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Autore: Inkheart5311    31/08/2015    0 recensioni
Ha sempre avuto quel marchio nero alla base del collo, per quanto ne sa.
Del resto ai ragazzi piace: una ragazza con un tatuaggio dal significato misterioso è proprio una "gran figa".
Per non parlare degli occhi neri come pozzi, per altro privi di riflesso. E della cicatrice sul palmo della mano destra.
È affascinante senza volerlo, il che la rende doppiamente attraente.
Tutte le ragazze vorrebbero essere come lei, ma Erika non è una di quelle che se la tirano.
Preferisce incutere timore più che far sbavare quegli adolescenti brufolosi e dalla testa bacata.
Tra i corridoi del liceo la chiamano "L'Ombra", ma sono umani: come possono conoscere la pericolosità di un termine così alieno al mondo fittizio che si sono costruiti?
Anche se non bisognerebbe fargliene una colpa: chiunque si sarebbe nascosto dietro un cumulo di bugie se fosse stato privo di poteri.
Ma non è di loro che bisognerebbe preoccuparsi.
Non ora che la Congregazione Bianca si sta riformando;
non ora che i portali si stanno indebolendo;
non ora che i Mietitori hanno ripreso a generarsi dalle tenebre.
Gli umani sono sempre stati un gran problema, ma ci sono cose ben più gravi su cui focalizzarsi al momento.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Cari lettori,
Ho provato a ideare una storia completa di finale prim'ancora di scriverla, ma ho fallito e ho buttato tutto all'aria. Non per un puerile capriccio o per mancanza di idee, ma perché facendolo si perde il gusto di scrivere. 
Il bello di creare una storia è quello di modificarla di volta in volta, di far diventare propri i personaggi. Il bello è capire cosa cercano i lettori e fare tutto il contrario, per stupirli. Il bello è farsi amare ed odiare, è essere un dio crudele che non prova pena per i personaggi, ma che a volte si dimostra quasi misericordioso.
Perciò quello che vi chiedo è di essere ideatori con me.
Si tratta di una storia ancora priva di un vero e proprio svolgimento o di un finale mozzafiato, nata dalle ispirazioni fornitemi da una tazza di latte colma di cornflakes mollicci.
Recensendo permetterete a questo seme di crescere, sarete scrittori tanto quanto lo sono io.
Il mondo che creerò sarà influenzato dai miei sbalzi d'umore, dalle vostre aspettative, dal piede che poggiò al mattino quando mi alzo dal letto, dal voto preso in Geografia, dalla discussione accesa con mio fratello, dai vostri desideri.
Non c'è niente di prevedibile in una storia così. Perciò tenetevi pronti.
Se la presentazione del "libro" (sempre se lo si possa già definire così) vi ha interessati e l'idea offerta vi alletta, sarei contenta che mi lasciaste la vostra opinione.
Qui in basso troverete il Prologo che spero vivamente sia di vostro gradimento.
Buona lettura e...
Grazie di cuore by Inkheart5311.

~~The Shadow

 

 

0.1  Prologo

 

 

 


