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Autore: Edson_Giosa_Coboio    02/09/2015    2 recensioni
Cosa faresti se un giorno scoprissi che il tuo corpo è scrigno di verità sepolte da migliaia di anni, se nel tuo Dna si celasse ciò che ti renderà un grande e potente... Re?
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Bastarono pochi clic, e Per potè ottenere la frase che desiderava scoprire.
“Re dei Normanni”.
Per si guardò il petto nudo, sbalordito, in cerca di risposte, ripetendo ancora una volta la domanda che da ore ed ore gli baluginava in mente.
“Cosa diavolo vuol dire tutto questo?”
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Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- BUENOS AIRES, ARGENTINA, ESTADIO 'LA BOMBONERA' -
 
- 18/07/15, 22:00 -
 
- REX NAZCA -

 
“57395 posti in questo stramaledettissimo stadio, e ci dovevano affibbiare giusto questi, in mezzo ad una combriccola di nemici!!”.
Il signor Ramòn Maria Erazo era ormai una figura storica all’interno del quartiere della Boca. Assiduo frequentatore di diversi locali, era stato scherzosamente soprannominato dalla gente del posto “il quintale e mezzo più burbero di Buenos Aires”, per via della sua imponente stazza fisica e del suo carattere generalmente ridanciano ma allo stesso tempo facilmente irascibile, in particolar modo quando si parlava di calcio e del “suo” Boca Juniors. Dopo anni ed anni di fervente tifo dalla curva, all’inizio dell’ultima stagione si era visto costretto a fare a meno dell’amato abbonamento, per via delle ristrettezze economiche nelle quali versava. Quello però era un giorno speciale per il signor Erazo: compiva infatti cinquant’anni. Non aveva chiesto regali, no: soltanto, una bella partita dal vivo del Boca. Ma quando, arrivato allo stadio, aveva scoperto che il suo posto era incastonato tra due file di tifosi degli avversari di giornata del Quilmes, non ci aveva più visto.
“Ma ditemi voi se è possibile una cosa del genere. Dovrei avere un posto riservato in tribuna d’onore, una saletta vip tutta per me, dopo il tifo e i servigi che ho svolto per questa squadra!”
“Sì certo papà, ha appena chiamato il presidente: dice che sta arrivando lo scultore per la tua statua di fronte all’ingresso”.
“Oh vai al diavolo Jonas! Figlio degenere…“. Jonas era il più grande dei tre figli della famiglia Erazo Ortega: ventidue anni, un tipo solare e sempre pronto alla battuta; era soprannominato “El Flaco”, per via della sua corporatura magra e slanciata (caratteristica comune anche agli altri due fratelli, in netta contrapposizione con le “orme” del padre). Dopo diversi anni nelle giovanili della squadra, un brutto infortunio aveva posto fine alla sua promettente carriera. Era ancora in cerca di lavoro.
Accanto a lui era seduto Sebastian, il più piccolo dei tre fratelli: era l’orgoglio del padre, poiché (neanche a dirlo) era stato reclutato pochi mesi prima dal club del Boca Juniors per un provino, che aveva brillantemente superato.
 “Josè! Smettila di limonare con quel libro e guarda la partita: non ho speso un quarto del mio auto-regalo di compleanno perché tu lo sprechi dietro quelle pagine del cavolo” sbraitò il signor Ramòn, all’indirizzo di un giovane dall’aria sorniona, che era immerso nella sesta rilettura del suo libro preferito, “Harry Potter e i Doni della Morte”. Josè era il fratello di mezzo e, dall’alto dei suoi 18 anni freschi freschi, aveva deciso di fregarsene del mondo. La scuola, le ragazze, le compagnie, le feste, i fatti e gli avvenimenti del suo quartiere e dell’intero mondo non gli interessavano minimamente, tanto per lui erano stati fonte solamente di tristezza e delusione.
