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Autore: L o t t i e    04/09/2015    3 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Porcellana rotta, urla silenziose.








L'aria era ferma, sporca, stantia come l'acqua che ristagna in qualche pozzanghera―probabilmente in quella stanza non si apriva una finestra da giorni. Claude stava iniziando ad odiare quella luce giallognola che proiettava il lampadario e rimbalzava sui mobili d'arredamento abbastanza impolverati. Il tedesco tirò indietro i capelli neri osservando ancora, accigliato e pensieroso, quella freccia dalla punta in argento―la stessa punta che lo avrebbe ucciso definitivamente.
Ci rifletteva da giorni, ma non riusciva a comprendere perché gli sembrava tanto familiare, qualcosa gli sfuggiva. Come il perché di tanta goffaggine usata per scagliarla. Il paletto che invece aveva estratto dal fianco di William lo aveva riconosciuto fin troppo bene: solo un uomo avrebbe potuto intagliarlo. Eppure...
Lanciò la freccia sul comò, massaggiandosi le tempie con entrambe le mani. Alexandre Leroy era morto, non vi erano motivi per scervellarsi tanto, no?
Allora perché... perché...
«Claude?»
Quest'ultimo digrignò i denti, lanciando la prima cosa che colse con gli occhi a Trevor. Il soprammobile in porcellana si schiantò contro la parete, mancando il viso del ragazzo di qualche centimetro. Il britannico sussultò, osservando prima il vampiro, poi William dietro di sé―la quale fece capolino con il viso, fissando sbigottita il faccino di porcellana della donnina ormai sul pavimento.
«Lo volevi mandare al pronto soccorso?!», sbottò l'albina.
«...C-credo di aver visto la morte―», farfugliò Trevor, gli occhiali calati sul setto nasale.
«Che tragici. Non l'avrei mancato, non credete?», ma non ne era certo neanche lui: quel lancio non era proprio calcolato. Claude osservò Trevor, quella sua espressione ancora mezza terrorizzata solleticava pericolosamente la propria ilarità.
«Ehy, ma quella non è la frec―»
«Eh no, eh no, chi vi ha dato il permesso di entrare?» borbottò il vampiro spingendoli fuori, chiudendosi la porta alle spalle. «Cos'è, non si bussa?»
«Ah! Senti chi parla! Tu sei il prim-- ch-- mhh!»
«Shh, sei fin troppo gasata oggi», rise il corvino continuando a premere il palmo della mano sulle labbra di William. «Trevor? Riprenditi, mi sembri un anemico.
Cosa volevate?»

Quella zona di Parigi era tappezzata di nuvole color piombo. Nonostante la pioggia avesse smesso di cadere, i passanti tenevano tutti con sé almeno un ombrello―tranne William e Trevor, che per qualche arcano motivo evitavano il contatto fisico in qualsiasi modo, con qualsiasi pretesto. Insomma, tra i due aleggiava un'insolita nube d'imbarazzo; non certo come la loro prima, trasgressiva uscita dalla villa.
L'albina aveva notato questa sottile differenza nel corvino, per quanto in minima parte fosse sempre succube, e non ne comprendeva il motivo. Comprendeva solo che―provava un certo disagio a stare vicino al diciannovenne, ora.
In ogni caso, doveva concentrarsi sul motivo di quell'uscita gentilmente concessa dal vampiro più grande. Mancava giusto una settimana, giorno più, giorno meno, al compleanno di Samantha: al venti di aprile. E neanche se fosse stata tenuta in un carcere di massima sicurezza avrebbe rinunciato a comprare un regalo alla sua migliore amica.
«Quindi... hai già qualche idea in mente?» abbozzò Trevor sfilandosi gli occhiali da vista.
«Certo», assicurò l'altra: stavolta avrebbe optato per un capo d'abbigliamento, in fondo lei e Sam erano molto simili di costituzione, nonostante la rossa si vantasse dei due centimetri che la rendevano più alta dell'amica. «Non pensavo che Hitl―Claude ci tenesse così tanto a scoprire chi mi ha... uhm, rapita», borbottò entrando in una boutique, seguita da Trevor.
Il ragazzo ridacchiò piano. «Ne è quasi ossessionato, sai che vuole essere lui il “privileggiato”», aggrottò le sopracciglia, inforcando di nuovo gli occhiali.
«Oh, certo... nessuno può uccidermi se non lui», commentò William roteando gli occhi. Nel frattempo aveva già agguantato almeno tre magliette e un abito. «Vado a provarli.»
«Mh», annuì l'altro, «ti... ti aspetto qui.»
Si sentiva terribilmente fuori posto.







