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Autore: Soleil Jones    31/08/2015    4 recensioni
Con i G.U.F.O. alle porte e Remus Lupin come professore di Difesa Contro le Arti Oscure, i gemelli Weasley si ritrovano dinnanzi alle loro peggiori paure sotto forma di Mollicci.
Come fronteggeranno lo spettro di una semplice esercitazione? Riusciranno a esorcizzare e scacciare la paura?
Certo! Ma alla loro maniera!
[ NB: Questa One-Shot rappresenta il punto di vista di George, di cui mi sono occupata io; a Fred ci ha pensato, invece, Word_Shaker, la cui versione è disponibile sul suo profilo! ]
Genere: Commedia, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro, personaggio, Fred, Weasley, George, e, Fred, Weasley, George, Weasley, Lee, Jordan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Allora, allora, allora—
È stato un lavoro apocalittico, mettersi con la role davanti e tagliare, copiare, riscrivere, correggere e via dicendo. Se non si fosse trattato di una cosetta così ben riuscita non so dove avrei trovato la pazienza per farlo! xD
Anyways, questo – come avrete intuito – è uno scritto a quattro mani, in cui ho collaborato con la fantasmagoricawesomissima/?/ — ti sto adulando, gemella :”DWord_shaker.
Potremmo considerarlo, volendo, un seguito di “Just and image, Weasley”.
Lei ha preso il ruolo di Fred, io quello di George, e ne è venuto fuori questo!
Non sapendo come pubblicare una role su EFP sotto forma di testo unico, Word_shaker (Lele) ha pensato a questo: una "doppia One-Shot" (se così vogliamo chiamarla) in cui gli avvenimenti sono sempre quelli, ma il punto di vista – e quindi le emozioni, sensazioni e via dicendo – cambia.
E, be’, io la sua l’ho letta: devo dire che è venuto fuori un bel lavoretto, che porta anche alla luce le personalità del Fred di Lele & del mio George mettendole a confronto. Ma io sono io, e sicuramente non posso giudicare in maniera del tutto oggettiva!
Per cui, su, su — leggete e diteci: che ne pensate?
 
PS: cliccando qui troverete la versione di Fred!
 
 
 


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ℐl tempo fuori da Hogwarts era a dir poco pessimo – non per via della pioggia, aveva smesso parecchie ore prima, quanto più a causa del vento impetuoso, il freddo pungente e le nubi grigie. Si sposava tutto perfettamente con la presenza dei Dissennatori, posti nei dintorni della scuola.
George non si sentiva particolarmente suggestionato da loro, sebbene l'orribile sensazione naturale che scaturivano non risparmiasse neanche lui. Forse dipendeva dal fatto che non aveva ricordi particolarmente tristi, lui, per quanto – dato che era comunque un essere umano – di paure e insicurezze ne avesse.
Era ovvio che fosse così, no?
La lezione di Difesa Contro le Arti Oscure sui Mollicci tenuta dal professor Lupin il giorno prima ne era stata solo la prova.
Ma George non era abituato a trovarsi di fronte ai suoi timori sotto forma di realtà – simulata o meno che fosse – e, be', questo si era capito! Quando era stato il suo turno aveva sperato di dover affrontare qualcosa come, non so, sua madre che sputava fuoco e fiamme dalla rabbia et simila. Qualsiasi cosa che si avvicinasse alle paure infantili dei suoi compagni; tutto, ma non quello che il Molliccio era effettivamente divenuto.
Un gemello, uno solo, distrutto dal dolore, senza sorriso, senza espressione — pallido, sciupato, abbandonato a se stesso; un fantoccio che non sapeva che piangere a stento mentre moriva dentro.
Mentre moriva di solitudine.
E più ci pensava, più George non riusciva a capire chi avesse visto; per la prima ed unica volta in vita sua non aveva saputo distinguere se stesso da Fred. Così come non aveva saputo affrontare la sua peggior paura.
