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Autore: IoNarrante    01/09/2015    5 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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Capitolo 30
 
Non avevo mai notato quella piccola macchia di muffa nell’angolo in basso a destra del mio appartamento, esattamente sulla parete di fronte al grande letto matrimoniale. Eppure era lì, anche piuttosto visibile. Si notava lo strato di umidità al di sopra di essa, quegli angoli più scuri al centro e più chiari a mano a mano che la parete veniva letteralmente “mangiata” da quello strano essere vivente.
Ed io mi sentivo come quel povero muro, soggetto alla trascuratezza e abbandonato a sé stesso, incurante dei segni del tempo e della natura.
Erano passati tre giorni da quanto si era concluso il processo, o meglio, da quando Simone era letteralmente scappato dalla sottoscritta lasciandola sola sotto la pioggia. James si era offerto di accompagnarmi a casa e tenermi un po’ di compagnia, Mr. Wright addirittura mi aveva invitato ad una cena evento organizzata a suo nome, proprio perché aveva deciso di smettere di rintanarsi in casa dopo che io stessa gli avevo fatto capire che era controproducente. Avevo rifiutato ogni tipo di offerta.
Ricevevo chiamate su chiamate, tanto che avevo deciso di staccare il telefono per un po’. Avevo bisogno di tempo per elaborare ciò che era successo, per dare un senso e una spiegazione alle mie azioni e a ciò che ne era conseguito.
Davvero hai creduto che Simone potesse fare finta di nulla?
No, infatti.
I miei più grandi timori si erano concretizzati ed ero rimasta sola, come avevo sempre desiderato sin dall’inizio. Adesso posso dedicarmi alla mia carriera.
Mi rigirai nel letto, dando le spalle a quella macchia di muffa che ricordava lo stato di decomposizione in cui verteva il mio corpo in quel momento. Mi sentivo distrutta, incapace di riprendere in mano la mia vita e ricominciare laddove l’avevo lasciata pochi giorni prima.
Se non fai qualcosa, oltre a Simone perderai anche il tuo lavoro.
E così facendo avrei buttato al vento tutti i sacrifici che avevo fatto.
«Voglio scomparire,» sospirai, stropicciandomi gli occhi ancora carichi del trucco del giorno del processo. Una volta rientrata a casa, nemmeno mi ero spogliata. Il letto era diventato il mio primo amante, l’unico che sapesse davvero accogliermi e comprendere silenziosamente come mi sentissi in quel momento.
Ti sei forse già arresa?
«Ho rovinato tutto,» risposi ad alta voce, quasi per concretizzare quella conversazione con me stessa.
E rimanere a letto tutto il giorno, risolverà qualcosa?
Scossi la testa che mi doleva. «No, ma non ho la forza di fare niente. Mi sento apatica.»
Era tutto vero. Più volte in quei giorni avevo pensato di farmi una bella doccia e almeno recarmi al lavoro, giusto per dare un segno di vita anche a James, ma l’idea di mettere un piede fuori dalla porta mi terrorizzava.
Di cosa hai paura?
«Non lo so,» piagnucolai, incapace di dare una spiegazione a quella miriade di sensazioni che contribuivano solamente a farmi stare peggio. «Non ho mai provato un dolore così grande, non ce la faccio ad andare avanti.»
E tu saresti quella che fino a poco tempo fa si permetteva di fare lezioni di vita a tutti? Eri quella che ha sempre dato a Simone dell’immaturo e del ragazzino? Non ti sembra di star facendo lo stesso?
Il pensiero di Simone mi fece salire subito un conato di vomito.
Mi alzai dal letto soltanto per correre in bagno, prima che rigettassi su tutto il pavimento della casa. A completare il quadro di depressione, c’era anche il pensiero fisso della gravidanza che mi accompagnava ogni momento. Avevo promesso a me stessa, molto prima del processo, che se le cose fossero andate male e Simone non avesse accettato l’idea del bambino, me ne sarei presa cura io stessa, con le mie forze, perché non volevo arrendermi a nessun costo.
Quei giorni erano stati sufficienti a mettere in dubbio ogni mia convinzione.
«All’epoca era diverso,» biascicai, stesa sulla tazza del water. Mi tenevo la testa altrimenti ciondolante e tentai di asciugarmi le lacrime. «Lui non mi vuole più vedere ed io non ce la farò mai da sola.»
Ma ti senti? Ricorda i tempi in cui c’eri soltanto tu, quando contavi solo su te stessa senza appoggiarti a nessuno e com’eri determinata!
Cervello aveva ragione, c’era stato un tempo in cui avevo preso delle decisioni, ero riuscita a trascinarmi fuori di casa per intraprendere un’avventura in una città diversa. C’era stato un momento in cui avevo inseguito un sogno, a tutti i costi, ma che adesso rischiavo di farmelo sfuggire di mano.
Quale tipo di Sogno?
Ricominciai a piangere quasi senza rendermene conto. Avevo assolutamente bisogno di sentire qualcuno che fosse vicino, qualsiasi persona mi comprendesse all’istante senza chiedermi nulla in cambio. Ci sarebbe stata Sofia, ma non volevo coinvolgere un membro della famiglia così vicino a Simone, le avrei dovuto spiegare anche della gravidanza e non avevo voglia di dirlo troppo in giro. James sarebbe stato la seconda scelta, lui metà della storia già la conosceva ma sarebbe stato un grosso errore parlargli: innanzitutto avrei dovuto spiegargli il perché ero sparita, lasciandolo solo a riempire scartoffie in ufficio; in secondo luogo, lo avevo coinvolto fin troppo, mettendo a rischio anche la sua posizione.
Non ti sei fatta molti amici, ultimamente.
Di fare nuove amicizie, non ne avevo avuto il tempo, ma avrei potuto “rispolverare” una vecchia conoscenza senza nemmeno sentirmi a disagio. Mi alzai da terra, decisa a fare qualcosa, così mi lavai il viso, ripulendolo dal trucco, diedi una sistemata ai capelli e accesi il computer. Skype era una delle applicazioni più usate per chi abitava all’estero, così decisi di inviare un messaggio a Celeste per dirle se poteva collegarsi.
