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Autore: Rei_    03/09/2015    4 recensioni
(!) Attenzione! Questa storia parla di bullismo, saranno presenti alcune scene di violenza! (!)
Michele, 27 anni, è appena entrato in un mondo a lui ancora sconosciuto: palazzo Montecitorio.
Lui, giovane insicuro, nasconde un lato fragile causato da un passato buio che vuole dimenticare. A differenza di Nicolò, che invece non ha mai perso nella sua vita e anche nel mondo politico a breve acquisterà una crescente leadership causata dal suo forte carisma naturale.
Due persone di partiti diversi, che inevitabilmente finiranno per scontrarsi, ma se è vero che l'odio è una forma d'amore allora il loro rapporto è destinato presto a cambiare...

Spalancò le braccia nella neve e allargò le gambe. Sarebbe dovuta uscire disegnata la figura di un angelo, ma mentre Michele chiudeva lentamente gli occhi, vinto da quell'insolita stanchezza, pensò che era impossibile che uno come lui potesse essere capace anche lontanamente di assomigliarci.
Perchè gli angeli non finiscono nudi nella neve.
Non vengono chiusi negli sgabuzzini.
Gli angeli sono luminosi, e lui invece era fatto di buio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Un pacchetto di cracker. Un libro da leggere, preso a caso dall'enorme libreria di suo padre, il quale tanto non si sarebbe mai accorto di quella mancanza. I libri di scuola, quei pochi che servivano per non destare alcun sospetto. E, per ultima, una coperta di lana, che aveva piegato e schiacciato per far entrare nello zaino, perché era metà novembre e aveva imparato a sue spese che restare fuori la mattina con addosso solo un paio di jeans e la giacchetta imbottita non era la cosa migliore da fare per non soffrire il freddo.
«Sto uscendo!»
«Ciao Michelì!» lo salutò la madre dalla cucina, come ogni mattina. L'aria fredda invase subito il suo piccolo corpo fin dentro le ossa. Per arrivare più in fretta, Michele iniziò a correre per quelle stradine nascoste che ormai conosceva bene. Aveva imparato con il tempo a evitare le strade principali, dove chiunque poteva vedere dove stava andando, notando quindi che la direzione che aveva preso era quella opposta alla fermata dell'autobus, unico posto in cui un ragazzo con uno zaino in spalla avrebbe dovuto trovarsi a quell'ora del mattino.
Correva radente i muri, con il bavero della giacca tirato su fino al naso e il berretto blu tirato giù fin quasi sugli occhi. Ogni tanto si chiedeva se a correre così tanto sarebbe, prima o poi, diventato veloce e forte come i suoi compagni di scuola, ma la maggior parte delle volte era solo un'illusione che si creava per confortarsi durante la lunga strada che c'era tra casa sua e quel posto nascosto dove, da due settimane a quella parte, trascorreva ogni mattina.
Ogni giorno il timore che qualcuno lo avesse potuto scoprire lo assaliva, terrorizzandolo nel profondo. Non poteva neanche immaginare come avrebbe reagito suo padre se lo avesse saputo. Aveva già fatto una cosa del genere l'anno scorso, per più di un mese. Il suo compagno di banco sapeva falsificare bene le firme, perciò a lui bastava presentarsi a scuola un giorno a settimana con il libretto delle giustificazioni, magari facendo finta di stare male per rendere più credibile la bugia, e il gioco era fatto. Se non che, alla fine aveva rischiato di perdere l'anno, e i professori avevano avuto la brillante idea di chiamare a casa, scoprendo in un attimo la verità. Ma nonostante la rabbia di suo padre, le lacrime di sua madre e la delusione degli insegnanti, non aveva mai rivelato a nessuno il vero motivo di tutte quelle assenze.