La cosa lo infastidiva e lo lasciava perplesso contemporaneamente, ma si diceva: «È solo un Molliccio!».
Come un incubo avuto in una notte particolarmente fredda su cui sdrammatizzare, ecco come il rosso si ostinava a considerare l'accaduto. Ed in effetti lui e Fred avevano liquidato così anche il Molliccio di quest'ultimo, perché si trattava solo di questo: loro, dopotutto, non avevano la minima intenzione di separarsi!
Il coprifuoco sarebbe scattato a breve e, assassino pluriomicida o meno in libertà, lui e Fred rimanevano comunque i gemelli Weasley. Non sarebbe stato naturale se fosse rimasto, il maggiore dei due, sdraiato sul letto a pancia in su, col capo sporgente dal bordo, reclinato all'indietro e intento a fissare il mondo alla rovescia.
Ecco perché poco dopo che Fred esordì: «Ti sfido ad entrare nella Foresta Proibita!» i due si ritrovarono in un corridoio deserto.
Ecco perché George si limitò a corrugare la fronte e guardare il fratello per qualche secondo, prima di sorridere con fare strafottente — con giusto un pizzico di insicurezza. L'idea di Fred era... difficile da definire: folle, avventata o semplicemente brillante?
Capirne il senso sarebbe stato difficile, se George non avesse condiviso la stessa logica contorta del gemello. Se fossero riusciti davvero nell'intento, per quanto potesse essere assurdo, avrebbe significato che potevano vincere tutto, ma proprio tutto!
Ecco perché, quando gli venne lanciata la sfida, rispose: «Bene. Che vuoi che faccia, andare a raccoglierti un mazzetto di margherite e portartele?»
«No, stavolta facciamo qualcosa di diverso: andiamo in mezzo ai Dissennatori e facciamo a gara a chi li fa ridere per primo!» Ruggì Fred con un grande sorriso.
«Una passeggiata, insomma! Rotoleranno via ad Azkaban in preda agli spasmi!» esclamò George, senza curarsi di mantenere un tono di voce pacato e basso
Che poi, era solo la Foresta Proibita!
I gemelli c'erano stati un milione di volte sia con Hagrid – per scontare l'ennesima punizione – sia per conto loro, ed avevano ancora braccia, gambe e testa attaccate al busto.
La presenza dei Dissennatori si percepiva anche da chilometri, fastidiosa, e la – remota, a parer suo – possibilità che Sirius Black campeggiasse proprio negli immediati dintorni metteva addosso a George un'abnorme scarica di adrenalina.
Al limitare della foresta non faceva meno freddo che un paio di metri più in là, dopotutto, per cui George, con un sorriso tronfio e una buona dose di ottimismo, esordì, rivolto al fratello: «Preparati, perché se vinco la sfida — e sarà così — la Signora Grassa avrà un pubblico fisso per la bellezza di tre ore consecutive!»
Non sarebbe stato facile, per George, perché già appena fuori dal castello aveva iniziato a sentire i muscoli dello stomaco contrarsi minacciosamente e un piccolo brivido di freddo corrergli lungo la spina dorsale. Trattare certi pensieri alla sua maniera, ossia rigirandoli e liquidandoli come se nulla fosse, era un metodo efficace per sedarli, ma non per farli svanire.
Guardò la foresta, distogliendo gli occhi dal gemello, e non la trovò molto diversa dal solito; con quel tempaccio e la leggera nebbiolina che trapuntava l'ora tarda pareva ancora più spettrale.
Impavido, senza tentennamenti, avanzò qualche passo prima di Fred. Dopotutto la sfida era stata rivolta a lui, perciò doveva essere lui a muovere il primo passo.
Tre, quattro, cinque falcate.
Una brezza gelida gli solleticò la pelle del collo scoperta, scostandogli i capelli dal volto. Si fermò e si voltò indietro, allargando le braccia e sorridendo con fare strafottente. Poco ci mancava che s'inchinasse.
