{ See You Again.
*
La sua vita era sempre stata
monotona e senza colore. Grigia, spenta, vuota, insomma la viveva in
modo
passivo.
Ciò non significava che non avesse una vita sociale, fuori
dalle sue ricche e
costose quattro mura di casa.
Era ricca, bellissima, seria ed era una delle ragazze più
ambite
della città... insomma una ventiquattrenne dal fascino
coinvolgente e dallo
sguardo magnetico che catturava le attenzioni del sesso opposto come se
fosse un
fenomeno da circo.
Tutto questo non la lusingava affatto, anzi si sentiva maledettamente
sola e
diversa, quando lei in realtà avrebbe desiderato una vita
normale. In fondo
cosa chiedeva dalla vita se non di essere carina e non una miss, di
essere
ammirata per il suo carattere e non per le esorbitanti cifre del suo
conto in
banca, di essere voluta bene da amiche vere e non da opportuniste che
avevano
come unico scopo quello di essere invitate alle sue magnifiche feste?
L'amore non le interessava, a tutti gli uomini con cui era stata non
era importato
altro che scoparla per poi mollarla la sera dopo. Non aveva mai avuto
una
storia che potesse essere definita "d'amore" e non aveva mai
veramente amato, la sua vita sentimentale comprendeva solo il sesso, ma
aveva
imparato a non dare peso alla situazione e a continuare a vivere
lavorando solo
ed esclusivamente per la sua casa di moda, una delle più in
voga della città.
«Voglio essere
sicura che
quel modello di lingerie che ti ho richiesto ieri sera sia
pronto entro
domani alle 20.45 o mi arrabbierò veramente Pamela! Sai
benissimo che non
ammetto ritardi di nessun genere.» Aggiunse gelida la bella
Amelia, dopo una
prolungata ramanzina alla sua nuova collaboratrice, una signorina
appena
ventenne che le ricordava la sua sorellina Isabelle. Bruna e minuta con
quegli
occhietti color acqua marina, le somigliava incredibilmente.
Scosse la testa, liberandosi di quei pensieri che la distraevano
ulteriormente
dal suo dovere.
Sistemò le cartelle negli archivi e recuperò la
borsetta dalla scrivania,
estraendo dal suo interno le chiavi di casa di suo padre Emanuele.
Viveva con
lui momentaneamente e questo non le dispiaceva; era un tipo tranquillo
e se ne
stava per i fatti suoi, non invadeva la sua privacy e di questo gliene
era
grata. Era sempre stata una tipa che aveva bisogno dei suoi spazi e non
aveva
chissà quale rapporto con i suoi familiari.
Uscì dalla porta principale e ordinò al custode
di bloccare le porte
automatiche e di spegnere le luci, insomma gli chiese di chiudere tutto.
Camminava per strada, sicura su quei tacchi altissimi di alta moda che
ella
stessa aveva progettato per sé stessa e al suo passaggio
miriadi di uomini le
rivolgevano sguardi ammaliati, boccheggiando come degli idioti. C'era
abituata
Amelia, non ci faceva più caso ormai.
Lei era sempre stata il vanto di suo padre, il suo trofeo da mostrare
ai suoi
amici con fierezza quando erano ospitati nella grande villa. Le diceva
sempre
di quanto somigliasse a sua madre. Ma Amelia non voleva assomigliarle,
faceva
parte di tutt'altro mondo, era una persona migliore di lei.
Il poco che conosceva di sua madre l'aveva portata a non volerne sapere
niente;
sapeva solo che era una prostituta e che durante un rapporto sessuale
con suo
padre il preservativo si era rotto. Di conseguenza era rimasta incinta;
suo
padre l'aveva pagata per continuare la gravidanza e tenere la bambina,
così era
nata lei, una venere come la madre. Era uno dei motivi per i
quali odiava
essere bellissima: non voleva avere niente a che fare con Flavia, sua
madre.
Eppure era la sua fotocopia, solo gli occhi si differenziavano dai
suoi: Amelia
li aveva nocciola come Emanuele, mentre Flavia li aveva neri come la
pece.
Non voleva più pensare a sua madre altrimenti si sarebbe
infuriata di nuovo,
solo lei poteva sapere quello che si provava quando si cresceva senza
una
madre.
«Ciao Amelia, perchè non ti siedi in salotto e ci
fai compagnia?»
