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Autore: Akilendra    04/09/2015    3 recensioni
"Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?
Non si può.
Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.
Loro erano vivi. Malati di amore, ma vivi."
Questa è la storia di due parabatai: iniziata a scrivere quando avrei tanto voluto leggerla, interrotta quando ho saputo che c'era e che sarebbe uscita, completata nell'attesa dell'unica ed originale scritta dalle ben più degne mani di Cassandra Clare.
Questa è la storia di Ben e Lena.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un grazie grande così a principessac e a Grace0191 per aver recensito lo scorso capitolo, questo è per voi... :) 






25. Ad occhi aperti

I want so much to open your eyes 
Cause I need you to look into mine 
Tell me that you'll open your eyes
(Snow patrol ~ Open your eyes)



Magnus era chino sul corpo di uno Shadowhunters quando un'esplosione di luce lo costrinse ad alzarsi. La prima cosa che pensò quando lo shock iniziale si dissipò, fu che non aveva mai visto niente del genere.

Distolse le mani dal viso con cautela, gli occhi che ancora bruciavano per l'intensità con cui erano stati serrati. Poi vide.
- Per Lilith... - Qualcosa si muoveva sul pavimento, qualcuno. Il cacciatore che fino ad un attimo prima sembrava spacciato si alzò lentamente, si guardò intorno: un po' spaesato, un po' confuso. Il suo sguardo si posò sullo stregone.
- Che diavolo ci fai in casa mia? - chiese sinceramente sorpreso. Non fece in tempo ad aggiungere nient'altro che Magnus non era già più lì.
Uscì dalla casa senza proferire parola, persino le imprecazioni contro l'ingratitudine dei Nephilim gli rimasero incastrate in gola. Con suo grande stupore guardò gli abitanti di Alicante riversarsi un po' alla volta per le strade e, mano a mano che si svegliavano, anche la città magica ricominciò a prendere vita. Mossi da chissà quale impulso, si guardavano intorno spaesati ma alla fine tutti camminavano nella stessa direzione. Chi correva, chi andava avanti con passi incerti, chi ciondolava ancora parecchio stordito dalla lunga incoscienza. Magnus si mischiò un po' incerto alla folla di Nephilim, ne spostò alcuni, ne strattonò altri, a tutti chiese cosa stesse succedendo, da nessuno ebbe risposta. Continuavano a camminare senza rivolgergli la parola, senza prestargli più attenzione di quella che avrebbero riservato ad un moscerino che per caso si era imbattuto sulla loro strada. Lo stregone continuò a sgomitare per indovinare cosa stesse accadendo senza ottenere grandi risultati. Alla fine si rese conto che, anche se si fosse letteralmente arrampicato su quelle persone, loro non solo non lo avrebbero degnato di un solo sguardo, ma non avrebbero neanche smesso di marciare verso il loro obiettivo. Così risoluto saltò appoggiandosi alle spalle di un cacciatore parecchio robusto. Oltre le teste, riuscì a scorgere un grande spazio: al centro il sole rifletteva un bronzeo luccichio che gli fece immediatamente riconoscere la statua di Raziel al centro della Piazza dell'Angelo. Oltre gli Shadohunters spiccava una figura, era inginocchiata proprio ai piedi della statua. Il cuore da stregone di Magnus raddoppiò i battiti ed un presentimento incredibilmente umano riverberò nel suo petto.
Si fece largo tra la folla senza aver cura di essere gentile e quando scostò anche l'ultimo Nephilim si bloccò di scatto davanti ad una scena che aveva sgomitato per poter vedere, ma che ora non voleva guardare.
Al centro della piazza un cacciatore era chino su un corpo, i capelli impiastrati di icore gli cadevano sul volto, i brandelli dell'uniforme sventolavano come nere bandiere mossi dal leggero vento che si stava alzando. Con le mani sporche di sangue posava carezze tremanti sul viso della donna sotto di lui, il suo corpo era scosso da singhiozzi silenziosi. Magnus lo riconobbe quando alzò di scatto il viso nonostante i tratti distorti dal dolore.
Era Ben.
E quando la sua gola scagliò verso il cielo un grido disumano, era la sua voce.
Così come era Lena il corpo senza vita che stringeva fra le braccia.