Il suo lavoro come scrittrice, mentre si laureava, veniva svolto per lo più a casa, quindi era frequente che la mia migliore amica rimanesse nel suo appartamento per lavorare. Attesi la risposta che non tardò ad arrivare.
Dopo pochi minuti, vidi il pallino verde accanto al suo nome, così la contattai.
Il suono caratteristico del programma diede il via alla schermata nera, da cui comparve il volto rilassato e sorridente della mia migliore amica.
«Ehi Ven!! È da un secolo che non ci sentiamo! Come stai?»
I suoi occhi azzurri e grandissimi mi trasmisero quella sicurezza che in quei giorni avevo perso. «Ciao amica,» sorrisi. «Diciamo che sono in una situazione un po’ particolare, ma una parte della mia vita si può dire che va bene.»
Lo sguardo di Celeste si fece più serio. «Raccontami bene tutto, altrimenti non posso aiutarti,» mi disse e allora iniziai dal principio. Partii da quando mi era stato affidato il caso giudiziario di Simone, le pregai di non farne parola con il suo fidanzato, dal momento che Simone ci teneva molto alla sua immagine nei confronti del cugino, e poi andai in ordine. Le parlai del flirt che c’era stato con il mio collega James, le dissi della festa del college, le parlai della famiglia di Simone e del calore che mi aveva lasciato. Si stupì molto di quel mio racconto, soprattutto quando affrontai la parte del cambiamento che avevo avuto nei confronti del calciatore.
«E così anche tu hai ceduto,» sorrise, forse anche un po’ contenta di quella mia ammissione. Inizialmente si arrabbiò, soprattutto perché pensava di essere più importante e che quella confessione sarebbe stata una delle prime cose che le avrei detto, ma alla fine comprese la mia posizione. Non potevo parlarle del caso finché non fosse finito, non potevo dire nulla di me e Simone, perché già era una storia clandestina e meno persone ne fossero venute a conoscenza, meglio sarebbe stato per la sua immagine e per quella dello studio in cui lavoravo.
«Le cose sono peggiorate quando ho detto tutto a James, anche perché avevo dei continui mal di testa e delle nausee. Quindi mi sono recata dal dottore,» le dissi, tirando fuori l’argomento più spinoso di tutti.
Celeste rilassò il viso, sempre più sconcertata. «Parla!» mi ordinò.
Le raccontai dei risultati delle analisi che avevo ritirato alla clinica, alla conferma che avevo inviato al mio medico di fiducia e alle reazioni di James. Le dissi che mi aveva suggerito di chiudere temporaneamente la storia con Simone, per il bene dello studio, ed io avevo preso in parola ciò che aveva detto.
Le troppe informazioni recepite dalla mia migliore amica, sul momento, la mandarono in confusione. Non sapeva a quale di esse dare la priorità, così prese un lungo e silenzioso respiro per poi fare il punto della situazione. La sua immagine, sul monitor del pc, non era molto nitida e spesso, per problemi legati alla connessione lenta, le sue parole arrivavano in ritardo rispetto alla mimica del volto.
Non ci diedi troppo peso.
«Premetto che ti odio!» anticipò, lasciandomi di sasso. «Sono la tua migliore amica e diventerò presto zia, come ti è saltato in mente di dirmelo soltanto adesso?!»
«Mi dispiace,» mi giustificai ma non c’era molto da dire. Ero stata una stupida a non affidarmi a Celeste, che mi aveva supportato da quando eravamo adolescenti al liceo. Aveva tutte le ragioni per essere incazzata con me. «Ti autorizzo ad odiarmi e a non parlarmi più, se vuoi,» ma dentro di me pregai che non desse peso a quelle mie parole.
Il volto corrucciato della mia amica si distese. «Non dire cazzate!» ridacchiò. «Più che altro mi chiedo come hai potuto essere così stupida?»
«Cioè?» le domandai stupita. «A quale parte ti riferisci?»
Pensai dicesse riguardo all’uso di precauzioni, soprattutto perché entrambe eravamo sempre state intransigenti su questo punto.
Scosse la testa energicamente. «Come hai potuto dare retta a ciò che ti ha detto James?» mi chiese stupita. «Se mi fossi trovata nella tua situazione, non avrei potuto farcela.»
Le mie salde motivazioni cominciarono a vacillare. «Avrei perso l’opportunità di lavorare allo studio, non potevo rischiare che scoprissero la mia tresca,» mi giustificai.
Celeste parve sconfitta. «Ven, Ven, Ven, sei troppo razionale! Se fosse stato un buon amico quanto dici, James non avrebbe mai fatto la spia né ti avrebbe detto di lasciare Simone. Inoltre, anche se il suo pensiero era mosso da tutte le migliori ragioni del mondo, io stessa non avrei mai seguito quel consiglio, a costo di rischiare tutto. Da quello che mi hai raccontato, amica mia, capisco che ti sei presa proprio una bella cotta per il cuginetto di Leo, ma ti sei comportata molto male nei suoi confronti.»
Aveva pienamente ragione, non mi sarebbe nemmeno servita la video-chat con lei. Erano parole che già mi ero ripetuta mille volte nella mente, ma mi serviva qualcuno dall’esterno che me le urlasse contro, affinché capissi una buona volta di aver fatto una cazzata.
La sentii sospirare, vedendo l’espressione sul mio viso diventare funerea. «Venera, tesoro,» disse sorridendo. «Nulla è perduto ancora, ognuno di noi ha avuto la sua occasione e magari se l’è lasciata sfuggire ma la vita ne è piena di queste opportunità. Vedrai che il treno passerà di nuovo, ma tu devi essere pronta a salirci sopra.»
«Cosa mi suggerisci di fare?»
Ci pensò su, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Innanzitutto devi riprendere in mano la tua vita, cominciando da una bella doccia. Sistemati e vai allo studio, fatti vedere, prenditi i tuoi meriti per il caso che hai risolto e continua ad essere te stessa. Le cose si aggiusteranno, vedrai.»
