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Autore: Voiceless    31/08/2015    3 recensioni
Semplicemente, si fermò.
Ad un punto dalla fine perfetta.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Berciava con fragoroso e insolente eco nell’animo ferito.
Conoscevo la risposta ancor prima di aver posto realmente la domanda; ancor prima del fragile pensiero stagliato senza timore nella mia mente confusa.
Mi torturavo con fragoroso silenzio il labbro inferiore, dolorante per quelle sanguinolente attenzioni.

L’orologio ticchettava flebilmente gli eterni secondi senza lunga vita.
Bisbigliava appena tra le labbra sottili le parole che con inaspettata velocità s’imprimevano sul foglio bianco in un impreciso riposo.

L’indice ruotava istericamente sul bordo liscio del bicchiere di vetro, senza posa occhi conosciuti scrutavano pensierosi l’animo turbolento che mi apparteneva senza ritegno. La tranquillità ridotta ad un’insensibile utopia.

Grandinava nella sera oramai inoltrata da immemori rintocchi in un gelido inverno senza colore.
La grande sala era immersa nel buio profondo, con solamente una candida eccezione: una lampada da scrivania, che rischiariva debolmente una minima porzione di aria, quanto bastava per permettergli di scrivere liberamente.

Il peso di quello sguardo sembrava ostacolare ogni respiro, lasciandomi vittima in un’agonizzante asfissia.

Spalancò gli occhi lanciando involontariamente qualche imprecazione contro voleri divini cui poco gravavano sulla sua monotona vita da mediocre scrittore. L’ispirazione, quella fragile e futile idea perfetta, si era sgretolata sotto le sue dita in un impreciso istante senza origine.
Stracciò il foglio con insensibile furore, andandosi a consolare in quel suo riconosciuto vizio a cui non poteva proprio resistere.
Il fumo già impestava l’intera stanza, schioccava le dita della mano destra in un irrefrenabile tic nervoso cercando la causa della rovina.

Mi raggiunse poco dopo con idiomatica espressione, sapevamo ambedue di non dover aprir bocca per intenderci.
Ordinò da bere.

Troppo frivolo. Andava scartato.

Cercai di concentrarmi sulle parole, tuttavia non mi ci volle molto per comprendere di aver totalmente perso la capacità d’intendere.
Priorità cambiate durante quel breve monologo.

Con noncuranza gettò i resti della sigaretta sul costoso parquet di vero legno.
Strinse il cappuccio della penna stilografica tra i denti ingialliti dal suo compulsivo fumare.
Osservò silenzioso quelle poche righe testandone la veridicità, trovandone tuttavia solo una falsa pista non percorribile.
Troppo scialbo. Un gesto e cambiò foglio.

Esitante continuai a camminare, imponendo severo anche solo per una lieve occhiata alle mie spalle di proseguire con fermezza. Mi strinsi nell’impermeabile di un fastidioso giallo marcio, prima di sentir svanire in lontananza anche la sua voce.

Passò il braccio sulla scrivania, accompagnato da uno straziante urlo frustrato, lasciando che ogni cosa riposta sulla superficie cadesse rovinosamente a terra.
Troppo superficiale. Ricominciò, tutto da capo. Scriveva, eliminava, fumava senza neanche accorgersene, e irritato come non mai ad appena un punto dalla fine.
L’orologio ticchettava flebilmente gli eterni secondi senza lunga vita.
La cenere aumentava posandosi leggera sul pavimento, i mozziconi consumati rinchiusi disordinatamente nel posacenere di lucido nero, come corpi torturati ammassati in un cimitero comune.
Dopo aver concluso una telefonata affatto pacifica discutendo bruscamente i suoi modi scettici di narrare, tornò a sedere sulla logora sedia imbottita costatando di aver terminato ogni sigaretta presente nel suo pacchetto. Si passò una mano sulla fronte, evidentemente scosso.
Fece un profondo sospiro, e prese nuovamente la penna voltando l’altra facciata di un foglio sgualcito e già scritto. Esitò per alcuni attimi, per poi abbandonarsi cullato dai movimenti fluidi della mano.

«Semplicemente, si fermò. Non c’è altro; si mise a sedere sulla vecchia sedia di legno e..- sorrise- no, non c’è altro.» finì tutto d’un fiato il liquido ambrato del suo bicchiere di vetro, voltò i tacchi, aprì la porta e se ne andò, senza alcun ripensamento.
Rimasi lì, a fissare la solitaria lancetta dei secondi, seduto su una sedia di legno che scricchiolava sotto il mio peso.

Sorrise. Era finalmente la sua storia, e lui uno scrittore mediocre ad un passo dal finale perfetto.

Sì, non c’era altro da aggiungere.

Brevi parole:
Nata senza grandi pretese, questa storia è uno sfogo personale misto al mio solito "getto di parole"
Ho ripreso questo racconto dopo anni, di cui però avevo solamente scritto la parte finale. Così, come spesso mi accade, ho cercato di approfondire quel banalissimo corto (che è saltato sotto i miei occhi urlando: Considerami!), per, detto in parole franche, mettermi l'animo in pace (visto che: punto primo, in questo modo ho effettivamente scritto qualcosa su EFP, così da non sentirmi in colpa per aver un account Autore quando, mera verità, ho semplicemente letto e recensito, fino ad adesso, si intende; punto secondo, togliermi dalle scatole una delle mie infinite storie incompiute lasciate in un angolino a marcire).
Non vi faccio notare le minime sfaccettature di questo ammasso di frasi, perché probabilmente non finirei più di parlare (mi domando ancora come mi sia saltato in mente di chiamarmi Voiceless, quando mentre scrivo son più logorroica della segreteria telefonica) e per costatare se qualcuno le noterà mai.
Ogni recensione (che sia critica positiva o negativa) sarà ben accetta (escludendo il fattore spendere 0,8 secondi per dire 'mi è piaciuto' o 'non mi è piaciuto').
Firmato Voiceless
   
 
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