Tra le pareti riecheggiava quella dolce melodia senza nome, che scivolava sulla pietra delle alte colonne e strisciava sul pavimento di marmo, oltrepassando quella stanza e giungendo fin nei lunghissimi corridoi.
Le note seguitavano ad allietare la fredda atmosfera, l’una dopo l’altra, in sincrono con il veloce scorrimento di quelle lunghe e affusolate dita sui tasti.
Lei era ritta sullo sgabello, ma non sembrava sforzarsi di tenere una corretta postura, era naturale e semplice.
La pelle chiara del suo volto appariva perlacea alla luce della candela, che troneggiava sul lucido nero del pianoforte.
Il resto della mastodontica stanza era immerso nelle tenebre della notte.
La camicia bianca e attillata permetteva alle sue forme estremamente femminili di trasparire.
Un groviglio di linee nere, simile a un blasone, spuntava peritoso dal colletto, circa all’altezza della terza vertebra cervicale.
Il sorriso bianco e perfetto, i lunghissimi capelli castani e setosi attorcigliati in uno chignon mezzo disfatto, gli occhi nero pece che sfidavano il buio che la circondava in una danza tenebrosa ai confini dell’immaginazione.
Ma lei e la sua musica non erano le sole a far compagnia alla notte.
Sul medesimo sgabello, con le gambe al petto e il mento adagiato sulle ginocchia, stava immobile una bambina. L’aria sognante e l’anima immersa nella melodia delle corde pizzicate all’interno della lunga e lucida coda, in quel momento quasi totalmente immersa nell’oscurità e perciò invisibile ai suoi occhi. Ma presente. Parte integrante dell’armonioso duetto musicista-strumento.
Sapevi che c’era così come riconoscevi la presenza di un portale che ti si stagliava di fronte, traslucido e oltremodo potente, più di ogni altra arma Spettrale.
I capelli della bambina erano biondi ma tendenti al castano e sciolti, a coccolare le spalle e la schiena.
Indossava un pigiamino giallo di flanella con degli orsetti ricamati sul risvolto delle maniche.
Aveva le iridi di una sfumatura ambrata assai particolare, ma solo uno dei due occhi, così come solo metà del suo volto, veniva caldamente illuminato dalla candela.
Il suo sguardo perlustrava con interesse ogni tasto premuto, cercando di accostare ad ognuno di essi il suono corrispondente in un intricato schema mentale.
La cera dell’unica flebile illuminazione aveva inondato, goccia dopo goccia, la superficie che la circondava, fondendo il suo candido bianco panna allo schivo color corvino.
Erano ore che le due fanciulle sedevano immerse nel loro personale angolo di paradiso. E quasi niente avrebbe potuto separarle dalla pace interiore che le aveva inguaribilmente invase.
La ragazza rivolse un sorriso e uno sguardo di intesa alla bambina, che si mise immediatamente a sedere composta, con un sorriso a trentadue denti (forse qualcuno di meno) e un’espressione di pura esultanza. Appoggiò la punta delle piccole dita paffute allo strumento. Prima l’indice e poi le altre. Prima una mano e poi l’altra. Con delicatezza.
Tremava nell’incertezza di spezzare l’ordine dei suoni che si susseguivano e di rovinare tutto.
Ma si decise e premette un tasto nero, poi due bianchi, e poi molti altri. Si muoveva ora verso destra ora verso sinistra.
Non aveva interrotto la magia. Ne aveva amplificato l’effetto.
Ma quell’interminabile attimo era destinato a cessare, come quando la morte sopraggiunge alla vita, sostituendola spavalda col suo fascinoso mistero.
Una delle due ante di un’altissima e possente porta in legno massello fu aperta dall’esterno, giusto per uno spiraglio.
Il vento riuscì comunque a sgusciare lesto dalla piccola apertura, oltrepassando la figura in procinto di entrare e causando una corrente d’aria nella sala.
Una finestra aperta cominciò a sbatacchiare  in un angolo buio della stanza.
La fiammella della candela si animò, ondeggiò agguerrita ma terrorizzata dal vento suo nemico, disegnando sulla parete di fronte e sul volto della giovane e della bambina strani giochi di ombre.
Prima che si spegnesse però, l’anta fu adagiata delicatamente finché  non fu richiusa, e regnarono il silenzio e l’oscurità.
Quella melodia, che si era mielosamente incollata alle menti delle fanciulle, che era penetrata con garbo e determinazione nelle fredde pareti riscaldandone il cuore di dura pietra, che aveva avvolto ed era stata avvolta dalle tenebre, svanì.
Scivolò via come il colore dal volto di un morente. Ed esattamente come il volto di un morente, tutto tornò gelido.
La bambina cercò a tentoni la mano della ragazza, ma lo sgabello era vuoto.
-Diana- bisbigliò una voce.
La piccola, sentendo pronunciare il suo nome, perse un battito. Ma poi si tranquillizzò.
La voce era dolce e le suonò familiare come il profumo della cera sciolta.
-Nonna?!
Sentì uno strofinio e le apparve il volto della nonna, illuminato da un misero fiammifero. La capocchietta incendiata fu adagiata sullo stoppino della candela e la pace sembrò riaffacciarsi sulla scena.
