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Autore: Lost In Donbass    04/09/2015    2 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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CAPITOLO SESTO: TE L’AVEVO DETTO CHE CI SAREMMO RIVISTI PRESTO!

-Ti rovino, Kalle Nyman, giuro che ti rovino!
Le urla sconclusionate di Claudia accolsero Tom appena mise piede nell’appartamento, evitando con grazia un cucchiaio volante. Normale routine, se era per quello. Ma bastò che i due litiganti, più una Raghnild semi addormentata sul divano, si accorgessero della sua presenza, che immediatamente gli saltassero addosso ululando come al loro solito:
-Oddio! Tom! Come è andato l’appuntamento? L’hai baciato? Gli hai aperto la portiera?!- lo sommerse Claudia, saltellandogli in giro e scuotendo la massa di ricci rossi.
-Ma che bacio e bacio! Hai combinato qualcosa?!- strillò Kalle, scuotendolo.
-Seriamente, ma ti ho disturbato prima? No, perché sai, mi dispiacerebbe.- attaccò Raghnild, fissandolo dal basso del suo metro e sessanta scarso di altezza.
Tom prese un profondo respiro, prima di abbaiare qualcosa che calmasse i suoi appiccicosi coinquilini e spedirli sul divano, come un tenente con i suoi sottoposti.
Una volta che si furono tutti e tre raggomitolati sul divano, e che Tom si fu seduto davanti a loro tormentando il berretto, iniziò a raccontare l’appuntamento per filo e per segno, osservando l’orgoglio, lo stupore, e il divertimento negli occhi dei suoi tre amici.
-Bene,- concluse infine – Questo è stato il succo dell’appuntamento.
-Sei troppo fine, Tom. Dovevi arrischiarti di più.- commentò Kalle, accendendosi una sigaretta.
-No, maniaco!- lo ripresero in coro le due ragazze.
-Dai, Kalle, smettila.- ridacchiò Tom, scuotendo i dreadlocks. – Ma più importante, adesso, è ordinare il piano per stasera al Bite Vampire.
-Ma rischiamo di venire quindi uccisi, stasera?- disse Claudia, infilandosi in bocca una caramella, e sfarfallando i grandi occhi verdi.
-No, Cla, no. Nessun pericolo per voi tre.- sorrise Tom – Basta che non veniate a disturbare mentre indago.
-Certo che no, capo. Ci nasconderemo abilmente nella folla.- asserì Kalle.
-Bene. Mi raccomando.
Tom sospirò. Aveva voglia di tutto meno che di andare in discoteca ad indagare e soprattutto … in quella discoteca. Non voleva ammetterlo, ma gli faceva un po’ paura. Nemmeno il tempo di finire di parlare, che Kalle e Claudia ripresero il punto della litigata dove erano stati interrotti, come se niente fosse intervenuto. Facevano sempre così, quei due, come leoncini che litigano per l’ultimo boccone di gazzella.
Raghnild si alzò, scostandosi i lunghi capelli neri dalla fronte, e disse:
-Dai, Tom, andiamo in cucina. Ti mostro ciò che ho trovato, sperando che serva a qualcosa.
I due ragazzi si sedettero al tavolo della cucina, orribilmente bucherellato, inciso e rovinato, dopo essere stato usato per anni da ogni possibile generazione di ragazzi che abitavano quel piccolo appartamento all’ultimo piano del palazzo più male in arnese della Brandenburg Strasse.
-Qualcosa di interessante?- chiese Tom, attaccando voracemente il barattolo di Nutella abbandonato sul tavolo.
-Beh, il detective sei tu, caro. Qui ci sono i risultati dei medici ed infermieri tra i 20 e i 30 anni. Se vuoi sapere la mia modesta opinione da hacker, nessuno mi sembra troppo il tuo serial killer.
Tom prese i fogli stampati e lesse rapidamente la lunga lista di nomi che gli si presentava davanti, scuotendo la testa. Magari l’avrebbe potuta affidare a Georg e Gustav, anche se da loro non c’era molto da aspettarsi. Li chiamò tutti e due, spiegando loro in breve la faccenda, e inviandogli la lista di nomi.
-Tom, sei sicuro di essere sulla strada giusta?- gli chiese con un punta di perplessità Gustav.
