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Autore: gingersnapped    01/09/2015    1 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Inquietudini, accuse e riti sacrificali
 
 


 
(Inquietudini notturne)




Non riusciva a smettere di strofinare il bancone quella sera. Era estremamente nervosa. Erano passati tre lentissimi giorni da quando il castello era stato occupato e in tutta Dunbroch giravano voci su come la principessa e il re fossero fuggiti mentre la regina e i tre figlioletti fossero rimasti all’interno. La giovane donna smise per un attimo di pulire, giusto per poter sbirciare dalla grande vetrata del locale il castello. Non si riusciva a vedere nulla, quella sera. Nel cielo era assente la luna, e ciò bastava a circondare nel buio più assoluto il grande e possente castello, da sempre simbolo del potere dei Dunbroch. Gli occhi violetti pieni di preoccupazione della donna indugiarono ancora sull’abitazione reale, fin quando non le sembrò di vedere qualcosa come una luce.
“Tooth, è inutile guardare sempre lì”, le disse un uomo alto e slanciato, facendola sobbalzare. Questa riprese di nuovo lo strofinaccio in mano e riprese a pulire il bancone.
“Dobbiamo fare qualcosa, e tu lo sai”, ribatté lei, calma, guardandolo di sbieco. L’uomo alzò le spalle con fare innocente, versando nel frattempo una birra all’ennesimo cliente. Toothiana si fermò nuovamente, posando lo strofinaccio sulla spalla sinistra e asciugandosi le mani sul grembiule colorato.
“Come riesci a rimanere calmo in un momento come questo, Aster?”, gli chiese la donna, sospirando profondamente.
“Cerco di rimanere razionale, al contrario di te!”
“Tu razionale?”, commentò Toothiana, ridendo sonoramente. “Ma se sei la persona più irascibile che conosca!”
“Intanto sei tu quella che si sta lasciando commuovere da una misera candela”, replicò Aster, intimidatorio. Toothiana non riuscì a non guardarlo con aria di sfida, mentre vedeva che l’uomo si stava srotolando le maniche della casacca di lino lasciando intravedere i tatuaggi che aveva sulle braccia, simboli di cui perfino lei ne ignorava il significato. La loro attenzione fu però richiamata da un semplice gesto, operato da un uomo di piccola statura con i capelli color oro, vagamente simili ad una soffice nuvola.
“Scusaci Sandy”, borbottarono entrambi, ritornando ai loro posti.
“Non possiamo fare davvero niente al momento?”, domandò la donna, guardando di nuovo il castello. La luce si spense, segnando definitivamente il calare delle tenebre su Dunbroch. L’uomo dorato scosse la testa tristemente, mentre Aster poggiò semplicemente i suoi occhi a terra. Avrebbero aspettato.




All’interno della sua cella, lontana da tutto e da tutti, Elinor non poteva fare a meno di pregare. Aveva le mani congiunte al petto, le labbra semichiuse si muovevano appena come se stesse recitando. Il suo aspetto era devastato: il vestito era sporco in diversi punti, i capelli era scombinati –diversi ciuffi, infatti, sfuggivano alla complicata acconciatura- e il corpo, non avendo ricevuto del cibo in quei giorni, era completamente smunto. Sul volto scavato, infatti, le occhiaie e le rughe erano assolute protagoniste, simbolo della stanchezza della sovrana completamente annullata nella sua funzione. Le veniva da piangere, ogni volta che pensava alla corona che Mor’du le obbligava a tenere in testa.
“Sono una persona, ti prego, Dio, perdonami”, sussurrò, mentre cercava di ricacciare le lacrime che insistentemente sgorgavano sulle sue guance. “Sono una persona, vi prego, non onoratemi. Sono una persona, non rispettatemi. Sono una persona, sentitevi liberi di correggermi.”
“Oh, tranquilla”, disse con voce calma –perfino per i suoi standard- Mor’du, avvicinandosi alle sbarre, “lo sto già facendo.”
“Cosa vuoi Mor’du?”, chiese Elinor, guardandolo con risentimento. Non avrebbe permesso a quella bestia di vederla piangere. Mor’du ringhiò, giusto per farla sobbalzare dallo spavento.
“Mi chiedevo se tu avessi mai conosciuto i miei fratelli”, rispose l’uomo, facendo un segno alla sua sinistra. “Bludvist e Pitch, credo che li conoscessi già di nome.”
La sovrana alzò i suoi occhi castani sugli individui che aveva innanzi. Il primo era decisamente mostruoso. Sul suo corpo, seppure era notte e la sua cella fosse parecchio scura, illuminata solo una singola torcia, si potevano vedere numerose cicatrici, più fitte vicino al collo e alla spalla sinistra, ma erano nascoste da un fitto manto di pelle nera, come i suoi lunghi capelli e gli occhi. Incuteva terrore con la sua sola presenza e l’accenno di sorriso soddisfatto dimostrava quanto fosse compiaciuto di questa sua caratteristica. L’altro, invece, era completamente diverso dai suoi fratelli. La sua figura, longilinea, sembrava a prima vista affabile, così come il sorriso cortese sul suo volto. Questo si avvicinò alle sbarre, permettendo a Elinor di vederlo chiaramente. La pelle era talmente bianca e pallida che sembrava appartenere ad un morto, i capelli neri –unico tratto che lo accomunava ai suoi fratelli- erano ritti in testa, ma gli occhi erano i più terrificanti che la regina avesse mai visto. Completamente dorati, la fissavano con un’aria di pazzia che riuscirono a pietrificarla senza che dicesse una parola, molto più di quanto c’erano riusciti Mor’du e Bludvist. Sembrava la rappresentazione dei peggiori incubi mortali.
“Buonasera, mia signora”, salutò Pitch, inchinandosi a Elinor.
“Vedi, mio fratello Pitch è convinto che tu possa essere una fonte inesauribile di informazioni”, spiegò Mor’du, aprendo la cella, “e pensa che tu sia disposta a collaborare se riunissimo il nucleo familiare.”
Detto questo, le porse una mano che Elinor non accettò. Non riusciva ancora a crederci di essere uscita da quell’inferno di gabbia. Si guardò intorno, circospetta, generando il riso dei tre fratelli.
“Ah, Elinor, vogliamo che tu faccia un proclama all’intero popolo di Dunbroch. Devi supplicare tuo marito e tua figlia di ritornare entro tre giorni al palazzo.”



