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Autore: scrittrice in canna    05/09/2015    5 recensioni
Due agenti di polizia che lavorano per il bene della comunità e per cercare di colmare gli spazi vuoti nelle loro vite, mettendole a rischio ogni giorno senza il desiderio di sopravvivere, si scontrano e scoprono che i loro pezzi rotti combaciano più di quanto potessero immaginare.
IN PAUSA
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Vuoi dirmi dove stiamo andando?” chiese Emma a metà strada non riconoscendo la strada che entrava nei boschi, la voce calma. Killian cercò di sviare la domanda dandole l’indirizzo che aveva dettato Archie, ma lei lo guardò con uno sguardo che gli fece capire che non sarebbe stato così facile.
“Era la casa estiva di Gold. Non la usava da un po’ quindi io e lei...” Emma annuì e tornò a fissare la strada, non voleva fargli rivivere dei momenti dolorosi e non fece più domande.
“Saresti dovuta rimanere in ufficio” le disse quando iniziarono ad intravedere un palazzo alla fine del percorso che stavano percorrendo.
“E lasciarti affrontare il bastardo da solo? Non se ne parla.”
“Emma...” cercò di ribattere, ma lei si girò in modo da guardarlo anche se lui stava prestando attenzione alla strada e non a lei.
“Niente ‘Emma’, l’ultima volta che l’hai visto ti ha iniettato un tranquillante mentre strappava il cure dal petto alla tua ragazza quindi sì, vengo con te e non discutere.” Si fermarono bruscamente davanti a quello che sembrava un maniero ottocentesco ed Emma sgranò gli occhi stupita.
La villa non era diversa da come Killian la ricordava, ma il prato incolto e i rampicanti che erano cresciuti sulla facciata nell’ultimo decennio l’avevano resa una casa degna di un film dell’orrore anche sotto la luce del sole e il rumore delle onde. I due agenti presero la loro pistola e si diressero verso il portone arrugginito dalla salsedine, Emma non riusciva a buttarlo giù ma per Killian fu una passeggiata tra il metallo debole e l’adrenalina che gli scorreva in corpo.

Una volta dentro – grazie a una forcina per capelli e una serratura già distrutta – si presero qualche minuto per ispezionare la casa. Era piena di stanze, lui ne conosceva ogni centimetro mentre Emma era più in difficoltà quindi lo seguì senza fare storie. Fortunatamente la costruzione si estendeva su un piano solo, in questo modo avrebbero controllato tutto più velocemente e non avrebbero avuto gli stessi problemi che avevano affrontato dai Leeds, la casa era ariosa e larga il che lasciava spazio per spostarsi facilmente senza gli impedimenti di muri o scale.
Aprirono la prima porta che rivelava una stanza larga e ariosa, sembrava appartenere a un ragazzino ed Emma notò la differenza tra questa, ben curata per essere parte di una casa in decadenza, e quella dove era rimasta solo qualche settimana prima, ricoperta di sudiciume. Se avesse dovuto indovinare, avrebbe pensato che quella era parte di un posto disabitato.
Killian stava cercando di mantenere la rabbia sotto controllo, una mano chiusa in un pugno al suo fianco, l’altra stringeva la pistola con così tanta forza che le nocche gli diventarono bianche: “Era la stanza di suo figlio” disse senza aggiungere altro prima di chiudere con forza la porta e dirigersi a passo svelto verso l’altro lato del corridoio, la sua collega lo prese da un braccio e fermò la sua marcia fissandolo negli occhi per cercare di capire come si stesse sentendo in quel momento: addolorato, stanco o semplicemente arrabbiato. “Sto bene, Swan” le assicurò guardandola in modo più tranquillo, ma non provò nemmeno ad abbozzare un sorriso. Emma lo lasciò andare dopo qualche secondo e lo seguì mentre andava a passo svelto verso una porta bianca e graffiata.