-Certo, Gus. Il fiuto non mente, lo sai anche tu.
E con questa frase lasciò il biondo alle prese con metà della lista dei medici. Sapeva che per quanto Gustav fosse scettico, prima o poi l’avrebbe fatto. Perché si fidava ciecamente di lui e dei suoi dreadlocks portafortuna.
Prese l’altro fascio di fogli, molto più magro dell’altro, e ci passò un dito sopra.
-Ragh, questi sono quelli operati?
La ragazza si sporse verso di lui, facendo tintinnare gli orecchini e i piercing che le decoravano orecchie, labbra e naso.
-Esatto. Mi dispiace, Tom, ma ho fatto un po’ fatica a trovarli, sai, la privacy, quella roba là. Questi sono quelli che hanno subito operazioni molto pesanti negli ospedali pubblici, nelle cliniche  private c’ho provato ma finora, nisba. Ho cercato casi piuttosto recenti, ma non recentissimi, entrando nei sistemi degli ospedali e degli stessi primari.
Tom annuì dandole un bacio sulla guancia. Era un regalo divino quella ragazza! Sfogliò i vari fascicoli, e poi chiese:
-Scusa, ma potresti provare a incrociare questi uomini con qualcosa legato alla pittura di precisione? Mi servirebbero tipo restauratori, o pittori, anche studiosi dell’Accademia di Belle Arti.
Raghnild sorrise, prendendo un altro fascicoletto, infilando il dito nel vasetto della Nutella e sporcandosi irrimediabilmente le labbra di cioccolato:
-Ecco qua, capo. Me l’avevi blaterato, al telefono, e ho ubbidito come ho potuto. Vedi, - si sedette vicino a lui, indicandogli il foglio – Ho incrociato i nomi dei pazienti con quello che mi hai detto, e mi è uscito fuori questo.
Tom sospirò, passandosi una mano tra i dread e andando in camera sua a studiarsi quei nomi per bene. Chissà che lì non ci fosse quel pazzo geniale a cui lui stava alle calcagna. Si buttò sul letto con le coperte di Spiderman, accendendo la luce di Batman e cominciando a leggere attentamente i nomi stampati, cercando di isolarsi dalle urla degli altri tre alle prese con chissà quale scemenza. Ok, in realtà non era molto attento a quello che stava studiando. Aveva la testa ancora annebbiata da Bill, dal suo carattere, dalla loro uscita, da tutto. Era ancora piacevolmente incantato da lui, come se stesse vivendo qualcosa di metafisico. Un sogno, chiamato Bill. Chiamato Angelo Autostoppista.
Solo un nome lo colpì, mentre leggeva. E lo colpì perché c’era scritto “Hansi Spiegelmann” e, al contrario di tutti gli altri, non aveva nessuna foto. Solo un nome.
-Raghnild!- gridò a pieni polmoni, sperando che il gruppo metal svedese messo al massimo (roba che solo Kalle poteva sentire) gli facesse la grazia di abbassare i toni affinché lei lo sentisse. Cosa che per grazia ricevuta successe.
-Che c’è?
La ragazza si affacciò alla porta, grattandosi la pancia. Molto fine, veramente.
-Perché sotto il nome Hansi Spiegelmann non c’è nessuna foto?
Raghnild si avvicinò, e scrutò i fogli, per poi esclamare, facendo risplendere i grandi occhi neri malamente truccati. Bill era molto meglio.
-Ah, sì! Sto qua me lo ricordo appunto perché non aveva foto. Non so, T., quando l’ho trovato mi sono resa conto che non appariva la sua faccia da nessuna parte. Fidati, ho cercato su qualunque sito, blog, social network, ma non c’è traccia di lui. Su internet, mi dispiace dirlo, non esiste nessun Hansi Spiegelmann.
Tom annuì, grattandosi la pancia a sua volta.
-Qua c’è scritto che era stato operato due anni fa. Al Bach Hospital. Motivo?
Raghnild si sedette sul letto, continuando a smaltarsi le unghie dei piedi di un brutto verde menta.
