua interlocutrice avesse avanzato una proposta impensabile da realizzarsi,
“Cosa?”
“Hai capito benissimo. Conosci la chimica, l'alchimia, la fisica e ti stupisci del fatto che si possa viaggiare?”
“Eloise, Marsiglia è molto lontana”
“Ma Diane, che è una donna, ci è andata con una figlia piccola per giunta, non vedo perché non potresti andarci tu... ah, no, non dirmelo, quelli come te non prendono treni, quelli come te se ne stanno rintanati a guardare la propria vita che passa, rimuginando su quanto il mondo è stato crudele con loro!”
“Non ti ricordavo così indisponente, soprattutto nei miei riguardi” protestò Erik
“Sto solo cercando di non commettere lo stesso errore un'altra volta- rispose Eloise con un sospiro- non è stato saggio da parte mia incoraggiarti a rimanere nascosto in quel teatro”
“Non avevo scelta”
“E invece si! So cosa hai passato quando eri solo un bambino ma poi sei diventato un uomo e sarebbe stato meglio, da parte mia, aiutarti ad affrontare le tue paure invece di permetterti di creartene di nuove. In questi mesi non hai vissuto nascosto, in isolamento, e non mi pare che tu non te la sia cavata”
“Non è certo colpa tua se non volli più mettere piede fuori dal teatro- commentò l'uomo- eravamo entrambi così giovani allora”
Eloise scosse il capo, si sedette accanto a lui e gli posò le mani sulle proprie,
“Sai anche tu che c'è stata una guerra di recente- disse- la città è piena di uomini che sono rimasti invalidi, che portano addosso i segni delle battaglie, ma continuano a vivere in mezzo alla gente, non vedo perché non possa farlo anche tu”
Erik si lasciò scappare un sorriso malinconico,
“A Marsiglia c'è il mare- mormorò- non ho mai visto il mare...”.

*

Sentiva le gambe pesanti, aveva camminato tanto. Le pareti di quel corridoio di pietra erano umide e viscide, ma in lontananza vedeva una luce tremula, come se da qualche parte alla fine di quel cunicolo ci fossero delle candele accese, e la voce dal buio cantava soave e invitante come una tentazione...

“You have come here
in pursuit of you deepest urge
in pursuit of that wish,
which till now has been silent, silent...”

Il suono della voce era carezzevole, caldo, e infondeva forza al suo cuore stanco. E quelle parole, erano così vere!
La donna si fece coraggio e continuò a camminare verso la luce, e più si avvicinava e più avvertiva un calore confortante che la spingeva a proseguire, a scappare via da quell'incubo. Conosceva quel posto, lo aveva sognato altre volte...
E la voce continuava a cantare suadente...

“I have brought you, that our passions
may fuse and marge,
in your mind you've already succumbed to me,
dropped all defenses
completely succumbed to me...”   

Raggiunse esausta una grotta sulla sponda di un lago sotterraneo, l'entrata era sbarrata da una pesante grata di ferro. Cercò di guardare dentro, la luce delle candele e il calore venivano da lì. E lui era seduto a davanti a un organo sistemato su un rialzo della roccia, indossava un frak nero, abiti eleganti, calzoni di velluto scuro. Sembrava completamente assorto dal canto e dalla musica e non si era accorto di lei, ma era così bello.
“Erik!” lo chiamò con quanto fiato aveva in gola, l'eco ripeté quel nome all'infinito, poi lui si alzò e si voltò a guardarla, le sorrise raggiante e continuò a cantare.

“now you are here with me:
no second thoughts
you've decided, decided”

La grata si sollevò da sola con un sordo cigolio, l'uomo rimase ad attenderla senza smettere di sorridere, con gli occhi illuminati da una serenità che lei non gli aveva mai letto in quel suo sguardo tormentato. La donna si gettò nel lago e camminò faticosamente verso di lui, ad ogni passo si sentiva più stanca, la veste si appesantiva con l'acqua e il lago diventava sempre più profondo e freddo.
Raggiunse con uno sforzo enorme l'altra riva, dove lui le tese una mano per aiutarla a uscire dall'acqua,
“Erik...” mormorò lei, mentre l'uomo la sollevava tra le braccia e le accarezzava il viso
“Sei esausta” commentò posandola delicatamente su un letto a forma di ciglio celato da una tenda di organza,
“Ora va meglio, ora che ti ho trovato...”.
Aggrappandosi alla sua camicia lo attirò verso di sé facendolo cadere sul materasso accanto a lei e cominciò a baciarlo. Lui la stringeva tra le braccia con la cura e la delicatezza che si riserva a un oggetto prezioso, armeggiava con i lacci del vestito che in pochi minuti finì gettato sul pavimento di pietra.
“Erik, ti prego, amami...” sospirò lei godendosi la carezza delle lenzuola di broccato sulla pelle delicata.
L'uomo la baciò con più passione mentre con le mani percorreva senza pudore ogni centimetro del suo corpo. Un attimo prima di arrendersi a quelle carezze la donna gli sfilò la camicia e gli cosparse il petto di baci, sentendo il suo cuore battere sotto i palmi delle mani e tastando i muscoli levigati e la pelle che stava diventando incandescente. Era così bello, come la sua voce... un inevitabile invito al peccato.
Lui le accarezzò l'interno delle cosce, risalendo con la mano sempre più su, rendendo quelle carezze sempre più audaci, fino a raggiungere la sua femminilità che sfiorò leggermente provocandole uno spasmo incontrollabile...
“Erik!...”

