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Autore: Calliope49    05/09/2015    2 recensioni
[Seguito di “By any other name”]
La regina di Inghilterra sta per giungere a Parigi da suo fratello, re Luigi. Un sicario straniero viene mandato a ucciderla, un agente al soldo del duca di Buckingham viene mandato per salvarla.
Nel mezzo, i moschettieri, Diane alle prese con il suo nuovo incarico e, ancora una volta, il confine tra “buoni” e “cattivi” che non è così preciso come si vorrebbe…
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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IV
Trappola

 
L’alba guadagnava terreno un raggio di sole alla volta. Parigi era ancora sprofondata nel silenzio e nel sonno e solo lo sbattere d’ali di qualche piccione sembrava scalfire quell’immobilità indolente.
Sette paia di occhi arrossati dalla stanchezza si scambiavano sguardi nervosi nel salottino ancora scarsamente illuminato.
Il cardinale aveva letto e riletto il messaggio che Athos aveva trovato appuntato alla porta di Treville.
 
La regina di Inghilterra è in pericolo. Un sicario straniero è stato mandato a ucciderlo e ha alleati nascosti a Parigi. La sua vita è nelle vostre mani. 
 
«Magari è solo uno scherzo di cattivo gusto» disse Porthos. «Guardate la calligrafia, sembra quella di qualcuno che non è abituato a scrivere»
«A me sembra la calligrafia di qualcuno che ha scritto apposta come un bambino di cinque anni» intervenne Diane, attirando su di sé gli sguardi dubbiosi dei presenti. «Lo facevamo in collegio quando volevamo mandare messaggi anonimi… d’accordo, è una sciocchezza, non fateci caso»
«L’unica cosa a cui sto facendo caso ora è che non capisco che ci facciate qui, mademoiselle» borbottò il cardinale.
Provate a mandarla via, se vi riesce, pensò Athos.
«No, quello che ha detto Diane ha senso» disse Aramis. «Hanno appuntato il messaggio con un pugnale, sapevano che quella era la casa del capitano: è qualcuno che sa il fatto suo»
«Qualcuno che dovremmo conoscere, se si è preoccupato di camuffare la calligrafia» aggiunse d’Artagnan, inquieto.
La stanchezza e la notte insonne non aiutavano a far funzionare il cervello, e tutto appariva ancora più spaventoso.
«Dimentichiamo un attimo chi può aver lasciato il messaggio e concentriamoci su quello che c’è scritto». Treville si appoggiò con le spalle contro il muro e sospirò pesantemente. «Proteggere Enrichetta Maria dev’essere la nostra priorità»
«Avete ragione» convenne il cardinale. «Eppure non sono tranquillo al pensiero che ci sia qualcuno che era a conoscenza di un attentato alla regina di Inghilterra e ce lo ha fatto sapere senza palesarsi». Non avere il controllo della situazione doveva farlo impazzire, come il non poter mettere le mani sul misterioso informatore.
«Dovremo dirlo al re» osservò Athos. «Sua sorella è sempre con lui e con la regina, nessuno è al sicuro».
Richelieu si pinzò la radice del naso con le dita. «Spagnoli» sbuffò. «Vi avviso: il giorno che chiuderò gli occhi per sempre, guardatevi dagli spagnoli, perché non ci sarò più io a farlo»
«Non potete esserne sicuro» obiettò d’Artagnan.
«Dite? Un “sicario straniero”, chi altri avrebbe interesse nell’uccidere la moglie del re di Inghilterra se non gli spagnoli? Non hanno rinunciato all’idea di far sposare Carlo Stuart con l’infanta. Sventai questa sciagura anni fa, ora ho idea che il problema si sia riproposto in una forma diversa. Naturalmente se Enrichetta Maria muore mentre si trova sul suolo francese, l’Inghilterra sarà doppiamente sfiduciata nei nostri confronti e una sua futura unione con la Spagna sarebbe una tripla catastrofe»
«Non possiamo muovere nessun’accusa» disse Treville.
«No, se non vogliamo scatenare quella guerra per cui il regno non ha abbastanza fondi. Non di meno, dobbiamo mettere al sicuro la regina di Inghilterra. Qualcuno di voi uomini d’azione ha qualche idea?»