Emanuele le aveva aperto la porta con il sorriso stampato sul volto,
quel viso
segnato da rughe profonde e dagli anni che passavano e che lasciavano
le loro
tracce. Quando le sorrideva in quella maniera significava che c'erano
ospiti,
il che significava che gli avrebbe fatto piacere che si presentasse ai
suoi
amici.
Fece un cenno d'assenso sorridendo aggraziata e seguì suo
padre per il
corridoio, girando poi a destra per accedere al vasto e antico salotto.
Era un semplice gesto di ringraziamento nei suoi confronti, dato che le
aveva
permesso di rimanere ad abitare a casa sua finché non si
fosse appartata nella
sua nuova villa, quasi ultimata. Aveva affidato i lavori al miglior
architetto
della città e confidava nel fatto che tutto fosse fatto alla
perfezione.
Amelia si presentò a Laurence e al figlio Valerio,
sorridendo loro senza
veramente averne lo stimolo.
«Io sono Amelia, piacere.»
«Il piacere è tutto mio, io sono Laurence e lui
è mio figlio Valerio.»
Laurence le baciò la mano e con una strizzata d'occhio
tornò ad accomodarsi
nella poltrona dalla quale si era sollevato un attimo prima: quel poco
che
sapeva di lui era che era un vecchio depravato amante della bella vita
e delle
donne, strapieno di denaro. Suo figlio si fece avanti e, come il padre,
le posò
le labbra sulla superficie della mano, da perfetto gentiluomo. Era un
giovane
di bell'aspetto, con quei folti capelli corvini e quei profondi occhi
azzurri
che nel complesso gli donavano fascino e grazia, in aggiunta alla sua
costituzione fisica muscolosa e all'altezza considerevole.
«Incantato, signorina Amelia.»
Con un ultima occhiata alla giovane bellezza, si risedette a sua volta.
Lei lo faceva perchè doveva, voleva bene a suo padre e
deluderlo era una delle
sue paure più grandi.
Si sedette con eleganza in una delle poltrone di pelle, accavallando le
gambe
come dettava il suo solito copione da perfetta intrattenitrice e
padrona di
casa, mentre osservava con scrupolosa attenzione ogni presente nella
sala,
fingendo interesse nei loro discorsi; lavoro, lavoro e lavoro. Le loro
conversazioni ruotavano tutte attorno ad esso, senza spaziare su altro.
Lo sguardo del giovane vagava da suo padre ad Amelia che, se
poteva,
evitava di accorgersene, lasciandogli credere di non essersi resa conto
dell'interesse che le rivolgeva.
Ma non le importava, essere al centro dell'attenzione faceva parte
della sua
quotidianità, tuttavia per lei non era un bisogno primario;
odiava sentirsi
osservata e desiderata fortemente dal sesso maschile, era come se in
lei
rivedesse sua madre... bella e maledetta.
La serata passò con lentezza tra occhiate di fuoco e
completa indifferenza, con
quei discorsi pedanti e inutili sul lavoro, che facevano da sottofondo
a
quell'atmosfera densa e troppo carica. Valerio non sembrava proprio
capire che
Amelia non se lo filava. Finalmente, a distanza di due abbondanti ore
dal loro
arrivo, annunciarono che era ora di ritornare a casa loro,
così la giovane
bellezza li accompagnò gentilmente alla porta, fingendo un
sorriso. Laurence la
salutò cortesemente, le fece un piccolo inchino e percorse
il piccolo sentiero
che conduceva al cancello della villa. Incontrò due occhi
dal colore del
ghiaccio, che trafisse con i suoi, scoprendo la figura alta e
affascinante di
Valerio avvicinarsi pericolosamente a lei, la disinvoltura che
tracciava i
contorni più definiti della sua espressione beffarda e
insolente; gli conferiva
ancora più fascino. Era talmente vicino che ne
sentiva il respiro
alitarle la fronte.
«Speravo in un bacio di congedo. Mi delude
Amelia.»
«Mi dispiace darle dispiacere, ma temo che si
dovrà accontentare.»
«Peccato. Allora sarà per la prossima
Amelia.»
«Non ci speri.
Arrivederci»
Con quel sorrisetto beffardo uscì dalla porta, accompagnato
da movimenti sicuri e determinati.
Che stronzo -
pensò la bella Amelia, mentre si pettinava i capelli con
movimenti fluidi e morbidi - credeva
davvero di avere una chance con me? Che atteggiamento insolente ha
avuto nei miei confronti, come se stesse parlando alla sua fidanzata.
