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Autore: kissenlove    30/08/2015    2 recensioni
Sequel di “Dirci Addio”.
Sai Honoka..
Da quando te ne sei andata dall’altra parte del mondo, non ho fatto altro che pensare a ciò che mi hai detto, a quelle parole che non riuscivano a uscire dalle tue labbra, lo sfogo di un dolore immenso che tu hai dovuto combattere da sola. Mi sono sentita vuota, imperfetta, ho capito che in questi mesi che avevi più bisogno di me, io non ho fatto altro che girarti le spalle. Dio, mi sento così stupida ed egoista anche!
Ma sai Honoka..
[…]
sono successe tante cose da quando sei andata via. Hikari se ne è andata, mepple non vive più con me, e io ho rischiato la vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Honoka Yukishiro/Cure White, Nagisa Misumi/Cure Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And I was made for You



***
Ma salve, carissimi fan della storia, lo sapete che vi adoro? Dico a voi Zonami84 grazie sorellina cara perché sei sempre presente nelle mie storie, e ovviamente, la carissima Rosanera che adora questa storia. Be’ mettetevi comodi allora, per seguire i retroscena della mia storia che ha come protagonisti Usui e Kazumi, i nostri due beniamini. Ma cosa succederà, nel capitolo precedente, avete letto ciò che la nostra cara Kazumi pensava di Usui, secondo voi è innamorata di lui? Lui prova lo stesso, risponderò alle vostre domande solo se leggerete e recensirete il chappy~ bye Love


Quella ragazza mi fa seriamente impazzire.
Forse è una conseguenza del trasloco, forse magari è anche il cambiamento di aria, o probabilmente è l’overdose di immaginazione.
Non era un tipo che si metteva a pensare a una donna così facilmente, le sue precedenti “relazioni” erano state un totale fallimento, considerando che lui riteneva quelle ragazzette che gli correvano dietro, solo per i suoi occhioni dolci o quei suoi capelli di seta, cotte di nessuna importanza, non quel sentimento travolgente che può veramente incastrarsi nel tuo cuore come un diamante, non il sentimento che sua madre aveva provato per suo padre, nonostante quell’uomo l’avesse ferita molto volte, senza alcun riguardo, senza importarsi di nulla, non quello che da un po’ di tempo a questa parte provava per quella scimmietta, un’attrazione inspiegabile, come se il mondo fosse talmente piccolo, che tutte le viuzze, tutte le strade, tutti gli incroci portassero a una sola persona, e che il nome di quella persona gli fosse stato scritto con l’indelebile, che non sarebbe venuto via nemmeno per tutto l’oro del mondo. 
Quella ragazza mi uccideva con i suoi sguardi
Usui si stese sul letto, nella sua camera, con le braccia incrociate alla nuca, e lo sguardo fisso al soffitto. Era appena rincasato dopo una dura giornata di scuola, le braccia gli facevano male, le sentiva tanto indolenzite, ed era la prima volta che uno studente perfetto come lui, che basava la sua intera vita nelle scienze, si interessava a qualcosa di così diverso, come un sentimento che non proveniva assolutamente dalla testa ma dal suo cuore, in procinto di scoppiare, se non si fosse immerso nel caldo tepore di una doccia. 
Quella era talmente vivace, da farlo sentire così idiota.
A quanto pare la doccia non era servita a un bel niente, lui continuava a sentire il cuore superare il limite d’emergenza, la sua testa essere in un frullatore, e il suo intero corpo bruciare per l’assenza della sua orma, la sua orma. 
Quella ragazza non era diversa da tutte le altre, era differente su tutti i fronti
Kazumi. Kazumi... il suo nome gli usciva dalle labbra come se niente fosse, come se non avesse più leva sui suoi sentimenti, come succedeva quando, per annegare i suoi dispiaceri, esagerava un po’ troppo con l’alcol, e iniziava a sciogliere la lingua. Non riusciva più a controllarsi, si girava da un lato e la trovava, stesa, accanto a sé, con una mano che le massaggiava la guancia, poi evitando completamente i suoi profondi occhi, in cui brillava la scintilla dell’amore, si girava dall’altro lato del letto, e come un ologramma la ritrovò seduta comodamente sulla scrivania, per salutarlo con un mano, e nervoso si girò, questa volta, per dirigere il suo sguardo al soffitto sperando solo che non sarebbe comparsa pure lì, perché altrimenti avrebbe capito seriamente di essere un pazzo malato. 
Forse provavo ciò solo perché volevo assomigliarle, ma non ci riuscivo.
