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Autore: Tessa Fray    30/08/2015    1 recensioni
Avete mai inseguito una causa persa? Sapete almeno cosa sia una VERA causa persa? Vale davvero la pena lottare o è meglio arrendersi?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  • Nome sul forum: TessaFray
  • Nome su efp: Tessa Fray
  • Prompt: 4 - HO SEMPRE AVUTO UN DEBOLE PER LE CAUSE PERSE, QUANDO SONO PROPRIO PERSE
  • Titolo: IL FRUTTO PROIBITO
  • Genere e rating: Introspettivo, drammatico, storico - giallo
  • Lunghezza storia: one shot
  • Eventuali note: Coppia tipo “slash”
One shot scritta e proposta per il contest "21 prompt in cerca d'autore" indetto da ariscarmen sul forum di EFP
 
Il fronte era in fermento. Nessuno dormiva quella notte, forse per la strana aria di inquietudine che si respirava, forse era solo suggestione. Guardavo invidioso Giovanni, che si era appisolato accasciato su un fianco, la divisa stropicciata e sporca, il fucile in braccio come fosse un bambino da cullare. Aveva la barba lunga di qualche giorno e diversi tagli e graffi su volto e collo, oltre alle numerose cicatrici sulle mani e a quella più profonda, ma nascosta, sul fianco, che avevo visto solo una volta. I capelli erano tagliati cortissimi, ed erano scuri e lucidi come il manto della notte quando non era oscurato dalla polvere da sparo e dalla sabbia sollevata dalle granate. Contavo fino a cento per poi ripartire da capo, in un disperato tentativo di far passare più velocemente il tempo. Da quando ero entrato nell’esercito, la notte mi aveva sempre turbato. L’impossibilità di vedere con i propri occhi, l’incapacità di fiutare il pericolo, la probabilità di sparire come uno dei tanti nel momento più vulnerabile della giornata: erano questi i pensieri ricorrenti, prima che incontrassi Giovanni. Poi eravamo finiti nella stessa squadriglia, e finalmente avevo trovato chi mi ricordava casa e riportava un po’ di amore nel mio cuore nero devastato dalla guerra.
Il suono di un corno squarciò il silenzio fervente.
Era giunta la mezzanotte. Era un nuovo giorno. Era il 24 ottobre 1917. Ben duecentotrentasei giorni da quando avevo salutato mia madre e mia sorella, sapendo che solo Dio avrebbe deciso se mai le avrei riviste. Quando le avevo lasciate, il mio cuore aveva iniziato a sgretolarsi come le pietre della nostra casa. Come avrebbero fatto senza due uomini? Senza mio padre, senza di me?
Alcune di quelle crepe Giovanni aveva saputo ripararle, a modo suo. Sorrideva sempre, perché ancora non aveva visto le vere tragedie, quelle che fanno pian piano morire la parte umana di te, trasformandoti in una macchina dotata di fucili, rivoltelle, sassi, coltelli e bombe a mano.
Il suo sorriso aveva migliorato molte delle mie giornate più cupe, riportandomi a galla, disseppellendomi dalle ceneri di tutte le morti che avevo respirato. La sua stretta di mano forte e sicura mi aveva ricordato che certe volte valeva la pena resistere e combattere.
Inspirò forte, facendo strani versi dalla bocca quando buttò fuori l’aria. La cosa mi fece sorridere e contemporaneamente venire le lacrime agli occhi. Il sangue riscaldava le mie vene fredde e salì fino alle guance, tingendole di rosa. Era un bene che il buio mi mascherasse. Se solo fosse stata un’altra vita, almeno un altro momento …
Non potevo togliere il mio sguardo da lui, perché se lo avessi fatto, avrei perso l’ultima cosa davvero buona rimasta in quel momento nel mio mondo. Avrei visto solo desolazione, polvere e sangue, e sarei soffocato in mezzo a quello sporco grigiore di morte. Il bisogno di averlo più vicino era troppo opprimente, mi stava lacerando da dentro. Troppe volte avevo fatto finta di nulla. Troppo tardi mi ero reso conto che la vita non concede nulla, che è il mostro più crudele in cui ci si possa imbattere. Ero in guerra. Costantemente, inesorabilmente, la mia vita era appesa a un sottilissimo filo. Per salvare la mia anima non serviva pregare. L’unico rimedio poteva essere amare. Amare con tutto quello che ancora potevo dare, con il fantasma che era rimasto di me. Chi sapeva cosa mi avrebbe riservato il prossimo giorno, o le prossime ore. Non potevo perdere la mia occasione di redimermi, almeno in parte.
Allungai un braccio tremante, per poggiare la mia mano sulla sua. Appena lo toccai, lui subito schizzò in allerta, impugnando il fucile. Impiegò qualche secondo per rendersi conto che ero io e nulla di più. Espirò l’adrenalina che gli era improvvisamente montata in corpo, e io sentii il forte profumo delle foglie di menta che era solito masticare invadermi le narici, riempirmi di lui. Sollevò un angolo della bocca, ancora assonnato, nell’accenno di uno dei suoi sorrisi rivitalizzanti, e questo mi diede il colpo di grazia, mi fece abbandonare il mio lato razionale. Non esitai quando intrecciai la mia mano alla sua. Non esitai quando avvicinai il mio volto al suo. Non esitai quando il suo sorriso mutò in uno sguardo serio e intenso che distrusse ogni cellula del mio corpo. Ero ansante, i muscoli tesi; percepii il mio membro premere contro la dura stoffa dei miei pantaloni. I respiri si mescolavano e solo quando la tensione fu al massimo, finalmente, le nostre bocche entrarono in collisione, soffocando i gemiti, riempiendo i nostri corpi di energia. Era uno scontro di lingue e denti, di tutto quello che non avevamo mai avuto il coraggio di tirare fuori prima. Ogni nuovo bacio, ogni nuovo ansito, erano come le parole mai dette, scagliate come coltelli. A ogni nuovo contatto una parte di me tornava in vita. A ogni nuovo tocco sentivo di avvicinarmi a quel paradiso che pensavo ormai mi fosse stato negato. Il suo sapore e le sue mani su di me rinvigorivano i miei sensi, riempiendomi di estasi.
E mentre succedeva tutto questo, in un angolo nascosto della mia mente, c’era il mostro che ero diventato, che mi schiaffeggiava con le sue puntigliose considerazioni.
Ora che avevamo rivelato i nostri sentimenti sarebbe stato tutto quanto più difficile. Se in battaglia ci fosse successo qualcosa? Il senso di perdita non ci avrebbe forse annientati? Se fossimo stati scoperti? Il nostro amore non ci era concesso. Non era forse peggio venire ammazzato dai tuoi commilitoni che morire in guerra, consapevole di stare prestando servizio per una causa più grande, la tua patria? Eppure le mie prospettive si erano ribaltate, e l’unica causa per la quale credevo valesse la pena lottare era l’amore.
Era una causa persa già in partenza. Ma in quel momento, aggrappato a Giovanni, sentii che forse potevamo farcela.
 
 
 
* NOTA DELL’AUTRICE
La data 24 ottobre 1917 è quella della disfatta italiana a Caporetto durante la prima guerra mondiale. Il riferimento storico, seppure latente, era funzionale per la storia. Il protagonista, il soldato senza nome, è innamorato di un suo compagno d’armi. Per il periodo storico, credo che un amore omosessuale fosse altamente da considerarsi una causa persa, non solo per la mentalità delle persone, ma anche a causa del luogo e delle condizioni nelle quali si trovavano.
- Tessa Fray
   
 
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