«Vieni, Freddie?» domandò a voce alta e giocosa.
Conosceva la paura di Fred, così come sapeva cosa lo rendesse felice, così come sentiva quando era allegro, elettrizzato, stanco, ferito, annoiato, furioso... Era chiaro che stessero giocando allo stesso gioco senza realmente averlo concordato, come sempre.
Provocare la personificazione del terrore era una terapia d'urto quasi pensata per loro; George l’avvertiva, quatta quatta, annidata nel suo petto.
E non vedeva l'ora di sentirla venir via.
Da bambino odiava le notti così, perché il buio — seppur parziale — lo inquietava; e nella Foresta Proibita, attraverso i rami degli alberi spogli, non filtrava che qualche debole e fosco raggio lunare. Il sorriso di prima tentennò, sulle labbra di George, quando quasi travolgendolo Fred lo sorpassò. E lo vide allontanarsi, anche se probabilmente non di così tanto, nell'oscurità, nel silenzio spettrale della foresta lasciandolo indietro.
Da solo.
Il battito accelerò e la terra sotto di lui parve minacciare di inghiottirlo. Rabbrividì, dunque si strinse nel mantello della divisa scolastica strizzando gli occhi.
“È qua vicino — era solo un Molliccio! — non è vero niente, femminuccia, datti una calmata!”
«Adesso raggiungimi tu! Non hai paura, vero?» Sentì Fred urlare. A giudicare dal tono di voce sembrava letteralmente elettrizzato da quell'atmosfera, nonostante tutto, e George, che sapeva associare ad ogni parola pronunciata dal gemello un espressione diversa, riusciva ad immaginarsi perfettamente il sorriso stampato sul volto di Fred, ancora indeciso se essere di gioia, d'incoscienza o di chissà cosa.
Quando riaprì gli occhi, dopo pochi istanti, una luce fioca fluttuava non lontano da lui e a giudicare dal movimento che percepì nella tasca posteriore dei pantaloni fu certo di sapere quale bacchetta stesse producendo quel “Lumos”.
Impugnò la sua e si incamminò per raggiungere il gemello a passo svelto, facendosi largo tra le radici degli alberi nodosi e spogli, rispondendo a gran voce, in tono squillante: «Paura? Perché dovrei averne?»
Paura di cosa, poi? Della sua stessa paura? — Non aveva particolarmente senso nemmeno per lui, si disse.
Forse aveva paura di non riuscire a raggiungerlo? Per questo poco ci mancava che si mettesse a correre, per questo dovette accendere anche lui la punta della bacchetta, assottigliando lo sguardo finché non scorse il volto illuminato del gemello?
Se così fosse stato, be', ora era lì, no?
I suoni lontani che il suo subconscio produceva influenzato dalla presenza dei Dissennatori non lo avrebbero scoraggiato, anche se il sollievo — presente nei suoi occhi non appena finì di rispondere a Fred — era evidente.
«Ho solo chiesto! Neanch'io ho paura.» Sentì Fred rispondergli, con un tono rilassato dalle dubbie origini. Poi aggiunse, con una punta di noia nella voce: «Ti dai una mossa?»
«Ci sono, ci sono.» Borbottò George, imprecando contro una radice troppo sporgente che per poco non l'aveva fatto inciampare. Ecco perché detestava il buio — e non era stato solo quello, a non fargliela notare.
Sulle loro teste era pressoché impossibile scorgere il firmamento; la nebbia, abbastanza fitta da nasconderlo come una patina, sembrava denso vapore che serpeggiava attorno a loro.
Non sarebbe stato difficile, dopo, tornare al castello; o almeno, non poteva esserlo per loro che nella Foresta Proibita c'erano stati un numero incalcolabile di volte!
Questa convinzione fece attenuare la sensazione di nausea che George iniziava ad avvertire; di fronte al gemello, vedendolo guardare in alto, alzò a sua volta lo sguardo.