* * *

Magnus aveva sempre trovato qualcosa di profondamente inquietante nel gusto estetico dei Nephilim, le loro scelte in fatto di arredamento in particolare potevano risultare agghiaccianti, alle volte. Trasudava disappunto mentre a braccia incrociate fissava la carta da parati dell'Istituto di San Francisco. Scorreva con lo sguardo le cruente scene di combattimento messe in bella mostra sul muro chiedendosi come facessero a non accorgersi che fossero tanto antiestetiche nonché vagamente grottesche. Gli occhi saltavano da una all'altra analizzandole e cercando ogni particolare a cui la sua mente potesse appigliarsi, con cui potesse distrarsi.
Per non vedere nient'altro, per non pensare a nient'altro.
Fissava il muro da quattordici giorni, sette ore e cinquantasei minuti. Ogni tanto gli occhi si chiudevano, ma quando si riaprivano tornavano al loro lavoro.

Sfilava per l'Istituto ogni sorta di creatura del Mondo Invisibile e lui, non ne vedeva nessuna.
Erano tutti arrivati per lei. C'erano voluti solo un paio di giorni perché la storia di Ben e Lena si spargesse per il Mondo Invisibile e da allora continuavano ad arrivare, ad un ritmo costante, creature che volevano vederla. C'erano lupi, streghe, Nephilim, vampiri e perfino qualche membro della corte fatata. Non era chiaro cosa in particolare nella storia di quei due giovani cacciatori avesse toccato le corde dei loro animi, ma l'intero Istituto era assediato da gente che voleva semplicemente mostrare la propria solidarietà.
All'inizio avevano interamente occupato il corridoio, bloccando il passaggio ed oscurando a Magnus la vista della carta da parati, poi, con il passare dei giorni, il numero si era dimezzato ed ora solo pochi ostinati continuavano a vegliare davanti alla stanza di Lena.
Ciò che faceva desistere più di ogni altra cosa e mieteva rinunciatari, a dispetto della stanchezza, era Ben. Sembrava che l'unica cosa che sapesse fare fosse camminare avanti ed indietro soffiando come un toro. La moquette sul pavimento ormai consumata dal suo passo smanioso.
Magnus doveva ammettere, suo malgrado, che quei pochi rimasti fossero dotati di un instancabile determinazione e di un certo coraggio.
Al suo passaggio si scansavano tutti e chi era troppo lento o troppo distratto veniva subito rimesso in riga da un suo ruggito e si faceva frettolosamente da parte.
Un leone in gabbia, ecco cosa sei.
Non mangiava e gli zigomi che sporgevano pericolosamente dal viso ne denunciavano la salute precaria, i vestiti gli penzolavano sul corpo sciatti e sporchi, eppure si rifiutava di cambiarli, si rifiutava di farsi un bagno, di poggiarsi su un letto e passare qualche ora di sonno come si deve. A detta di tutti non dormiva e persino gli occhi attenti di Magnus non erano riusciti a coglierlo assopito, nemmeno un attimo, e per quanto sapeva che fosse umanamente impossibile, sapeva anche che Ben non si sarebbe certo piegato ai limiti umani quando si trattava di Lena.
Non avvertiva la fame, né il sonno, non sentiva il bisogno di scambiare qualche parola con nessuno, né di piangere. Non aveva pianto quando i Fratelli Silenti avevano detto che il cuore di Lena si era fermato, quando si erano chiusi dentro la camera con lei per cercare di compiere il miracolo, non aveva pianto nemmeno quando gli avevano proibito di entrare, né quando aveva rotto a spallate la porta della sua stanza senza riuscire a vederla ed il giorno dopo aveva trovato l'uscio richiuso da un'altra.
No, non aveva pianto. Persino le lacrime sembravano un inutile spreco, provare qualsiasi tipo di emozione sembrava un inutile spreco. Vivere, ora che il destino aveva messo in pausa la vita di Lena, era nient'altro che uno spreco.