 
(Il giorno seguente)




“Questi scudi-balestre sono eccezionali!”, commentò Gobber, provando lo strumento del suo allievo. Hiccup sorrise, pensando che in quei giorni dei miglioramenti erano stati fatti. Avevano terminato tre mitragliatrici con gli adattamenti da lui suggeriti, aveva costruito almeno una decina di scudi-balestre e stava lavorando ad una spada modificata, oltre a costruire armi classiche.
“Ha ragione Gobber, ma non è abbastanza”, disse Fergus, con tono grave. “Anche con tutto ciò che abbiamo non riusciremo mai a liberare il castello.”
Stoick rimase impassibile all’angolo della stanza. Ormai usavano la bottega di Gobber, e più precisamente la camera di Hiccup come sala riunioni, così che potessero parlare indisturbati. Spostò gli occhi verdi vibranti su ciascuna delle persone presenti, poi si avvicinò al centro della stanza, dove vi era un tavolo ed una mappa del castello su di esso.
“Forse sì invece”, replicò, attirando l’attenzione. Perfino il figlio lo guardava con gli occhi sgranati dalla curiosità e dall’interesse adesso. “Quanti ne abbiamo di quegli aggeggi?”, chiese ad Hiccup e questo alzò gli occhi al soffitto, intuendo che parlasse delle mitragliatrici.
“Al momento due ma tra due giorni ne avremo un’altra”, rispose il giovane, ma il padre era troppo concentrato ad osservare la mappa. Si accarezzò la barba rossa, legata in parte in una treccia, con aria pensosa mentre l’altra mano scorreva su determinate aree della fortezza.
“Il castello ha tre ingressi”, disse ma sia Fergus che Gobber scossero la testa.
“Sono quattro, in realtà, uno è reso inutilizzabile visto che vi sono le fognature”, spiegò il vecchio mastro, che lavorava a corte da così tanto tempo da sapere ogni passaggio, anche segreto.
“Potremmo mettere uno di quegli aggeggi ad ogni porta e mentre tre di esse attaccheranno, noi entreremo nel castello grazie al quarto ingresso”, spiegò brevemente Stoick.
“Sono fognature!”, esclamò Gobber, a voce più alta temendo che l’amico non avesse capito. Il re, amareggiato, si allontanò dal tavolo. Hiccup si avvicinò ulteriormente, invece, giusto per comprendere appieno ciò che stava dicendo il padre.
“Potrebbe funzionare”, borbottò. “Certo, se non ci fosse l’ostacolo delle fognature”, aggiunse, mesto. Stoick in quel momento lo guardò come non l’aveva mai fatto, verde nel verde, stavolta speranzoso.
“Non puoi fare niente? Inventare qualcosa che permetta di arrivare là a tutti noi?”
“Stoick, il ragazzo non può fare niente”, disse Fergus. “A malapena ci entrerebbe lui dal buco delle fognature anche volendo.”
“Però potrebbe aprire la porta a tutti noi.”
“E come, volando? Magari pure in groppa ad un folletto delle patate?”, gli chiese il sovrano con un tono fortemente ironico. “Sarebbe l’unico modo per non entrare a contatto con le fognature.”
Gobber si versò un bicchiere di birra, osservando attentamente la mappa. Ci doveva essere una soluzione che al momento le loro menti si rifiutavano di vedere.
“Forse non deve superare le fognature, ma immergersi in esse”, borbottò, certo che tutti l’avrebbero sentito. Hiccup drizzò immediatamente la testa.
“Non ho intenzione di immergermi nelle fognature!”, esclamò, cercando di non apparire isterico. “E poi non saprei nemmeno come respirare là sotto.”
“Purtroppo”, accordò Stoick a malincuore, “ha ragione.”
Gobber bevve direttamente dalla bottiglia questa volta. “E che mi dici di quella bambola acquatica che avevi progettato?”
Sia Stoick che Fergus guardarono il moro con aria interrogativa, come se volessero chiedergli sul serio se avesse progettato qualcosa di simile.
“Tu bevi troppo”, commentò Hiccup rivolgendosi a Gobber, il tono fortemente accusatore.
“No, bevo nella giusta quantità, solo troppo spesso”, ribatté il maestro, allisciandosi i lunghi baffi dorati intrecciati. “Però questo non cambia il fatto che tu l’abbia progettata.”
“Non è una bambola”, cercò di difendersi Hiccup. “È una sorta di tuta protettiva che non ho mai testato”, spiegò, sottolineando bene l’ultima parola per essere certo che non c’era motivo di essere sicuri di quel progetto.
“A me sembra che risolva i nostri problemi”, disse Stoick, cercando l’appoggio di Fergus.
“Ragazzo, tu sì che sei una fonte inesauribile di sorprese”, commentò il sovrano. “Va’ a lavorarci”, ordinò, senza lasciargli tempo di ribattere.
 