Cominciava tutto con un ragazzo innamorato e ingenuo e finiva con una donna uccisa brutalmente a casa sua. Gli omicidi passionali sembrano sempre una roba da film, nulla che t’immagineresti di vedere nella vita reale, eppure lui stesso ne era stato spettatore, incapace di reagire anche solo per urlare il nome del suo amore in un disperato tentativo di salvarla. Per questo quando aprì la camera matrimoniale lo fece con forza e senza preoccuparsi di essere sentito. Gold non era altro che un codardo, non sarebbe mai uscito allo scoperto, sarebbe dovuto andare a cercarlo e sapeva da dove cominciare.
Lo trovarono lì, seduto sul suo lato del letto mentre studiava l’oggetto che aveva tra le mani. Non riuscivano a capire cos’era perché le tende erano tirate e anche se erano chiare la luce del tramonto non offriva molto a parte una flebile luce che tingeva tutta la stanza di rosso che unito ai colori crema e marrone del mobilio dava alla casa il colore scuro del sangue. A Killian sembrava quasi di essere all’inferno con il diavolo in persona.
“Salve, Capitano Jones” intonò l’uomo con un ghigno malefico.
“Archibald W. Gold, la dichiaro in arresto per omicidio, ha il diritto di non parlare. Tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale” recitò Emma estraendo le manette dalla tasca e avvicinandosi al letto, Killian puntò la sua beretta dritta alla testa di Gold pronto a sparargli al primo passo falso. Quando il Coccodrillo alzò il coltellino che aveva in mano e fece brillare la lama sotto la luce del sole, entrambi i poliziotti si fermarono all’istante.
“Tu devi essere quella nuova.” Disse con una risata raccapricciante avvicinandosi ad Emma e passandole la punta della lama sotto la mandibola per guardarle meglio il viso. Lei non aveva la sua pistola in mano e non poteva muovere il braccio per prenderla altrimenti l’avrebbe uccisa.
“Il nostro capitano ha dei bei gusti, eh?” Spostò la lama lungo la carne, verso il collo e il sangue che c’era sopra gocciolò a terra, bagnando il pavimento in legno. La stava fissando dritta negli occhi ed Emma avrebbe dato di matto, ma al minimo movimento le avrebbe tagliato la gola e la gamba dolorante sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi.

Killian rimaneva impassibile davanti alla porta, immobilizzato dai suoi stessi demoni e troppo terrorizzato per fare anche il più banale movimento, era come se tutti i muscoli del suo corpo fossero immobili ancora una volta e il senso di déjà-vu lo colpì come un pugno allo stomaco.


Il corpo di Milah a terra, privo di vita, suo marito accucciato sopra di lei mentre apriva la ferita che l’aveva uccisa trafiggendole il petto con lo stesso coltellino per tagliare le arterie che tenevano il cuore al suo posto, prendere l’organo in mano e sussurrare “È mio, è solo mio.” Killian non riusciva nemmeno a vomitare, sentiva il tranquillante fare effetto e qualche secondo dopo era svenuto.