L’unico luogo nel quale si sentiva a proprio agio era fra le pagine di un libro, dove poteva sentirsi libero e in pace con sé stesso, ancor di più se il volume in questione faceva parte della saga scritta dalla sua scrittrice preferita, J.K.Rowling. Aveva l’abitudine di immergersi talmente a fondo nelle sue letture che spesso si ritrovava con la faccia a pochi centimetri dalle parole del libro, come stava appunto accadendo adesso. Il calcio per lui non era altro che uno dei principali prodotti globali della società bistrattata che tanto lui non riusciva a sopportare, e pertanto non meritava certo la sua benché minima visione e partecipazione.
“Non rompere, pa’” fu tutto quello che disse.
“Non rompere, pa’? A me?” Le guance paffute del signor Erazo iniziavano ad assuere sfumature sempre più marcatamente rosee. “Dì figliolo, ma per caso ti è andato di volta il cervello? Ti sei dimenticato dei sacrifici che io faccio tutti i giorni per te, per pagarti da mangiare, da vivere, e anche quegli stupidi libri che continui a comprarti? Ci sono migliaia di tuoi coetanei che darebbero non so nemmeno io cosa, per essere dove sei tu adesso, per vedere cosa tu NON stai guardando adesso!”.
“I miei coetanei sono tutti un branco di zotici deficienti, e il calcio è roba per zotici deficienti” fu la secca risposta di Josè, che non alzò nemmeno gli occhi per parlare.
“Cos’hai detto sul calcio? Piccolo incompetente e ingrato…”
“Papà, papà, ripartono in contropiede, dai che raddoppiamo”, lo interruppe il piccolo Sebastian.
Il Boca Juniors, infatti, stava conducendo la gara per 1-o, e adesso l’attaccante dei gialloblu si ritrovava da solo nell’area avversaria. Alzando la testa vide che il portiere avversario gli si era fatto incontro per chiudergli lo specchio della porta, lasciando però scoperta la parte opposta del campo, dove un suo compagno si stava sovrapponendo. Tentò allora di raggiungerlo con un cross, ma la palla rimbalzò sulla caviglia di un difensore che era arrivato di gran corsa per fermare l’offensiva della squadra di casa. Il pallone adesso stava per passare alla sinistra dell’attaccante del Boca, quando questo lo colpì con la gamba destra, facendo passare questa dietro l’altro arto, e dando un effetto “a cucchiaio” al pallone: pallonetto, portiere superato, poff, rete. Venne giù tutto lo stadio. Potente ed unanime si levò il boato della curva del Boca, i tifosi in delirio per quello che avevano appena visto.
“La rabona! Ha segnato di rabona!”, urlava a squarciagola Sebastian. “Tevez! Tevez! Lo sapevo che avrebbe subito segnato! Prendete questo, pivelli: non ci prendete più! Oh, Tevez, Tevez mio…” esultò il signor Erazo, schernendo senza particolare contegno i suoi cari vicini di posto del Quilmes. “Papà, ma che dici? Ha segnato Calleri, mica Tevez. E poi si crede il re dei tifosi…””Oh senti, non rovinare questo momento di giubilo con la tua linguaccia, Jonas. L’importante è cosa è stato segnato: ma dimmi un po’, hai visto Sebastian, eh? Hai visto Josè? Josè?”. L’uomo si era girato a guardare il figlio, e rimase sorpreso da ciò che vide.
Il giovane si era piegato in avanti, con la testa infossata poco sopra le ginocchia e le mani a tenersi le gambe, in preda a piccoli brividi.
“Josè, che ti prende? Sei tutto rosso in viso” sentenziò il padre, tornato per un istante lucido e apprensivo come si dimostrava solo a casa.
“C-cosa? Ah no no, non è niente, solo l’emozione per una rete sensazionale come questa, pa’”
“Sei sicuro di quello che dici, ragazzo mio?”