-Incidente in moto. Una cosa oscena, davvero. Vedi, ho cercato notizie sull’incidente, ma c’è scritto poco e niente. Insomma, sembra, a vedere dalle notizie online, che il ragazzo sia andato a sbattere con la moto contro un capannone, lungo la statale. Foto non le ho trovate, ma c’era scritto che si era completamente distrutto. Tipo che la moto aveva slittato sulla strada bagnata e lui era rimasto mezzo schiacciato contro il capannone e la moto in fiamme, una cosa orrenda. Non oso immaginare il dolore.
Tom rabbrividì. Quel tipo di incidente gli aveva da sempre dato i brividi più brutti, come se fossero incubi.
-Ed è sopravvissuto?
-Evidentemente sì. Ma come ho detto, niente foto, niente altro.
-Perfetto. Grazie Ragh, sei un tesoro!
-Come faresti senza di me?- ridacchiò la ragazza, alzandosi e saltellando fuori dalla stanza urlando – Claudiuccia mia, come sto?!
Tom afferrò il telefono e chiamò Georg, pronto a informarlo della situazione:
-Capito … - grugnì l’amico dopo il resoconto – Quindi oltre al serial killer ora abbiamo per le mani un tizio stile Freddie Krueger di cui non si conosce la faccia?
-Boh, Geo, sono così confuso! Il mio sesto senso mi dice che è così, eppure non so nemmeno io perché. I dati sono quelli, e la cattura è impellente, e io ho trovato strano questo ragazzo proprio per il fatto che non ha foto. È ben sospetto, no?
-Beh, diciamo che tutti noi, almeno da qualche parte abbiamo una nostra foto su internet, o perlomeno da qualche parte appariamo. A proposito di internet, Tom, lo sai che Heike mi segue su Instagram?!
-E chissene frega!- ma non poté trattenere una risata al pensiero degli occhi a cuore di Georg una volta scoperto che la bella dottoressa lo seguiva.
-Come chissene frega! È un passo avanti nella sua conquista!
-Dobbiamo concentrarci sull’indagine!
-Sei un’ipocrita, Kaulitz! Fai a me la ramanzina perché gioisco, e poi tu te ne esci con un ragazzo!
-Chi te l’ha detto?!
-Kalle, ho chiamato che tu eri già andato via per dirti di Heike. E lui mi ha detto che eri uscito con  il tuo ragazzo. Quindi, da quanto hai un ragazzo?! E perché non l’hai detto a quel santo del tuo migliore amico?
-Smettetela! Non è il mio ragazzo! È solo … magari un giorno te lo presenterò.
-Se è una checca isterica, passo, grazie.
-Spiritoso! Ci scommetto che quando lo vedi rimani come un pesce lesso. Posso dirti che magari io sono un po’ più virile di lui.
-Se tu sei virile, allora è una checca al 101%, perfetto.
I due ragazzi risero e il pensiero di Tom corse subito al momento in cui Georg e Bill si sarebbero incontrati. Non osava immaginare.
-Comunque, seriamente Tom, ritornando a questo fantomatico tizio, non è che potrebbe essere un nome falso?
-Intendi dire che Hansi Spiegelmann sia una falsa identità? Cosa te lo fa pensare?
-Non saprei, però scusa, uno che fa un incidente praticamente mortale, che per un qualche motivo fortunato riesce a uscirne vivo, uno che comunque deve avere un briciolo di vita sociale se era giovane, non appare assolutamente da nessuna parte, in nessun referto medico? Mi sembra troppo strano.
Tom si grattò la testa, afferrando una matita e scarabocchiò un foglio per pensare meglio, rendendosi conto di stare continuando a scrivere “Bill” in tutti i caratteri possibili e immaginabili.
-Se ciò che dici è vero, allora vuol dire che non aveva documenti in tasca al momento dell’incidente. E che ragionevolmente qualcuno ha detto il nome al posto suo in ospedale; non pensò che riuscisse a parlare dopo un incidente simile.
-E non potevano guardare le impronte digitali?
-E se ce le avesse bruciate? L’hai detto tu, Freddie Krueger. Se la moto è esplosa, potrebbe essersi completamente ustionato.
I due poliziotti rabbrividirono al pensiero.
-Va beh, senti Georg, ti lascio. Domani in centrale esporrò ciò che troverò stasera al quel maledetto Bite Vampire, e magari convinciamo gli altri a concentrarci su questo Hansi Spiegelmann. Non mi quadra.
-Andata amico, a domani. E divertiti stasera!