Usui si allungò verso la scrivania, dove aveva lasciato la sua cartella, e prese dalla tasca davanti un cellulare. Se lo rigirò tra le mani, esso era tutto bianco e con un cuore azzurro, e lo possedeva da quando aveva solo cinque anni, lo trattava come il suo prezioso portafortuna, nei momenti di confusione e difficoltà, quando era giù di corda, bastava che lo stringesse tra le mani per venire inondato da una strana energia positiva. -Oh, che devo fare cellulare? - chiese, sperando che lui gli porgesse la soluzione. - Sono così confuso. Non mi è mai successo di interessarmi ad altro che non fosse la mia carriera scolastica. - 
Usui era sempre stato un alunno modello, impegnato nella scuola, tanto che in Francia i professori volevano che saltasse addirittura il liceo chiamandolo “ragazzo prodigio” e inoltre “vero pozzo di intelligenza umana” per passare immediatamente alla fase finale del collage, ma lui non aveva accettato tutto questo, mantenendo come sempre la sua indole di ragazzo generoso e maturo. Era la prima volta che Usui Yukishiro si trovava di fronte a quell’indifferenza totale verso la professoressa Rina che stava spiegando la lezione, ed era invece tutto attento ad osservare i movimenti della compagna di banco, di cui non se ne era perso nemmeno uno. 
Quella ragazza gli faceva fare cose delle quali non si pentiva.
Certo il suo comportamento era strano, ma quello che era ancora più strano, era il modo con cui lui le parlava, quando alle volte non riusciva a rifilare due parole in croce, il modo in cui la punzecchiava, il modo in cui la sua mano aveva incontrato inesorabilmente la sua, la sensazione di essere attratto, la sensazione di scarica che aveva oltrepassato il suo corpo, e un fulmine bianco che gli accerchiava ancora la mano, che non era allucinazione o effetto, era come se lui ne fosse stato l’essenza, come se il suo corpo avesse reagito, creando una specie di corto circuito, che né lui e né Kazumi avevano riuscito a decifrare. 
Non solo aveva dovuto lasciare il suo paese di origine, cambiare casa e finire in un luogo in cui si sentiva a disagio, ma doveva pure incontrare qualcuno che era spericolato, vivace, testardo, che era tutto ciò che lui non era mai potuto essere, non almeno in quella vita. 
Lei forse racchiudeva tutte le sue qualità che lui non possedeva, o che non riusciva ad esternare. 
Lei era bella, i suoi occhi somigliavano a due soli splendenti, i suoi capelli al caldo abbraccio della seta. 
Lei era vivace, aveva voglia di vivere, di fare ciò che le era proibito, di rompere ogni regalo con un pizzico di quella follia. 
Lei era talmente spericolata, oltrepassare con semaforo a rosso era uno degli esempi che Usui ricordava di più.
Lei era diversa, e non era come quelle ragazzette parigine, aveva coraggio, aveva tanti difetti, che non distruggevano ciò che era la sua vera personalità; se in tutti questi tratti erano così diversi, una cosa potevano avere in comune loro due: il nascondersi continuamente, lo sfuggire dagli altri, costruirsi tutto intorno un muro di cemento, la durezza un tratto comune, la durezza di non mostrare ciò che si celava dentro di loro, il non voler mostrare la debolezza agli occhi degli altri, il farsi forti anche se in realtà non lo si è. 
Questo gli piaceva di Kazumi, che era dura, che era rompiscatole, che era forte e possessiva, anche se dentro di lei tutto crollava. 
Usui sospirò, mentre ad un tratto la porta della sua camera si spalancò, mostrando la figura elegante della madre, che aveva visto il figlio di sfuggita, poco prima che lui si rinchiudesse nella sua solita corazza di mestizia e silenzio, una cosa che non aveva di certo ereditato da lei ma piuttosto dal padre. Avevano cenato con solo i rumori assordanti delle forchette contro il piatto, Honoka in balia dei suoi pensieri, con la forchetta tra indice e pollice a mezz’aria e lui, invece, dal capo opposto della tavola, impegnato a masticare i ravioli. 
Nessuna parola era fuoriuscita, né Honoka aveva chiesto al figlio come era andato il primo giorno alla Verone, tutto la cena si era svolta nel più completo e assoluto silenzio, nessuno dei due voleva rompere il ghiaccio, Honoka era troppo impegnata a crucciarsi sulla sua precedente visita al cimitero in cui non aveva trovato nessuna tomba dedicata alla sua migliore amica, e Usui aveva legato i suoi pensieri a colei che adesso aveva etichettato come “incudine vivente” dopodiché lui si era ritirato in camera con la scusa dei compiti, e la corvina come tutte le sere aveva messo a posto le stoviglie, le aveva lavate, sciacquate e messe in ordine in uno dei mobili della sua vecchia casa. 