- Smettila! - L'urlo arrivò forte e chiaro e fece vibrare l'aria stantia del corridoio. Lo avvertirono tutti, tranne colui a cui era rivolto. Ben, un corpo che si muoveva ormai per inerzia, continuò il suo percorso.
Avanti, indietro. Avanti, indietro. Avanti...
- Basta così! - Una mano si poggiò con forza sul suo petto artigliando i vestiti sudici e un'irritata Grace apparve all'improvviso nel campo visivo del ragazzo. Ben era sicuro di non aver mai visto quello sguardo sul volto della zia, era sicuro che i suoi occhi non possedessero per alcuna ragione uno sguardo simile.
Rabbia. Frustrazione. Paura. Dolore.
E all'improvviso capì che non poteva avere la presunzione di essere l'unico a soffrire. 
- Smettila di annientarti, bambino mio - Il corpo minuto di Grace circondò il suo inerme, consumato dall'attesa e lui si afflosciò come un fantoccio di pezza tra le sue braccia. Permise alle sue mani di accarezzargli il volto, e sentì sulle guance ispide per la barba la pelle liscia e rassicurante di chi non ha mai impugnato un'arma.
Molti altri si unirono a quell'abbraccio: tanti erano familiari, alcuni erano nuovi, tutti erano lì per lui. 

Dopo quattordici giorni, otto ore e dodici minuti, Magnus trovò qualcosa di meglio da fare che fissare la carta da parati.
La voce atona di un fratello silente entrò nelle menti di tutti quando nessuno se lo aspettava più e gettò l'intero Istituto nel più profondo caos.
Ognuno reagì come si sentiva di fare: c'era chi era rimasto in silenzio, appoggiato alla parete per poter reggere il peso della notizia, altri avevano sentito il bisogno di ripetere ciò che avevano appena udito, come se dirlo lo rendesse ancora più vero. E per ognuno che gridava in una lingua ce n'era uno che bisbigliava in un'altra. Infiniti modi di dire la stessa cosa. 
E poi c'era Ben. 
C'era Ben che correva come un proiettile, che scansava la gente, che si scrollava di dosso le braccia di chi cercava di trattenerlo. C'era Ben che entrava dalla porta, ma solo perché qualcuno si era preso la briga di aprirla, altrimenti l'avrebbe buttata di nuovo giù quella dannata porta, l'avrebbe sfondata fino a rompersi entrambe le spalle. C'era Ben che dopo tanta furia si fermava di botto, immobile sulla soglia come una statua di cera che sta per sciogliersi.
E c'era Lena.
Che aveva aperto gli occhi e lo aveva visto in piedi, troppo lontano. Lena che si era sbracciata tra le lenzuola bianche quanto la sua pelle. C'era Lena, il corpo proteso verso di lui e c'era Ben, i piedi che mangiavano quei pochi, eppure troppi, metri che li dividevano.
C'erano Ben e Lena, i respiri corti di chi ha trattenuto troppo a lungo il fiato ed ora ritorna a respirare, i battiti impazziti di due cuori sincronizzati.
E le "parole" dei Fratelli Silenti cadevano nel vuoto.
Non avvicinarti troppo.
I loro avvertimenti e le loro raccomandazioni erano inutili.
È ancora debole.
Perché le loro menti erano sorde a tutto ciò che non fosse l'altro.
Chissà quanti germi hai addosso. Non toccarla.
La toccò.
Le farai...
E quel contatto fece bene e fece...
...male.