 
(Come respirare sott’acqua- la guida firmata Hiccup Horrendous Haddock III con la speciale collaborazione della graziosa Rapunzel)




“Hiccup, come mai quell’espressione truce sul volto?”, gli chiese Rapunzel curiosa, non appena vide il ragazzo. Hiccup si avvicinò subito alla bionda, aiutandola a versare il ferro liquido nelle rispettive stampe, anche per essere sicuro che non commettesse sbagli dato che era tremenda in quel lavoro e, preso un martello, iniziò a forgiare la spada. Rapunzel prese invece una grossa pinza e con quella cambiava il lato della lama.
“Il re mi ha affidato un altro progetto, come se non avessi abbastanza da fare qui”, rispose il moro, quasi seccato. Non riusciva più a sostenere certi ritmi. Ormai non riusciva neppure a dormire la notte e i migliori momenti li passava ormai con Toothless, ed era certo che fossero i migliori perché non parlava.
“Ce la farai”, disse con leggerezza la bionda, sorridendogli. Hiccup, vedendola, non riuscì a ribattere nulla di sarcastico o di potenzialmente offensivo.
“Vorrei avere il tuo ottimismo, Punzie”, replicò semplicemente, facendola sorridere ancor di più.
“Quale sarebbe questo nuovo progetto?”, domandò, passando alla spada successiva.
“Beh, sarebbe una tuta che permette di respirare sott’acqua”, rispose Hiccup, alquanto preoccupato.
“E come farai a fare in modo che l’acqua non ti sommerga?”
“Come scusa?”
“Anche con una protezione, l’acqua penetra”, spiegò Rapunzel, sperando di essere stata chiara. Effettivamente Hiccup non aveva pensato molto al materiale.
“Che ne dici della pelle di maiale?”, le chiese, titubante. Rapunzel aveva sempre avuto un certo occhio per le sue invenzioni, e ora che aveva aggiunto a quelle che aveva già le competenze mediche perché mai si sarebbe dovuta sottrarre per dare un suggerimento?
“Potrebbe funzionare”, rispose lei, le sopracciglia corrucciate. “Ma temo che un po’ d’acqua potrebbe penetrare lo stesso. Meglio ricoprire la pelle con una sostanza idrofoba.”
“L’olio!”, esclamò Hiccup, lasciando andare il martello. “Punzie, sei un genio”, disse, abbracciando la ragazza.
“Grazie”, fece la bionda, sorridendo.




“Pelle di maiale, vetro, rete da pesca, olio di pesce, bambù, sughero, legno, giunti di cinghiale.. una barca!”, lesse Jack con qualche difficoltà, guardando ora il foglio ora Hiccup. “Senti un po’, devi fare un rito sacrificale?”
“Jack, riesci a portarmi tutte queste cose il prima possibile?”, gli chiese il moro, ignorando la battuta dell’amico. Questo rilesse nuovamente la lista, dubbioso.
“Credo di sì ma non ho la più pallida idea di dove procurarti una barca”, rispose Jack, alquanto preoccupato.
“Ho sentito bene? Una barca?”, domandò Tuffnut, avvicinandosi ai due ragazzi con fare sinistro. Hiccup lo guardò sospetto, non fidandosi pienamente di lui ma decise lo stesso di fare un tentativo.
“Esattamente. Ne hai una?”
“No, ma conosco un tipo che è il miglior ladro al mondo. Lui saprà certamente come procurartela”, rispose il biondo, stringendo gli occhi con fare maligno.
“Dici che me la può fare avere in questi giorni? Magari entro oggi?”, chiese Hiccup, temendo di chiedere troppo.
“Certamente.”
“Allora noi andiamo”, disse Jack, tranquillo, riguardando ancora una volta il foglietto che Hiccup aveva scritto.



 
(Come accusare di tradimento le persone sbagliate- la guida firmata Merida)