Apprezzai molto il suo consiglio. Mi aveva fatto davvero bene sentirla e soprattutto farmi aiutare come un tempo. «Grazie.»
Celeste ridacchiò. «Ricordati che ci sono sempre, anche se non mi coinvolgi più nella tua vita. Rimarrò sempre ad aspettarti e non sparire! Voglio sapere ogni cosa sul mio nipotino e comincerò subito a convincere Leo a partire di nuovo per venire a trovarti!»
Finalmente avevo trovato quella spensieratezza perduta in quei giorni di fossilizzazione. Salutai la mia migliore amica e decisi di seguire il suo consiglio alla lettera, cominciando dalla doccia e dal sistemare il mio appartamento. Mi sarei recata in ufficio subito dopo la pausa pranzo, così tirai fuori uno dei miei soliti completi da lavoro, mi truccai velocemente e uscii subito di casa.
Mentre mi recavo verso la fermata, accesi il cellulare.
Sul display vidi lampeggiare una scia infinita di messaggi e telefonate perse. C’era James che mi chiedeva che fine avessi fatto, Sofia che aveva tentato più volte di telefonarmi per chiedermi come stavo, addirittura trovai una chiamata persa di Gabe.
Ti ha chiamato perfino il fratello-figo.
Mi ero isolata dal mondo proprio per sfuggire a tutta quella sfilza di domande e di compatimenti che ne sarebbero seguiti. Odiavo la gente che provava pena per me, soprattutto chi era a conoscenza della mia situazione fisica. Anche se sola, ero comunque la stessa ragazza forte e determinata di prima e sarei riuscita a ottenere tutto quanto se mi fossi impegnata al massimo.
Anche Simone?
La sua questione era ancora una spina che mi faceva sanguinare, ma l’avrei affrontata a tempo debito. A costo di farmi sbattere la porta in faccia, avrei provato a spiegare le mie motivazioni anche a lui. Gli avrei semplicemente detto ciò che era successo, esponendo bene i fatti come il mio lavoro mi aveva insegnato, e avrei atteso un suo giudizio. In fondo, non poteva andare peggio di così.
Ignorai il telefono cellulare ed entrai nella fermata di Lancaster Gate.
 
Avevo paura ad entrare in ufficio, soprattutto dopo essere sparita per ben tre giorni senza dare alcuna notizia a nessuno. Sostai un po’ di fronte all’entrata, poi raccolsi il coraggio e decisi di presentarmi in ufficio.
Alle 14.20 di Giovedì, la Abbott&Abbott era un fiume di persone che non riuscivano a stare minimamente ferme. Riconobbi gli altri quattro tirocinanti, compresa Yuki, alle prese con decine e decine di scartoffie da sistemare, per non parlare dei telefoni che squillavano come fossero impazziti.
«Chi non muore, si rivede!» osservò Yuki piccata, sorpassandomi e andando a svolgere le sue faccende.
Tentai di ignorare quell’impulso di ucciderla seduta stante, così tentai di prendere una decisione concreta e mi recai nell’ufficio di James. Bussai timidamente, quasi con il timore di poter sfondare la porta.
«Avanti!» si udì distintamente dall’altra parte, così avanzai.
Trovai il bell’avvocato alle prese con il suo pc, intento a digitare qualcosa di davvero importante perché non distolse lo sguardo dal monitor nemmeno per vedere chi fosse entrato. Quando se ne accorse, rimase molto stupito.
Si alzò in piedi di scatto e corse ad abbracciarmi. «Ero preoccupatissimo,» mi confessò. Arrossii a quella premura, soprattutto perché avevo immaginato una reazione diversa. James era pur sempre la persona galante ed educata che avevo conosciuto quel primo giorno di lavoro sulla Tube.
«Mi dispiace, mi serviva del tempo,» mi giustificai.
Lui sospirò comprensivo. «Ho detto a mio zio che non ti eri sentita bene, ha capito. Comunque è un comportamento che non è passato inosservato qui in ufficio,» mi spiegò.
Compresi il punto di vista di August Abbott, soprattutto quando, alla conclusione di un lungo e dispendioso processo, una delle tirocinanti incaricate di occuparsene spariva da un giorno all’altro.
«Rimedierò,» dissi sicura, rimboccandomi metaforicamente le maniche.
James sorrise. «D’ora in poi voglio vederti così motivata a studio, cerca di lasciare i brutti pensieri al di là di quella porta,» disse, indicando quella del suo ufficio. «Ricordati che qui con me sei al sicuro
Provai una strana sensazione in quel momento, anche se apprezzavo le parole dell’avvocato. Mi sentii profondamente a disagio, come se mi trovassi improvvisamente in un luogo a cui non appartenevo. Tentai di scrollarmi quella sensazione di dosso, ma il modo in cui mi fissava James mi metteva ancor più in soggezione.
Stiracchiai un sorriso e mi allontanai, tanto per rimarcare una zona di separazione tra di noi. «Bene, cosa ci è rimasto da fare?» chiesi.
James tornò a sedersi alla propria scrivania, finendo di scrivere. «Sto redigendo il rapporto sul caso che si è appena concluso, ma bisogna occuparci immediatamente di una questione piuttosto spinosa. È uscita l’altra mattina in edicola,» disse, prendendo una rivista e girandomela di fronte agli occhi.
Appena lessi il nome Daily Voice ebbi un brivido di terrore.
Essendo completamente assorbita da ciò che era successo in quei giorni, compreso il processo, avevo del tutto rimosso il “patto” che James aveva firmato con quel giornalista, Bastian Force, affinché gli rilasciasse le informazioni necessarie per trovare il misterioso testimone dell’articolo che aveva redatto cinque anni prima.
Afferrai la copertina di quel giornale, rimanendo piuttosto confusa.
Titoli come “Fuoco e polveri tra i Gunners” e “Il popolare Sogno fa ancora parlare di sé” spiccavano come fari nella notte rispetto alle altre notizie contenute nella rivista. Rimasi basita e allo stesso tempo terrorizzata.
«N-Non capisco,» tentai di dire, anche se c’erano ben poche parole che potessero esprimere lo stupore di quel momento.