Dopo qualche insulto, Tom mise giù sbuffando. Ma perché diavolo aveva questa stramaledetta abitudine a complicarsi la vita?! Già che un assassino seriale non fosse un problema grosso … andò in salotto, e si buttò sul divano, vicino a Kalle intento a disegnare qualche strano mostro tribale da proporre ai suoi clienti. Tom era ancora terrorizzato all’idea che di notte gli infilasse un ago da qualche parte facendogli qualche orrido disegno.
Guardò Raghnild e Claudia truccarsi a vicenda per la serata, e decise di non cominciare a romperle di nuovo l’anima chiedendole di analizzare il referto medico del misterioso tipo. Magari sarebbe riuscito a convincere i propri colleghi a darsi da fare, una volta tanto.
***
-Ma sto posto peggiora di volta in volta!- sbottò Tom, una volta che furono tutti e quattro fuori dalla porta del Bite Vampire, illuminati dalla luce bluastra che proveniva dall’interno del locale, osservando la grossa insegna a led verdi luminosa come un faro, che rischiarava il vicoletto buio e opprimente.
-Non capisci un tubo, fratello!- lo rimbeccò Kalle, spingendolo all’interno. – Ci sarà da divertirsi un mondo, stasera!
Sospinto dalle mani ricoperte di tatuaggi dell’amico, Tom caracollò dentro, catapultandosi in una dimensione blu, dove si sentivano le note basse e pesanti di un organo sintetico. E solo Dio sapeva quanto Tom odiasse l’organo sintetico.
Il bancone, che conteneva all’interno un acquario di enormi dimensioni dove grossi pesci verdi e rossi nuotavano lentamente, era ricoperto di bottiglie dei liquori esotici più strani e maleodoranti. Il pavimento era decorato con grandi disegni nero su bianco concentrici che facevano irrimediabilmente girare la testa al rasta, come se fosse su una giostra.
-Sei sicuro di non svenire, Tom?
Claudia lo guardò preoccupata, sotto uno spesso strato di rossetto fucsia, stringendo una borsa anche essa di paillettes fucsia, le cosce costrette in una gonna vertiginosa di brillantini neri, i seni messi in risalto da una specie di top ricoperto come il resto di brillantini neri, un paio di scarpe fucsia orribilmente brillantinose. Sarebbe piaciuta a July, conciata a quel modo.
-Certo, Cla. Non sverrò.- grugnì, anche se sentiva già la testa in palla.
-Beh, chiama se ti senti male.- gli ricordò la ragazza, abbracciandolo e ricoprendolo di glitter. Orrore e raccapriccio. Poi scomparve ballonzolando tra la folla, alla ricerca delle borchie di Raghnild.
Tom sospirò rumorosamente, come un condannato che deve andare al patibolo. L’unico punto a suo favore era, giustappunto, il fatto di essere un rasta; poteva passare inosservato, in quel marasma di gente strana.
Si avviò spintonando di qua e di là verso il bancone, dove avrebbe cercato di farsi dare qualcosa di bevibile, e non dei beberoni alla cannella vomitevoli, e avrebbe provato a cercare notizie, cercando di non dare nell’occhio. Ma Tom dava sempre nell’occhio, dovunque andasse.
La musica lo rintronava, andando avanti e indietro come fosse un’unica traccia ripetuta mille volte di seguito, e le luci stroboscopiche roteavano sempre più veloci. La discoteca era piuttosto gremita, come ogni sera, più o meno. Odore di alcol, droga, sudore, odore di corpi schiacciati, di amore, di profumi, di tinte per capelli. Odore di anticonvenzionalismo, di rivalsa, di musica, di etnie diverse. Tom era così distratto dai rumori, dagli odori che gli riempivano le narici a vampate, dai colori che gli confondevano gli occhi, da tutto quel caos del posto che odiava, di non accorgersi di essere inciampato miseramente, colpa le sue braghe enormi, su un tizio.
Se ne rese conto quando si trovò sopra a un poveraccio. Se ne rese conto quando sentì la sua coscienza esclamare il motto della sua vita “Tom Kaulitz, sei un coglione!”.
-Scusa, oddio, scusami tanto, non ti ho visto, le luci, io … - balbettò a raffica, tendendo una mano all’investito.
-Ma figurati, non preoccuparti. Non mi sono fatto niente, gattino.