«Ho raddoppiato la sorveglianza alle stanze di Enrichetta Maria e il numero delle guardie di palazzo. Ma lei dovrebbe rimanere al sicuro fino a quando non faremo luce su questa minaccia».
Richelieu mosse qualche passo per la stanza, si appoggiò a un tavolino e per un attimo sembrò accasciarsi, poi raddrizzò le spalle e si voltò a guardare il capitano dei moschettieri con un’espressione esasperata.
«Sua maestà non accetterà di restare al chiuso per una minaccia della quale non abbiamo prove» dichiarò, assottigliando le labbra in un moto di frustrazione.
Per un attimo parve che lui e Treville avessero lo stesso identico sguardo da segugi inferociti.
«Oggi pomeriggio Enrichetta Maria deve vedersi con l’arcivescovo a Notre Dame, il re e la regina dovrebbero accompagnarla» spiegò poi il cardinale. «Pregate che io trovi il modo di fermarli».
«Ah, quindi è tutto nelle vostre mani? Ora sì che mi sento tranquillo» sbottò Porthos.
Sua Eminenza finse di non averlo nemmeno udito. «Nel dubbio, suggerisco a tutti voi di farvi qualche ora di sonno, non siete utili nelle condizioni in cui vi trovate».
I moschettieri guardarono il loro capitano, che era rimasto appoggiato al muro e che fissava impensierito il vuoto davanti a sé.
«Enrichetta Maria dorme, lei e il re non si sveglieranno prima di pranzo e ci sono un sacco di guardie a proteggerla» disse Treville. «Per il momento è al sicuro».
Forse aveva ragione, ma questo non significava che lui o i suoi uomini sarebbero riusciti a prendere sonno - anche se in quel momento il sonno sembrava più forte persino della preoccupazione.
Lasciarono la stanza senza aggiungere altro.
«Diane» chiamò Richelieu quando erano già fuori dalla porta. La ragazza alzò la testa con uno scatto. Treville serrò la mascella e i moschettieri si voltarono all’unisono insieme a lei.
«Eminenza?». La nipote del capitano rimase in attesa sull’uscio.
«Tenetevi pronta, potrei mandarvi a chiamare» disse il cardinale, rivolgendole uno dei suoi sorrisi taglienti. «Se non riuscissi a convincere sua maestà ed Enrichetta, mi servirà il vostro aiuto a convincere la regina: di me si fida poco, di voi moltissimo».
Diane scrollò le spalle prima di uscire insieme ai moschettieri. «Come vi ho detto, Eminenza, sono qui per servire».
D’Artagnan richiuse la porta del salottino con un mezzo calcio e tutti loro si avviarono lungo il corridoio mentre la luce violetta delle prime ore del giorno disegnava ritagli sbiaditi tra le tende.
«Mio Dio, spero riusciate a raggiungere tutti un letto prima di crollare sul pavimento» bisbigliò Diane a nessuno in particolare, mentre i moschettieri camminavano ciondolanti davanti a lei.
Athos l’afferrò per un braccio e la trattenne accanto a una colonna mentre gli altri proseguivano verso le scale.
«Devi stare attenta al cardinale» le disse. «So che può sembrare un vecchio gatto spelacchiato ma è ancora pericoloso»
«Lo so»
«Non devi fidarti di lui»
«L’idea non mi ha neppure sfiorato la mente»
«Forse non dovrei dirtelo, ma ricordi quando ti abbiamo raccontato dell’attentato alla regina che ci costrinse a rifugiarci nel convento di Bourbon-les-aux?»
«Era lui il mandante. L’avevo capito»
«Ah. Bene…»
«Athos, ascolta, tu e mio zio ora avete fin troppi pensieri per preoccuparvi anche di me. Sarò prudente, lo prometto».
Il moschettiere sospirò. Se quella ragazza fosse stata meno folle e sconsiderata non sarebbe stata lei e lui ora non avrebbe avuto tutta quella luce e quel calore a sciogliere il ghiaccio accumulato tra le macerie della sua vita. Ma Diane possedeva un’incoscienza da innocente che non poteva fare a meno di preoccuparlo.
«D’accordo. Prenditi cura di tuo zio, ha avuto fin troppi scossoni nelle ultime settimane» concluse.
Diane gli sorrise e gli posò una mano sulla guancia in una carezza leggera. «E tu va’ a riposare. E rimbocca le coperte agli altri tre da parte mia»
«Come no».
La ragazza sfilò via dalla presa di Athos e si diresse a grandi passi verso le scale dove Treville la stava aspettando.
 