Non avrebbe permesso ad Emma di fare la stessa fine, ma allo stesso tempo non poteva sparare a Gold senza rischiare che la uccidesse. Durante gli ultimi anni della sua vita aveva sempre sperato di assaggiare la vendetta e sentirne il gusto dolce sul palato, ma adesso che aveva la possibilità davanti a lui l’unica cosa che riusciva ad assaporare era il sapore metallico del sangue che gli usciva dal labbro che aveva morso troppo forte. Non doveva andare in questo modo, non sarebbe mai dovuta andare in questo modo.
“Fallo, Killian” gli disse Emma stringendo gli occhi, le mani alzate in segno di resa. “Sparagli. Avrai ancora tempo di chiamare un’ambulanza.” Gold rise mentre prendeva la pistola della ragazza dalla sua cintura e gliela puntava alla testa rimettendo il coltello nella sua tasca posteriore. “Non avrai tempo di fare un bel niente, caro. La scelta è semplice: la sua vita” cominciò enfatizzando le ultime parole premendo la canna dell’arma più violentemente contro la tempia di Emma che si trovò costretta a spostare il peso del corpo sulla gamba malandata e cadde a terra. “O la mia?” finì spostando lo sguardo sul ragazzo.
“Non posso lasciarti scappare.” Non si rese conto di averlo detto ad alta voce finché Gold non scosse la testa divertito e rispose: “Oh be’, in questo caso...” Mise il dito sul grilletto e lo premette senza rilasciare il colpo, bastava il movimento di un dito e sarebbero morti tutti e tre. Non sarebbe stato difficile per Gold mirare in rapida successione a lui e a lei, Killian avrebbe fatto partire il colpo ma si sarebbe risolto tutto con tre corpi senza vita e nessuno lì per sentire gli spari. Doveva fare una scelta: vendicare la morte del suo primo amore, della donna che gli aveva insegnato cosa voleva dire dare se stessi a qualcun’altra senza aspettarsi niente in cambio o salvare la vita della donna che conosceva solo da qualche mese ma che era riuscita a ricordargli cosa si provava quando eri innamorato di qualcuno? Sapeva che sarebbe morto in entrambi i casi: se avesse sparato a Gold ed Emma fosse morte per colpa sua non se lo sarebbe mai perdonato, si sarebbe ridotto a un involucro umano senza scopo né meta; se invece avesse deciso di lasciare la pistola nessuno gli avrebbe garantito che Emma sarebbe sopravvissuta, ma lui sarebbe di sicuro morto.
Prese un respiro profondo e s’inginocchiò, posò la pistola a terra e fece un passo indietro chiudendo gli occhi. L’unica cosa che sentì fu la voce di Emma che lo chiamava disperata, chiedendogli di aprire gli occhi, la risata di Gold e uno sparo.