Messo da parte il suo risentimento improvviso per ciò che era accaduto stamattina, andò a riporre i panni ben puliti e stirati nella camera del figlio, e lo trovò steso sul letto, senza nemmeno un libro aperto sulle ginocchia. 
-Usui, tesoro. - 
Il ragazzo sentendo la voce della madre, si mise a sedere vicino alla testiera del letto. 
- M-mamma... - bofonchiò lui, scendendo con un balzo dal letto, per recuperare i libri rimasti nella borsa. - Adesso mi metto a studiare. -
Honoka aprì il cassetto, e ci ripose dentro alcune magliette che quel pomeriggio aveva stirato, e senza farle sgualcire di nuovo richiuse il cassetto, e si rimise in piedi, tenendo sui fianchi un cestello. 
- Non fingere, tesoro. - fece Honoka. 
Essendo sua madre Honoka aveva ben imparato e conosciuto le “strategie” su come scappare quando non aveva voglia di farla preoccupare, di certo prima non le diceva di dover andare a studiare, anzi le accennava di voler andare a dormire, ma in realtà se ne stava da solo, seduto sul letto, rimboccato di coperte, a guardare il soffitto dell’appartamento, e lei senza farsi sentire lo osservava. 
Nonostante ormai fosse quasi un ragazzo adulto, e capace di prendersi le sue responsabilità, certe volte conservava quella sua indole di bambino piccolo, che la faceva tornare indietro nel tempo, a quando lei ogni sera andava a lavorare come sarta in una fabbrica e Usui restava a casa da solo. Era un bambino talmente bravo e intelligente, che Honoka non aveva dubbi a lasciarlo solo a casa, così che se i ladri ci avessero pensato ad entrare in casa per rubare, lui li avesse messi in fuga con quel poco di ingegno e con rompicapo dei suoi. 
Usui era il suo gioiello più prezioso, tanto che qualche volta, seduta alla finestra ad osservare il cielo stellato della capitale francese pensava a quando sarebbe stata anziana, abbandonata, e suo figlio avrebbe preso la sua strada, sarebbe andato incontro al suo destino e a lei sarebbe toccato l’arduo compito di salutarlo, di lasciarlo andare via, di vederlo felice e sistemato con sua moglie, per mettere su una famiglia che lei non aveva mai avuto, e che probabilmente non avrebbe mai vissuto. 
Era la vita che ci metteva di fronte queste scelte, a noi sarebbe toccato solamente adempirla. 
Honoka posò il cesto su uno dei mobiletti, e andò vicino al figlio, che si era seduto vicino alla scrivania, con il libro di storia fra le mani. 
-Figliolo, a me non mentire. Ho visto troppe menzogne nella mia vita, credimi. - lo supplicò Honoka, prendendo posto sul letto. 
Usui si girò a guardarla, specchiandosi nel colore identico dei suoi occhi. 
- Mamma.. perché mi dici tutto questo? - 
-La risposta è semplice caro. Io non ti ho mai raccontato di tua padre e me, solo perché credevo fossi ancora piccolo.. - 
- Sì, e allora? - chiese il ragazzo, lasciando il libro aperto davanti a sé. 
- Diciamo che.. non volevo che tu soffrissi come feci io tempo prima. - 
-Dovevi ascoltare il mio consiglio, mamma - iniziò Usui, ricordandole che lei avrebbe dovuto impedire al suo cuore di amare quel razzo di stupido, quel degenerato che prima le aveva promesso il suo amore eterno, e poi l’aveva abbandonata, come si fa con un cane. -Tu dovevi dire “no, non mi devo innamorare.. no non posso innamorarmi di lui, oppure soffrirò in eterno.” -recitò. 
Honoka sorrideva debolmente, avvicinando la mano a quella di suo figlio. 
-Alle volte non basta fare proibizioni e basta. Se ti innamori, è come prendere una malattia, esso non ti lascia più. - 
Non ti lascia libero di immaginarti altro che chi ami, e io so chi mi immagino.
-Scusa, mamma. Perché ti sei innamorata di un uomo tanto stupido, avresti dovuto pensarci, in fondo è scienza che tu puoi controllare il tuo corpo attraverso la mente. - continuò Usui, non riuscendo a capire come sua madre, una donna tanto forte e risoluta, dedita solo alla scienza e a ciò di ragionevole, si facesse vincere da un sentimento tanto raro come l’amore. - semplicemente non lo capisco. - 
Honoka rise di nuovo. 