Merida aveva lo sguardo fisso sulla possente figura del padre. Il suo corpo era pronto a scattare, a raggiungerlo, ma la sua mente le impediva di muoversi. E così rimaneva in quello stato, affatto in equilibrio come se fosse la lama di un coltello. Stava dando il cambio a Stoick nella costruzione di alcuni pezzi di armatura e in quel momento era completamente immerso nel lavoro.
“Anche se lo fissi intensamente, non si girerà a parlarti”, disse qualcuno, destandola dai suoi pensieri.
“Cosa?”, fece girandosi e vide Snotlout con uno di quei scudi progettati da Hiccup che sparavano delle frecce. Un’idea semplicemente geniale, se non fosse che non erano propriamente flessibili come gli archi che era abituata ad utilizzare lei.
“Tuo padre non ti sta ignorando, pensa ad altro al momento”, cercò di spiegare quel ragazzo, aggiungendo immediatamente un “milady”, al termine della frase.
“Lascia stare”, disse lei amareggiata. “Mi ricordo di te. Tu eri quello che non sapeva disegnare”, aggiunse, ricordandosi di quando avevano indetto quella specie di concorso per gli artisti, vinto poi da Hiccup. Snotlout sorrise, arrossendo leggermente. Di certo non si aspettava che lei, proprio la principessa, lo ricordasse per questo. “Già”, annuì imbarazzato. “L’ho fatto per il bene della vostra famiglia però.”
Merida rise, esasperata. “E come avrebbe potuto?”
“Beh, la mia famiglia sapeva di uno strano complotto che avrebbe riguardato tutti, e io volevo proteggerla.”
“Sapevi di un complotto? E non hai detto niente?”, domandò lei, abbandonando ogni traccia di sorriso sul volto che adesso guardava il ragazzo molto seriamente, con uno sguardo quasi intimidatorio.
“Ce l’aveva detto Stoick e Stoick aveva dett..”, cercò di spiegare Snotlout, indietreggiando alla furia della ragazza che, per essere una principessa, aveva una costituzione piuttosto atletica. Non ebbe bisogno di fare più passi indietro, però: la ragazza si era precipitata da un’altra parte.




“Credevo si bussasse, prima di aprire una porta”, commentò ridendo Stoick, mostrando le spalle alla porta, concentrato a togliersi parte della sua armatura, convinto che il suo visitatore fosse Gobber.
“Come hai potuto?”, chiese Merida, nemmeno cercando di nascondere tutto il suo risentimento. Il comandante delle guardie si girò sorpreso, vedendo che la principessa lo fissava con astio.
“I-io.. Di cosa sta parlando, milady?”, domandò Stoick, parecchio confuso dal comportamento della ragazza.
“Lo sai benissimo di cosa sto parlando.. E non chiamarmi milady!”, esclamò lei con rabbia, sbattendo forte la porta. “Credevo che tu e mio padre foste amici!”
“E lo siamo infatti”, disse l’uomo, non riuscendo a non alzare la voce. “Che cosa è successo? Di che parli?”
“Sapevi che ci sarebbe stato un attacco, un complotto a palazzo. Lo sapevi, e non hai fatto niente”, lo accusò lei, sfiorando appena il ciondolo della madre. La rossa tolse immediatamente la mano quando si accorse che il comandante delle guardie aveva notato quel gesto.
“Come hai potuto?”, chiese, subito dopo, con un tono di voce misto alla supplica e alla rabbia.
“Cos’avrei potuto fare?”, domandò Stoick, la voce estremamente grave. I suoi occhi verdi sembravano così spenti, confrontandoli con quelli di Hiccup o di Rapunzel.
“Avresti potuto difenderci, invece di darci in pasto a Mor’du!”, ribatté Merida, gesticolando. “Avresti potuto fare qualsiasi cosa, ma hai deciso di non fare niente.”
“Non è vero”, tuonò lui, alzandosi. “Non è vero. Io ho avvisato tuo padre, Gobber, ho avvisato i Jorgenson. Sono rimasto notte e giorno a palazzo a proteggervi tutti quanti.”
“Ma non hai salvato mia madre e i miei fratelli. Non hai salvato me”, sussurrò lei, un groppo alla gola pensando al resto della sua famiglia.
“Sei qui.”
“Perché mi sono salvata da sola, non per merito tuo”, disse sprezzante. Stoick abbassò gli occhi a terra, incapace di ribattere a questa affermazione.
“Lo so che sei arrabbiata..”
“No”, lo interruppe immediatamente lei, “io sono furiosa!”
“Non è colpa mia. Non vi ho venduti a Drachma o qualsiasi cosa tu pensi”, cercò di spiegare lui, esortando la principessa a sedersi. Questa rimase dritta come un ago vicino la porta, impaziente di ascoltare.
“Io ho fatto quanto mi ha detto tuo padre: mi ha detto di agire nell’ombra e io l’ho fatto. Purtroppo non abbiamo trovato nessuna spia, deve essere ben infiltrata”, continuò Stoick, toccandosi la lunga barba.
“Certo, e io dovrei credere che questa spia, nonostante tutte le guardie che tu hai messo a proteggerci, sia riuscita a far passare Mor’du e il suo esercito”, commentò Merida, sarcasticamente. “Magari usando qualche passaggio ignorato da tutti noi, che ne dici?”
“Può essere”, rispose Stoick, annuendo. Poi balzò in aria. “Hai ragione! Devono aver usato il quarto ingresso!”
La rossa alzò un sopracciglio ramato, guardandolo molto scetticamente. “Noi abbiamo solo tre ingressi, Stoick.”
Ma l’uomo sorrise, girovagando nella stanza alla ricerca della mappa che avevano utilizzato quella mattina nello studio di Hiccup. Liberò in fretta il tavolo e aprì la cartina, mostrando la riproduzione in miniatura del castello.
“È qui che ti sbagli. Sono quattro”, replicò, indicando un punto ben preciso. Merida, sospettosa, si avvicinò ulteriormente, con entrambe le sopracciglia corrucciate e la fronte increspata da rughe di preoccupazione.
“Quelle sono le fogne”, constatò dopo qualche istante. “Non sono utilizzate da anni!”
“Ed è per questo che noi le utilizzeremo per entrare.”