James mi rivolse subito l’attenzione. «Quel bastardo di Force non ha rispettato del tutto il patto di riservatezza che abbiamo siglato,» disse ed io imprecai a bassa voce. Dannati giornalisti a caccia dello scoop, tutti affamati di vendite. «Anche se ha atteso, come pattuito, la fine del processo, non abbiamo nemmeno avuto modo di avvertire la società e di contattare la stampa per avvertirli che fosse tutto risolto. Avremmo potuto porre un margine alla fuga di notizie, adesso sarà il caos completo.»
Rimasi imbambolata a fissare quel giornale.
«Come dovremmo muoverci adesso?» chiesi, incapace di elaborare qualsiasi soluzione.
L’avvocato mi fissò determinato. «Direi per prima cosa di stilare una lettera di reclamo indirizzata al Daily Voice, visto che in un paio di punti Mr. Force ha violato l’accordo che avevamo stabilito. In secondo luogo, se ti senti pronta, direi che puoi metterti al telefono e contattare subito le principali testate giornalistiche e avvertirle dello sgarro fatto da Force, in modo che non diano peso a queste esagerazioni. Bisogna giocare d’anticipo, in fondo siamo ancora gli avvocati di Mr. Sogno.»
Mi porse una lista con dei numeri di telefono e dei nomi. Annuii convinta e determinata, soprattutto perché avrei contribuito ancora una volta ad aiutare Simone. Anche se non direttamente, potevo sentirmi ancora una volta vicina a lui.
«Let’s start it!»
 
***
 
Nel giro di un paio di giorni, io e James riuscimmo ad arginare il danno fatto volontariamente da quell’approfittatore meschino di Bastian Force. Come avvocati di Mr. Sogno, avevamo citato il giornale per diffamazione, soprattutto in relazione alle presunte illazioni che si facevano ai danni di Simone e della squadra.
Insomma, la notizia di fondo era vera ma Force aveva portato ogni particolare all’estremo creando una vera e propria distorsione della realtà.
I rapporti telefonici con Simone li aveva avuti esclusivamente James, ma non per mia scelta. Da una parte, mi ero sentita sollevata che Mr. Abbott Senior avesse preferito in questo modo ma dall’altra avevo sperato di avere una qualsiasi scusa per vederlo. La verità è che mi mancava molto, forse più di quanto dessi a vedere.
Quel giorno mi ero recata alla sede commerciale dell’Arsenal, proprio per consegnare dei documenti relativi alla nuova causa che il nostro studio aveva intentato contro il Daily Voice per diffamazione. Dal momento che la società calcistica era stata nominata e quindi coinvolta, era premura della Abbott&Abbott chiarire ogni singolo punto della vicenda e non compromettere la carriera dell’assistito.
James aveva saputo, tramite le sue fonti, che Mr. Wenger si era messo in contatto con Simone proprio per chiedergli spiegazioni in merito. Avendo un passato discutibile, fatto appunto di gossip, l’allenatore dell’Arsenal voleva assicurarsi che il suo diamante brillasse solamente per i suoi meriti di calciatore.
Insomma avrei dovuto screditare il Daily Voice alla sede della società.
Mi feci ricevere subito da uno dei dirigenti, in modo da spiegare in modo chiaro e coinciso quali erano state le motivazioni che avevano spinto il nostro studio a siglare il patto di riservatezza. Chiarii tutti i punti e feci una corretta distinzione tra quelli reali e quelli che Force aveva “gonfiato” a causa di tutti quei paroloni che aveva inserito all’interno dell’articolo.
«In questo punto, ad esempio, si enfatizza come il nostro cliente sia stato ben disposto a portarsi a casa una perfetta sconosciuta,» spiegai, indicando esattamente la riga.
Claude Van Bürer, uno dei dirigenti, mi guardò piuttosto concentrato. La riga scura che aveva sulla fronte indicava un certo fastidio, soprattutto perché la società era stata tirata in ballo a causa di uno sciocco pettegolezzo.
«E qui,» cambiai pagina. «Dove vede scritto “negligenza e inadeguatezza alla figura paterna”, sono soltanto delle supposizioni che Mr. Force ha dedotto da non so quale fonte. In nessun rapporto del tribunale troverà un commento di questo genere.»
L’uomo aveva un’espressione in viso indecifrabile. Lo guardai per un attimo, giusto per capire se mi stesse ascoltando e avesse capito tutto.
«Credo possa bastare,» disse, chiudendo il plico con tutte le pratiche all’interno.
Per un attimo fui presa dal panico. E se non avessero trovato le nostre motivazioni sufficienti? Se avessero preso delle decisioni in merito al futuro di Simone? Sapevo che l’idea di siglare un patto con quell’antipatico di Bastian Force sarebbe stata una pessima idea.
«Signor Van Bürer,» tentai, come ultimo appello. Non sapevo nemmeno cosa volesse dirmi, però avevo una strana sensazione. L’uomo alzò un sopracciglio, infastidito. «Non deve dare credito a ciò che scrivono i giornali. Le assicuro che Mr. Sogno non è assolutamente come viene descritto in questo articolo ma c’è dell’altro. È una persona che ama il suo lavoro e vale molto di più.»
Neanche fossi stata la sua manager, gli avrei fatto tutta questa pubblicità positiva.
Il dirigente non si scompose. Sembrava quasi fatto di marmo per quanto fosse dura la sua espressione, quasi granitica.
«La ringrazio per il suo tempo, prenderemo le misure adeguate a questa spiacevole situazione ma non deve preoccuparsi,» disse in modo tranquillo. «Il suo cliente non verrà emarginato soltanto per uno spiacevole disguido come questo.»
In un modo un po’ brusco e serioso, Van Bürer mi aveva rassicurata.
«Grazie a lei e buon lavoro,» dissi sorridente.
E fuori due.
Uno alla volta, io e James ci eravamo personalmente occupati di tutte le principali testate giornalistiche, le società e gli altri enti a cui era associato il nome di Simone. In modo particolare gli sponsor.
Ancora una volta, avevamo risolto prontamente una brutta situazione.