Passarono la notte abbracciati e nessuno si azzardò anche solo a pensare di impedirglielo. Lena, ancora molto provata, si era assopita subito e Ben la teneva in un abbraccio delicato, il timore reverenziale di farle del male.
I Fratelli Silenti, prima di lasciarli da soli, avevano chiesto di parlare con lui, ma si era rifiutato di staccarsi da Lena e aveva risposto che se volevano parlargli lo avrebbero fatto lì.
Così ora si ritrovava a parlare, tra pensieri e parole, con uno di loro e i suoi ricordi si mescolavano alle spiegazioni del Fratelli su quanto era accaduto in quei giorni. Lì ad Idris, al centro della piazza dell'Angelo, sotto la statua di Raziel, il cuore di Lena aveva smesso di battere e Ben, anche se non era mai stato un asso in biologia, era ugualmente riuscito a capire che qualcosa dentro di lei non stava funzionando come avrebbe dovuto. Quando erano arrivati all'Istituto Lena per Ben era morta. Morta. Il suo petto non si alzava e non si abbassava, il polso era freddo ed immobile, gli occhi rimanevano chiusi. I Fratelli erano accorsi subito a seguito della chiamata di Magnus, li avevano separati a forza e si erano chiusi in quella dannata camera con Lena. Poco dopo era scoppiato il finimondo. Il corpo di Lena, completamente immobile fino a qualche minuto prima, era improvvisamente scosso da spasmi disumani. Ogni fibra del suo corpo era impegnata in una furiosa battaglia, ma il nemico che cercava di sconfiggere era invisibile agli occhi di tutti. Provare a tracciare rune sulla sua pelle era come provare a scrivere sull'acqua, ogni rimedio che si ingegnavano a trovare veniva vanificato in pochi secondi. I suoi polmoni si contraevano nella disperata ricerca di aria, il cuore sembrava impazzito. Aveva ripreso a battere, ma ad intermittenze incredibili, un'aritmia che era frenesia allo stato puro un secondo prima ed immobile silenzio un attimo dopo.
Lena non c'era, c'erano lunghi intervalli di tempo in cui il suo cuore cessava di battere e Lena era, secondo ogni principio logico, morta.
Infatti non era Lena che si dimenava, che strappava le lenzuola, che artigliava il muro fino a farsi sanguinare le unghie.

Il suo corpo...ma non Lena. Capisci, Benjamin?
La figura incappucciata parlava alla sua mente già da qualche minuto, ma Ben non capiva.
Cos'è successo esattamente ad Idris?
Davvero, Ben non capiva. 
C'è qualcos'altro che dovremmo sapere?
C'era qualcosa? Lena aveva preso in mano la pietra, l'aveva guardata per un tempo che gli era parso infinito, in quel tempo Ben l'aveva chiamata, aveva urlato il suo nome, ma lei non sembrava in grado di sentire niente. E poi aveva detto quelle parole: "Questa non è la pietra runica", ma la stringeva in mano, era lì. Un secondo dopo c'era stata l'esplosione di luce e Ben aveva avuto quella strana sensazione di essere risucchiato più che spinto lontano, era inciampato in avanti.
Gli disse tutto.
Dopo? Dopo non ti sei accorto di cosa fosse accaduto?
Ma cosa diavolo pensava? Che gli stesse nascondendo qualcosa? Che non gli avesse detto tutto? Ben era confuso quanto lui e voleva capire cosa era successo, quanto lui, anzi di più. 
- Dopo? Nessun dopo. Quando ho riaperto gli occhi ho visto solo Lena - Vedi sempre solo Lena - Era a terra, non rispondeva, la scuotevo e non si alzava. Di cos'altro avrei dovuto accorgermi? - Si sforzò di non alzare la voce, perché lei dormiva beata fra le sue braccia, non voleva svegliarla. Voleva solo che la smettesse di fare domande, che se ne andasse come avevano fatto i suoi compagni e li lasciasse un po' in pace. Sapeva che in quei giorni lui e gli altri Fratelli non avevano fatto altro che prendersi cura di lei e per questo gli sarebbe stato grato per sempre. Ora però, voleva solo che li lasciassero soli. 
Dov'era il demone?
- Ignis? Per l'Angelo, era lì, poi c'è stata l'esplosione, tutto era luce e Lena... - 
Dopo l'esplosione, dov'era?
- Non c'era. C'era solo... - E non finì la frase, le braccia che istintivamente si strinsero di più al corpo di lei. Era così calda contro di lui, il suo respiro gli soffiava sulla maglietta sudicia, il petto spingeva contro il suo e sotto gli strati di pelle e vestiti il cuore batteva. Ci mise una mano sopra, lo sentiva.
- No... - 
Chi c'era, Benjamin?
Si alzò di scatto, sollevandola di peso e portandola con sé, come se dovesse essere pronto a scappare da un momento all'altro.
- Lena. C'era solo Lena - disse con un filo di voce e subito rise delle sue stesse parole. Scosse la testa.
- No che non c'era solo Lena - parlò quasi a se stesso.
Ecco contro cosa combatteva il suo corpo, contro chi. Ecco chi era che le mozzava il respiro, che le soffocava il cuore, che le chiudeva gli occhi. La battaglia contro Ignis non era finita e Ben non se ne era nemmeno accorto. Aveva lasciato Lena a combattere da sola e si odiava per questo. Si odiava ed in quei giorni si era martoriato, aveva cercato ogni modo per distruggersi, massacrarsi, aveva cercato di provare almeno un decimo di quello che stava passando Lena. Perché ora non la sentiva più, il dolore di lei non era più il suo dolore, le sue sensazioni erano estranee e la sua mente era un luogo ermeticamente chiuso per lui. Inaccessibile, inarrivabile. Lena era inaccessibile ed inarrivabile. Lena non era più la sua parabatai.