“Erik!...”
Diane si svegliò con un sobbalzo, urlando quel nome con disperazione e non per il piacere, come aveva fatto in sogno. Era completamente avvolta dalle lenzuola che le si attaccavano fastidiosamente al corpo sudato, tra le mani stringeva un cuscino stropicciato. Le ci volle qualche secondo perché il respiro le tornasse regolare, stava ancora ansimando quando si mise a sedere per versarsi dell'acqua dalla caraffa che era sul comodino. Bevve avidamente e si versò alcune gocce di acqua fresca sul collo per cercare di calmarsi e di alleviare quel calore insopportabile che sentiva.
Ormai sognava Erik ogni notte, erano sempre sogni strani e sconclusionati che si perdevano nell'oblio del sonno. Ma quella notte era stato diverso, quel sogno sembrava così reale, quei baci, quelle carezze, il calore della sua pelle. Come se...
“Come se fosse vivo...” mormorò Diane, per poi rannicchiarsi contro la spalliera del letto con le  le braccia che stringevano le gambe piegate e abbandonarsi a un pianto sommesso fino a farsi vincere dal sonno. Quello era diventato l'unico modo in cui riusciva ad addormentarsi da quando aveva lasciato Parigi.
Era trascorsa una settimana da quando era tornata a Marsiglia. Aveva passato quei giorni a cercare di rimettere in sesto la casa, aiutata da Colette aveva assunto nuovi domestici, un inserviente che si occupasse delle faccende più importanti, un cuoco e una cameriera che aiutasse la sua vecchia domestica nelle pulizie e nella gestione della casa.
La donna era stata di pessimo umore in quella settimana che le era parsa durare un'eternità. Aveva sperato che la notizia del suo ritorno in città non si spargesse troppo rapidamente, non voleva ricevere visite di parenti e vecchi amici di famiglia che sicuramente l'avrebbero riempita di domande. Pensò che forse un giorno sarebbe potuta arrivare persino a rimpiangere la sua vita piena di impegni mondani ai quali, come moglie di un marchese, non poteva sottrarsi, ma in quel momento voleva solo essere lasciata in pace.

“Perdonate se mi permetto, madame- disse Colette mentre le serviva la colazione- ma siamo qui da una settimana e non avete ancora scritto a vostro marito”
“Si, hai ragione, lo farò domani, oggi devo trovare un maestro per Vivianne, ma pensavo che dopo l'estate potrei mandarla ad una scuola pubblica” rispose la donna con aria assorta,
la domestica non capiva perché mai la figlia di un nobile dovesse frequentare una scuola pubblica, ma non c'era da stupirsi se una persona come Diane lo trovasse assolutamente normale,
“Se credete che sia una buona idea, madame...”
“Lo è di sicuro! Voglio che mia figlia cresca insieme agli altri bambini e non chiusa in questa casa. Anche se suo padre potrebbe perdere dieci anni di vita, se lo sapesse”,
Colette sospirò e trattenne a stento un mugolio di tristezza, Diane la guardò di sottecchi, sapeva che la domestica non avrebbe mai compreso le sue ragioni e che una donna anziana probabilmente non possedeva l'elasticità mentale per comprendere la natura di quella situazione,
“Colette, voglio che tu sappia che se ci fossero dei ripensamenti riguardo al fatto di vivere qui, non mi arrabbierò se vorrai andartene” le disse con dolcezza
“Madame, non oserei mai contestare le vostre scelte, o quelle di vostro marito”
“Ah, ti prego, per una volta metti da parte le formalità e sii sincera, qui non siamo a Parigi!”
“Madame, alla mia età è difficile accettare dei cambiamenti tanto grandi, e non mi riferisco al vivere in un'altra città...”
Diane osservò la zolletta di zucchero affondare nel caffè e girò distrattamente la bevanda con il cucchiaino,
“Hai ragione, l'amore è un pessimo affare!...” concluse
“L'amore è stata un'invenzione madame, per regalare felicità a chi poteva permetterselo o per dare un motivo all'infelicità di tutti gli altri”
“E quando l'infelicità ha un motivo dovrebbe essere molto più sopportabile secondo te?”
la domestica sospirò
“Quando si ha un motivo per essere infelici se ne devono cercare altri per non esserlo. La felicità non ha mai un solo volto, nemmeno quando si tratta di un volto luminoso e accecante come quello dell'amore” commentò cominciando a sgombrare il tavolo dalle stoviglie.
   
 
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