Emma era a terra, incapaci di guardare verso la porta della camera da letto, le lacrime le rigavano il viso e le scaldavano le guance (mai attaccarsi a qualcuno, sarebbe sempre finita in tragedia). Se mai fosse riuscita ad uscire da quella casa maledetta avrebbe impacchettato le sue cose e sarebbe scappata da Boston più velocemente che poteva, magari avrebbe preso un aereo per l’Inghilterra – no, non l’avrebbe mai fatto. Non sarebbe stata capace di vivere circondata da ragazzi col suo stesso accento. Quando si decise ad alzare lo sguardo dal pavimento vide Gold col braccio alzato, la pistola puntata verso il tetto e delle macerie a terra proprio dietro di lui, la spalla del suo completo macchiata di polvere bianca. Spalancò la bocca quando si rese conto che Killian era ancora in piedi, gli occhi aperti e il petto che si muoveva regolarmente col suo respiro.
Il suo respiro. Era vivo.
Si lasciò sfuggire un suono a metà tra la risata e il pianto.
“Non mi rimangio mai la parola” disse Gold abbassando il braccio.
Emma approfittò del suo momento di esitazione per fargli perdere l’equilibrio con un piede, lo mandò a terra e lo ammanettò, finalmente. Il bastardo continuava a sorridere anche quando lo portarono in macchina, Killian non disse nulla durante il viaggio alla stazione e non batté ciglio quando David gli diede una pacca sulla spalla e gli fece le congratulazioni, a fine giornata Emma bussò alla porta del suo ufficio ed entrò prima che lui potesse rispondere – non era sicura che l’avrebbe fatto, in ogni caso.
“Ehi, ti va di venire da me e festeggiare? Ti lascio scegliere il film questa volta” disse prendendo una sedia e portandola accanto alla sua dietro la scrivania prima di sedersi. Gli prese il viso tra le mani per costringerlo a guardarla ma i suoi occhi erano spenti, non c’era traccia di gioia o di dolore. Per la prima volta Emma non riusciva a capire cosa gli passava per la testa ed era terrificante. “Per favore, parlami.” Sembrava quasi una supplica. Killian coprì le mani sulle guance con le sue, appoggiò le loro mani unite sulle sue ginocchia e abbassò lo sguardo, sospirò rumorosamente e biascicò le sue prime parole, la voce roca per non averla usata: “Quando sei caduta e lui stava per...” si schiarì la gola e continuò: “Ho capito che tutto quello per cui avevo lottato, tutto il tempo sprecato a cercare di vendicare Milah, non aveva più senso. Non ho mai pensato di poter superare la sua morte, di potermi innamorare di nuovo... finché non sei arrivata tu.”
Emma rimase immobile, non osava parlare o muoversi per non rompere il momento e anche se i suoi occhi erano tinti di lacrime lui non poteva accorgersene, concentrato com’era a guardare le loro dita, troppo spaventato per guardarla in faccia e trovare rabbia o pietà. Non sapeva quali dei due era peggio (sì che lo sapeva, avrebbe potuto gestire uno scatto d’ira, non sapeva cos’avrebbe fatto davanti a un discorso che cominciava con ‘mi dispiace, ma...’). Lei non disse nulla, era sempre stata del parere che le azioni parlavano più forte delle parole e in quel momento non voleva fare altro che baciarlo. Così lo fece.
“Stai meglio?” chiese Emma cercando di riprendere fiato.
“Molto meglio” ammise Killian alzandosi e portandola con sé, le loro mani ancora unite. “Avevi detto qualcosa riguardo un film, Swan?” Cercò di cambiare discorso, di godersi questa nuova intimità al meglio, ma lei sembrava essere diffidente quando annuì e non perché non voleva ritrovarsi da sola con lui adesso che non sapeva fino a dove sarebbero potuti arrivare, ma perché sapeva che c'era qualcosa che lo infastidiva e che non voleva dirle, gli avrebbe dato tutto il tempo del mondo per aprirsi con lei, l’unica cosa su cui dovevano concentrarsi era se vedere Iron Man o Capitan America.