* * *









Il mattino seguente, venerdì, Elijah - o Neru, come aveva iniziato a farsi conoscere in quella zona - si svegliò giusto un poco più tardi del solito. Il suo orologio da polso e la sveglia che evidentemente non era stata puntata segnavano le sette e dieci minuti. Certo, avrebbe iniziato a lavorare dopo l'intervallo scolastico, ma preferiva arrivare a scuola in anticipo. Un po' perché non aveva molto da fare in casa, un po' perché il giorno prima aveva stranamente dimenticato di correggere alcuni compiti della 3ªA, classe che quell'anno avrebbe conseguito il diploma.
Sentiva il corpo pesante, fatto di piombo, la mente annebbiata, confusa. Forse... dopo la doccia... possibile che fosse andato direttamente a dormire? Ancora racchiuso nel bozzolo che era il lenzuolo del suo letto, si passò una mano tra i capelli bicolore. Quindi decise di alzarsi.
Tra un pensiero e l'altro - far sapere il suo nuovo indirizzo e numero di cellulare a Synnøve - iniziò a vestirsi con i soliti abiti: camicia bianca, blue jeans, scarpe, beh, comode... un po' così, con la testa fra le nuvole.
Il polsino della camicia gli dava una fastidiosa sensazione al polso destro: gli prudeva. E sempre sul polso destro avvertiva un piacevole tepore o ancora un vero e proprio incendio, bruciava.
Eppure, qualcosa gli impediva di alzare la manica e osservare per comprendere il motivo del prurito. Inconsapevole che, se l'avesse fatto, avrebbe scoperto la prova concreta che una delle sue alunne fosse in realtà un vampiro e che il pomeriggio scorso fosse stato aggredito anziché parlare con il tutore di William.
Si osservò distrattamente allo specchio della toilette, mentre aggiustava i capelli un po' per i fatti loro―e i suoi occhi sembravano aver perso quella magnetica sfumatura violacea, lasciando posto soltanto ad un banale blu, statico e vuoto.

Verso le otto circa, Samantha e William stavano già salendo al secondo piano dell'istituto, avviandosi in classe. Nicole, dietro loro, stava inviando qualche messaggio prima di spegnere il cellulare. Melanie aveva preso il raffreddore, quindi a volte la castana era costretta a seppellire l'ascia di guerra per passare un po' di tempo con le due migliori amiche - non l'avrebbe ammesso mai, ma le piaceva stare con Sam e Will - per non finire in fondo alla classe, ignorata da tutti.
«Spero comunque che il mal tempo duri fino al mio compleanno! Sai che tristezza non poter uscire con te per colpa del bel tempo?!» rise Samantha.
«Effettivamente...» sbuffò l'albina.
«Beh...» iniziò la castana, intromettendosi, senza però alzare lo sguardo dai gradini «...male che vada...» continuò a camminare, non accorgendosi che le due di fronte a sé si erano fermate a guardarla. «Potrest―» alzò il viso rendendosi conto di essere fissata. «...»
«Potreste, cosa?» domandò la rossa, chinando il viso d'un lato.
«Assolutamente nulla. Vi volete spostare?!» le sorpassò rossa in viso «ma tu guarda queste, oh.» borbottò accelerando il passo.
«...È arrossita», disse William.
«E anche tanto», concluse Samantha.
Le due si guardarono un attimo tra di loro, sbigottite, poi alzarono le spalle, continuando a salire le scale.
«Oh, a proposito di rossori, Will!» esclamò Sam sulla soglia dell'aula. «Per i tuoi standard», l'albina aggrottò la fronte, «hai un colorito migliore, intendo qui!» si schiaffò le mani sulle guance guadagnandosi una strana occhiata da parte di William. «Hai le guanciotte!»
«Tutti hanno le “guanciotte”, eh.» mugugnò l'altra stringendosi nelle spalle, dando una spintarella all'amica per spronarla ad entrare in classe.
Aveva capito cosa intendesse Samantha.