Erano passati due mesi dall’inizio della seconda media, ma quel breve tempo gli era bastato per far ricominciare lo stesso incubo di prima. Da quando l'anno scorso lo avevano rinchiuso in quello sgabuzzino, i suoi compagni avevano imparato bene quali erano i mezzi migliori per fargli paura. A confronto dell’ansia provocata da quel ricordo, il resto non gli sembrava così spaventoso, neanche le botte che avrebbe preso da suo padre se lo avesse scoperto.
Forse solo sua madre era riuscita ad accorgersi di quanto quel trauma fosse ancora forte. Ogni sera la notava, sotto le palpebre semichiuse, mentre veniva nella sua camera e controllava che la finestra fosse aperta anche solo di poco e che la luce filtrasse da qualche parte. Era una cosa che lui faceva già prima di andare a dormire, ma che spesso suo fratello maggiore non considerava quando rientrava tardi la notte e chiudeva sia la porta che le persiane, lasciando la stanza nel buio totale.
Arrivò nel suo rifugio segreto solo dopo trenta minuti di corsa intensa, alternata a camminate stanche. Con il fiato corto salì i gradini di quell'ultima stradina fino ad arrivare ad un piccolo parco. Era talmente lontano e nascosto che nessuno ci passava mai, tranne di sera qualche adolescente per fumare di nascosto e bere alcolici, come testimoniavano le diverse bottiglie di vetro che ingombravano i cestini. Intorno al parco c'erano pochi alberi rinsecchiti per il freddo, e in lontananza si vedeva tutta la campagna. D'estate era meraviglioso venire lì all'alba e vedere il sole sorgere dietro le colline, illuminando a poco a poco gli ulivi.
Michele si lasciò cadere su una delle panchine, mettendosi la coperta sulle ginocchia. In quel momento non sentiva freddo, perché la corsa lo aveva fatto sudare abbastanza, ma sapeva che quel calore non sarebbe durato più di qualche minuto.
Tirò fuori dallo zaino quaderni e libri, decidendo di dare un'occhiata prima agli esercizi di matematica. Se doveva restare assente da scuola per un po' avrebbe dovuto comunque mantenere alti i voti presentandosi di tanto in tanto per le verifiche, in modo che i suoi genitori non sospettassero niente. E poi, non aveva alcuna intenzione di perdere l'anno solo perché non riusciva a sconfiggere le sue paure. Le ore passarono abbastanza in fretta. A metà mattina ricacciò nello zaino i libri di scuola e tirò fuori il libro che aveva preso a casa.
Aveva sempre amato leggere. Tutte quelle parole gli facevano venire in mente tanti pensieri che gli rendevano più piacevole il viaggio di ritorno verso casa sua, come se al posto delle gambe gli fossero cresciute delle ali di cui solo lui potesse apprezzarne la bellezza.
Al ritorno non correva mai. Preferiva camminare lentamente, gustandosi gli odori che provenivano dalle case intorno, dove tante madri cucinavano il pranzo ai figli che stavano per tornare da scuola. A volte si domandava se in una di quelle case abitasse un ragazzo come lui. Uno che al posto di andare a scuola passava le mattine a leggere in un parco sperduto e poi, al ritorno, mentiva ai suoi genitori, falsificando le giustifiche. La risposta a quel dubbio era sempre la stessa: se anche ci fosse stato, quel ragazzo, lui non l'avrebbe mai conosciuto.
Quando aprì la porta di casa, il profumo della carne gli invase nelle narici e gli fece subito brontolare lo stomaco dalla fame. Trovò sua madre sulla soglia della cucina, in piedi, ma quando notò l'espressione che aveva dipinta in volto, ogni pensiero piacevole svanì dalla sua mente.
Forse non capì subito. Forse capì solo qualche secondo dopo, quando lei scosse la testa, sussurrando qualcosa come: «Michè, cosa m’hai combinato…»
O magari fu la faccia di suo padre, che fece capolino dal salotto poco dopo, a fargli perdere l'ultima speranza di avere mal interpretato quelle parole.
A quel punto avrebbe solo voluto scappare. Poteva farcela, era ancora vicino all'ingresso di casa. Poteva correre, forse avrebbe corso più velocemente di suo padre e si sarebbe potuto nascondere da qualche parte.
 