Se qualcuno avesse chiesto a uno dei due cosa fosse successo nel film che avevano visto dopo i primi dieci minuti avrebbero boccheggiato come due pesci fuor d’acqua. Emma avrebbe mentito se avesse detto che la scelta di accendere il televisore nella sua camera da letto era qualcosa di diverso dal voler dare una spinta al suo nuovo ragazzo, che capì l’antifona immediatamente.
Ecco come si ritrovarono alle nove del mattino ancora addormentati. L’unica cosa che riuscì a svegliarli fu il telefono di Killian che suonò per la quinta volta di fila. Lui grugnì e mormorò qualcosa che suonava come ‘dovrei andare in pensione anticipata’ seppellendo ancora di più il viso tra i capelli di Emma, come se la semplice azione di stringerla avrebbe zittito il mondo almeno per un’altra ora.
“Dovresti rispondere” disse lei prendendo il cellulare, rispondendo e appoggiandoglielo sull’orecchio.
“Pronto?” fu l’unica cosa che riuscì a rispondere, la voce leggermente attenuata dalla spalla di Emma che non poté fare altro che sopprimete una risata e schiaffeggiare leggermente la mano sul suo stomaco che stava cercando di scendere.
Non aveva ritegno.
“David, rallenta” ordinò girandosi sulla schiena e liberando il braccio da sotto il fianco di Emma per potersi massaggiare le tempie. Si sentiva mormorare dall’altro capo del telefono, ma le parole erano imprecise, dopo qualche secondo la faccia di Killian cadde leggermente e il suo sorriso lasciò il posto a un’espressione arresa. “Si, d’accordo. Grazie. Ci vediamo lunedì” concluse la chiamata e appoggiò il telefono sul comodino dal suo lato del letto.
“Cos’è successo?” chiese Emma girandosi verso di lui, appoggiò la testa sul braccio per tenerla alzata e lo guardò cercando di capire cosa stesse pensando, ancora una volta.
“Non ci sono molte prove della colpevolezza di Gold” le spiegò prendendole la mano, parzialmente perché voleva farlo e in – gran – parte perché aveva bisogno di supporto. “Quindi vogliono che testimoni al processo.” Emma sgranò gli occhi e si avvicinò per appoggiare la testa sul suo petto. Se non sapeva cosa dire l’avrebbe aiutato in quel modo. “È tra una settimana.”
Passarono qualche secondo in silenzio prima che lei alzasse la testa e appoggiasse il mento sulla sua spalla: “C’è una cosa che non ti ho detto” rivelò, si morse il labbro e decise che gli avrebbe dato anche l’ultimo pezzo di se stessa, la storia di suo figlio. Gli raccontò della paura che aveva provato quando il test si era dimostrato positivo, senza la possibilità di farne un altro per confermare o negare la prima ipotesi, rotolandosi nel letto aspettando di vedere se la sua pancia sarebbe cresciuta e pregando con tutta la sua forza che non l’avrebbe fatto. Quando prese il primo chilo si disse che era tutta colpa dello stress, quando sentì il primo calcio non poteva più negare di essere incinta. Gli raccontò anche del giorno in cui nacque, di come non avesse avuto il coraggio di guardarlo o tenerlo in braccio. Durante la sua storia Killian era diventato rosso di rabbia per l’uomo che l’aveva ridotta in quello stato, la ragazza che aveva conosciuto sei mesi fa era quasi un’altra rispetto a quella che era tra le sue braccia in quel momento. Glielo disse e lei sorrise e lo baciò leggermente, lasciando tutta la frustrazione andare via per qualche secondo. “Sei mesi fa non sarei rimasta” confermò alzandosi e mettendo la prima cosa che trovò – la sua camicia.
“Dove vai?”
“Voglio ritrovare mio figlio. Ci ho pensato da quando sono entrata nella stanza di Brandon Leeds, ma ora ne sono certa, sono pronta per fare la mamma.” Killian s’illuminò, era fiero della persona che era diventata, non smetteva mai di stupirlo. “Da dove cominciamo?”
“Cominciamo?” chiese lei con un sorriso soddisfatto finendo di abbottonare la camicia.
“Se pensi che non ti aiuterò mi dispiace deluderti, Swan” le disse mentre chiudeva la zip dei pantaloni. Era tutto così facile. Spogliarsi era la cosa più semplice di solito, ma risvegliarsi accanto a qualcuno e vestirsi insieme era qualcosa di intimo che nessuno dei due aveva sperimentato da un po’ di tempo. Erano d’accordo, anche se silenziosamente, sul fatto che la loro routine mattutina era molto simile (sveglia, doccia, colazione, lavoro) ma affrontarla insieme era molto meglio.
“Siamo già in ritardo, dobbiamo risparmiare tempo. Sii ragionevole, Emma!”
“Se entri nella doccia con me non risparmieremo niente. Vai a cucinare, ho fame.”
Non si sarebbero mai aspettati di ritrovarsi così felici, anche se c’erano delle cose che gravano sulla loro testa, dei problemi da affrontare, l’avrebbero fatto come tutto il resto da quel momento in poi: insieme.

 

 

 

 

 

Scrittrice in cana's corner

Mi scuso per l'html, non riesco a modificarlo da iPad ma non appena avrò il pc libero avrete un formato più normale.

Questa giornata sta facendo davvero schifo, spero che almeno la vostra sia leggermente migliore con questo nuovo capitolo fluffoso. Io non volevo farli mettere insieme da ora, ma questi due non sanno stare lontani l'uno dall'altra. Non credo vi dispiaccia, giusto?

Vostra,

scrittrice in canna.

 

   
 
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