- Sì, Usui. Ma credimi, nonostante tuo padre fosse un uomo tanto idiota, e che mi abbandonasse per ogni piccolezza, io lo amavo.. - 
- Tu non eri anche infatuata di zio Kimata, perché non hai scelto lui? - domandò. - Magari sarebbe stato più semplice essere figlio suo e non di quel degenerato che nemmeno conosco. - 
-Sei tu che non hai voluto conoscere tuo padre, figliolo. - rispose la corvina, mentre si alzava dal letto. - Io volevo mostrartelo. - 
Usui incrociò le braccia al petto, forse sarebbe stato meglio che nascere da un’amore non corrisposto e forzato come lo era stato tra Honoka e Kimata, che essere il frutto di un’amore raro ma ovviamente non troppo forte per sopravvivere al turbine del dovere. Usui vide sua madre sparire nel corridoio, inginocchiarsi per terra, verso il mobilone che avevano riposto in modo provvisorio, e prese un grande librone, richiuse con un tonfo il cassettone, che fece svolazzare in aria un olezzo di polvere e acaro, e tornò nella stanza. 
Honoka se lo mise sulle gambe, aprì la prima pagina, e tirò fuori una foto dal suo scomparto. 
-Questo è quando ero alle medie. - Honoka si indicò nella foto, aveva i capelli lunghi, lasciati sciolti, e una molletta a forma di cuore per evitarle che il ciuffo le andasse negli occhi, tra le sue mani un rotolo di pergamena, e l’aria di una che è molto felice. - Deve essere stata scattata quando mi sono diplomata. - continuò, mentre più avanti indicava una ragazza alta quasi quanto lei, con i capelli un tantino più corti, biondo-arancioni, anche lei con rotolo di pergamena, -Questa è Nagisa, tesoro. La conosci già.. -
Usui scosse il capo, mentre accarezzava il volto della sua “zia” notando una certa somiglianza con una persona di sua conoscenza, non avevano lo stesso taglio di capelli, anzi nemmeno lo stesso colore, visto e considerato che quelli di Kazumi era capelli marroni e non troppo chiari, ma gli occhi, quegli occhi illuminati dal sole, erano gli stessi e lui arrossì quando al posto di Nagisa gli comparì davanti agli occhi Kazumi. Era quasi un’ossessione. Mentre osservava la foto in tutti i suoi particolari, vide un ragazzo, che le salutava da lontano, un ragazzo molto carino, con i capelli castani, e scherzo del destino, il colore era identico a quello di Kazumi, solo che lui aveva un viso un po’ maschile, ma giurava che quel colore non gli era indifferente, era tale e quale a quello di Kazumi, possibile che tutte le foto conducessero inesorabilmente a lei, come un crudele scherzo del destino? 
Honoka gli scosse il braccio, facendolo uscire dalla trans. 
-Questo è Shogo.. te ne ho parlato di lui, qui era più giovane, ma ti assicuro che visto da vicino è molto meglio. - 
- Mamma, se non sbaglio era il tuo amico di infanzia. - 
- Giusto, Usui. Ma non solo questo, è anche il marito di tua zia Nagisa. - precisò. -Bene, adesso ti mostro tuo padre. - 
Honoka confiscò l’album dal pavimento, e iniziò a sfogliare le pagine, mentre i ricordi ingombravano il suo cervello, e brandelli di passato le passavano vicino agli occhi, come la pellicola di un film, o come quando stai per perdere tutto, e vedi la tua esistenza, come se tra poco potresti essere giudicato innocente o colpevole. Poi, Usui vide sua madre fermarsi, e avere gli occhi lucidi, perché incontrare nuovamente gli occhi magnetici del suo amato, era come essere colpita a tradimento da un’arma invisibile, senza alcuna pietà. 
Honoka faticò per riportare a galla il suo nome, un nome che le mancava nominare, ma che se nominato la faceva ricadere nella disperazione; il figlio, quando il librone fu appoggiato nuovamente sul pavimento, fermò il fiato. 
-Questo è tuo padre. - disse Honoka, mentre il silenzio dopo un po’ prese possesso della stanza. 
Usui vide davanti il mostro, nelle vesti di un principe, che aveva sedotto, abbandonato, e messo incinta sua madre. Un tipo, carino, ben posato, dritto come una tavola, mentre quella da dietro l’occhiello della macchina fotografica le scattava la foto al suo primo esordio alle medie,  di un anno più piccolo a giudicare dalla sua altezza. Una bellezza magnetica, munita di un alone di mistero che accerchiava la sua figura durante la posa, con le mani nelle tasche del pantalone, gli occhi fissi verso l’obbiettivo, color ghiaccio, che faceva scogliere chiunque lo guardasse, e i capelli verdi, come i suoi, identici, quasi come se la natura lo avesse forgiato a sua immagine e somiglianza. 
-Come si c-chiamava? - ebbe il coraggio di chiedere Usui, distogliendo lo sguardo dal padre. 