 
(Solo un’occhiata)




Il Genio sapeva sempre quando qualcosa non andava. Era una sua particolare caratteristica, come un dono speciale o un’abilità superiore agli altri. Il Genio sapeva che, in quel momento, c’era qualcosa che non andava, e la conferma gliela diede Aladdin quando, entrando quel giorno, notò che non era allegro e pimpante come al solito. Sembrava perfino triste.
“Ehi Al, cosa c’è che non va?”, chiese il Genio, guardandolo con attenzione con quei suoi occhi neri. Il ragazzo non rispose immediatamente, preferendo prima posare sul tavolo ciò che aveva racimolato quel mattino.
“La sovrana di questo regno ha fatto un annuncio”, rispose quello mesto, iniziando a giocare con una tabacchiera rubata.
“E allora?”, fece l’uomo, non capendo l’umore dell’amico.
“Riguardava anche Rapunzel”, disse Aladdin, attirando immediatamente l’attenzione del Genio che si precipitò accanto a lui. “Voglio dire, non parlava chiaramente di Rapunzel, ma riguardava anche lei, lo so di certo.”
“Cosa ha detto?”
“Voleva che suo marito e sua figlia tornassero da lei entro tre giorni. Ti ricordi che lei raccontava sempre di questa Merida che era sua amica? Beh, a quanto pare Merida è la figlia della sovrana di Dunbroch!”, esclamò il ragazzo, tirandosi indietro i capelli corvini. Il Genio rimase un attimo in silenzio, cercando di elaborare l’informazione.
“Perché vuole che suo marito e sua figlia tornino? Non sono con lei?”, chiese, sospettoso. Aladdin scosse la testa, sorridendo come se la sapesse lunga.
“No, sono scappati”, rispose sorridendo.
“Probabilmente Rapunzel è con lei”, ipotizzò l’uomo, aggrottando le sopracciglia nere.
“Probabilmente ha bisogno di aiuto.”
“Ma probabilmente ha tutto l’aiuto di cui necessita.”
“Ma forse no”, concluse Aladdin, preoccupato. E questo bastò a convincere il Genio di fronte a quella muta richiesta, che invece veniva urlata negli occhi del giovane.
“E va bene!”, esclamò l’uomo. “Ma darai solo un’occhiata, giusto per vedere se è in pericolo.”



 
(Alla ricerca del ladro perfetto)




“Allora”, cominciò Jack per fare conversazione, la mano che doleva per il sacchetto pesante che teneva, “chi è questo tipo che è il miglior ladro del mondo?”
Tuffnut rise, sorridendo compiaciuto mentre Jack ne approfittò per rubare una graziosa tabacchiera, ben esposta in una delle bancarelle del mercato.
“Il suo nome? Nessuno lo sa ma è una certezza che è il miglior ladro del mondo”, rispose il biondo, lasciando allibito l’altro.
“Stiamo andando da un tizio di cui non conosci nemmeno il nome!”, esclamò il brunetto, mentre quello annuiva. Jack cercò di mantenere la calma, respirando a fondo, ma per lui era impensabile andare a completare una missione per Hiccup –molto importante, anche- rifornendosi da un tizio di cui non sapeva la vera identità.
“E allora?”, fece Tuffnut, non capendo quale fosse il problema. “Ehi, è quello”, gli disse, strattonandogli il braccio per fermarlo, indicando un uomo di spalle con i capelli castani. A Jack ricordava vagamente qualcuno. Quando si avvicinarono, il brunetto capì che era proprio quel qualcuno che pensava.
“Flynn!”, esclamò riconoscendo il giovane uomo che lo guardava sorpreso.
“Jack”, ricambiò quello, “e Tuffnut. Che ci fate qua?”
Sul volto del biondo la sorpresa dominava, a dimostrazione del fatto che gli occhi azzurri –solitamente ridotti in due fessure come la sorella- erano leggermente sgranati e la bocca era aperta. “Vi conoscete?”
Jack e Flynn si guardarono tra di loro, castano nel castano, furbizia nella furbizia.
“Noo”, rispose Flynn, facendo il vago. “Allora, cosa posso fare per voi?”
“Ci serve una barca”, risposero in coro Jack e Tuffnut. Il giovane uomo rise.
“Una barca? Non si può fare”, disse, cercando di allontanarsi dai due ragazzi.
“Tu mi hai detto di essere il miglior ladro del mondo”, lo accusò il biondo, mentre Jack ne approfittava per ridere apertamente.
“O forse hai mentito?”, aggiunse con tono sospettoso, quando due paia di occhi –sia quelli azzurri di Tuffnut che quelli castani di Flynn- si posarono su di lui.
“No, no, no”, disse il moro, scuotendo la testa. “Io non ho mentito, e ve lo proverò. Seguitemi!”
“Dove stiamo andando?”, domandò Tuffnut, iniziando a seguirlo.
“A prendere una barca.”



