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Autore: anicos89_    04/09/2015    0 recensioni
L'amore a volte nasce per caso: da un incontro, da uno sguardo, da una parola.
E veloce il cuore quando s'innamora. È veloce scorre il tempo quando ci si vuole incontrare.
Ma a volte l'amore è strano, e riserva qualcosa di diverso da quello che vorremmo davvero accadesse.
Questo è Aki's Bike! Un racconto che avevo concluso da tempo, e che finalmente ho ripreso per pubblicarlo e revisionarlo.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 2 - L'AROMA DELL'AKI'S

Dal loro primo incontro, i giorni trascorsero divenendo una settimana.
L’Aki’s Cafè -il posto in cui lavorava Atsuko- era un locale che aveva sempre un gran seguito di clienti, o sarebbe più giusto dire che erano le mise graziose delle cameriere ad avere una certa popolarità su di essi.
La capienza del locale era scarsa: pochi tavoli coperti da tovaglie ricamate color ocra. Le sedie erano intrecciate in vimini e con la seduta coperta da cuscini color rosso.
Le pareti erano state dipinte di un colore ciano deciso, e su vi erano stati appesi alcuni quadri raffiguranti vecchie stampe pubblicitarie. 
Le cameriere non avevano la solita divisa cliché: le gonne era leggermente a palloncino e non troppo corte da lasciar intravedere l‘intimo; da a sotto sbucava il merletto rosa pastello che richiamava il colore del grembiule. Niente codini: ogni ragazza portava i capelli come riteneva più comodo e consono per il loro lavoro.
Benché Atsuko detestasse quella divisa che metteva troppo in risalto la sua femminilità, non poteva esimersi dall’indossarla.  
La giornata lavorativa era iniziata come tante altre. Nel Cafè c’erano ancora pochi clienti,  ma un vociferare fastidioso si udiva sempre più molesto. Un gruppo di ragazzi in divisa scolastica stava attirando l’attenzione per il loro comportamento poco consono e irrispettoso: riservavano apprezzamenti volgari alle cameriere e palpeggiamenti occasionali quando esse passavano vicino al loro tavolo.
Non potendone più d‘innanzi a quell‘atteggiamento rozzo, Atsuko si avvicinò imbestialita verso un giovane del gruppo -un ragazzo con la faccia ancora ricoperta dall’acne e dalle mani villane. 
«Hai intenzione di ordinare?» Atsuko l’afferrò per il polso e lo strattonò.
«Ehi, ehi! Aspetta il tuo turno!»Il ragazzo rise sguaiatamente. Poi cercò la complicità degli amici che risero a loro volta.
«Come ti permetti? Sei solo un lurido!»Atsuko divenne come un bollitore, mancava solo che le uscisse il fumo dalle orecchie per quanto fosse fuori di sé.
Il ragazzo ridacchiò e offensivamente disse:«Se vi vestite così è perché volete che vi vengano fatte certe cose.» 
A quelle parole, Atsuko caricò il braccio come una molla: era pronta a sferrargli uno schiaffo che gli avrebbe fatto girare la testa attorno al collo. Ma il polso della ragazza venne bloccato prima del gesto.«Sta’ indietro, Atsu!»Il fumo di sigaretta accompagnò quella richiesta.  
«Ma, Akiko-san!»Akiko era la proprietaria. Una donna sulla sessantina -o forse più- dal temperamento discutibile e dallo sguardo minaccioso. 
Aveva la sigaretta sempre accesa. La lunga gonna che scendeva su gambe smagrite. Una maglietta coperta da uno scialle dal colore del manto erboso. 
Guance scavate. Naso pronunciato. I capelli sciolti e sfibrati.
Tuttavia, quella donna emanava un’aura di sensualità ormai impolverata dal tempo passato. 
Il suo aspetto era ingannatore. Il tempo potrà anche cambiare una persona fuori, ma quella luce che custodiscono gli occhi è qualcosa di immutabile.
Akiko portò la sigaretta, rigorosamente senza filtro, fra le labbra. 
Pareva un’amazzone: in mano brandiva una mazza da baseball dal legno ormai usurato: «Voi qui non siete i benvenuti!»Intimò ai ragazzi.
«Che cazzo vuoi, vecchia!? Non ci fai paura!»Uno dei ragazzi si rivolse in malo modo.
Akiko soffiò fuori il fumo da un angolo della bocca. Poi disse riferendosi a sé:«Spero non mi costi molto..» 
Allungò il braccio fin dietro la sua schiena. Strinse saldamente l’impugnatura della mazza. E poi la fece abbattere come una cometa sul tavolo. Un forte rumore, pareva uno scoppio, ma il tavolino rimase stranamente intatto -solo alcuni bicchieri e il portatovaglioli ne uscirono malridotti. 
I ragazzi indietreggiarono. Gli occhi sbarrati. Uno di loro, con voce impaurita, disse:«Questa… Questa è tutta pazza! Filiamo!»In fretta e furia presero le loro cianfrusaglie. Velocemente si precipitarono fuori dal locale. 
Akiko soffiò ancora una volta il fumo dall’angolo della bocca e abbassò la mazza. 
Atsuko era intimorita, ma anche piena di ammirazione. 
«Stupidi bambocci. Fanno solo perdere tempo.»Parlava mentre si allontanava verso la stanza posta dietro al bancone. 
«Ah, Atsu! Fai accomodare quella cliente che se ne sta impalata da 10 minuti vicino alla macchinetta delle sigarette.»  