Capisci, Benjamin?
No. No. No, per l'Angelo, no. No che non capiva. 
La Pietra Runica appartiene dall'alba dei tempi alla famiglia dei Silverkey, fu un omaggio di Jonathan Shadowhunter. Sono sempre stati una famiglia particolare, che godeva della riconoscenza di tutt...
- Ehm... La prego potremmo saltare la lezione di storia ed arrivare al dunque? - Ben era convinto che, sotto il cappuccio, il Fratello Silente gli avesse appena fatto una smorfia. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di fin troppo umano in lui.
In realtà il vero potere della pietra non è la pietra.
- Fratello... La prego, gli indovinelli no - I suoi nervi già molto provati cominciavano a non poterne più.
Si tratta dell'incantesimo con il quale è stata legata. Magia potente, antica, angelica. Il punto è che non è stata compiuta sulla pietra.
Certi ingranaggi cominciarono a muoversi nella testa di Ben.
Il potere della Pietra Runica è in ogni Silverkey, nel loro sangue per la precisione. 
- Cos'ha il loro sangue? - 
È quasi completamente angelico.
Gli stava dicendo che Lena era un angelo? Guardò quel corpo raggomitolato che cullava tra le sue braccia. Non ci voleva certo un Fratello Silente per dirlo, lui c'era arrivato da tempo.
Devi amarla molto...
Nel suo tono ora c'era qualcosa di profondamente diverso.
- Sai... Dicono che voi Fratelli, quando ricevete i marchi, vi dimentichiate della vostra vita precedente e con essa di tutte le sensazioni umane. Ma tu parli come se te lo ricordassi bene cosa vuol dire amare una persona... - 
Un tempo ho amato una donna con tutto me stesso.
Fu l'input che spinse Ben a guardarlo in modo diverso e la conferma che non era affatto come qualsiasi altro Fratello Silente.
- E non l'hai dimenticata - parlò, come lui non poteva fare.
No, non la dimenticherei neanche tra un milione di anni.
Trovò che quello fosse un punto che avevano maledettamente in comune.
- Già, certe persone semplicemente non si dimenticano - Il silenzio fu il miglior assenso.
- Mi sa che sotto quel cappuccio ci somigliamo più di quanto pensassi - Il cappuccio in questione ondeggiò leggermente. Forse fu una sua suggestione, ma Ben era convinto di aver sentito una risata riecheggiare nella sua mente.
Non molto, credo... Però somigli al mio parabatai.
- Hai un parabatai? - 
Avevo.
A Ben si gelò il sangue nelle vene.
- Capisco... -
Non penso.
Ora cominciava a mancare di tatto. Stava per aprire bocca e farglielo notare, ma lui lo precedette.
Posso immaginare quanto sia doloroso ciò che vi è accaduto, ma... Tu ce l'hai ancora una parabatai.
Lo lasciò completamente interdetto. Avrebbe voluto rispondergli, chiedergli una spiegazione, ma ancora una volta fu più veloce lui. 
Il suo sangue, dicevamo. È stato solo grazie al suo sangue angelico che Lena è riuscita a liberarsi di Ignis.
Avrebbe voluto chiedergli una spiegazione, scavare dietro le parole che aveva lanciato poco prima nella sua testa, ma si trattenne e lasciò che cambiasse discorso.- E come diavolo avrebbe fatto a ritrovarselo dentro? - 
Penso che neanche lei lo sappia e sfortunatamente non abbiamo un altro episodio con il quale confrontare quello che è accaduto. Ciò a cui hai assistito, Benjamin, è senza precedenti. Il corpo di Lena ha risucchiato dentro di sé l'essenza demoniaca di Ignis e nonostante il suo sangue e tutto il resto è un miracolo che sia ancora viva per poterlo raccontare. 
Ben fu scosso da un tremito. Il pensiero che fosse stata sola, a combattere una battaglia più grande di lei, il pensiero che avrebbe potuto non farcela... Solo il poterla stringere tra le braccia lo conteneva dall'alzarsi in piede ed urlare.
Evidentemente quaggiù c'era qualcuno che non era pronto a lasciarla.
La figura incappucciata si voltò e a piccoli passi cominciò a muoversi verso la porta.
- Fratello... - lo richiamò Ben. Sentiva che c'era ancora così tanto che voleva chiedergli, eppure non riusciva a spiccicare parola.
- Volevo solo sapere il nome del Fratello Silente per il quale dovrò ringraziare l'Angelo - 
Puoi chiamarmi Geremia. 