Gattino. Gattino. Solo una persona al mondo poteva chiamarlo con quello stupidissimo appellativo. E quella persona era …
-Bill!
-Te l’avevo detto che ci saremmo rivisti presto Tom!
Bill era davanti a lui, di nuovo in piedi, con un sorriso smagliante sulle labbra rosso fuoco, e lo abbracciò. Tom pensò anche di svenire quando le braccia del ragazzo gli si appesero al collo e quando il corpo slanciato gli si aggrappò addosso; cercò di ricambiare goffamente l’abbraccio, sentendo l’intero corpo andare in fiamme. Perché Bill lo stava abbracciando e lui si sentiva un maniaco in quel momento, ma non poteva farne a meno. Perché sentiva addosso il suo profumo intossicante, che mischiava cose che il naso di Tom non riusciva a distinguere: sapeva solo che sembrava una droga, qualcosa che avrebbe sempre voluto sotto le narici.
-Cosa ci fai qui?- miagolò Bill, senza mollarlo. E quello al poliziotto faceva particolare piacere.
-Lavoro. Per l’indagine.- Tom cercò di assumere un’espressione intelligente.
-E perché sprecare il tempo per lavorare, quando si è in un posto eccitante come questo?- Bill scoppiò a ridere, e Tom pensò che se anche lo avesse baciato non se ne sarebbe nemmeno accorto.
-Lo dici tu! Odio questo posto.
-No, gattino, perché?
Bill gli prese le mani e cominciò a ondeggiare al ritmo dell’organo a cui si era aggiunta una miracolosa chitarra e quelli che sembravano piatti in lontananza. Tom non sapeva ballare. Non aveva mai imparato, nonostante le lezioni di tango o quello che diavolo era a cui Georg aveva obbligato lui e Gustav a partecipare con il disastroso risultato che lui e Gus erano costretti a fare coppia fissa e che puntualmente l’insegnante costringeva entusiasta a far fare il casché al biondo davanti a tutti gli allievi e puntualmente Tom lo faceva cadere per terra perché si ingambava nei suoi stessi piedi. Un anno da dimenticare.
Cercò comunque di concentrarsi e di acchiappare Bill per la vita (“Tom, guai a te se gli tocchi il posteriore” lo sgridò la coscienza), mettendo alla prova la sua memoria sulle lezioni di liscio a cui quell’ignobile di Georg aveva imposto di partecipare, sempre lui e Gustav ovviamente, in qualità di “amici e supporter”. Avevano 18 anni e tanta, tanta sfiga, perché anche lì Tom e Gustav facevano coppia e si pestavano i piedi a vicenda, scivolavano, e anche lì l’insegnante li faceva esibire a fine lezione davanti agli altri. Dannazione. E poi due anni dopo era stato il turno del tango. Quando aveva provato a proporre lezioni di polka e salsa, lo avevano picchiato.
-Wow, Tom, dove hai imparato a ballare?- chiese Bill, trascinandolo con finta nonchalance verso il centro della pista, perché Tom era talmente preso dalla cosa di poterlo abbracciare che manco se ne accorse.
-Io? Ballare? Ma no, io non so ballare!
-Però il fianco me lo tieni perfettamente … - sorriso malizioso.
“Beh” pensò Tom “Dopo aver tentato di tenere Gus che oltretutto soffre anche il solletico, tenere te è uno scherzo”. Ma si limitò a un semplice:
-Qualche anno fa un mio amico mi aveva costretto a frequentare un corso di tango.
Bill rise forte, e in effetti Tom non gli diede torto, perché aveva visto il video di quando, alla festa del santo patrono di Magdeburgo, lui e Gustav, ubriachi persi, avevano dato sfoggio alla cittadina della loro abilità di ballerini con un’esibizione imperdibile di quello che loro chiamavano “ballo liscio”.
-Allora, sei “caliente” come i veri ballerini di tango?- Bill sorrise, e gli posò la testa sulla spalla, soffiandogli sull’orecchio, strusciandosi contro di lui.
A quel punto Tom si sentì veramente andare a fuoco, la testa, il collo, tutto il suo essere, il corpo, completamente infiammato. Avrà avuto una temperatura corporea di 40 gradi, ma stava eccezionalmente bene. Troppo esaltato per provare qualcos’altro. “Comunque, cagnolino, a questo gioco si può giocare in due” pensò, mentre si faceva forza e lo afferrava meglio, cominciando a ricambiare gli strusci e il fiato caldo sul collo.