Ma chi si crede di essere quello? - Posò la spazzola
e raccolse i luminosi capelli dal colore sanguigno in un
elegante chignon; pur non avendo nemmeno un filo di trucco riusciva ad
essere attraente, con quei tratti forti e armoniosi che, sommati a
tutto il resto, la rendevano bella come poche. Fissò
esasperata il suo riflesso nel grande specchio del bagno, cercando un
difetto inesistente nel suo viso. Nulla, tutto noiosamente a posto come
sempre.
Si diresse
speditamente in sala da pranzo, nella quale Emanuele la aspettava per
consumare la cena. Lei in tutta tranquillità prese posto a
tavola e si servì.
«Sai, il figlio di Laurence mi è sembrato un bravo
ragazzo. Un gentiluomo, non trovi anche tu?» Le cadde la
forchetta dalle mani, che cozzò sul fondo del piatto di
porcellana, facendo un chiasso assurdo. Come può pensare che
quello stronzo possa essere un bravo ragazzo? E' un maniaco quello,
altrochè! - pensava lei, mentre masticava
lentamente.
«Non mi convince, ed è un vero stronzo.»
«A me è sembrato a posto.»
Rimase in silenzio e continuò a mangiare, senza
più proferir parola.
Quando si sentì completamente sazia si sollevò
dalla sedia e si chiuse in bagno, voleva farsi una doccia e in seguito
continuare a lavorare sul progetto di quell'abito da sera che le
serviva per completare la linea. Le avrebbe occupato
la maggior parte della nottata, ma era importante che la
completasse in tempo. Si spogliò ed entrò in
doccia, facendosi scivolare addosso quei rivoli di acqua bollente, in
fase di completo relax.
Diventava sempre meno sopportabile quando quello stronzo accompagnava suo padre a casa mia per fissare dei nuovi accordi lavorativi, come se mio padre avesse bisogno di guadagnare altro denaro, con tutto il capitale che possedeva.
Odiavo Valerio, il suo comportamento, la sua altezza smisurata, le braccia muscolose e quel maledetto sensuale ciuffo ribelle che gli ricadeva sugli occhi, indomabile. Non partecipavo più alle loro riunioni, ma quando era indispensabile attraversare il salotto per recuperare un oggetto che mi serviva non potevo non lanciargli qualche occhiata per scoprire se mi guardava.
Ogni volta che lo facevo lo sorprendevo fissarmi imperterrito, lo sguardo insolente che avevo imparato ad odiare e quel ciuffetto nero che gli invadeva la vista non appena si voltava verso di me. Non potevo negare che ne fossi vagamente attratta, eppure il mio profondo odio nei suoi confronti superava ogni altro tipo di sentimento, che fosse positivo o negativo, li insabbiava.
«Perchè non vi fermate a cena stasera?» Gli aveva proposto mio padre, dato che la questione della quale discutevano non si era ancora risolta.
«Molto volentieri.» La voce roca e profonda di Valerio mi aveva acceso nell'animo la voglia di commettere un omicidio, precisamente il suo. Adesso anche a cena, a casa mia, dovevo sopportarlo? Non bastavano gli interi pomeriggi, e le sere, nei quali venivano a discutere di lavoro? No, adesso mio padre si era messo anche il vizio di invitarli per la cena. Peggio di così non sarebbe potuta andare.
Avevo colto il leggero aumento di volume nel tono in cui accettava l'invito di mio padre.
Le risposte a quell'atteggiamento erano due: o temeva che mio padre fosse sordo e perciò non avesse sentito bene, oppure si riferiva a me e allora mi stava largamente prendendo per il culo.
Mio padre mi aveva raccomandato di vestirmi elegantemente per ricevere gli ospiti, avevo tre ore per rimboccarmi le maniche e fingere di voler dare loro un sincero benvenuto, come tutti i giorni ormai, in casa mia; mi sarebbero bastate. Per l'occasione speciale avevo scelto di indossare il mio vestito di seta nera ed i miei tacchi altissimi in vernice lucida; una manciata di schiuma per definire meglio i miei capelli già mossi di loro, era sufficiente per l'acconciatura. Un tocco di rossetto, matita e ombretto applicati con maestria ed eccomi pronta, appena in tempo per sentire qualcuno bussare alla porta.
Mi affrettai ad accorrere alla porta...
Il suo sorriso, finto quanto ammaliante, abbagliò il mio sguardo che la fissava, perso. Di fronte a tanta bellezza e sensualità mi sentivo piccolo e insignificante. La mia, messa al confronto, svaniva.