La ragazza ricomparve, come se il buio l’avesse smaterializzata e solo ora fosse tornata alla sua forma. Chiuse delicatamente le mai attorno alle spalle della piccola e puntò i suoi occhi neri contro la nonna della bimba. Il  naso arricciato e l’atteggiamento simile a quello di un gatto che soffia contro una minaccia. Spettralmente illuminata per metà.
Si rivolse alla nuova arrivata.
-Mamma,- iniziò, come se chiamarla così le costasse un buona dose di autocontrollo. – perché non sei a letto?
-Potrei domandarvi la stessa cosa.
L’atmosfera era così gelida che poteva essere tagliata con un coltello. Ma Diana, nella sua ingenuità, continuava ad essere allegramente stupita.
A rompere il silenzio fu nuovamente l’anziana, che era avvolta in uno scialle grigio accuratamente ricamato e decorato da delle tintinnanti perline cineree. Occhi e capelli dello stesso colore dello scialle.
-Sono venuta ad avvertirti: LORO sono qui. Lascia che porti Diana in un luogo sicuro.
La ragazza strinse la bambina ancora più a se, costringendola a scostarsi leggermente per non cadere dallo sgabello.
Fissò con ferocia i suoi occhi tenebrosi in quelli di sua madre, mostrandole il suo disappunto per tale proposta senza dover proferire parola.
-No, mai.- urlò per ribadire il concetto e poi proseguì : –Deve ancora giurare, e sai meglio di me quanto questo sia importante.
-Io credo … - la donna era sconfortata nello scontrarsi con la caparbietà di sua figlia, ma non si arrese. Incrociò le esili mani un po’ aggrinzite tenendole dietro le spalle, tremando perché perfettamente consapevole del pericolo che stava correndo. – … Credo che non debba giurare, AFFATTO.
La ragazza si portò immediatamente una mano alla tasca del pantalone rosa antico e ne estrasse un coltello. Poi si avventò su sua madre tenendo i denti serrati. Strinse la mano libera allo scialle e con l’altra le appoggiò il coltello sulla carotide, spingendo appena con la punta nella pelle aggrinzita e sottile come carta velina. 
-Questo tuo insano desiderio di cambiare il destino di tutti deve cessare. E se perché cessi e necessario che tu muoia, sarò io stessa ad estirparti l’anima. –Sibilò le parole chiaramente, una dopo l’altra.
La dolce giovane che suonava immersa in una quiete onirica aveva fatto posto a una guerriera delle tenebre, tanto affascinante quanto fatale.
La bambina aveva gli occhi pieni di lacrime e supplicava la ragazza, che non era altri che sua madre, ma lei non le prestava il minimo interesse.
-Vuoi che si riduca come te?- spinse ancora il coltello alzando il volume della voce.
Un paio di goccioline rosse presero a scivolare laddove la punta iniziava a penetrare nella carne.
-Che resti una lurida mortale fino alla fine dei suoi giorni?- Detto questo avvicinò le labbra all’orecchio della donna.
All’anziana mancava il respiro, ma avrebbe voluto ricordarle che Diana non era mai stata una mortale e che, sia con che senza giuramento, mai lo sarebbe diventata. Ma non le fu più permesso di aprire bocca, e sentì la voce di sua figlia penetrare mellifluamente nel suo orecchio destro.
-Se sono qui che entrino pure. Che mi uccidano, che uccidano chiunque all’interno di questo edificio. Che sgozzino persino le indifese formiche. Quello che è stato scritto è oro colato e io, come chiunque in questo assurdo universo, lo rispetterò. Non ti permetterò più di tentare di portarmela via. Lei è MIA ed è sempre, SEMPRE al sicuro fintanto che resta con me.
La giovane allentò la presa fino a lasciarla del tutto.
Si girò verso sua figlia in lacrime e con la bocca mimò la frase: NON GUARDARE, ma la piccola era troppo sconvolta e sembrò non comprendere il labiale, con quel fitto velo di lacrime che le ostruiva la vista.
La giovane si rigirò in una fazione di secondo, fendendo con la lama aguzza e virulenta l’aria che la circondava.
Il coltello praticò un taglio profondo quasi due dita, che si allungava come un sottile laccio rosso teso da un orecchio all’altro sul collo rugoso della vittima.
Gli schizzi di caldo cremisi inondarono il volto e la camicetta dell’assassina, che rimase imperterrita e non batté ciglio.
Alcune goccioline giunsero sulla mano della piccola Diana, mentre molte altre le si appiccicavano tra le ciocche bionde e sul soffice pigiama.
Fissò quelle macchie che ribollivano ancora sul chiaro del suo palmo.
Le lacrime avevano finito da tempo di scender giù o di appannarle lo sguardo, ma il terrore, lo sbalordimento e l’incredulità, il ribrezzo e molte altre emozioni che non avrebbe ancora dovuto provare, ma che di certo avrebbe provato ancora, le si accalcarono nella mente, invadendole i sensi.
Il mondo per Diana stava per diventare molto più cupo di come le era sempre stato presentato.

 
   
 
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