-Forse.- gli sussurrò tra i capelli corvini, così morbidi da potertici addormentare sopra, come un cuscino.
E le sentiva, le mani di Bill aggrappate alla sua schiena, e il suo bacino attaccato al suo, lo percepiva sorridere, miagolare piano. Ed era tutto troppo bello perché non finisse immediatamente, con uno strillo che conosceva purtroppo troppo bene:
-Tom, ma è un tuo amico quello là?!
Claudia. Maledetta lei e la sua cecità di fronte alle scene da film.
Tom si girò fulminandola, furioso come Cerbero, con quella faccia da cattivo che non faceva altro che far ridere i destinatari.
-Claudia, che c’è?!- ruggì.
La ragazza lo squadrò un po’, per poi finalmente accorgersi che magari c’era anche Bill, che ridacchiava divertito, ancora appoggiato alla spalla di Tom. E beato lui che ride, accidenti al diavolo.
-Uuuh, ma scusa Tom! Non avevo visto il tuo ragazzo!
-Non è il mio ragazzo, cazzo, quante volte te lo devo dire?!
Bill scoppiò a ridere, e tese la mano inanellata, con lo smalto blu notte alla rossa:
-No, cara, io e Tom siamo semplicemente amici. Non è ancora il mio ragazzo. Comunque, piacere, Bill.
Claudia guardò schifata il rasta, incantata Bill, e gli strinse vigorosamente la mano, forse troppo. Si era dimenticato di dire all’angelo che lei era una campionessa di arti marziali russe.
-Aaah, scusa, piacere allora, Claudia! Comunque, wow! Che look faaaantastico che hai, non come questo sciattone di Tom!
-Grazie, Cla, lo sai che ti voglio bene anche io … - grugnì Tom, dandole un pizzicotto.
-Ma no, dai, Tom non è sciatto, è solo … beh, si tiene male, è vero. Però è carino così, no?- Bill gli stritolò le guance e a quel punto il rasta si sentì come il pupazzo innocente di due bambinette che si atteggiano a principesse. Comunque, cosa da notare, gli aveva detto che era carino. E che non era ancora il suo ragazzo. Quindi contava di diventarlo presto. Ormai non se la contava manco più da solo, lo aveva accettato di essere cotto perso di Bill e del suo comportamento, l’ennesima battaglia persa contro se stesso.
-Comunque, cosa vuoi?- abbaiò Tom.
-Ti spiego.- Claudia si mise in mezzo a loro due – C’è a bordo pista, un tizio vestito come me, tutto di glitter che è uno spettacolo (detto fra noi, se non fossi dell’altra sponda e se non fossi occupata ci sarebbe da farci un pensierino), che ha detto a due tipe orientali con la faccia da mastini, in senso ironico, che “il signor Kaulitz”, citando le sue esatte parole, “si sta adattando alla presenza di Bill-chan.  Non so se considerarlo un buon presagio o no”. Ecco perché sono venuta a chiederti se lo conoscevi.
Bill rise forte, Tom divenne livido, e Claudia sorrise fiera di se stessa.
-Sì, July-chan è il mio migliore amico. E ha conosciuto Tom per l’indagine.- rispose Bill deliziato, come se la cosa fosse particolarmente comica.
-Grandioso!- esclamò Claudia – Allora me lo presenti?!
Come al solito non attese risposta e li trascinò entrambi a bordo pista, ignorando gli insulti di Tom a raffica. Una volta essersi fatta violentemente largo a spintoni tra la folla, li piazzò con forza eccessiva davanti a un divanetto blu, dove sedeva compostamente July, ancora più brillante della volta scorsa, con un sorrisetto sardonico come se sapesse che sarebbero venuti tutti e tre da lui. Ai lati, stavano due tipe con un fisico da modelle, vestite rigorosamente di pelle nera, i visi come maschere di cera, i capelli sciolti e accuratamente pettinati, una neri e l’altra tinti di rosso porpora. Veramente un terzetto eccezionale.
-Lieto di rincontrarla così presto, signor Kaulitz.
July sorrise, chinando il capo ricoperto di brillantini violetti.