Alcuni troverebbero anomalo trovare una macchinetta per le sigaretta nell’angolo di un Cafè, ma la signora Akiko era una donna, giusto un po’, anomala.
«Ke-Keiko!?»Atsuko era sorpresa di vederla. D‘istinto cercò, invano, di nascondere con le mani la divisa. Allora, non se ne rese conto, ma Keiko era una di quelle ragazze che facevano girare gli uomini per strada e che facevano venire il complesso di inferiorità alle altre donne. Una presenza difficile da non notare. Ma, a quanto pare, al loro primo incontro, Atsuko ci era riuscita. 
Se ne stava lì in piedi. Alta e slanciata. La maglia basic color fango che sbucava da sotto la giacca di pelle. Il seno voluttuoso. I fianchi sinuosi. I jeans sbiaditi a coprire gambe longilinee; con le pieghe messe dentro agli stivali neri allacciati in modo sciatto. 
Un volto accattivante con quello sguardo profondo e gli occhi intensi contornati da una linea nera carbone; il naso piccolo; il sorriso intrigante accennato da labbra ciliegia.
Non che Atsuko avesse avuto qualcosa da invidiarle, anche se, quando la guardava, inconsciamente, un po’ d’invidia non poteva fare a meno di provarla.
«Ciao!»Keiko alzò la mano e le sorrise accennando un sorriso. Quel suo “accennare” era dannatamente affascinante.
«Da-Da quanto sei li?»Chiese immaginandosi già la risposta.
«Da un po‘,» -Era proprio la risposta che Atsuko si era immaginata, ma che sperava non fosse.
«Hai visto tutto?»Richiese con voce smorzata.
«Beh, a dire il vero, vista la situazione, stavo per andarmene.»Disse Keiko con un filo di umorismo. 
Atsuko avrebbe voluto dirle che quella a cui aveva assistito era una situazione rara e casuale, ma, in realtà, non era affatto casuale e non era per niente rara. 
Per qualche strano motivo, l’aria divenne carica di tensione, e le due ragazze smisero di parlare. Entrambe si applicavano per non far incrociare i loro sguardi: una guardava su, l’altra guardava giù; una a destra, l’altra a sinistra.
«Prendi qualcosa?»Disse Atsuko spezzando l‘incessante manfrina.
«Un caffè lungo senza zucchero.»Keiko ordinò senza esitazione, come in attesa di quella domanda. 
Si sedette su uno dei tanti sgabelli posti di fronte al bancone. Poggiò a terra sia la sua borsa a sacco marrone che il casco dal nero opacizzato. 
Guardava ammirata la schiena di Atsuko mentre  preparava il caffè. 
«Ecco tieni.»Atsuko sorrise mentre la servì.
«Ti ringrazio.»Keiko agitò la tazzina e fece mescolare la crema corposa che aveva formato la schiuma ambrata del caffè.
Mentre ella beveva il caffè, Atsuko la fissava con aria di attesa.
«Cosa c’è?»Domandò Keiko.
«Nulla. Com’è il caffè? Buono?»Chiese storcendo le labbra.
«Sì, lo è.»Lo sguardo di Keiko era un qualcosa di indefinibile, troppo.
«Adesso debbo andare.»Diede una veloce occhiata al suo orologio e scese dallo sgabello. Prese il casco e mise la borsa a tracolla. Dopo aver salutato Atsuko, s’incammino, a passo lento verso l’uscita. 
«Oh, quasi dimenticavo.»Dalla borsa tirò fuori un foulard rosso:«Il tuo foulard si era impigliato nella mia moto. Ho pensato che ti servisse.»Di certo, sarebbe stato più sincero dire che si era “impigliato” nella sua mano.
«Sei venuta fin qui solo per riportarmelo? Sei stata… gentile.»Atsuko rimase colpita dal dalla ragazza. In tutta quella severità in cui era cresciuta, rimaneva sempre destabilizzata dai piccoli gesti di gentilezza nei suoi confronti.
Quando Atsuko allungò la mano per riprendersi il foulard, le dita delle due ragazze si sfiorarono per millesimi di secondo. 
«Hai le dita gelide.»Atsuko rimase raggelata da quelle mani.
«Dicono che chi ha le mani fredde è innamorato, e chi le ha calde è malato. Io non saprei. Ma credo che un fondo di verità ci sia: fredde o calde, l’amore è un po’ simile a una malattia.»La ragazza parlò in modo affabile con quella sua voce profonda.
Atsuko non rispose: rimase impressionata da quel pensiero e dallo sguardo con cui fu espresso.
«Beh, ci si vede.»Keiko chinò il capo in segno di saluto.
Atsuko si guardò intorno come se non sapesse cosa fare, poi scattò da dietro al bancone:«Keiko! Aspetta!» 
La ragazza si voltò:«Sì?» 
«Dopo domani ci sarà una festa privata al locale per il Festival delle Maschere. Non so… Se ti va di venire.»Atsuko guardava a un po’ il pavimento e un po’ il viso della ragazza.
«Se posso, verrò volentieri.»Keiko rispose guardandola negli occhi. La sua bocca non sorrise, ma il suo sguardo sembrò farlo.
«Alle 20.00!»Le ricordò Atsuko.
Keiko fece ancora un cenno con la testa prima di uscire. 
Atsuko rimase immobile a guardarle la schiena coperta dalla pelle nera.
La osservava da dietro al vetro del Cafè. La scia del profumo della giacca si era mischiato all’aroma del caffè. Era ignara che nell’aria c’era anche odore del cambiamento. 
Il corpo della ragazza dai lisci capelli castani era ormai preda di un brivido sconosciuto.

  
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