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Autore: Valu Valonsa    30/08/2015    1 recensioni
"Tu non sei la mia ragazza!"
Una frase che nessuno vorrebbe mai sentirsi dire, ma se accadesse cosa fareste?
Meglio rimboccarsi le maniche e guardare avanti.
Spesso quello che perdiamo torna sempre da noi...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Quando il tempo ti cambia la vita.








 



DESMOND: Non ce la farò mai a mettermi con Mary… eppure mi piace tanto.
CHEYENNE: Il segreto è il tempo Desmond. Passa del tempo con lei, tutto il tempo che le serve, e si metterà con te, vedrai. Perché è il tempo che le lusinga…e poi il tempo dà sicurezza. Per favore non mollare con Mary, Desmond, promettimelo!

Dal film This must be the place













 

 Non appena il mio cellulare fu al 100% attivo iniziò a squillare, non dovetti nemmeno guardare lo schermo. Già sapevo chi era.
 
“Hey, tutto bene. Sto andando a casa. E no, non è andata per il verso giusto, ma sì, stavolta basta.”
Sospirai pronta a ascoltare il suo punto di vista. La mia migliore amica, sorella acquisita Nora. Eravamo cresciute insieme e sapeva ogni cosa di me, come io di lei d’altronde.

“Mi dispiace. Davvero davvero. Che stronzo…Ceni da me e mi racconti tutto?”
Quella parolaccia mi fece sorridere e lei era quella che controllava il mio stile nel parlare! Mi accusava ogni giorno di dire troppe parolacce per una ragazza così graziosa, testuali parole. Sinceramente non avevo la benché minima voglia di rivivere quel pomeriggio, ma stare con lei era di gran lunga migliore che tornarmene a casa. Così acconsentì, passai a casa solo per lavarmi e lasciare un biglietto vicino al frigo e riuscì.
Mio padre ci lasciò due anni e mezza fa, preferendo la sua nuova famiglia, con la sua nuova baby-moglie a me. Mia madre non accusò il colpo, in quanto già frequentava altri uomini da anni. I miei genitori erano separati in casa, litigavano ma non lasciavano mai la presa. Fin quando, per l’appunto, mio padre trovò nuova moglie e decise di chiudere ogni ponte anche con me.
Non che io lo avessi tradito con altri papà, sia chiaro. Fu una sua scelta e per quanto ci provai con tutta me stessa non volle più saperne niente di me.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui mi lasciò da sola in casa, dopo aver raccolto tutte le sue cose ed essere semplicemente uscito dalla porta. Mi lasciò solo un bacio sulla testa e poi si dileguò.
Il vuoto fu incolmabile.
Ero molto legata a lui e non capivo come il nostro rapporto potesse sgretolarsi così facilmente, senza nemmeno darci una possibilità.
L’assenza mi devastò.
Con mia madre il rapporto non era mai stato idilliaco, conversazioni standard senza eccedere in nulla. Non volevo giudicarla per le scelte sentimentali, ma speravo solo vivamente non fosse genetico.
In men che non si dica arrivai a casa di Nora e prima ancora che potessi suonare il campanello, lei venne a spalancare la porta.

“Aurora!”
E mi strinse a se, talmente forte che per un attimo pensai di ricordarle che dovevo respirare anche io, ma era così confortante che la lasciai fare. Mai come in quel momento mi resi conto di aver bisogno di un abbraccio.

“Vieni entra. Stasera pizza, film e pettegolezzi. Voglio sapere tutto.”
Accennai un sorriso, sforzandomi di farlo sembrare per lo meno naturale.

“Però prima mangiamo, se no poi ci passa anche la fame.”
Sorridendo acconsentì e mi condusse in cucina, dove la mamma ci attendeva. Mi accolse, come sempre, con tanto affetto e tutte insieme divorammo la cena. Non terminai nemmeno di ingoiare l’ultimo boccone della pizza che Nora mi trascinò letteralmente di peso in camera sua.

“Ora racconta.”
Chiese curiosa, sedendosi di fronte a me sul letto.

“Ma non avevamo in programma un film da vedere?”
Domandai già in ansia pre-racconto.