Honoka si fece forza per nominare ancora una volta quel nome e cognome, asciugandosi nell’angolo degli occhi, un rivolo di lacrima pronto a scenderle giù, per la guancia. 
-Kiriya... Irisaya.. - balbettò, ma dietro quel suo nome c’era forse una storia ancora più orribile dell’abbandono, che Usui non conosceva. 
Lotte, battaglia sotto false vesti, alter ego che prendevano vita dai loro corpi, Cure Black, e sopratutto Cure White, mostri, distruzione, futuro non propriamente assicurato, vittorie, sconfitte, abbandono, ritrovamenti, di nuovo abbandoni, scomparse, forse per secondi, ore, minuti o per eternità. Honoka non aveva mai avuto il coraggio di confessare a Usui che suo padre non era come lei. 
Lei era una Pretty Cure, una leggendaria guerriera che proteggeva il suo stesso destino, ma pur sempre umana, lui, invece, era stato forgiato dal male, e quella sua pelle bianco latte era il frutto di una reincarnazione, perché Kiriya, viveva, operava e lottava per andare incontro al suo destino, un destino che secondo lui non si poteva cambiare, ma solo accettare e subire. Nemmeno quella che gli umani chiamavano volontà, avrebbe potuto salvarlo dal buio, dal vuoto, dalle tenebre. Quello stesso uomo che Usui aveva chiamato mostro, padre degenerato e senza scrupoli, aveva tante ragioni per scappare, forse una delle quali era scappare dal suo stesso io. 
-Avrei preferito non vederlo, è peggio di un... principe travestito da bestia. - 
- Non dire così, Usui. - lo rimbeccò Honoka, che era a conoscenza del destino che avrebbe aspettato il suo amato.
-Mamma, tu lo difendi pure! - urlò, ora si stava seriamente arrabbiando. 
Come poteva sua madre proteggere quell’uomo, poteva anche essere un principe, godere di una bellezza a dir poco affascinante, ma restava in fondo una bestia, amare una donna, amare qualcuno da non poter farne a meno non significava abbandonarla da sola, porre fine ai suoi sogni d’amore, e addirittura metterla incinta, e sparire nel nulla, lui odiava di somigliargli almeno un po’ nell’aspetto a suo padre, di avere quella carnagione pallida e bianca, di avere i suoi capelli, di avere un mix di Honoka e di quel bastardo in sé, ma molto più di dover andare incontro al suo destino, di fare ciò che aveva fatto lui con la sua donna, se ami non lasci, se sai che lei ha bisogno di te, ti assumi tutte le tue responsabilità, un figlio ti fa crescere, maturare e pensare al futuro, non solamente a fuggire e a lasciarsi indietro problemi che torneranno sempre. 
-Non lo difendo, Usui. - si scusò la madre, - Ma ci sono cose di tuo padre che non sai.. - 
- Dammi una sola ragione per cui non dovrei trattarlo al pari di una bestia senza cuore, mamma. - 
- Tesoro, in amore non basta la ragione. In amore o ti innamori oppure ti metti in gioco, e lotti contro te stessa. Non puoi scegliere. - 
-Avresti almeno potuto tenerti alla larga da quel verme! - urlò nuovamente Usui, alzandosi in piedi. 
Honoka sospirò. Sarebbe stato andare contro i suoi stessi sentimenti. 
- Prima o poi tutti dobbiamo scegliere. - anche Honoka questa volta si alzò. - E che tu lo voglia o no Usui, tutti, ma proprio tutti. - 
- Se potessi non farlo, non sceglierei affatto. Perché dovrei amare una donna, renderla felice e abbandonarla, davvero non capisco. - 
- Usui, tu non devi essere uguale a tuo padre. - disse, mentre lentamente gli massaggiava una guancia. - Tu devi essere Usui e basta. - 
-E se mi scopro uguale a lui? - 
Honoka non vagliava dentro di sé tutte le volte in cui l’aveva abbandonata, ma tutte le volte in cui lui le aveva promesso che sarebbe tornato, che loro finalmente senza alcun timore sarebbero stati felici, a tutte le volte che toccava il cielo con un dito, a tutte le volte che si sentiva completa e che pensava che valeva la pena ascoltare il cuore, a tutte le volte che si erano lasciati e poi ripresi. 
Pensava alle cose belle di Kiriya. Pensava a tutto ciò che lui era stato per lei, e a cosa non era stato.