-Mhh, pronto?-
-Papà?!-
-Oh, tesoro mio.-
-Il tuo numero non era..?-
-L'ho riattivato giusto un paio di giorni fa, ma non pensavo mi avresti davvero chiamato. Hai bisogno di qualcosa? Come sta il tuo fianco? Mangi regolarmente?-
-...-
-William? Ehi―-
-Te ne sei andato ancora, mi hai lasciato con Claude.-
-Sì, lo so, ma...-
-Perché non l'hai ucciso? Perché
tua moglie è ancora in Giappone?-
-Non parlare così di tua madre-, ribatté Alexandre con tono severo, -sta lavorando duramente per trovare un lavoro e una casa in attesa che la situazione qui si sistemi. È complicato.-
-Sta cercando lavoro?-
-Credi che potremo continuare a vivere a Parigi dopo che Claude sarà scomparso?-
-Non so, ma il Giappone è dall'altra parte del mondo!-
-Will, ti **ngo a tro**** d**ani, ** bene?-
-Pa', non ti sent―!-

«...e ha riattaccato.»
«Mh, cosa hai detto?»
William continuò a guardare fuori dalla finestra, mordicchiando il cappuccio di una penna nera. Di quella chiamata, non aveva proprio compreso la fine: l'audio era tutto disturbato. Quella chiamata, che per mera curiosità aveva fatto la sera prima, l'aveva distrutta.
«Stai scendendo in cortile? Mi sa che sta iniziando di nuovo a piovere», lasciò cadere il cappuccio della penna sul banco.
«Ahh, no. Ricordi che la Mureau voleva vedermi?»
«Mhh... ora sì.»
«William», sbuffò Samantha, «che hai?»
La diretta interessata si limitò a scrollare le spalle, fissando il cielo grigio fuori la finestra. «Mi faccio un giro in corridoio.»
«Come ti pare», borbottò l'altra gonfiando appena le guance.
Uscirono insieme dalla classe; l'albina accompagnò l'amica fino alle scale - l'aula insegnanti si trovava al piano terra -, la osservò scendere e, prima che si voltasse per andare alla deriva in quell'oceano di studenti pettegoli, vide un ciuffetto bianco oscillare su per i scalini.
Arcuò le sopracciglia, facendole sparire sotto i capelli. Neru - il suo professore di inglese, e unico individuo dal quale era riuscita a bere del sangue senza conseguenze devastanti - teneva sottobraccio una piccola pila di fogli. Sembra star bene, pensò con sollievo. Sollievo che sparì, sostituito da un'incontrollabile ed atipica paura, non appena il ragazzo le arrivò di fronte e la osservò con quei suoi bellissimi occhi blu incrinati dalla stanchezza.
«William Leroy», sorrise lui.
«'Giorno prof.», rispose lei, incerta. Anche se le possibilità che ricordasse qualcosa fosse nulla, non riusciva a far finta di nulla e sorridere, comportandosi normalmente. Sospirò e in silenzio fece retro front per tornare in aula―come aveva ipotizzato fuori aveva ripreso a piovere.
«William!», un barboncino marrone―no, Nicole, con quei suoi enormi occhiali circolari coperti per la metà dalla frangia, le stava correndo incontro. «Will! Hai visto il prof. d'inglese?» le domandò, continuando a correre sul posto.
L'albina indicò dietro di sé. «Andava di là.»
«Okay, grazie!»
Grazie?! «No, aspetta aspetta!» prima che Nicole potesse schizzare via, la prese per un braccio. «Cos'è successo di così grave da farti dire grazie a me
La castana sembrò pensarci su, fissando la sua interlocutrice con le sopracciglia arcuate dalla curiosità. «Se te lo dico», sogghignò, «tu dovrai soggiogare qualcuno per me.»
«Cos―no!» sbottò William mollando immediatamente la presa.
«Daaai!» si lagnò la castana.
«Perché dovrei costringere qualcuno a fare o dire qualcosa per te?»
«Perché potrei aver scoperto qualcosa di interessante sul prof.», s'impettì.
«Guarda che tutti gli albini non sono mica vampiri...»
«Non intendevo quello! Mia madre mi ha detto che in Norvegia c'è stato uno scandalo ultimamente: il figlio del re, Elijah qualcosa - Herald? - si è scoperto essere gay e―»
«Pensi che Neru, il nostro professore, sia in realtà questo Elijah?», arcuò un sopracciglio, scettica.
«Ne sono sicura! Se su Google immagini cerchi “Elijah principe di Norvegia” esce una sua foto!»
«Oh, ma... se ha voluto tenerlo segreto un motivo ci sarà, no?»
Alla fine, facendo riflettere Nicole, William riuscì a dissuaderla. Arrivarono alla conclusione che non sarebbe stato corretto. Principe o no, se quello che interessava alla castana era solo avere una storia da raccontare o «un autografo» a costo di rovinare l'identità di una persona l'albina non l'avrebbe aiutata in ogni caso.
Nonostante la curiosità.
Magari, pensò, avrebbe chiesto a Claude di indagare o, ancora, avrebbe potuto farlo lei da sola, discretamente. Inconsapevole che non avrebbe avuto altre occasioni per farlo.