“Oh dai Aurora, per favore. Voglio sapere tutto, ogni singolo dettaglio. Come solo tu sai fare.”
Mi sorrise e mi arresi. Insistere con lei era come combattere contro i mulini a vento, così mi misi comoda e provai a rivivere quella mezz’ora infernale.
Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal silenzio e…

Ero scesa da casa carica e per la prima volta da tempo, avevo un briciolo di speranza in più. Ogni passo verso casa sua mi spingeva a rivivere il quasi bacio che stavamo per darci in caffetteria. Potevo quasi sentire ancora il suo alito fresco che si infrangeva sulle mie labbra, i nostri respiri che galoppavano all’unisono, i nostri sguardi che si incrociavano. Quello era il preludio per un bacio epico, che fu interrotto dal prof. di Fisica, in fila per ordinare il suo caffè.
Non l’avevo sognato Nora, ci stavamo per baciare.
E così è sempre stato alla fine di ogni scontro, quella era la prova decisiva. Ci scannavamo, ma questo non faceva che alimentare l’attrazione tra di noi. Lo sapevo e coscienziosa e forte di questa sicurezza mi dirigevo verso casa sua…


Presi un respiro profondo e ripresi da dove mi ero interrotta, conoscendo, con il senno di poi, come sarebbe finita.

Bussai e mi aprì il fratello minore, mi disse che il fratello era in camera e lo potevo raggiungere lì. Così m’incamminai verso la sua stanza, seguendo le istruzioni del fratellino. Ero agitata, sapevo che avremmo litigato, ma alla fine io avrei ottenuto una risposta. Volevo capire cosa ero per lui e cosa, eventualmente, avremmo potuto essere. La porta era socchiusa, così l’aprì leggermente e lo chiamai, chiedendo se potessi entrare. Non ricevetti risposta, così la spalancai del tutto. E mi immobilizzai sul posto.

Aprì di scatto gli occhi e li puntai in quelli della mia amica.

“Arriva la parte brutta?”
Sussurrò come se non volesse farmi deconcentrare, annuì semplicemente, non le dissi che quello era solo la punta dell’iceberg. L’avrebbe scoperto a sue spese di lì a poco. Serrai gli occhi e strinsi il cuscino tra le mie braccia e ripresi il racconto.

Lui era…stava… era seduto sulla scrivania, mentre baciava una ragazza. Una volta entrata logicamente avevo interrotto qualsiasi cosa stessero per fare. Entrambi puntarono gli occhi su di me, ma io ricambiai pietrificata solo uno dei due sguardi. Non lo so se solo guardandomi capì che mi stavo distruggendo li davanti a lui, ma ebbe il minimo buon senso di scendere dalla scrivania e di chiedere a quella lì di uscire dalla stanza. Mentre le parlava notai lo stesso atteggiamento che aveva con me: autoritario. Mi parve più chiaro che mai che era la tecnica che usava con tutte le ragazze per farle sciogliere e anche io in caffetteria ci ero cascata con tutte le scarpe, in quella specie di trappola mortale. E in quel momento sentì che un’altra crepa si formava sul mio cuore. Non ci diedi peso, non era il momento.
Eravamo rimasti finalmente soli. Lui fu il primo a parlare.
“Cosa ti porta qui?”
Si sedette sul letto, mentre io restavo impalata vicino la porta. Notai un tono leggermente preoccupato, oppure era solo mia impressione.

“Non lo so più nemmeno io.”
Sussurrai più a me stessa che a lui, lo vidi sussultare a causa della voce roca e bassa che uscì dalla mia bocca. Ero amareggiata e pur volendo non riuscivo ad imprimere un tono tranquillo alle mie parole. Rimase in silenzio in attesa che parlassi.

“Voglio chiarezza. Voglio capire il perché tu ti comporti così con me. Voglio sapere cosa ti stava spingendo a baciarmi. Voglio che tu definisca cosa siamo e cosa vuoi da qualsiasi cosa siamo ora. Pretendo di sapere perché passi dall’indifferenza ad attaccarmi per delle sciocchezze per poi prendere le mie difese e ritornare di nuovo all’indifferenza. Voglio capirci qualcosa. Io… ho la mia opinione su di te e su ciò che potremmo essere, ma voglio la tua per poterle far coincidere.”

Sollevai lo sguardo e puntai i miei occhi verdi nei suoi color cioccolato e attesi il suo turno.

“Tu non sei la mia ragazza.”

Un doloroso colpo al cuore. Le crepe iniziali si stavano spaccando ulteriormente, piccoli pezzi mi si ritorcevano contro, procurandomi ancora più dolore.