Uscii di fretta dagli uffici di direzione e mi recai in strada.
Volevo telefonare subito a James per dargli la bella notizia, ma fui interrotta proprio mentre digitavo il numero di telefono.
«Ehi Ven!»
Riconobbi la voce di Sofia anche se ancora era lontana.
Inspirai lentamente e cercai di rallentare il battito cardiaco. Avevo il terrore di voltarmi, soprattutto perché sarebbe potuta essere in compagnia del fratello.
Non sei ancora pronta.
Fortunatamente, la bionda sorella di Simone era sola.
«Ciao, come stai?» le dissi.
Lei mi guardò accigliata. Era difficile decifrare quel suo sguardo da elfo, ma non l’avevo mai vista così risentita. «Ho provato a chiamarti un sacco di volte.»
Fissai il pavimento, mortificata. «Hai ragione ma mi serviva del tempo per riordinare le idee e fare chiarezza nella mia vita,» le spiegai.
Sul momento pensai fosse sufficiente come giustificazione, ma Sofia sembrò spegnersi ancora di più. Non avrei mai pensato di vederla in quello stato, soprattutto dopo che mi ero abituata alla sua allegria contagiosa.
«Pensavo ci tenessi di più,» disse mogia.
«A cosa?» chiesi, forse stupidamente.
Sofia si sistemò meglio la tracolla sulla spalla.
Aveva con se dei fogli, in una cartelletta, che tentò nervosamente di spostarsi da una mano all’altra.
«Credevo che lottassi per mio fratello, forse ho visto male.»
Non mi aspettavo di ricevere quella doccia fredda, soprattutto da una persona che era stata sempre dalla mia parte. Fin dall’inizio aveva tifato per me e Simone, ma adesso sembrava sconfitta anche lei. Non sapevo cosa fare, né come giustificarmi. Avevo preferito rintanarmi nel mio appartamento, nascondermi, smettere di lottare per riconquistare quella persona che pensavo stesse bene al mio fianco.
«Non è come pensi,» tentai di fermarla. Cercai di riorganizzare le idee e dirle che si sbagliava. «Ho avuto bisogno di stare un po’ da sola, dovevo pensare, ma non mi sono arresa. Anche se lui non vuole nemmeno vedermi.»
Le avrei voluto dire che Simone non aveva intrattenuto più contatti con me, voleva parlare solo con James. Nonostante lo avesse sempre odiato sin dal principio, adesso era addirittura più sopportabile di me.
Sofia sospirò tristemente. «Simone a parte, ci siamo sempre noi,» disse dispiaciuta. «Pensavo di essere tua amica, che ti avrei potuto supportare!»
Mi ero comportata come con Celeste. La mia brutta abitudine di contare solo su me stessa, spesso e volentieri mi isolava dal resto del mondo. Invece di farmi sostenere da una persona dolce e sincera come Sofia, pur essendo la sorella di Simone, avevo preferito piangermi addosso.
«Hai ragione Sofi, non ho scuse,» ammisi.
Il primo passo lo hai fatto.
«Adesso ho capito che non posso farcela da sola e vorrei chiederti di perdonarmi.»
Eravamo a Russel Square, vicino al British Museum, in mezzo alle persone che camminavano da un lato all’altro della strada per raggiungere i loro posti di lavoro. Era come se fossimo trasparenti, se appartenessimo ad un’altra epoca.
Sofia mi guardò intensamente. Quegli occhi azzurri, così simili ad un essere appartenente ad una fiaba, mi scrutarono quasi fino nell’anima. Sospirò lentamente, aggiustandosi ancora la tracolla della borsa sulla spalla.
«Io ho sempre tifato per voi due, sappilo,» mi confessò.
Lì, in mezzo alla strada, avrei voluto raccontarle tutto: come mi sentivo, i problemi con il lavoro, la mia condizione fisica. Resistetti soltanto perché mi sentivo troppo osservata dai passanti.
«Hai tempo?» le chiesi, forse sorprendendola.
Sofia parve rilassarsi. «Ho un’oretta prima di rientrare in sala registrazioni.»
Colsi la palla al balzo e decisi di coinvolgerla completamente anche perché ormai era arrivato il punto di fidarsi anche delle altre persone.
«Vieni, c’è una cosa che devo dirti.»
Ci recammo ad un caffè lì vicino, il Cappuccino, e notai subito che era stracolmo di studenti. Ricordai che proprio nei dintorni di quella piazza c’erano numerose facoltà universitarie, un po’ come vicino la Stazione Termini a Roma. Ci sedemmo all’interno del locale, ordinando subito qualcosa.
Sofia non era ancora del tutto rilassata, c’era qualcosa che la innervosiva.
Aveva tutte le ragioni di “odiarmi”, mi ero comportata proprio come un’egoista e peccando di superbia, credendo che potessi contare solamente su me stessa, avevo lasciato indietro le persone che contavano su di me.
«Devi promettermi una cosa,» iniziai. Era giunto il momento di rendere Sofia partecipe del mio grande segreto. Mi sentivo un po’ Spiderman, qualche supereroe che doveva nascondere la propria identità agli amici pur di proteggerli.
Sofia annuì. «Prima dovrei saper di cosa si tratta.»
Annuii tristemente. «Si tratta di una questione complicata, che devo affrontare in primis con tuo fratello. Per adesso ho deciso di occuparmi fino alla fine della sua causa, dopodiché, quando riuscirò a parlargliene, cercherò di risolvere.»
La più piccola dei Sogno parve preoccupata. «Ven, di cosa si tratta?»
Inspirai profondamente. Nel frattempo erano arrivate le ordinazioni, così cominciai a sorseggiare il mio latte caldo macchiato. «Sono incinta,» sputai così, tutto d’un fiato.
Per poco Sofia non si strozzò con il cornetto che stava assaggiando. Dopo aver sputacchiato alcuni pezzi in un tovagliolo, si asciugò le lacrime. «C-Cosa?»
Mi trattenni dal ridere.
Anche se Sofia mi era sembrata sempre più delicata e dolce del fratello, in quei rari momenti si assomigliavano talmente tanto che ebbi un moto di nostalgia.