* * *

Era... Strano. Ben non avrebbe saputo dirlo in altro modo. Aveva passato così tanto tempo a sperare che Lena si svegliasse, aveva desiderato con tutto se stesso che aprisse gli occhi ed alla fine era successo.
Quindi ora era strano, perché Lena quegli occhi che lui aveva pregato si aprissero preferiva tenerli chiusi. Preferiva fingersi cieca, fingere di non vedere una realtà che non voleva accettare.
Lena non si sentiva più a suo agio, ad occhi aperti.

Per Ben il bisogno di capire ciò che provava era diventato un tormento. In quei giorni aveva assistito alla sua lenta ripresa, pian piano l'aveva guardata ricominciare a compiere quei gesti quotidiani che avrebbero dovuto segnare una normalità che ormai non c'era più. Ben voleva disperatamente capirla, voleva entrarle dentro e leggere tutto ciò che ora poteva solo intuire. Era strano trovarsi a decifrare le sue espressioni, non era mai stato un problema leggerle il viso. Certo, in quei casi gli venivano in soccorso i ricordi, le abitudini, quei suoi gesti che negli anni aveva imparato a memoria e che avrebbe riconosciuto in mezzo a mille altri. Ma non era la stessa cosa. Occorreva pensare, occorreva porsi il dubbio, occorreva talvolta chiedere ed era uno strazio. Chiedere equivaleva a sbatterle in faccia la realtà e, seppure Ben odiava quando succedeva, odiava vederle il viso oscurato e gli occhi colorati di malinconia, si rendeva conto che a volte era necessario.
Lei era diventata avara di parole e a lui ne sarebbero servite così tante per capire.
Non ti sento più, Lena. Ti prego, parlami.
Ma per Lena il silenzio era diventato un metodo per anestetizzare il dolore. Se lui non poteva più sentirla, allora nessuno doveva sentirla. Era un comportamento patetico, che sapeva tanto di un'infantile ripicca, ma era troppo distratta per accorgersene. Distratta da tutte quelle piccole cose che le apparivano diverse, il mondo intero le appariva diverso, come se lo stesse guardando con un altro sguardo, come se lo stesse guardando con un paio di occhi di meno.
I giorni trascorrevano in un'intensa frenesia, tra il via vai continuo di gente che voleva vederli, dimostrargli solidarietà, molti non riuscivano proprio a capire come Lena avesse fatto ad assorbire dentro di sé un demone, ma soprattutto ad essere ancora viva. Beh, difficile da spiegare dal momento che neanche lei lo capiva.
Infine c'era anche qualcuno che andava da loro per chiedere scusa. Di cosa volessero scusarsi poi, Ben e Lena non avrebbero saputo dirlo con precisione. Persino l'Inquisitore Marknight era andato all'Istituto, era così mortificato per quanto era accaduto... Ricordava lucidamente ogni cosa dei momenti in cui Ignis aveva posseduto il suo corpo e forse era proprio questa la parte peggiore: essere cosciente degli orrori che la sua stessa mano compieva senza poter fare nulla. Eppure l'Inquisitore era solo il primo delle tante persone che Ben e Lena erano costretti ad incontrare ogni giorno, solo uno dei tanti smaniosi di rivangare un dolore troppo profondo.