“Mi hai interrotto con la mia ragazza, per una stronzata.”



Presi fiato e ricacciai le lacrime, non avrei mai pianto davanti a quell’essere. Non distolsi lo sguardo nemmeno per un attimo. Ero andata per sapere la verità e l’avrei ottenuta a tutti i costi.

“Mi diverto con te, ci gioco. Nulla in più.”

Avevo sempre frainteso tutto, mi ero illusa su ogni cosa. Lui non provava nemmeno una briciola dei sentimenti che sentivo io. Che stupida!

“E non ti stavo per baciare, non era per nulla mia intenzione.”

“Questo non è vero e lo sai. Ma se ti piace giocare a rinnegare ciò che è accaduto, ciò che entrambi abbiamo provato, non ti deluderò.”

Stronzo. Megalomane. Stronzo. Con le ultime briciole di forza e coraggio mi avvinai ad un passo da lui. Eravamo faccia a faccia, come era successo tante altre volte, ma in cuor mio sapevo che quella volta sarebbe stato diverso. Memorizzai ogni piccolo dettaglio: la sottile barba, le lentiggini, le labbra così dannatamente invitanti, l’alito fresco che mi accarezzava il volto e gli occhi accesi di curiosità. Ero stata così cieca da scambiare tutto ciò per qualcosa di più profondo, quando per lui era solo stato un gioco.

“Evita i pianti isterici, lasciali per quando torni a casa e ti sfoghi per tuo padre.”

Lui spalancò gli occhi, in contemporanea con i miei.
Più o meno fu in quel preciso istante che il mio cuore si frantumò in milioni di pezzi. Lui sapeva tutto il mio trascorso, non avrebbe mai dovuto colpirmi su un nervo ancora scoperto. Quella frase mi ferì più di mille schiaffi. Pronunciata da lui, con quel tono di scherno mi sgretolò il cuore. Come potevo provare dei sentimenti preziosi per una persona così cattiva, che mi feriva a più non posso e con tutti i mezzi di cui disponeva.

“Io…Mi dispiace. Aurora ti prego….Io non lo so perché ho det-”

“Basta.”
Lo interruppi, feci un passo indietro e lo guardai ancora una volta. Non c’era più divertimento nei suoi occhi e quella mano a mezz’aria, che pochi attimi prima mi aveva sfiorato il braccio, era rimasta immobile e sospesa.
Come avevo potuto credere che uno come lui potesse essere cambiato per me.
Non avrei pianto davanti a lui, a costo di cavarmi le ghiandole lacrimali, quella soddisfazione non l’avrebbe avuta.

“Aurora so-”

“Ho detto basta. Stai zitto!”
Urlai esplodendo, buttai fuori tutto di un fiato la rabbia, lasciandomi guidare dall’amarezza e dalla delusione più cocente.

“Fai come se non esistessi più. Fa come ti pare, ma ignorami, non parlarmi e non ti avvicinare più a me!”
Era insensato continuare a subire senza riceverne nulla in cambio, era più che sufficiente quello che mi aveva dimostrato. A riprova che non avevo mai capito niente.

“Ascoltami Aurora, io non volev-”

“Volevi eccome. Tu vuoi sempre ferirmi, godi nel vedermi in difficoltà e quelle rare volte in cui te ne dispiaci intervieni a sistemare ciò che tu stesso hai causato. E io che avevo frainteso tutto, ma è questa la realtà! Questo è quello che sei, non ci sono altre facce o altri te, sei solo questo. ”
Si era rifatto sotto colpito e affondato, ma non l’avrei più lasciato avvicinarsi. I suoi occhi privi ormai di divertimento non fermarono il mio risentimento.

“Fa come se non esistessi più.”
Mi allungai verso la porta di quella maledetta stanza diretta verso quella d’ingresso e lo sentì seguirmi, mentre cercava di afferrarmi. Quella ragazzetta era stravaccata sul divano e quando ci vide arrivare si alzò in un batter d’occhio. Non so se lui la degnò di uno sguardo e in quel momento non me ne importava un fico secco, volevo andarmene. Avevo avuto tutte le risposte che cercavo, adesso dovevo tirare le somme e concentrarmi solo su me stessa.