 
(Niente è giusto a questo mondo)




Merida stavolta decise di avvicinarsi. Non era mai stata così indecisa in tutta la sua vita. Lei era sempre stata quella impulsiva, colei che agiva prima di pensare, e adesso era intrappolata dai suoi stessi pensieri e non se lo poteva permettere in una situazione come quella.
“Padre”, sospirò la ragazza, avvicinandosi alla figura possente, “so che sai quanto è successo. Dobbiamo agire, adesso!”
Fergus si girò verso la figlia, poggiando le sue grandi mani sulle spalle estremamente fragili di lei. Sorrise dolcemente, come solo un padre poteva fare, e la esortò ad ascoltarlo in silenzio, senza interromperlo. Sembrava essersi creato un momento di tranquillità familiare, uno di quei momenti che perfino a palazzo sembravano rari sebbene fosse la loro casa, quando il padre rispose con un semplice “no”, ritornando al suo lavoro.
“Papà!”, esclamò la rossa risentita, guardando il padre come se fosse impazzito. “Perché?”
Il sovrano non rispose immediatamente. Sapeva benissimo quanto fosse ardua l’intera situazione, sentiva come Merida –così simile a lui, nonostante tutto- il desiderio di tornare a palazzo e liberare la sua adorata famiglia, voleva più che mai uccidere Mor’du. Ma non si poteva fare. L’uomo si limitò solo a guardarla –anche piuttosto severamente- prima di parlarle. “So cos’hai detto a Stoick.”
Merida rimase lì per lì in silenzio. “E con ciò?”, ebbe il coraggio di dire qualche istante dopo.
“Tu non sai niente, Merida. Non hai la benché minima esperienza militare, come ho io da re, non hai nessun interesse per balli e intrattenimenti, come ha tua madre  da regina, non ti preoccupi nemmeno di uscire da palazzo per andare per le strade della tua città a leggere qualche libro di fiabe agli orfanelli. Sai cosa vuol dire, questo? Che devi smettere di perdere tempo dietro arco e spada e impegnarti come futura sovrana”, disse il re, come se stesse pronunziando un lungo monologo ma la figlia non aveva intenzione di farlo continuare.
“Stento a riconoscerti!”, esclamò, leggermente risentita. “Non eri tu che dicevi sempre: principessa o no, imparare a combattere è essenziale?”
“Credimi, sono stato orgoglioso di te quando ti sei liberata da sola e hai praticamente tolto di mezzo tre guardie ma qua si tratta di cercare di liberare tua madre e i tuoi fratelli. Non possiamo irrompere lì e ammazzare chiunque, sebbene lo voglia fare anch’io.”
“Quindi dovremmo restare qui a non fare niente? L’hai sentita la mamma, ci danno solo tre giorni!”
“E noi abbiamo già un piano”, la informò Fergus, riprendendo il lavoro.
“Stoick me ne ha già parlato”, borbottò la ragazza, un po’ amareggiata dal fatto che il padre non gliene avesse parlato per primo. “Cosa faremo noi?”
Io andrò a liberare tua madre e i tuoi fratelli come prima cosa, tu resterai qui al sicuro.”
“Cosa?”, chiese lei, non potendo impedire alla sua voce di alzarsi.
“Non rischierò di perdere anche te.”
“Ma non è giusto!”
Al che il padre la guardò intensamente: sebbene avessero lo stesso colore di occhi –acquamarina, incredibilmente freddo come se si trattasse di gocce di oceani profondi e sconosciuti- il taglio era quello di Elinor, estremamente dolce e delicato.
“Niente è giusto a questo mondo.”



 
(Come rubare una barca- la guida firmata Flynn Rider con la gentile collaborazione di Solo Jack e un idiota di nome Tuffnut)