Le figure incappucciate dei Dissennatori potevano trovarsi solo nei paraggi, ed avevano ordine di fondarsi solo sul loro obiettivo — Sirius Black — , ma erano ciechi. A loro bastava la paura, l'ansia, la sofferenza e il dolore altrui.
Il trucco era, quindi, disfarsi di tutte quelle emozioni, essere felici, gioiosi, vivere.
Eccola là, la famosa terapia d'urto dei gemelli: non erano in grado di evocare dei Patronus, dopotutto, per cui solo l'allegria e le risate – cioè quanto di più comune avessero mai provato in vita loro – potevano rivelarsi armi efficaci.
Semplicemente, avevano modi diversi di brandirle.
Quando un ronzio alle orecchie fu seguito da sussurri lontani, da singhiozzi del tutto identici a quelli prodotti dal suo Molliccio giorni addietro, George impallidì e scostò lo sguardo dal cielo al gemello e rievocò, nella sua mente, il suono di due risate bambine.
«Be', esserci ci sono.» esordì a bassa voce, stringendo la sua bacchetta con ancora più forza. «Dici che il loro senso dell'umorismo sarà migliore di quello del professor Piton?»
«Oh, ce l'hanno di sicuro: ti ricordo che un Dissennatore non parla e non toglie punti a Grifondoro a caso.» Esordì con convinzione Fred, le sopracciglia inarcate e gli occhi che si distaccavano lentamente dal nero freddo che imperava in alto nel cielo. Non sapeva perché, ma sentiva un odore di sangue così intenso che sembrava un grande pugno solido nel suo stomaco, come se qualcuno avesse compiuto – e taciuto – un genocidio nella Foresta Proibita e non si riuscisse a scorgere il volto dei malcapitati.
«Ti sei fatto male, per caso? Stai sanguinando?» domandò istintivamente umettandosi le labbra.
Alla domanda del fratello, George rispose senza pensarci, con un sorriso rassicurante: «No, sto bene tanto quanto te.», senza intendere nulla in particolare.
Non si parlavano mai per enigmi, i gemelli, non ne avevano bisogno: se si dicevano qualcosa, lo facevano chiaramente.
Se non ne parlavano a parole, si intendevano comunque con un solo sguardo.
E quella non era un'eccezione; in quel momento, George sapeva di star bene tanto quanto Fred.
E a quest’ultimo bastò guardare il gemello negli occhi per capire che lui aveva intuito il perché della sua domanda. In fondo, era a conoscenza del suo Molliccio già da anni, ma solo quel giorno aveva scoperto che la persona che giaceva morta per terra non era Fred, ma lo stesso George, per cui non si sarebbe affatto stupito se l'altro avesse avuto uno strano presentimento.
Forse la sua paura si stava concretizzando; forse George si stava dissanguando silenziosamente, senza che nessuno dei due potesse accorgersene... E se fosse stata una proiezione della sua mente? In fondo, quello era un Molliccio.
Avere paura di qualcosa non significa che quel qualcosa accadrà per forza, giusto? Se fosse stato soltanto un momento di smarrimento?
Per scacciare via quei pensieri, il braccio deciso, tracciò un cerchio luminoso con la bacchetta, come per inquadrare un punto preciso, e prese una scatoletta di fuochi d'artificio di Zonko. George seguì i suoi movimenti con lo sguardo, ben intuendo le sue intenzioni, e quando una sa sfera di fuochi scoppiettanti grande quanto una Pluffa si disegnò in aria, il rosso sorrise con fare malandrino.
«Al mio tre io mollo la presa e tu lanci in aria questi fuochi, d'accordo?»
Con lo scoppiettio di quella sfera riflesso negli occhi color nocciola, George annuì all'indirizzo di Fred «Ricevuto!» e si scrollò da sopra le braccia il mantello ingombrante, la bacchetta stretta in pugno e i riflessi pronti a scattare.
Uno...»
Qualsiasi cosa dovessero fare, i gemelli Weasley erano da sempre stati avvantaggiati da un'ineguagliabile e perfetta sincronia.