Usui non aveva tutti i torti, il suo cuore aveva già patito troppa sofferenza, l’unica cosa era incatenarlo e gettarlo in mezzo al mare per impedirgli di risalire, magari congelandolo sul fondo, ma nonostante questo lei non poteva impedire, che il suo cuore seppur congelato, provasse sentimenti forti per quel ragazzo. Aveva dimenticato i suoi occhi, i suoi capelli, la sensazione di averlo accanto in tutti quegli anni, ma adesso, vedendolo ritratto in quella foto che lei si era fatta dare e che aveva custodita gelosamente, sentiva rivivere in lei quell’amore che credeva perduto per sempre, e che si era assopito, sotterrato dalla coltre di dolore e dall’odio.
-Tu non sei uguale a lui. Tu sei Usui, il mio bambino, troverai la tua strada, andrai oltre a me e tuo padre, e sarai felice. - 
- E se non lo sarò? - chiese di rimando Usui, che aveva paura di trasformarsi con quel degenerato che aveva per padre.
- Lo so che sarà per te difficile perdonare Kiriya, ma pensa come sarebbe stato se io e lui non ci fossimo mai incontrati, tesoro. - 
Usui ci pensò. Probabilmente sua madre ora sarebbe stata moglie di un altro, e non starebbero in quella casa, probabilmente il futuro sarebbe stato più roseo e pieno di iniziative, e lui avrebbe avuto magari una capigliatura diversa, un carattere più estroverso, una vita più serena al fianco di una vera famiglia, che a lui da sempre era mancata, nonostante quel vuoto che sua madre aveva riempito con la sua presenza. Usui smise di stare in silenzio, e diede una risposta a sua madre, che non era quella che propriamente lei si aspettava. 
- Usui.. sei molto intelligente. Oltre alla nostra vita, pensaci tu saresti nato? - 
Usui la guardò in volto. La risposta era più che chiara: no, non sarebbe nato, ma almeno sua madre sarebbe stata felice. 
-Forse tra tutte le cose brutte di Kiriya, oltre che alla sua scomparsa, c’è anche quella di aver generato te. Credimi, quella cosa ha reso felice sia me, che ti ho portato dentro di me, che lui nonostante non sappia nulla di te. - 
-Mamma, tu non saresti stata più contenta? Non avresti guardato più in là, magari diventando una grande scienziata. - 
Honoka gli baciò maternamente la fronte. 
- Cosa significa una carriera che va bene? Fama, denaro... un’esistenza agiata, no.. questo non è niente in confronto alla gioia di vedere crescere dentro la tua pancia, una vita che è la mia vita, e una speranza che è la mia speranza, vederti nascere è stato il momento più felice, che nessun denaro avrebbe mai potuto comprare. - spiegò Honoka, mentre abbracciava suo figlio. - Tu sei la mia carriera. - 
- Mamma, quindi, .. tu sei contenta della tua vita? - chiese di nuovo Usui, mentre sfogliava l’album. - Niente ripensamenti? - 
-No.. sai l’unica cosa che avrei voluto cambiare... - Usui la guardò di nuovo, seduto a terra, con una pagina rimasta a mezz’aria. - Il destino di tua zia Nagisa.. il destino di quella bambina che non potrà mai conoscere sua madre, purtroppo.  Sai, queste sono le vere sfortune. - 
Usui girò la pagina e si trovò davanti un’altra foto: Nagisa, con un kimono rosso e sua madre con uno giallo, alla festa dell’estate. 
-Qua eravate davvero carine. - commentò Usui, indicandole in primo piano; Honoka aveva il ventaglio vicino al naso, e Nagisa al posto del ventaglio, uno spiedino di carne che stava divorando. - Oh, santo cielo! Zia Nagisa era una vera mangiona. - 
-Già... aveva un vero e proprio stomaco di ferro. - 
-Non rimpiangi la tua gioventù? -domandò Usui alla madre, in un momento di complicità con la camera immersa nel più assoluto buio, a differenza della scrivania, da cui proveniva la luce soffusa della lampada, che rischiarava i volti nitidi delle due ragazze. A quanto pare qualcuno le aveva riprese di nascosto, e aveva consegnato a Honoka la foto, visto e considerato che Nagisa non era in posa, ma nella sua posizione più naturale possibile. -Insomma... quando non mi avevi ancora. - 
-Ancora, ti dico di no, Usui. - rispose nuovamente la madre. - Vuoi vedere ancora le foto? - 
Usui fece segno di sì con la testa, portandosi al petto il volume, in modo che sua madre non glielo confiscasse, come quando ero piccolo e lei rincasava tardi, trovandolo ancora a leggere disteso nel letto, senza aver preso sonno. Quando aveva troppi pensieri difficilmente prendeva sonno, e sua madre sapendo che l’indomani avrebbe dovuto andare a scuola, lo rimproverava assai duramente, costringendolo a riporre il libro. Anche quella notte la sua testa stava lavorando troppo, così chiese il permesso alla madre di parlare ancora un po’ anche se domani era scuola e lui si sarebbe presentato da Kazumi come un morto vivente. 