Jack trattenne a stento una risata, pensando a quanto fosse buffa quella situazione. Guardava quell’imbroglione di Flynn Rider con aria di sfida, pensando che non ci sarebbe riuscito. Anzi, di questo Jack ne era proprio sicuro: la sua mente non aveva posto per un’assurdità del genere, ma non per questo biasimava Tuffnut che pendeva dalle labbra del maggiore dei tre.
“Facciamo così”, disse Flynn, richiamando l’attenzione su di sé. “Tu, Tuffnut, cerchi di distrarre tutti. Inventati qualcosa, perché tutti gli occhi dovranno essere puntati su di te. Nel frattempo, io e Jack prendiamo la barca”, spiegò semplicemente. Jack lo guardò dubbioso.
“Non è che pensi di svignartela e di lasciarmi solo?”, domandò, sospettoso. Flynn ne approfittò per fare una risata molto nervosa –ed estremamente falsa-.
“Non ci penserei nemmeno”, rispose, sorridendo sornione.
“Scusa, ma che cosa posso fare io?”, chiese il biondo, confuso. Sia Jack che Flynn alzarono gli occhi al cielo per la domanda.
“Inventati qualcosa, combina qualche danno.. che vuoi che ne sappia io”, commentò semplicemente Flynn come se stesse spiegando qualcosa di molto semplice.
“Oh, smettila di guardarmi in quel modo”, bisbigliò Flynn, rivolgendosi a Jack che non aveva smesso per un secondo di osservare ogni suo minimo movimento da quando erano rimasti soli. “Non ho intenzione di scappare.”
“E perché non dovresti?”, gli chiese sottovoce Jack. Entrambi stavano aspettando che Tuffnut si decidesse a fare la sua mossa e poi avrebbero provveduto loro a far uscire la barca. Era già sera e non potevano perdere ancora altro tempo prezioso. Hiccup era stato molto chiaro al riguardo: doveva lavorarci il prima possibile.
“Non sono stupido, sai”, mormorò Flynn. “Tu sei amico di Rapunzel e Rapunzel ha detto che non sarebbe venuto a Corona con me per proteggere i suoi amici dalla guerra. Quindi tu sai dove è Rapunzel.”
“Perché ti interessa così tanto Rapunzel?”, domandò il brunetto ma prima che l’altro potesse rispondere una folla di gente affluiva agli inizi del porto, evidentemente preoccupata per qualcosa.
“Sarà Tuffnut”, sussurrarono entrambi, tuffandosi in acqua. La barca che avevano intenzione di prendere non era esattamente piccolina, quindi impiegarono più forza del previsto a ribaltarla.
“Che faticaccia”, esclamò Jack, respirando a pieni polmoni nell’incavo della barca adesso. Flynn faceva altrettanto. Fortunatamente c’era bassa marea in quei giorni, quindi camminavano –molto lentamente anche per non farsi scoprire- a livello dell’acqua, toccando con i piedi la sabbia.
“A chi lo dici”, commentò l’altro, posizionandosi davanti. Con una mano sola estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni una bussola, alquanto rovinata e vecchia, e con difficoltà la aprì.
“Dove hai detto che c’era una fessura da cui uscire?”, gli chiese, guardando attentamente l’ago.
“A ovest  del porto. Non è molto distante”, rispose Jack, sentendo già le braccia dolenti.
“Bene, andiamo di qua”, disse Flynn, iniziando a camminare. I due ragazzi rimasero in silenzio per un po’, poi Jack decise di domandargli di nuovo della sua bionda amica.
“Mi piace”, rispose semplicemente il moro, sorridendo. “È bella, è gentile, è simpatica..”, continuò sul vago. Il brunetto strinse gli occhi, riducendoli a due fessure. “Non ti credo.”
“E perché, solo Jack?”, lo sbeffeggiò l’altro. “A te non piace per lo stesso motivo?”
Le guance del ragazzo più giovane si colorarono immediatamente di rosso, lasciando spazio a ben pochi fraintendimenti. “È diverso”, disse infine, evitando di giustificarsi. “Io la conosco.”
“Come dici tu”, disse Flynn, facendo cadere il discorso. Ma quell’atteggiamento non convinceva affatto Jack. Egli sapeva che stava nascondendo qualcosa, quindi mise in moto quegli ingranaggi del cervello che Hiccup gli accusava di non far funzionare mai.
“Non è che per caso c’entra quella storia che Rapunzel somiglia alla regina di Corona?”, chiese, estremamente sospettoso. Notò che appena aveva pronunciato Corona la testa di Flynn era improvvisamente diventata dritta e il corpo teso, però il giovane era riuscito a camuffare la voce, mantenendola calma e cordiale.
“Ma cosa vai a pensare”, rispose, come se stesse semplicemente scherzando. “Guarda, penso che siamo arrivati”, disse, cambiando inaspettatamente argomento. Con assai fatica rigirarono la barca e videro che non molto distante da loro c’era Tuffnut che li guardava sorridendo. Ce l’avevano fatta.



 
(Come passarsi il tempo- la guida firmata Astrid Hofferson)