«Hai capito bene, aspetto un bambino.»
La piccola Sogno sgranò quegli enormi occhi azzurri che possedeva. Si pulì le labbra con un tovagliolo, assimilando la notizia. «E… e lui lo sa?»
Scossi energicamente la testa.
Le spiegai che lo avevo scoperto quando ancora c’era da affrontare l’udienza finale, così avevo deciso di tenerlo per me fino a quando non fossi stata pronta. C’era stata poi la litigata, le varie incomprensioni e infine il processo. Non avevo avuto modo e occasione di dirglielo, anche perché avevo paura di una sua reazione.
Sofia ascoltò ogni parola, senza intervenire.
Non espresse giudizi, né consigli. Lei attese che finissi il mio racconto e mi supportò con lo sguardo in ogni mio alto e basso. A fine racconto, si prese qualche minuto per elaborare l’importanza della notizia.
«Ti prego, non dirglielo per adesso,» le chiesi come favore personale.
Se c’era una persona che doveva dire a Simone che sarebbe diventato padre, sarei dovuta essere io.
Lei annuì d’accordo.
Alla fine sul suo viso le si allargò un sorriso talmente grande che tornai a provare quel piacevole calore che sentivo ogni volta che vedevo un membro della famiglia Sogno.
«Diventerò zia!» trillò allegra, alzandosi per abbracciarmi. In quel momento parve tutto tornato come a una settimana prima, senza alcuna tempesta né bufera in vista. Si ricompose giusto in tempo per darmi i suoi consigli.
«Ti prometto che non ne parlerò con mio fratello, ma non puoi aspettare molto. Simone, anche se immaturo, rimane comunque il padre e deve avere la possibilità di scegliere.»
Annuii, abbassando la testa.
«Ho paura a dirglielo,» ammisi. Era forse la prima volta che mi esponevo così tanto con un’altra persona, ammettendo le mie debolezze ad alta voce.
«Di cosa?»
«Che possa dirmi di no, che non riesca ad accettare la cosa.»
Sofia rifletté attentamente sulle mie parole. «È una possibilità, certo,» constatò. «Ma devi comunque tentare. Io non posso intercedere per mio fratello, anche perché non si è mai trovato in una situazione del genere, ma so che ti ama Ven, per cui prova!»
La passione con cui la piccola Sogno credeva nel sentimento che c’era tra me e Simone mi commosse. Forse credeva più lei in un nostro riavvicinamento, che io stessa, ma avrei dovuto cambiare punto di vista.
Per rispetto, devi dirglielo. Anche se non lo ha scelto, rimane comunque il padre.
«Devo prima pensare ad un modo per riavvicinarmi,» le dissi, studiando una specie di piano d’azione. Non potevo piombare in casa di Simone per poi scaricargli addosso quel genere di responsabilità, sarebbe stato come metterlo con le spalle al muro.
Sofia concordò. «Prova a telefonargli, almeno cerca di strappargli una parola,» mi consigliò con la voce un po’ incrinata. «Ci sono passata questa mattina e non sta bene.»
Quella notizia mi ferì più di qualsiasi altra cosa, quasi avessi ricevuto un pugno direttamente alla bocca dello stomaco. Fu un forte impatto. Sapere che Simone soffriva, soprattutto per colpa mia, mi faceva sentire ancora più colpevole di averlo trattato in quel modo.
A conti fatti, lasciarlo per mantenere il posto allo studio, ora come ora, sembrava la decisione più stupida ed egoista che avessi mai preso.
Io non lo avrei mai fatto, le parole di Celeste continuavano a rimbombarmi nel cervello.
Nessuna persona sana di mente lo avrebbe fatto.
Eppure adesso non potevo più tornare indietro, ma solo rimediare agli errori commessi in passato. Forse sarebbe stato saggio seguire i consigli di Sofi.
«Mi dispiace davvero tanto, ho rovinato tutto!» sbuffai, rendendomi sempre più conto di aver fatto una cazzata allontanandomi da lui.
Sofia mi guardò comprensiva. Finalmente aveva assunto di nuovo lo sguardo di sempre,  solare e spensierato. «Vedrai che si aggiusterà tutto.»
 
Tornai al mio appartamento che erano le 19.00. La luce del giorno era sparita da un pezzo e i lampioni sparsi per le strade cominciavano ad accendersi uno ad uno.
Tirava un fresco venticello in strada così mi tirai meglio il bavero del trench, aggiustando la sciarpa che avevo indossato quella mattina. Ci mancava solamente che mi ammalassi, non era proprio il caso. Camminai lungo Bayswater Road, osservando gli uccelli che tornavano ai propri nidi, dove molto probabilmente c'erano le loro piccole uova da accudire.
Tra un po' tornerai anche tu al tuo nido, dal tuo piccolo.
Quella associazione di idee mi fece emozionare. Continuai a camminare mentre la notte prendeva il posto di quella giornata, che alla fine dei conti era stata piuttosto profiqua. Mi ero confessata con le mie due migliori amiche, una vecchia e una appena acquistata, e adesso mi sentivo un po' più libera e in pace con me stessa.
Ora devi trovare il modo di parlare con il diretto interessato.
Già, era inutile girari attorno. L'unica persona che doveva sapere, era ancora all'oscuro di tutto e avevo anche fatto promettere che nessuno avrebbe dovuto informarlo se non la sottoscritta. Anche perché sarebbe stato giusto così.
Senza nemmeno accorgermene, arrivai fino al portone del mio appartamento rimanendo piuttosto sorpresa di trovarvi James. Lo vidi all'esterno dell'edificio, con il bavero del cappotto di tweed alzato e le mani affondate nelle tasche. Sembrava pensieroso.
«Ehi, cosa ci fai qui?» gli chiesi, piuttosto sorpresa.
Un sorriso sincero gli illuminò il volto. La sensazione strana provata qualche giorno prima nel suo ufficio tornò a stuzzicarmi. Era come un campanello d'allarme che mi metteva in guardia su qualcosa che stava cambiando.