-Tesoro, non dare la colpa a me, se domani arrivi in situazione pietosa a scuola. - 
-No, darò la colpa alla mia testa. - fece Usui, sfogliando le duecentomila pagine. 
-Perché, cosa sente la tua testolina? - 
-Cose così, mamma. - dissimulò il ragazzo, evitando il discorso “incudine Kazumi o più propriamente maledizione di Kazumi”
-Sai che non me la racconti, giusta? - 
- Ah no... - 
- Tesoro, ti conosco bene perché sì... - ma lui la interruppe, canzonandola. - Sì perché mi hai tenuto nella tua pancia per ben nove lunghi mesi e mi conosci come le tue tasche, questo lo so benissimo, non c’è bisogno che me lo ripeti ogniqualvolta. - 
Honoka sospirò lungamente, incrociando le braccia sul suo vestito, aspettando quasi una confessione da parte del figlio, che non osava dirigere il suo sguardo nel suo, perché sua madre lo faceva parlare, come dotata di strani poteri ultraterreni. 
-Usui... mi metto ad indovinare? - propose Honoka, ricordando con molta nostalgia, quando per far parlare Nagisa sui sentimenti per Shogo ci volevano addirittura le tenaglie come il dentista in procinto di asportarti una mola. -Uhm, non penso sia difficile, voi uomini vi zittite esclusivamente se il vostro unico pensiero è una ragazza, dico bene, figliolo? - 
Usui smise di concentrarsi sulle pagine, e deglutì, come se fosse stato preso nelle mani dentro al sacco.
Nella sua mente si materializzò la domanda “ma come ha fatto ad indovinare?” senza sapere che scritto con l’invisibile sulla fronte c’era in bella mostra il nome “Kazumi” e che lui non riusciva a cancellare fin da quando erano stati in punizione a pulire i vetri della scuola, ma questo di certo non aveva osato raccontarlo a sua madre, anche se aveva promesso di non nasconderle niente. 
-No... mamma... cosa vai a pensare, tuo figlio non si mette a pensare a una ragazza. - 
-Certo, tesoro. Ma si da il caso che noi uomini non nasciamo per morire vecchi, brontoloni e soli. - gli disse Honoka, dando sfogo a tutta quella sua intelligenza repressa. - Avanti Usui, sono tutta orecchie... come si chiama? - 
Usui sentì di star per andare al fuoco, la pelle delle sue guance, pallide come la luna di quella notte, iniziarono a ricoprirsi di un rosso scarlatto, come se di lì a poco il termometro della febbre avrebbe misurato 42 gradi. Si sventolò con la mano non impegnata a girare le pagine, e iniziò a grattarsi la nuca a sangue. 
- No... mamma... nessuna, non ho nessuna in testa, non potrei mai. - 
- Usui... tesoro, non hai commesso un peccato mortale se ti piace una ragazza. - 
- Sì, invece! - 
- Non è un peccato pensare a una ragazza... - ma il figlio la fermò. - Sì, lo è sopratutto se penso costantemente a lei come un pervertito idiota.. insomma, la conosco, da quando? Un giorno solo... e già la vedo nel letto, insieme a me, non può capitare a me. - 
- Non essere sciocco, figliolo. Tutti prima o poi iniziano ad amare il loro sesso opposto, a meno che non sei... hai capito no. - 
- Più o meno... ma io non la conosco! Insomma... non conosco la sua famiglia, lei non conosce la mia.. sono diventato pazzo. - 
- Non sei pazzo, Usui. - gli disse la corvina, accarezzandogli la spalla. - Hai solo iniziato ad interessarti al mondo che ti circonda. -
- Mamma, lei è diversa da me, quasi quanto te e zia Nagisa, mi spiego? - 
- A grandi linee. Dimmi, come si chiama? - 
- Kazumi.. - 
-Bel nome, Usui. - 
- Sì, una totale uscita fuori di testa, mamma. Capisci, che lei stava attraversando a rosso! - 
- Sì, però... - 
- Però... niente, mamma. Io non posso interessarmi a tipi come lei, insomma siamo completamente diversi, di carattere e di aspetto, se io sono il signore delle nullità, lei è un’esplosione di colore, vivacità, armonia. Se io sono il principe dei senza amici, lei invece.. insomma... siamo diversi, non ci somigliamo per niente, siamo come la luna e il sole, come il giorno e la notte. - 
- Non è un male, Usui. Se tutti fossimo fatti a stampini, il mondo sarebbe noioso. - 
- Se il mondo fosse come lei, dovremmo tutti ricoverarci. - 
Honoka sorrise divertita. 