Ma poteva davvero? E poi cos’avrebbe fatto?
Fu la paura a immobilizzarlo mentre una mano grande lo afferrava, sollevandolo, e l'altra lo schiaffeggiava ripetutamente.
Lo zaino che teneva in mano fu il primo a cadere per terra con un tonfo sordo. Poi cadde il berretto, poi ancora il sangue.
Le orecchie gli fischiavano così forte che non sentì niente, né le grida arrabbiate del padre, né quelle disperate della madre. Tutti i suoi sforzi erano concentrati sui suoi occhi. Non doveva piangere.
Questa volta no.
Ma era successo tutto fin troppo in fretta per prepararsi anche quell'autodifesa. Insieme al sangue, del naso e della bocca iniziarono a cadere le lacrime, spazzate via dai violenti colpi della mano aperta sulle guance.
Quando l'uomo lo lasciò a terra, la testa gli vorticava fortissimo e gli occhi erano diventati così gonfi che a malapena riusciva a vedere.
Sua madre cercò di avvicinarsi a lui, ma l'uomo glielo impedì. Poi Michele sentì un colpo allo stomaco e rotolò sul pavimento, sputando della saliva e annaspando per l'aria che d'un tratto era venuta a mancare.
Era finito per terra, raggomitolato e piangente.
“Ti odio”
Doveva gridarlo, non pensarlo, maledizione!
«Ti odio!»
«Cos’hai detto?»
«TI ODIO!»
Il calcio dopo gli arrivò in faccia. La bocca si riempì di altro sangue. Doveva rialzarsi. Doveva fare qualcosa.
Almeno avrebbe urlato, sì, glielo avrebbe urlato in faccia…
 
 
«Ti odio...»
Si accorse di avere gli occhi umidi solo mentre li riapriva lentamente, realizzando in fretta che quella camera era troppo grande per essere quella dove aveva abitato per vent'anni, e che anche il suo corpo, nonostante non fosse cresciuto molto, non era quello del dodicenne dentro cui si trovava fino a un momento fa.
Altrettanto velocemente si accorse che la cosa che lo aveva svegliato era lo squillo acuto del cellulare sul suo comodino.
Lo prese in mano d'istinto, senza neanche guardare il mittente della chiamata.
«Pronto…?»
«Michele?»
Quella voce familiare non era calma come da sempre era abituato a sentirla. Dietro di essa si sentivano altre voci, meno riconoscibili, ma tutte concitate.
«Arturo?»
«Oh, finalmente! Ma dov’eri sparito? Forza, vieni subito qui!» Michele capì subito che qualcosa non andava. La sua voce era allegra, fin troppo per Arturo, che era sempre stato una persona di un certo contegno.
«Che sta succedendo?»
«L'abbiamo bloccata! La legge! Abbiamo iniziato a votare gli emendamenti del Fronte, la maggioranza è andata sotto, e poi l'hanno ritirata!»
Al microfono riecheggiò la voce di un altro deputato che Michele conosceva bene.
«Miché! Ma che stai facendo? Vieni qui, muoviti, siamo tutti al bar di fronte a festeggiare!»
«Ma… cosa…»
Il giovane deputato rimase immobile. La sua mente iniziò ad afferrare qualcosa.
«Sto arrivando».
Si scaraventò giù dal letto, cercando degli abiti decenti, la sua giacca e le scarpe. Corse fuori di casa in un lampo, senza nemmeno guardarsi allo specchio. Probabilmente aveva un aspetto orribile, ma non era importante.
Il taxi arrivò quasi subito. Durante il viaggio riuscì a notare tutte le notifiche di chiamata e di messaggi concitati a cui non aveva risposto.
 