«Ho pensato di festeggiare, visto che ormai il processo e le sue derivazioni son giunti al termine,» disse, tirando fuori da sotto il cappotto una bottiglia di succo di frutta all'albicocca.
Lo guardai sorpresa. «E vogliamo brindare con un'apricot juice?» ridacchiai.
Gli occhi furbi e ferini di James mi misero i brividi. «Non ci provare Ven, non come da Mr. Wright. Sei incinta e non puoi bere alcolici.»
Annuii, confermando la mia stupidità. «A volte mi dimentico della mia condizione,» confessai, forse un po' ingenuamente. «Dai saliamo, così non ci congeliamo qui fuori.»
Aprii il portone della caratteristica palazzina signorile inglese e feci largo a James. Salimmo le quattro rampe di scale, io personalmente con un po' di fiatone, e raggiungemmo il pianerottolo del mio appartamento. Mi fece strano trovarmi ad invitare un uomo dentro casa, anche se si trattava semplicemente di James. In quell'appartamento ero sempre stata soltanto io, era una sorta di rifugio dalla vita stacanovista che avevo scelto. Sia l'avvocato che Simone c'erano già stati, ma si era trattato di un fortuito caso isolato. Quella era la prima volta che invitavo qualcuno a condividere un piccolo pezzo della mia vita.
«Prego, e non fare caso al disordine.»
Per quanto quella casa potesse essere piccola, la quantità di roba che vi era stipata superava forse gli stessi metri quadri dell'appartamento.
James sorrise. «Perché non hai visto il mio.»
Mi fece piacere sapere quella cosa, soprattutto perché l'avvocato era una figura talmente precisa e professionale che pensavo non potesse avere difetti di qesto genere. Conoscere anche le piccole debolezze degli altri, li rendeva più umani ai miei occhi.
Decidemmo di ordinare una cena a domicilio, cinese per la precisione.
Ormai era consuetudine all'estero cibarsi anche di queste pietanze multietniche e nonostante l'Italia fosse rinomata per la gastronomia, anche lì stavano prendendo piede queste nuove usanze.
«Mia madre non mangerebbe mai una cosa del genere,» constatai, tirando fuori dal cartoncino una manciata di noodles con le bacchette di legno.
L'avvocato afferrò un involtino primavera e se lo infilò per metà in bocca. Era molto buffo in quel momento ed io ne approfittai per lasciarmi andare ad una genuina risata.
Sgranò gli occhi estremamente azzurri. «Che fè?» chiese, mentre tentava di masticare.
«Nulla, è che...» tentai di dire, ma le parole mi morirono tra le labbra.
Assomigli tanto a Simone.
Non ebbi il coraggio di finire quella frase, non ci riuscivo. Fu così naturale per la mia mente fare quel tipo di associazione, che quasi mi meravigliai. Era come se, nonostante tutto quello che era successo, lui facesse ancora parte integrante della mia vita ed io mi sentivo libera di associare ogni aspetto della mia quotidianità a lui. Quasi dividessimo ancora l'appartamento.
James si accorse che il mio umore era cambiato. «Ho fatto qualcosa che ti ha infastidito?» chiese timoroso.
Scossi la testa, cercando di farmi passare gli occhi lucidi. «Semplice associazione di idee,» confessai. «Ormai è quasi impossibile evitare di fare paragoni con Simone. Ogni cosa a cui penso ha lui come punto di riferimento.»
L'avvocato rifletté molto sulle mie parole. «Ti manca molto?»
Annuii. Ormai era impossibile continuare a mentire, oltre che controproducente. «Ho deciso che quando la "bufera" mediatica sarà passata, cercherò di guadagnarmi una possibilità.»
Era una cosa che avevo sempre saputo, ma non avevo avuto il coraggio di ammettere. Amavo Simone, ormai era piuttosto palese, ma ero anche terrorizzata da una sua possibile reazione negativa alla mia condizione.
«Il problema più grande che mi frena è che potrebbe non accettarmi,» confessai, addentando un boccone di pollo alle mandorle.
Nonostante l'argomento piuttosto serio, l'appetito vedo che non ti manca!
Ovvio, sono pur sempre incinta!
Jamie mi diede supporto, come meglio sapeva fare. «E' impossibile che non ti accetti, spaghetti-girl. Sei una ragazza fantastica, solare, dinamica, molto intelligente e anche bella. Non tutte hanno le tue qualità, la tua bellezza e il cervello che ti ritrovi! Come puoi pensare che qualcuno non possa accettarti?!»
Concordo la parte sul Cervello!
Scossi la testa per far smettere di parlare la parte più razionale di me. «Non è per questo,» lo corressi subito. «Credo che non possa accettare il bambino.»
Quella era forse la parte che mi rendeva più insicura e titubante. Dal momento che Simone non aveva mai accettato la condizione della Cloverfield, sin dall'inizio non aveva avuto nulla a che fare con lei, la mia logica mi imponeva di fare gli stessi paragoni con il mio caso.
L'avvocato rifletté molto sulle mie parole. «Hai paura di affrontare tutto questo da sola?» mi chiese ed io annuii.
Ero sicura di volerlo quel bambino, che magari sarei anche stata in grado di lavorare e crescerlo io stessa, senza l'aiuto di nessuno, come avevo sempre fatto, ma nonostante ciò avevo paura.
Vidi negli occhi di James un bagliore che non avevo mai notato in precedenza. Sembravano addirittura più "saggi" e riflessivi di quanto non lo erano mai stati in passato, da quando lo conoscevo. Il giovane avvocato mi aveva sempre trasmesso una certa sicurezza, un qualche tipo di stabilità, ed ora era sempre pronto a dispensare consigli.
Inspirò profondamente, ancora immerso nei suoi pensieri. «Credo che si possa escludere questa possibilità,» disse conciso. «Ma se dovesse verificarsi un evento del genere, sappi che io ci sono sempre.»
Fui felice di quel suo gesto, soprattutto nel darmi sempre supporto. «Ti ringrazio, so che posso sempre contare su di te e su un buon consiglio.»