A molti, anche a chi era abituato ad averli intorno, doveva sembrare incredibile; parlavano all'unisono, si terminavano le frasi a vicenda arrivando a fare anche interi discorsi, persino la maniera in cui camminavano fianco a fianco per Hogwarts pareva innaturale, per non parlare del Quidditch — il fatto che due persone così ricoprissero un ruolo doppio in cui la collaborazione e la coordinazione fosse essenziale doveva, a detta di qualcuno, essere uno dei pochi, spiegabili motivi per cui Oliver Baston li sopportava ancora, oltre che per la loro bravura.
«Due...»
Per loro era perfettamente naturale e all'ordine del giorno, agire così, ed ecco perché non sbagliavano mai a giocare uno — e dico uno! — dei loro scherzi a Gazza o chicchessia.
«...Tre!»
Ecco perché, quando Fred lasciò la presa su quel cerchio magico, quando fu il turbo di George di metterci del suo, quest'ultimo, con un movimento del braccio scattante e potente degno del Battitore che era e con la bacchetta di Corniolo sprizzante scintille, lanciò in aria i fuochi, in un ululato di frenesia.
Nella sua mente aveva figurato quanti più ricordi felici potesse racimolare in una frazione di secondo, in primis quel pomeriggio d'autunno di molti anni prima in cui, tra le foglie secche e con due vecchi mantelli da viaggio neri troppo grandi per loro, lui e Fred avevano rincorso Ron per — a momenti — tutto Ottery St. Catchpole facendo finta di essere Dissennatori. Pensando che: “Facevamo molta più paura noi di voi calabroni troppo cresciuti!”.
Per quanto sentisse freddo, per quanto quei fuochi potesse non eguagliare un Incanto Patronus, in quel momento a George interessava altro che quello spettacolo.
Lo sguardo puntato al cielo, a quello sciame confuso di mantelli neri, la gola schiaffeggiata dall'aria fredda e irritata dal troppo ridere, e gli stessi occhi che andarono, giocosi, a cercare i gemelli.
Quel piacevole frastuono, quei colori, quella luce... Sembrarono come offuscargli la mente e confonderlo quando vennero sostituiti da quelle figure nere che, minacciose, si dirigevano verso di loro.
Il sorriso giocoso e dispettoso divenne un po' più incerto.
Gli ci sarebbe voluto forse un secondo di troppo per aver capire che era ora di levare le tende — i singhiozzi e le urla del suo Molliccio avevano ripreso ad insinuarglisi nelle orecchie — , ma la voce di Fred e il contatto con la sua mano — un po' più fredda del normale, date le circostanze, ma emanante comunque calore — lo riscossero.
«Corri, George! Corri!» Gli urlò Fred con tutto il fiato che aveva in corpo, la gola graffiata dal freddo.
E, con l'adrenalina a mille e un gran senso di ribellione nel cuore, George corse più veloce che poté; stringeva forte la mano del gemello, più di quanto aveva mai fatto prima, ma quando quel contatto venne meno e Fred scivolò George sentì il respiro mozzarglisi.
Per un attimo ebbe davvero paura, si capiva dall'insolita apprensione con cui chiese al fratello: « Ti sei fatto male? »
«Fanno più male le punizioni di Piton» Rispose a denti stretti quest’ultimo, mentre recuperava velocità e sentiva un freddo bruciante contro il ginocchio.
E poi quell'affermazione.
«Se sono troppo lento, lasciami qua e non discutere!»
George sgranò gli occhi dall'incredulità; non sapeva se quella sensazione che percepiva partirgli dalla bocca dello stomaco fosse l'istinto di Affatturarlo per aver anche solo osato pensare che davvero avrebbe fatto come gli aveva detto o l'insolito divampare del suo istinto di protettività fraterna, fatto sta che non fece neanche in tempo ad obiettare — e, oh, se aveva qualcosa da ridire! — perché Fred gli prese nuovamente la mano.