-.. Non importa se siete diversi... dopotutto anche io e Kiriya, così come tua zia Nagisa e tuo zio Shogo eravano diversi, ma non è cascato il mondo, la cosa importante è che vi amate, e che lei provi lo stesso per te. - 
Usui la guardò, perplesso quasi come a dire “ma ti stai sentendo?”
- Mamma, scusami.. ti stai sentendo, ti sto dicendo che la conosco da poco, che anzi non la conosco affatto, e tu vieni a dirmi che è necessario solo che ci amiamo! - 
- Oh, tesoro. Non fare il difficile... - 
- Mamma, io non ti capisco. Kazumi e io ci conosciamo da troppo poco tempo, non possiamo già provare un sentimento reciproco, - poi Usui si rabbui improvvisamente, e il pallore risultò ancora più vivido alla luce della lampada. - Inoltre.. penso di non fare per lei. - 
- Solo perché sei così diverso, Usui? Tesoro, se vuoi un consiglio allora ascoltami bene, segui il tuo cuore, per la prima volta, inizia a conoscerla meglio.. perché sono sicuro che non è amore ma solo attrazione, devi innanzitutto scoprire se può esserci qualcosa, sono sicura che tu e lei avete molto da condividere, solo che ancora non avete scoperto cosa. Fai come ti ho detto tesoro. - 
- Se non le piaccio.. - 
- Se non rischi, non lo saprai mai... credi che tua zia Nagisa si sarebbe sposata con Shogo se non gli avesse detto che lo amava? - 
- In effetti.. - 
- Anche tu devi fare lo stesso, tesoro. Comunque, anche se siete diversi, ognuno è attratto dal diversissimo mondo dell’altro, e sono sicura che non vi annoierete mai a scoprirvi a vicenda, nemmeno se passassero cento anni... be, a mio modestissimo parere... - 
Usui fece un risatina sotto i baffi, nascondendola con una mano posta sul viso. 
-Sono molto curiosa di conoscere questa Kazumi. Mi sembra una brava ragazza. - 
- A te sembrano tutte brave, mamma. - le disse Usui, ricordando quando in Francia era tornato a casa assieme a una sua compagna, e Honoka vedendola gli aveva chiesto se fosse la sua fidanzata, lui si era imbarazzato tantissimo che non era riuscita più a guardarla in faccia. Non le piaceva poi, era un manico di scopa, capelli orrendi color biondo cenere, la solita bellezza ossessiva che si nascondeva sotto quel suo sguardo da gattina dagli occhi blu cobalto. -... Ti accorgerai che questa ragazza è diversa da tutte le altre.. - 
- Uhm, interessante. - bofonchiò la ex cure bianca, mentre guardava l’orologio che segnava mezzanotte e alzandosi dal letto, si riprese il volumone per riportarlo in corridoio nel suo cassetto. - Bene, Usui, non vedo davvero l’ora. Invitala una volta a casa... adesso però è meglio che vai a letto altrimenti domani altro che morto somiglierai a uno zombie con la scoliosi. - concluse Honoka, mentre si abbassava solo per salutare il figlio, come quando era bambino, vedendolo imbronciato, visto che sua madre gli aveva confiscato il suo gioco. 
Usui smise di essere rosso in volto, e togliendo il piumone dal letto, si infilò nelle lenzuola, sperando di riuscire a trovare pace, anche se all’ultima frase di sua madre avrebbe voluto sparire dalla faccia della Terra, pensando “per te è facile dirle, ehi Kazumi, scusa, ti va di venire a casa mia a mangiare, mia madre ti vorrebbe conoscere.” sicuramente l’imbarazzo gli avrebbe tolto la voce e il poco coraggio. 
Sua madre era uscita dalla sua stanza, ora c’era solo lui, il sonno che non voleva arrivare, e .... la sua incudine che lo salutava dall’alto del soffitto.. 











***Angolino della Love** 

Ma Buondìì! Oggi è un giorno festivo, ma davvero non sono riuscita a resistere, e così ho voluto pubblicare un nuovo capitolo. 
Per i fan di Usui, il nostro protagonista, sarà una vera sorpresa, sopratutto perché potremo scoprire cosa pensa la sua mente misteriosa, visto la sua timidezza oltremisura. Per scoprire se il nostro Usui inviterà Kazumi a cena da lui, allora non vi resta che leggere il prossimo capitolo, io come al solito ringrazio chi mi segue, Zonami84 e Rosanera, le cinque persone che hanno messo la storia nelle seguite, nelle ricordate o nelle preferite, e vi do appuntamento al prossimo sperando che ci sarete. 
Se you later~ Love 




 
 
   
 
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