Il termine della giornata scolastica venne annunciata alla campanella alle 14:30. Pioveva ancora ed il grigio veniva scacciato ogni tanto da qualche lampo azzurro ed i suoni della città oscurati dai tuoni. Al portone d'ingresso del liceo, come prevedibile, si era creato un ingorgo di studenti ed ombrelli. Una volta fuori William e Samantha aprirono i loro ombrelli―l'albina si guardò velocemente intorno, notando qualcosa che la fece rabbrividire: l'auto di Claude, lui stesso, non era lì.
«Tutto okay?»
«Oggi vado a piedi, non preoccuparti. Ci vediamo lunedì!» le sorrise incamminandosi nella direzione opposta. Più avanzava verso il boschetto, più la sensazione di essere osservata aumentava, cresceva―come un piccolo parassita che le si arrampicava addossi, viscido. Arrivò al sentiero che conduceva alla villa con il fiatone ed un immaginario batticuore che le tamburellava nelle orecchie.
Qualcosa non va. C'è qualcosa di sbagliato―pensò, prima stringendo il manico dell'ombrello e dopo facendolo cadere insieme alla cartella. Le goccioline d'acqua s'infrangevano sulla sua figura bianca silenziose e rinfrescanti, stonavano con quel crescendo d'ansia. Alzò lo sguardo, riprendendo la sua camminata veloce: tra il paesaggio monocolore, una nube scura si alzava dalla villa per raggiungere il cielo.
La villa non aveva un camino.