-Ehm, il piacere è tutto mio, signor Choy.- Tom si tirò un po’ il colletto della felpa, improvvisamente impacciato.
-Ma guarda, Bill-chan, hai trovato il tuo saeloun jangnangam.- miagolò July, ammiccando a Tom, che non fece altro che arrossire vistosamente.
Bill arrossì di colpo e borbottò qualcosa in una lingua oscura, dando un calcetto a July e mordicchiandosi il labbro. Ma nei suoi occhi si leggeva tutt’altro che imbarazzo.
-Signorina, molto piacere. Noto con piacere che anche lei stima il look dei brillantini.
Sentita quella frase, Claudia partì in una specie di fangirlamento acuto, saltellando e strillando frasi sconclusionate sotto gli sguardi indagatori delle due modelle.
-Ehm, Bill, ma sarebbero queste le due sorelle di July?- sussurrò Tom, tentando di non farsi sentire.
-Sì, signor Kaulitz, sono le mie sorelline.- rispose July, facendo ridacchiare Bill – Lei è May Ran Mao – indicò la finta rossa – Mentre lei è June Mei Rin – e indicò la nera.
Le due ragazze chinarono la testa verso Tom, sempre impassibili.
-Le scusi, ma non parlano tedesco.
-Parlano la lingua dei calci- sogghignò Bill – Sai, gattino, sono campionesse di taekwondo, kendo, jujitsu e bojutso.
Tom deglutì spaventato, ma fece finta di niente, fulminando l’amica che continuava a svolazzare attorno a July. Claudia era fastidiosa, quando voleva.
-Mi dica, come va l’indagine?- chiese July, sfarfallando gli occhi ricoperti di brillantini blu e argentati.
-Non benissimo.- grugnì Tom, sistemandosi il berretto e sedendosi davanti ai tre coreani, che lo fissavano con le loro maschere di cera. – Comunque, le sue indicazioni sulla croce mi sono state molto utili.
-Ne sono lieto.
Prima che Claudia combinasse qualcosa, Tom se la fece sedere vicino, insieme a Bill che continuava a ritoccarsi il trucco in quel benedetto specchietto. Non si accorse nemmeno di quando gli si accoccolò vicino, se Claudia non gli avesse dato una gomitata nel fianco. Male, perché rischiò lo svenimento.
-Avete qualche vaga idea di chi possa essere?
A quella frase Tom si ricordò che magari avrebbe dovuto passare la serata indagando, non parlando con quella strana gente. Anche perché il giorno dopo che avrebbe detto in centrale?
-No, niente di niente.- sbuffò il rasta, un po’ demoralizzato. E cullato dalla mano di Bill che gli accarezzava la spalla. Odiò per un momento tutti, tutta la gente che c’era lì attorno, perché dannazione ora avrebbe voluto afferrarlo e baciarlo per ore e ore sotto le luci blu che cominciavano a diventare violette, tenerselo tra le braccia fino a non poterne veramente più. Ma non poteva. Non poteva perché aveva una schifosa reputazione da mantenere.
-Toooom, ti è caduto questo.- interruppe Bill, chinandosi di scatto, lasciandogli la spalla e raccogliendo da terra un pezzo di carta accuratamente ritagliato.
Tom ringraziò tra i denti e afferrò il foglietto con “i dati” del misterioso Hansi Spiegelmann, anche se probabilmente come diceva Georg era solo una copertura. Che idiota, nella fretta si era scordato di lasciarlo sulla scrivania e se l’era infilato in tasca come faceva in centrale. Se l’avesse perso …
-Grazie Bill, cavolo, se l’avessi perso- borbottò, cercando di rinfilarselo in tasca. Ma fu troppo lento, come al solito, vittima della naturale lentezza del Distretto degli Sfigati che prendeva tutto con le dovute misure di sonnolenza.
Perché vide Bill sbiancare per un attimo e dirgli, a voce più bassa del solito, spalancando gli enormi occhi truccati con un fondo di ansia mai vista:
-Che ne sai di Hansi Spiegelmann?
E gli bastò vedere i tre coreani irrigidirsi completamente e il viso di Bill quasi spaventato, alterato, per capire che forse, seriamente, aveva smosso qualcosa nel caso del serial killer di Berlino.
 
  
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