Eravamo giunti alla fine della cena, James aveva finito ogni sua pietanza e teoricamente avremmo dovuto festeggiare con il succo di albicocca che aveva portato. Quando gli dissi quelle ultime parole, vidi qualcosa cambiare nel suo sguardo.
«Che hai?»
L'avvocato parve quasi dispiaciuto. «Credo tu abbia sottovalutato il genere di aiuto che io voglio darti, Ven,» tentò di spiegare.
Lo guardai ancora più perplessa. Possibile che avessi frainteso cosa voleva dire? Che altro genere di supporto avrebbe potuto propormi?
«Non capisco.»
James si alzò dalla sedia che gli avevo dato, facendo il giro del piccolo appartamento e sedendosi a bordo del grande letto matrimoniale, accanto alla sottoscritta. In quell'esatto istante, provai una stranissima sensazione, quasi se tutto il mio corpo mi stesse suggerendo di stare in guardia.
Mentre all'inizio, James costituiva una specie di "porto sicuro" dove mi rifugiavo e chiedevo consigli, un mentore a cui fare riferimento sia nella vita lavorativa che in quella reale, adesso stava tornando tutto a come quando ci frequentavamo.
Mi prese per mano, facendomi sussultare. «Sai che posso starti accanto e darti un supporto quando ne avrai più bisogno, anche economico.»
Qual era il significato delle sue parole? Per quale motivo mi sembrava d'improvviso tutto così pericoloso, quasi dovessi sentirmi in guardia dalle parole di James?
«Ti ringrazio, ma penso di farcela da sola...»
Tentai di mantenere i toni di amicizia che c'erano tra di noi, senza opportunamente entrare in tutt'altro territorio. Anche se l'avvocato lo stava facendo in buona fede, in amicizia, quella situazione mi stava mettendo a disagio.
«Non sarebbe un problema per me, anzi,» sorrise, sempre osservandomi con quello sguardo strano. «Forse il mio appartamento sembrerebbe meno vuoto con le risate di un bimbo che riecheggiano al suo interno.»
Questo si fa le canne.
Forse il cibo cinese era avariato?
Magari sono i primi segni di salmonellosi.
Ora lo butto fuori di casa.
«Ti senti bene?» gli chiesi, un po' spaventata.
Fu allora che lui serrò meglio la presa sul mio polso, avvicinandosi sempre di più con lo sguardo ferino. «Pensaci Ven, alla fine ci siamo frequentati e siamo molto simili di carattere. Abbiamo le stesse passioni, le stesse ambizioni ed io ti trovo praticamente perfetta. Lo sai che io ci sarei sempre per te e sarei disposto a riconoscere il bambino in caso dovesse finire male con Mr. Sogno.»
Tentai di divincolarmi. «Ma ti senti come parli? Ti sei drogato?»
Lui scosse la testa e tentò ancor più di coinvolgermi. «Venera io ti chiederei di sposarmi, anche domani!»
Okay, questo ha bevuto. Si è fatto un cicchetto prima di venire qui.
Oppure aveva semplicemente dato di matto.
Cercai in tutti i modi di scrollarmelo di dosso, essendo possibilmente poco violenta, ma dal momento che non voleva capire fui costretta ad assestargli un bel ceffone in pieno viso.
Vidi James subire il colpo e rinsavire.
Mi guardò come se fosse appena capitato in quella stanza, senza ricordarsi neppure come ci fosse arrivato. Nei suoi limpidi occhi blu c'era solamente panico. Si alzò subito dal letto e tentò di scusarsi.
«Non so che mi sia preso, mi dispiace,» iniziò, gesticolando nervosamente. «Davvero, perdonami. Ora me ne vado e ti lascio subito, così evito di fare altre cazzate.»
Capii subito che si era trattato di una debolezza del momento.
Compresi anche come poteva essersi sentito. Si vedeva quanto ci tenesse alla sottoscritta, era disposto anche a sposarmi e a riconoscere il bambino pur non avendo alcun legame di parentela con lui, ma questa soluzione non era contemplata.
«Fermati, ti prego,» gli dissi, prima che scappasse via mortificato. Mi avvicinai e gli diedi un forte abbraccio, affondando il viso nella sua camicia di lino profumata. «Ti ringrazio tanto e mi dispiace di non provare gli stessi sentimenti.»
Era evidente che fosse ancora innamorato, magari non aveva mai smesso di esserlo e mi era stato comunque accanto, pur sapendo che mi frequentavo con Simone e addirittura ero rimasta incinta. Era stato un brutto colpo anche per lui.
Lo sentii sospirare. «Dispiace molto anche a me, ma non ho scuse per il mio comportamento di poc'anzi.»
Alzai lo sguardo e gli sorrisi. «Eccesso di frenesia, avvocato.»
Lui ridacchiò. «Hai ragione, come sempre.»
Dopo aver finalmente chiarito quali erano le nostre rispettive posizioni, per quanto apprezzassi il fatto che James ci sarebbe sempre stato per me, lo congedai in modo da poter riflettere su ciò che era appena successo.
Hai rifiutato un porto sicuro.
Ho soltanto seguito ciò che era più giusto da fare, non più conveniente.
Simone doveva sapere cosa mi stava succedendo, dovevo dargli una possibilità di scelta, senza bruciarlo in partenza, ma indipendentemente da ciò che avrebbe deciso, avrei contato solo sulle mie forze. Non ero una che semplicemente sarebbe campata sulle spalle di altri.
Sarei stata comunque fedele ai miei principi.
 
Buongiorno!
Scusate il ritardo - stavolta soltanto di un giorno (eheheheh) - sulla tabella di marcia ma siamo praticamente agli sgoccioli di questa storia. Mancano soltanto pochi capitoli e finalmente vedremo conclusa una delle storie che mi ha impegnata e coinvolta di più di tutti, perché forse la sento più mia e rispecchia la mia ''maturità'' anche come scrittrice.
Spero davvero che soddisfi ogni vostra aspettativa!
Nel frattempo fatemi sapere anche questo capitolo di passaggio come vi sembra. Non vi preoccupate, il prossimo lunedì dovrò essere puntuale, sennò mi punisco con il cilicio v.v

Alla prossima!
Marty

 
   
 
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