E l'unica cosa che George poté fare fu stringerla saldamente — come a dire che, no: o entrambi o nessuno; non avrebbe mai e poi mai lasciato indietro nessuno, men che meno Fred. Piuttosto l'avrebbe portato in braccio, al diavolo tutto — e non voltarsi indietro. Perché se l'avesse fatto gli sarebbe stato difficile correre pensando a gran voce a tutto ciò che gli faceva sentire allegria.
Pensieri felici, ecco ciò che non cercavano i Dissennatori e che, magari, poteva dare a lui e Fred un po' di vantaggio.
Non erano che poche centinaia di metri, a Hogwarts sarebbero stati al sicuro e si sarebbero fatti due risate alla faccia di quegli spettri musoni.
«Fred» Ansimò, voltandosi a guardarlo. Qualcosa, prima, gli aveva fatto pensare che non fosse semplicemente inciampato. Poteva dirlo, quasi sentirlo, e infatti il pantalone del ragazzo, sul ginocchio destro, era strappato e macchiato di rosso. Istintivamente rallentò appena la corsa e Fred lo guardò con apprensione. C'era qualcosa nel suo tono di voce che doveva avergli detto che la sua non era semplice stanchezza.
«È solo un ginocchio sbucciato, George! Sarebbe molto peggio se quelle specie di tende incenerite venissero a darci un bacetto, non credi?» gli domandò sorridendo mentre correva senza darsi freno, la mano stretta nella sua.
L'ombra di un sorriso strafottente si fece spazio sul viso di George; non avrebbe lasciato che qualcosa andasse storto, né quella notte, né mai.
«Ci siamo, Freddie, li abbiamo quasi battuti!»
L'obiettivo da raggiungere era il parco del castello e da lì sarebbero stati salvi.
Superato il Platano Picchiatore, metri e metri più in là, gettandosi sulla porta che portava all'aula di Erbologia, Fred la aprì con forza e, una volta che George fu entrato, la chiuse.
Con il chiudersi della porta alle sue spalle il gelo sembrò abbandonare il maggiore dei gemelli quasi del tutto. Chino in avanti, le mani sulle ginocchia, George cercò di riprendere fiato e, quando il respiro tornò più o meno regolare, si raddrizzò e guardò il fratello, la fronte contro la porta dell'aula.
Era tardi ed era buio, là dentro; tutto ciò che gli permetteva di scorgere i contorni degli oggetti che li circondavano era la tenue e opaca luce che filtrava da fuori.
Non aveva mai davvero superato del tutto il suo infantile timore di trovarsi in luoghi privi di luce, George, per cui subito mormorò un «Lumos», che gli diede non poco sollievo.
«Ora... Entriamo... Dalle cucine... Prendiamo del cibo... E saliamo...» mugugnò Fred, con la fronte contro il legno della porta, i polmoni avidi d'aria.
George raggiunse il gemello e gli mise una mano sulla spalla: avrebbe voluto chiedergli come stava veramente, se il ginocchio gli facesse molto male, ma era abituato così tanto a disdegnare i momenti melensi, lui, che ringraziò inconsciamente per l'ennesima volta l'empatia che legava la sua mente a quella del gemello e che gli permetteva di farsi capire con semplici gesti.
Anche solo con una mano sulla spalla; fu quello il suo modo di porre tutte quelle domande silenziose.
Ma in alcune occasioni — e quella doveva essere una di quelle — capitava che, senza volerlo, assumesse un tono di voce insolitamente dolce e, a tratti, affettuoso. Nei limiti del possibile, ovviamente.
Lo stesso tono con cui, annuendo, rispose: «D'accordo, però prima riprendi fiato. Non so te, ma io ho intenzione di abbuffarci fino a star male alla faccia di quegli sciacalli là fuori! E poi dobbiamo fare qualcosa per il tuo ginocchio.»