Ogni singolo cacciatore che si fermava a parlare con loro per strada rispolverava un ricordo che per Lena era troppo penoso ricordare e allora il suo sguardo vagava disperato in cerca di quello di Ben e muto faceva sempre la stessa domanda.
Dov'era questa gente quando avevamo bisogno di loro?
Ogni cacciatore era colpevole di averli giudicati, di torturato Ben, ogni stregone di aver sottovalutato le parole di Lilian, di non essere arrivato in tempo quel maledetto giorno ad Idris, ogni vampiro, ogni licantropo, l'intero Mondo Invisibile... Colpevole in un modo così tanto spregevole ai suoi occhi che finiva col diventare quasi buffo. Era buffo come ora che tutti sapevano la verità su di loro fingevano andasse bene, ora che avevano perso tutto non importava più a nessuno se si amassero o meno.
Non siamo più disgustosi? Non eravamo sporchi? Non saremo dannati per sempre? Non siamo maledetti, blasfemi, non abbiamo demoni dentro di noi? Non è più sbagliato, ora?
Ogni parola di malcelata pietà, ogni sguardo compassionevole, ogni gesto, sincero o meno, non faceva altro che ricordargli cosa avevano perso per sempre.
In Lena cominciava a ribollire la rabbia, come in una pentola a pressione. Sembrava che nessuno avesse l'accortezza di spegnere il fuoco, anzi, facevano di tutto per attizzarlo e le fiamme si alzavano, le fiamme la incendiavano, la divoravano. Le fiamme l'avrebbero bruciata viva e a nessuno sarebbe importato, forse nessuno se ne sarebbe accorto.


Il colmo arrivò con la riunione speciale che il Conclave aveva organizzato in loro onore.
Onore... Quale onore?
Non c'era onore nel sentire un consiglio di cacciatori che, comodamente seduto, discuteva su di loro. Proprio nessun onore nel sentirsi giudicati da quella gente. Molti di loro non sapevano nemmeno come fosse fatto un Demone Superiore. Erano shadowhunters che erano invecchiati nella pace, le cui uniche battaglie erano state combattute contro un paio di demoni Raum. Vecchi presuntuosi la cui barba era più lunga del loro valore.
Come avrebbero potuto onorare Ben e Lena? Come?
Quando serpeggiò nell'assemblea la proposta di offrire ai due giovani Nephilim una ricompensa per le loro imprese, Lena si sentì quasi svenire. Per un attimo si crogiolò nel desiderio di scavalcare i banchi e di malmenare ognuno dei presenti, prenderli a schiaffi fino a farsi bruciare le mani, sputargli in faccia e calpestare quell'onore che non sapevano nemmeno cosa fosse.
Non fece niente di tutto ciò.
Invece si alzò con una calma glaciale, sull'assemblea calò il silenzio e per tutta la sala rimbombò il rumore di un seggiolino pieghevole che sbatteva contro lo schienale, poi di un altro. Lena salì composta ogni gradino verso l'uscita, Ben, che le era dietro, scavalcava due gradini alla volta. Erano seduti in prima fila, i posti più in basso, nel lungo percorso verso la porta gli occhi di ognuno dei presenti erano puntati su di loro.
Non si voltarono neanche prima di uscire, non una parola di congedo, non una scusa inventata sul momento. Esattamente quello che meritava tutta quella gente: niente di niente.
  
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