Scese nella piazza di fronte al palazzo e andò alla ricerca del bar. Non ci volle molto tempo per identificarlo: era affollato di tanti deputati che conosceva, tutti della sua corrente. Entrò dentro al locale, e la prima cosa che gli apparì davanti fu la testa bionda e la camicia sgargiante di Thomas.
«Eccoti qui, finalmente! Ma dov'eri sparito? Vabbè, lascia perdere, prendi da bere!»
Prima che potesse opporsi o dire qualcosa si trovò in mano un bicchiere da prosecco. Dentro il piccolo bar, il brusio delle tante voci era così forte da coprire del tutto la musica di sottofondo.
«Beh, sei riuscito a stupirmi» Arturo comparve dietro di lui, «proprio non mi aspettavo che tu affrontassi Pasqui faccia a faccia. Hai avuto un gran fegato.»
«Ma come…?»
«Delle grandi palle, Arturo! Questa è la definizione migliore!» aggiunse Thomas, più sorridente che mai, «e Michele, non penserai davvero che ciò che fai all’interno dei corridoi sia privato, vero?
L’hanno saputo tutti, portinai compresi!»
Michele sospirò, arrossendo per la vergogna di essere stato così ingenuo da pensare che nessuno lo sapesse.
«Ma… insomma, avete convinto Pasqui?»
«Non abbiamo convinto proprio nessuno!» Thomas gonfiò il petto con orgoglio, «dopo il voto sul primo articolo, abbiamo votato insieme alle opposizioni qualche emendamento. La maggioranza è andata sotto, e fuori i giornalisti stavano iniziando a sbavare per i titoloni. Il nostro Pasqui è una testa dura, ma è anche una testa intelligente. Ha capito che la cosa migliore da fare era evitare il casino, così ha convocato la riunione dei capigruppo per rimandare la discussione della legge a data da destinarsi, quando il polverone si sarà abbassato. E questo è quanto».
Sorrise. Michele, rintontito dalla stanchezza, confuso dal sogno e sconvolto dagli ultimi sviluppi, riuscì solo a fissare il suo compagno con aria sperduta. Non se lo aspettava, soprattutto dopo che Thomas si era mostrato così rassegnato nel combattere quella legge.
In qualche strano modo, avevano vinto la battaglia.
 
E la cosa più sconvolgente era che, stavolta, c’era anche lui dalla parte dei vincitori.
 
 
*
 
 
«Ti prego, dai, raccontala un’altra volta!»
Il capogruppo del Fronte scoppiò di nuovo a ridere, proprio mentre stava inspirando dalla sigaretta, provocandosi un attacco di tosse compulsiva. Era almeno la quinta volta che raccontava la reazione di Pasqui ai suoi colleghi, ma ancora non era riuscito a dirla tutta senza ridere.
«Allora!» si schiarì la voce, «eravamo tutti seduti al tavolo, mancava solo il capogruppo di SD. Ci stanno quelli del NPP che bisbigliano tra loro: “dove diavolo è Pasqui, perché non si muove!”»
I colleghi risero, e Nicolò si gustò la pausa ad effetto.
«Ed eccolo che entra, finalmente! Non guarda in faccia nessuno, sbatte la porta e va a sedersi. Rigido come se avesse una scopa in culo».
Imitò la postura e lo sguardo severo, causando altre risate isteriche.
«Propongo di rimandare la discussione della legge, dice. Chi vota a favore? Quelli della mafioranza alzano tutti la mano, erano già d’accordo prima. A quel punto io alzo un dito. Andreani, lei è a favore? Mi chiede la presidente. No, rispondo, volevo solo oppormi a questa decisione. Questa legge è molto utile per il Paese, non riesco a capire perché dovremmo fermarci a questo punto. Allora Pasqui si gira verso di me…»
Imitò lo sguardo corrucciato del capogruppo di SD e tutti risero a crepapelle, tanto che Nicolò non poté terminare di nuovo il racconto. Non si era mai divertito tanto in tutta la sua vita, considerando che erano giorni che non dormiva. Ma questa era la prima battaglia vinta del suo partito. Non poteva essere più felice di così, e lo sarebbe stato anche senza l’immagine esilarante della faccia di Pasqui.