«Io non ho fame per niente, ma se non mangio so già che non dormirò» rispose Fred, con il fiatone e gli occhi chiusi cercando di non accasciarsi vicino al vaso con tutte le sue forze.
«Spero che Oliver non noti il mio ginocchio domani agli allenamenti, altrimenti dovremo fare una sessione extra!» osservò mentre si rimetteva in piedi. La ferita bruciava, ma non era nulla di insopportabile o di ingestibile.
Anni passati sulle scope appresso a Pluffe e Bolidi li avevano indubbiamente temprati al dolore, medicare una semplice sbucciatura, oramai, non era un problema per nessuno dei due.
Incamminatosi verso l'interno del castello, non ci misero molto a trovare il passaggio segreto che conduceva alle cucine.
Dopo aver approfittato della generosità degli Elfi Domestici – George si caricò, con un sorrisetto infantile e goloso, di una gran varietà di dolci e paste fresche – , Fred e George fecero attenzione ad intrufolarsi nella Torre di Grifondoro.
Quando fecero capolino nel loro dormitorio George rivolse sia a Kenneth che a Lee un cenno col capo e un allegro: «Ehilà, gentaglia!», prima di andarsi a buttare a peso morto sul proprio letto.
Si sentiva carico e pronto a sfidare chiunque. Poche volte era successo che una marachella sua e di Fred l'avesse fatto sentire cosi.
Noncurante delle espressioni di Lee e Kenneth, Fred rantolò sul proprio letto e prese a tamponare la ferita.
«Ce l'abbiamo fatta!» esclamò con un entusiasmo inopportuno.
Mentre si sbarazzava del mantello e delle scarpe, gettandosi alla rinfusa, e posava la bacchetta di Corniolo sul comò, George sorrise radioso al gemello: «Eccome, fratello, puoi ben dirlo! Ed è stato incredibile!»
Affrontare a quel modo dei Dissennatori, senza conoscere nemmeno le basi di come evocare un Patronus, ed uscirne vivi - con un ginocchio sbucciato nel caso di Fred, ma pur sempre vivi e con le proprie anime ancora integre.
Era normale che l'ego del giovane Weasley e il suo umore ne stessero giovando, no?
«Che cosa è stato incredibile?» Domandò confuso e al tempo stesso curioso Lee.
«E dove eravate oltre il coprifuoco, con un pazzo assassino in libertà e dei demoni succhia-anime fuori dal castello?» Aggiunse Kenneth, sospettoso, con la fronte aggrottata.
George rivolse a quest'ultimo il suo miglior sorriso beffardo, ribattendo subito: «Se te lo dicessimo poi dovremmo ucciderti, Kennie
Nel mentre, Fred prese un paio di bignè dal vassoio che George aveva avuto la premura di portare fino al dormitorio e li ingoiò interi. Era troppo emozionato anche per masticare.
Quella sera aveva capito che ce l'aveva fatta e ce l'avrebbe fatta in ogni caso. "Avere paura", pensò, "è umano, ma non serve a niente".
Se mai avesse dovuto affrontare un pericolo o una perdita, lui li avrebbe affrontati, e adesso sapeva con una certezza più forte che non sarebbe stato solo.
Dopo aver pulito la ferita e riparato i jeans, si sdraiò sul letto a pancia in su, le braccia e le gambe spalancate, gli occhi chiusi dolcemente.
«Avremmo dovuto farlo prima, eh George?» domandò Fred mentre sentiva scorrere dentro di sé un nuovo flusso di energia e positività.
Sarebbe andato tutto bene. Aveva solo bisogno che qualche esperienza glielo ricordasse ogni tanto e George, per quello, ci sarebbe sempre stato.
Quella sera la “semplice sbucciatura” di Fred avrebbe anche potuto cacciarli in guai seri, ma era andato tutto bene.
Perché? — Perché erano rimasti uniti, semplicemente!
In qualsiasi situazione, i gemelli Weasley sapevano che nessuno dei due sarebbe stato solo; ci sarebbero stati dentro fino al collo insieme.
  
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