“Aurora…”
Lo sentì sussurrare per richiamare la mia attenzione, mi voltai verso di lui poco prima di chiudermi la porta alle spalle.
Lo guardai per l’ultima volta, ero scossa e lui turbato, ma ciò non mi fermò. Avevo sbagliato tanto volte con lui, niente era come sembrava, quel momento non faceva eccezione. Aveva infierito ancora su di me, sui miei punti deboli,  oltrepassando il limite.

“Lasciami stare Leonardo. Lasciami. Stare.”
Mi chiusi la porta alle spalle e scesi in fretta e furia i due piani, una volta fuori il palazzo respirai a pieni polmoni. Volevo tornare a casa, ma mentre camminavo mi sono fermata al parco. Mi sono seduta su quella stessa panchina dove lo vidi per la prima volta tempo fa. E ci sono rimasta per due ore e 15 minuti. Il resto lo sia già.


Riaprì gli occhi asciugandomi in fretta una lacrima che era sfuggita e vidi Nora completamente in lacrime.

“Perché piangi ora?”
Le chiesi scossa, dovevo piangere io mica lei!

“È che… non mi piace vederti così triste.”
L’abbracciai e subito ricambiò il calore.

“Hey lui mi lascerà perdere e io puoi star tranquilla che non lo cercherò più. Lo voglio fuori dalle palle.”
Provai a sorridere, ma forse il risultato fu una smorfia con accenni di denti. Era il massimo che potevo offrire quel giorno e lei se lo fece bastare.

“Qualsiasi decisione prenderai io ti appoggio sempre, mi basta sapere che ti rende felice.”
Ci stritolammo in un altro abbraccio fraterno, fin quando non fu ora di rientrare per me. La ringraziai per la serata, mi era servito a schiarirmi ancora di più le idee. Avevo fatto la cosa giusta e prima o poi avrei potuto godere dei risvolti positivi.
Ripensai al tragico pomeriggio anche mentre rientravo a casa  e mi autoconvincevo sempre di più che ora tutto sarebbe andato per il verso giusto. Sarei stata finalmente serena, non avrei dovuto far altro che aspettare la fine del semestre e poi io e Nora avremmo cambiato città. E allora sì che mi sarei lasciata tutto alle spalle.
Una volta per tutte.
Ero giunta fuori il mio palazzo, in procinto di salire, quando mi bloccai sul primo scalino.
Seduto vicino al portoncino c’era Leonardo, con una faccia da funerale. Appena mi vide balzò in piedi e infilò le mani nelle tasche del jeans.
Cazzo se era bello. Si era solo infilato la giacca, ma aveva ancora gli stessi vestiti di qualche ora prima.
Tanto bello quanto stronzo.
Da quanto tempo era lì seduto? Mi schiaffeggiai mentalmente. A me non doveva interessare da quanto tempo fosse lì!
Respirai a fondo e determinata ad entrare in casa, senza degnarlo di una sola attenzione, salì i pochi scalini che ci dividevano.

“Ciao.”
Non lo risposi, mi concentrai nella ricerca delle chiavi di casa. Le avevo pescate pochi attimi prima, ma per la sorpresa erano ricadute in borsa. Bene un’altra cosa per cui incolparlo!

“Hai cinque minuti per parlare?”
Proseguì, mentre io svuotavo la mia borsa in cerca di quelle dannatissime chiavi. La rabbia cocente e la delusione profonda alimentavano la mia forza di volontà che non mi permetteva, a sua volta, di alzare lo sguardo e cadere ancora una volta nella sua trappola.

“Aurora, per favore.”
Mi sfiorò con un dito il braccio, feci un balzo enorme verso il cancello. Era un gesto imprevisto e mi colse alla sprovvista. Anche lui rimase sorpreso per la mia reazione e boccheggiò per qualche attimo. I nostri sguardi si incrociarono ancora una volta e mi obbligai a non vedere nei suoi nessun tipo di risentimento, nè di emozione che sicuramente avrei frainteso. Finalmente beccai le chiavi, alla velocità della luce le inserì nella serratura e spalancai il portone. Lui era ancora lì fermo, un po’ scioccato e impreparato. Entrai nell’atrio e prima di chiudere la porta mi rivolsi ancora a lui, che seguiva ogni mio movimento da quando mi aveva visto fuori casa, pochi minuti prima.

“Vattene a casa Leonardo. Qui non c’è niente che possa interessarti.”
E chiusi il cancello dietro di me.
E per la seconda volta, in quella giornata, lasciai i miei sentimenti dietro la porta.

   
 
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