Quando arrivò, la porta d'ingresso era aperta.
«Claude..? Trevor..?» sussurrò entrando con cautela.
L'aria era pesante, ma ciò che bruciava si trovava sicuramente al piano superiore. Lì, all'ingresso, invece, era tutto distrutto: dal tavolino, ai quadri, al divano. Come se quel posto avesse improvvisamente perso la magia che lo teneva in piedi.
«Non penso che Trevor possa... sentirti.»
La voce atona di Claude ruppe il silenzio. Flemmatica, l'albina si voltò. Alla sua sinistra il vampiro stava seduto sul pavimento, tra le mani aveva un pezzo di legno―il paletto di legno che era stato estratto proprio dal suo fianco. I pantaloni neri del corvino erano impolverati, teneva il viso chinato, come se gli interessasse solo quell'oggetto.
«Infatti dopo la morte non c'è un bel niente. Suvvia prinzessin», alzò lo sguardo verde osservando per qualche secondo il viso di William: una tela bianca. «pensavi ci sarebbe stato il lieto fine?»
«Trevor... l'hai ucciso? T-tu...»
«Tecnicamente», poggiò una mano sul pavimento per alzarsi, «si è trattato di suicidio
William era certa di aver perso ogni colore ed espressione, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli di Claude, vacillò - per un attimo sentì il pavimento sgretolarsi sotto i suoi piedi - e fece tre rapidi passi indietro, d'istinto.
Il labbro inferiore intrappolato fra i denti, il respiro veloce―si guadò attorno.
«Avrei potuto portarti in Germania con me, Will. Tanto», scrollò le spalle avanzando di qualche passo, «che senso avrebbe avuto ucciderti se non ci fosse stato Alexandre come spettatore? Ma poi ho capito, grazie a questo... tu sapevi già tutto. Quel cacciatore è ancora vivo. Tch.» una scintilla si accese in quegli occhi smeraldini, incendiandoli e un'espressione disgustata s'impadronì del viso del vampiro e con velocità inumana si scagliò sull'albina.
Ella emise un verso strozzato, pressata alla parete, tenuta su per il collo da Claude. Si mosse, inspirò l'aria graffiante afferrando con entrambe le mani il braccio del corvino nella vana speranza di fargli allentare la presa. Serrò gli occhi. Si sentiva come una mosca crudelmente tenuta dalle ali, che tentava in tutti i modi di fuggire emettendo un ronzio disperato.
Sentì le dita di Claude stringersi ancor di più sulla pelle, poi il suono nitido e raccapricciante del legno che affondò, senza esitazione, in mezzo al suo petto, le ossa spezzarsi come stuzzicadenti.
Sgranò gli occhi, rigettando sangue dalla bocca, un urlo le si gelò in gola. La vista le sia annebbiò e le lacrime, silenziose, scesero lungo le guance esangui―come se non avesse più alcun briciolo di forza, lasciò il braccio del corvino, prima che quest'ultimo a sua volta la lasciasse cadere al pavimento con un tonfo sordo. Stordita, riuscì a cogliere la sagoma di un uomo sovrastare quella di Claude china in avanti.
«'ccidenti», ghignò senza scomporsi troppo. «Credo proprio che ora non potrò evitare la vecchia signora morte», ridacchiò debolmente.
«Esattamente», sibilò Alexandre chinandosi in avanti per afferrare i capelli neri di Claude con una mano e poggiare la balestra sulla schiena del vampiro. «E ora vedi di sparire», premette il grilletto.
Lasciò cadere l'arma sul pavimento, insieme al corpo improvvisamente ingrigito e disidratato di quell'ormai mummia, un guscio senz'anima―si precipitò quindi senza ulteriori indugi da William, sollevandole il capo chino.
«Mon petit trésor, William, ehy», la chiamò dolcemente, carezzandole una guancia, ostentando un sorriso pallido.
«Pa... pà..?»
Alexandre strinse le labbra, ponendo un braccio sotto le ginocchia della figlia e l'altro dietro le scapole. «Sì, sono io. Resta sveglia. Ora andiamo via da questo posto, andrà tutto bene. Ci sono qui io, ora.» quindi la sollevò dal pavimento. «Will, come ti senti?»
«Sto morendo... ancora―ngh... c-come dovrei... sen... tirmi..?»
«Sbagliato, non stai morendo. Non hai progetti per domani? Raccontami, dài.»
«Il... compleanno di Samantha», sussurrò debolmente l'altra.
«Ah, sì? Che giorno è?», scese le scale, finalmente fuori dalla villa in fiamme. «Ehy!», attirò l'attenzione di un ragazzo, il quale si avvicinava in corsa, «Tu sei Trevor, giusto?!»













Ultime deliri note dell'autrice:
GENTE.
EHY GENTE, VI RICORDATE DI ME?
Siamo arrivati all'ultimo capitolo, ci credete? Io proprio no. Accidenti, che poi non è proprio l'ultimo, visto che dopo abbiamo l'epilogo (che spero di pubblicare mooolto presto! uvu)... e un sequel, ma shh. Scriverlo è stato un parto gemellare. In verità, questi sono quasi due capitoli, ehw. Cari lettori e lettrici, non vi ringrazierò mai abbastanza per aver seguito (messo nelle preferite, ricordate, recensito) questa storia! Se penso che il prologo, quell'obbrobrio, è arrivato a circa 1000 visite mi commuovo. ;____;
Un ringraziamento speciale va a Chiaracchan, alla senpai, che ha sopportato i miei scleri sui capitoli, le paranoie e mi faceva da consigliera e Gaia, la mammina di Trevor e mia lettrice personale. [rido] ♡
Che altro dire? Ve lo aspettavate questo finale? Pensavate sul serio che quello scemo di Trevor fosse morto? Che vi avrei trollato? :>
Lasciatemi un commentino, che mi fate felice. ☆
Un bacino a tutti,
―L o t t i e.
  
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