“Smettila di camminare o giuro che ti pianto la mia ascia sulla testa”, gli intimò un’ultima volta Astrid, gli occhi ridotti in due fessure. Hiccup deglutì, sedendosi sulla sedia più vicina, ma anche lì, in preda del nervosismo, aveva iniziato a muoversi. La bionda glaciale riservò un’occhiataccia alla sua gamba, tremante, ma lui non poteva farci niente. Almeno, non in quel momento.
“Avanti, sputa il rospo”, disse semplicemente lei, esortandolo a parlare.
“Jack e Tuffnut dovrebbero già essere qui”, rispose velocemente Hiccup, continuando a guardare la porta.
“Oh, ma che carino! Ti preoccupi per i tuoi amici!”, lo prese in giro lei, iniziando ad affilare le spade che avevano costruito in quei giorni.
“Non capisci”, replicò lui, alzandosi e camminando nuovamente, incapace di rimanere fermo. “Avevo affidato a loro delle commissioni importantissime. Il risultato ne va della vita di certe persone.”
“Torneranno prima o poi.”
“Ma io ho bisogno che tornino prima, così poi posso lavorare!”, esclamò il moro, scombinandosi i capelli con la mano. Astrid lo guardò intensamente, poi gli lanciò una spada che –inaspettatamente per lei, così come per Hiccup stesso- il ragazzo prese al volo.
“Che vuoi fare?”, domandò lui, alquanto stranito. La ragazza prese a sua volta una spada, e fece un inchino.
“Ci passiamo il tempo”, rispose semplicemente lei, mettendosi in posizione di difesa.
“Combattendo?”, fece lui, esasperato. Vedendo che la ragazza annuì con un lieve sorriso sulle labbra, decise di fare come lei voleva. Almeno si sarebbe allenato nell’attesa. Come previsto, Astrid era estremamente brava anche con la spada, nonostante si fosse sempre allenata con l’ascia bipenne, ma proprio per questo Hiccup notava nelle pecche nella sua difesa. Qualche mossa più tardi l’avrebbe perfino disarmata se la bionda non fosse stata più veloce di lui.
“Sei molto meglio adesso, anche se sarebbe stato difficile peggiorare”, commentò lei, facendo un affondo molto lento che il giovane schivò facilmente.
“Ho avuto un ottimo insegnante”, replicò semplicemente Hiccup, facendo un contrattacco veloce che spinse la ragazza ad arretrare.
“Gobber? Ma se è un pessimo insegnante!”, esclamò, avanzando e scontrandosi più volte con la lama del moro.
“Sta parlando di me”, disse Merida, spuntando da chissà dove, una certa fierezza nella voce. Entrambi si distrassero dal combattimento, guardando la rossa che si era avvicinata all’unica apertura che dava verso l’esterno. Astrid posò i suoi occhi di ghiaccio prima su Hiccup e poi nuovamente sulla principessa, cercando di capire che tipo di relazione si fosse instaurata tra di loro. Certe volte li vedeva estremamente vicini come non avrebbero dovuto mai essere, altre volte lontani, come se fossero due semplici estranei, viandanti senza volto in quel cammino comune. In quel momento si stavano guardando alquanto divertiti, come se stessero continuando una qualche conversazione in silenzio, di cui Astrid non sarebbe mai venuta  a conoscenza del contenuto.
“È vero”, confermò Hiccup, rivolgendosi alla bionda che, in cuor suo, aveva iniziato a sentirsi a disagio. “È merito suo se adesso so tenere una spada in mano e centrare un bersaglio, o quasi.”
Merida sorrise, iniziando a curiosare indiscretamente nella stanza, trovando infine quello che cercava.
“Oh, mele!”, esclamò contenta, prendendone tre e sedendosi vicino al fuoco. “Venite”, li esortò, facendo loro spazio e lanciando il frutto. “La speranza sopravvive meglio accanto al focolare”, aggiunse, prima di addentare la sua mela.
Hiccup la guardò, accennando appena ad un sorriso, e proprio mentre stava per mangiare la mela, la porta si aprì all’improvviso.
“Jack!”, esclamò Hiccup avvicinandosi, riconoscendo l’amico in uno di quei tre giovani che erano appena entrati con una barca.
“Ti ho portato tutto”, disse quello, sfinito e indicando un enorme sacco all’interno della barca.
“Grazie mille”, lo ringraziò Hiccup, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. “E grazie anche a te, Tuffnut, e a te che non ho la più pallida idea di chi sia.”
“Io sono Flynn”, si presentò il terzo ragazzo, visibilmente più grande di loro nonostante fosse alto quanto Hiccup. “Flynn Rider.”
“Piacere”, fece Hiccup, stringendo la mano che quello gli offriva. “Io sono Hiccup, mentre questa ragazza bionda è Astrid e quella con i capelli rossi..”
Flynn si inchinò immediatamente a Merida, facendola lievemente arrossire per l’imbarazzo. “Principessa Merida, è un piacere conoscerla.”
“Sì, ecco, è lei”, commentò l’artista, che prima aveva avuto un tentennamento su come presentare la ragazza. “Adesso io vado a lavorare a questa.. cosa”, disse, gesticolando.
“Se vuoi una mano..”
Astrid rimase stupita nel vedere che aveva pronunciato la frase assieme alla principessa, così come quest’ultima, che alzò immediatamente le mani in alto, come se fosse stato un suo errore.
“Magari ti aiuta Astrid a questo progetto”, propose, abbozzando un sorriso e ispezionando gli ingredienti cercando di capire di cosa si trattasse. “O rito sacrificale”, aggiunse, dubbiosa, vedendo la pelle di maiale.
“È quello che ho detto anch’io!”, esclamò Jack, ridendo.
“Oh, andiamo! Non è un rito sacrificale”, disse alquanto esasperato Hiccup, stanco di essere preso in giro.
“E se invece si trattasse proprio della maledizione di Fishlegs?”, chiese Tuffnut, proferendo per la prima volta da quando era entrato in quella stanza parola. Astrid trattenne un sorriso, mentre la principessa e il brunetto ridevano apertamente. L’uomo che aveva dichiarato di chiamarsi Flynn Rider rimase abbastanza stupito, ma ispezionava la stanza come se cercasse qualcosa.
“Mi arrendo”, annunciò Hiccup, tra le risate generali. Persino lui adesso tentava in tutti i modi di nascondere un sorriso divertito. “E adesso, al lavoro.”





Ehilà! Come avete passato le vacanze? Io devo ammettere bene, non ho fatto niente come al solito: il percorso più lungo che facevo era letto-cucina. Ma ritornando a noi e alla storia: questo e il prossimo capitolo, se ricordo bene -sì, ho già scritto altri due capitoli che pubblicherò successivamente- sono leggermente più lunghi dei miei soliti per il semplice fatto che prima della fine dei tre giorni a cui si appella Elinor ai nostri eroi succedono davvero tante cose, forse decisamente troppe! Qui ho deciso di fare interagire tra di loro personaggi a cui, personalmente, non avevo mai pensato come Merida e Snotlout, oppure Jack e Tuffnut e c'è un certo avvicinamento tra Astrid e Hiccup e -sorprendentemente- mi è piaciuto scrivere di questi rapporti che, ripeto, per me non sono affatto convenzionali -tranne Astrid e Hiccup, tecnicamente-. I mini titoli presenti in alcuni paragrafi -mi riferisco a quelli che sembrano usciti dalla catena For Dummies- per me erano congeniali a stilare un capitolo, seppur lungo, più leggero rispetto ai prossimi che usciranno, specialmente quello di Novembre. Spero che vi sia piaciuto il capitolo, spero che vi piaccia l'intera storia, vi auguro un buon fine estate -sempre se si possa dire visto il caldo che fa da me- e ci vediamo al prossimo capitolo! 
   
 
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