 
Era ormai notte fonda. I deputati del Fronte erano fuori dal bar a fumare e bere, mentre dentro vi erano alcuni di Sinistra Democratica, quelli che avevano iniziato a votare contro le indicazioni ufficiali del gruppo. L’alcool aveva fatto il suo degno effetto e Nicolò rideva, chiacchierava e fumava, libero da qualsiasi preoccupazione.
«E allora!» salutò un uomo che stava uscendo dal bar, riconoscendolo velocemente dalla statura, «che dici? Ce le avete avute le palle, alla fine!»
L’onorevole Martino sorrise e annuì, rilassato ma imbarazzato. Era completamente avvolto da giaccone e sciarpa, con le mani dentro le tasche e il viso rosso, leggermente alticcio.
Si fermò a scambiare due parole con la cerchia del Fronte, poi chiamò un taxi e restò in silenzio ad aspettare, appoggiato alla parete. Nicolò lo raggiunse, accendendosi una sigaretta vicino a lui.
«Devo ammetterlo, non me l’aspettavo proprio da te» gli disse, solo vagamente cosciente della sua attuale parlata poco sobria, «dì un po’, è vero che sei andato da Pasqui da solo e gliene hai cantate quattro?»
Il giovane deputato abbassò lo sguardo, nascondendo un mezzo sorriso d’orgoglio.
«Sì, ma non è servito a concluderci qualcosa. Ha fatto tutto Thomas».
«Beh, forse ti sbagli» esclamò Nico, «mi sembra che sia stato proprio da quell’episodio a spingere i tuoi compagni a votare contro. Anche se non l’hai convinto sei stato coraggioso, e a volte il coraggio di un singolo uomo può smuovere una massa intera!»
Michele lo fissò stranito, e Nicolò si rese conto che il livello di alcool nel suo cervello aveva già impedito ogni filtro tra la testa e la bocca.
«Beh, immagino che tu questo lo sappia bene» rispose lui, accennando un sorriso.
Nicolò tirò dalla sigaretta, sentendo un moto di orgoglio sproporzionato rispetto al modesto complimento sottinteso. Con due cocktail, tre birre e diversi bicchieri di vino in corpo, gli episodi antichi e recenti della sua vita erano molto più vividi nella sua testa, e riaffioravano in ordine scomposto, tra cui quello ancora vivo del loro incontro sulle scale.
«Senti, mi dispiace davvero tanto per quello schiaffo. Cioè, lo so che mi sono già scusato, ma davvero non sai quanto mi sono sentito una merda. Io credo che una persona il rispetto debba meritarselo, perciò delle volte posso mancare di rispetto se penso che qualcuno non se lo meriti, ma non ho mai fatto del male a nessuno. Cioè…»
Ripensò a tutte le risse della gioventù, accorgendosi che non era del tutto vero.
«Cioè, non ho mai davvero alzato le mani su qualcuno come ho fatto con te, e mi dispiace davvero, perché in fin dei conti, in certe occasioni tipo queste siamo dalla stessa parte. E vista com’è andata oggi potremmo provare ad avere dei rapporti civili e magari collaborare, se c’è occasione. Che ne dici?»
In quel momento, senza un apparente motivo, quella risposta gli sembrava di importanza vitale e fissò l’altro con un autentico speranzoso sguardo di rimorso.
Michele gli allungò la mano destra.
«Perché no?»
Nicolò la strinse energicamente.
Il taxi si portò via il deputato di SD e Nicolò tornò dai suoi compagni, finalmente libero anche da quel peso.
   
 
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