“Certo papà, va tutto bene, tranquillo”. Il signor Erazo rimase a squadrare il suo secondo figlio per qualche istante, poi proruppe in una delle sue celeberrime fragorose risate:”Lo sapevo! Oh, se lo sapevo! Un vero Erazo non può contenersi quando segna il Boca, no no no” proseguì “è una questione di dna figliolo, d-n-a. Ditemi voi se è possibile non amare dei giocatori del genere, una unione di così grandi e talentuosi... INCOMPETENTI! MA VI SIETE RIMBAMBITI TUTTO A UN COLPO?!”. L’improvvisa sfuriata era frutto del gol appena realizzato dagli avversari, avvenuto grazie ad una dormita colossale della difesa Boca. Il vulcanico omone adesso si trovava alle prese con gli sfottò da parte dei “nemici” posizionati di fronte a lui, troppo occupato per rendersi conto di cosa stava realmente accadendo a suo figlio. Josè nel frattempo era ancora in preda alle convulsioni che lo scuotevano da capo a piedi, gettandolo nell’ansia totale “Cosa diavolo mi sta succedendo? No, un malore adesso no, ti prego, non qua dentro”. Il cuore gli martellava come impazzito, quasi volesse e stesse per uscire dalla gabbia toracica. Cercò di regolare la frequenza dei suoi battiti facendo profondi respiri, con regolarità. Il fastidio parve attenuarsi.
Durò poco.
Iniziò il dolore.
Josè si sentì come strappare le viscere fuori dal petto, una fitta costante, che pareva opera quasi di un pugnale invisibile, che con la lama affilata gli stava lacerando la pelle al di sopra del polmone sinistro. I polmoni gli si svuotarono per un istante, impedendogli di poter gridare il suo strazio. Boccheggiante, in preda al panico e agli spasmi, Josè si levò in piedi e si avviò il più velocemente possibile verso il gate d’uscita più vicino, facendosi largo tra la calca di gente assiepata sugli spalti e sui corridoi. Appena giunto nel corridoio, iniziò a cercare l’insegna dei bagni, salvo poi fermarsi all’improvviso: la fitta si era fatta lancinante, non riusciva nemmeno più a respirare. Sotto la t-shirt nera sentiva l’addome alzarsi e abbassarsi febbrilmente, i muscoli per un istante tutti tesi. Poi, quando pareva che il suo corpo dovesse esplodere, o quantomeno lacerarsi, quell’istante di assoluta agonia terminò ed il dolore si attenuò, lasciando Josè a riprendere fiato, a carponi nel bel mezzo del corridoio illuminato dalla luce fioca di un vecchio e malandato neon. Dopo pochi attimi, che per lui comunque parvero interminabili, il giovane raccolse le sue forze e si rialzò in piedi, controllando che nessuno lo avesse visto cadere in preda a quella sorta di raptus. Fortunatamente i due gol ravvicinati avevano totalmente catalizzato l’attenzione di tutti i presenti quel giorno allo stadio sul rettangolo verde. Josè comunque decise di andare in bagno, per controllare velocemente il suo corpo e per darsi una sciacquata in volto. Arrivato ai servizi igienici dei maschi del secondo piano, si posizionò di fronte al grande specchio che si trovava d fronte a lui. Dopo aver controllato l’eventuale presenza di altre persone lì, in quel maleodorante bagno, si tolse la maglietta nera di dosso. Guardandosi allo specchio, vide il solito ragazzo dagli occhi cerchiati, il naso aquilino, i capelli nerissimi tirati su a suon di gel, le orecchie leggermente a sventola e il colorito olivastro ed il fisico magro che lo rendevano comunque, a suo parere, un individuo di apprezzabile aspetto.
Fu però quando si avvicinò e diede una occhiata ravvicinata al suo petto che lo vide.
Per poco non fece un colpo, e dovette mettersi una mano davanti alla bocca per non lanciare un urlo. Lì, sulla parte superiore  del suo torace, di poco sopra al capezzolo sinistro, vi era un… tatuaggio? No, no, non poteva essere: non vi era traccia di inchiostro o di qualsiasi altro tipo di colore. Le linee sottili erano come… possibile? scavate sul suo corpo. Quello non era un tatuaggio, no: quella era un’incisione.
Ciò che più sconvolse comunque Josè fu ciò che quei segni, grandi pochi centimetri, andavano a comporre.
Una corona.
Una spirale.
Una scritta:
 
 
 
“REX NAZCA”
 
 
 
 
   
 
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