I suoi capelli di fuoco erano mossi come onde di mare in tempesta e anch'essi, con i loro movimenti morbidi e leggeri, mi invitavano dolcemente a porgere una mano e toccarli stringendoli tra le dita. Entrai e non smisi un solo secondo di fissarla, meravigliato. Sentii il suo sguardo confuso e volutamente freddo pugnalarmi e lasciarmi senza fiato, come faceva quando mi vedeva. Sistemai distrattamente il ciuffo dietro l'orecchio e mi sedetti disinvolto sulla sedia che mi era stata indicata da lei. Mio padre mi seguiva, osservando Amelia con desiderio crescente; era un vero pervertito. Se solo avesse continuato a fissarla in quel modo o se solo l'avesse sfiorata, anche per sbaglio, gliel'avrei fatta pagare cara, lei era mia e basta.
«Valerio, Laurence! Finalmente siete arrivati. Adesso mia figlia vi servirà le pietanze.»
«Sì Amelia, perchè non ci porti qualcosa da mangiare?»
Il mio tono era beffardo e sprezzante come sempre, la mia solita copertura agli occhi di lei.
Mi fulminò con lo sguardo e si diresse in cucina, vagamente arrabbiata. Sapevo che mi odiava con tutta sè stessa, ma io no.
Io l'amavo, dal primo giorno che l'avevo vista mi ero perdutamente innamorato di lei, del suo carattere, della sua bellezza, del suo modo di fare.
In lei non c'era niente da cambiare, era perfetta csì com'era: fragile, bellissima, dolce perfino, anche se nemmeno lei lo sapeva.
Dopo quell'ultima occhiata si sedette al suo posto, in tutta la sua eleganza.
Era la sua unica occasione di farle capire il suo amore, ma lei non sembrava volerne sapere niente, nè di lui nè del suo stupido amore.
Non voleva arrendersi alla bellezza di lei il bel giovane e la inseguiva in quel corridoio ampio e infinito, che invece di avvicinarsi alla propria fine sembrava si stesse allontanando.
Il tempo sembrava trascorresse a rilento, in realtà tutto successe in modo veloce e regolare.
Due labbra. Altre due. Si uniscono e tutto cambia colore, sapore, le emozioni si trasfigurano in altre.
Prima il giallo abbagliante delle luci, poi è il buio della sua stanza da letto ad avvolgerli.
La porta sul letto e le sfila i vestiti di dosso, in seguito la biancheria. Lei è nuda.
Amelia non sa che le succede, non è più padrona di sè stessa.
La passione si sostituisce all'odio e la sua intensità la porta a denudare il suo tanto odiato Valerio, che non esita a riappropriarsi della labbra di lei e le fa sue, mescolando la lingua con quella di lei, furiosamente. Non lo ferma, l'unica cosa che desidera veramente è proprio quella di lasciarsi andare.
Si lascia possedere da Valerio che la tocca, la bacia, la prepara e la penetra, prima delicatamente, poi con ardore, senza più pensare alla delicatezza.
Quella notte è passata, è mattina.
L'odio si è trasformato in passione, tutto ha perso il proprio senso.
Nemmeno quella posizione ha un senso.
Lei, sdraiaita sopra di lui, si sono appena svegliati e accolgono con i loro occhi la luce solare che filtra dalle vaporose tende color lilla.
Amelia e Valerio hanno fatto l'amore, adesso si accarezzano.
«Ti amo.»
E' Valerio a parlare, Amelia lo guarda e a partire da quel millesimo di secondo tutto è più chiaro.
I colori delle iridi di differenziano, l'espressione è la stessa, la stessa di chi sa che la sua vita ha finalmente conosciuto uno spiraglio di luce.
Non più grigia, spenta, vuota ma colorata, accesa e completa. Finalmente.
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Note: questa storia l'ho scritta in un momento di ispirazione. Mi ritrovo abbastanza nello stato d'animo di Amelia.
Lei che non ha mai vissuto emozioni veramente forti come quella della vera amicizia, dell'essere in un qualche modo normale e... dell'amore si ritrova improvvisamente a vivere l'ultima, che le da un altra ragione per continuare a vivere, oltre a quella del lavoro. Spero che questa one-shot vi sia piaciuta, mi sono messa d'impegno e mi pare di averla fatta abbastanza carina.
Recensite mi raccomando! Baci, Fra.