***

 
«Oh mio Dio!». Constance sussultò, le lenzuola bagnate che teneva tra le braccia le saltarono di mano e si sparsero attorno a lei come nuvole. «Diane! Mi hai fatto prendere un colpo».
La ragazza arricciò le labbra. «Scusa. Stavo per bussare».
Quando madame Bonacieux aveva aperto la porta, la figura immobile sulla soglia l’aveva colta di sorpresa.
Diane l’aiutò a recuperare le lenzuola dal pavimento. La stoffa bagnata era pesante, la ragazza incespicò fino alle corde tese dove stendere il bucato.
«Che ci fai in giro a quest’ora?» domandò Constance. Lanciò energicamente un lenzuolo al di là della corda, dispiegandolo con cura. «Mi devi raccontare come è andato il ballo».
«È andato bene, il ballo. Athos mi ha riaccompagnato a casa, abbiamo guardato insieme i fuochi di artificio e… ah, sarebbe stata una serata perfetta se non avesse trovato un messaggio anonimo su un sicario mandato a uccidere la regina di Inghilterra».
Il bel viso di madame Bonacieux spuntò dietro al sipario di lenzuola candide. «Cosa?»
«Già. E io ora sono preoccupata, credo che terrorizzata sia il termine giusto»
«Pensa se fossi la regina di Inghilterra».
Diane trovò la forza d’animo di soffiare una risata. Si lisciò la gonna dell’abito e fece il giro del cortile, andandosi a sedere sul bordo del pozzo, al limite della piazza ancora deserta.
«Se sei preoccupata per Athos e per gli altri…» esordì Constance, parandosi davanti a lei. Ah, certo, madame Bonacieux doveva averne viste abbastanza da aver superato da un pezzo la soglia della preoccupazione ed essere approdata alla vetta delle fede cieca da martire.
«Sono preoccupata di quello che devo fare». Diane agitò le gambe a penzoloni oltre il bordo di pietra. «Per i moschettieri e per mio zio sono un peso, ma se mi facessi da parte adesso non mi prenderebbero mai più sul serio»
«Proteggere la regina di Inghilterra è compito loro, non tuo»
«Le loro missioni sono diventate le mie da quando sua maestà mi ha nominata. A volte ho la sensazione che mio zio creda che io veda la cosa come un gioco o che si aspetti che me ne stia a casa a ricamare».
Constance inclinò il capo, cercando lo sguardo dell’amica. «Sono certa che la regina non intendeva metterti in pericolo, quando ti ha chiesto di lavorare al suo servizio» disse.
Diane aprì i palmi delle mani, come se volesse lasciare andare i pensieri che stava trattenendo, troppo grandi e pesanti. «Ho la possibilità di fare qualcosa che nessun’altra donna ha mai potuto fare prima, Constance» esclamò. «Non avevo mai pensato di poter diventare questo, ma adesso ha tutto un senso, gli anni del collegio passati a imparare a combattere, quello che ho fatto da quando sono tornata a Parigi! Non rinuncerò a questa possibilità, solo che…»
«Che hai paura di fallire e di giocarti la tua chance, lo capisco». Constance le strinse le mani attorno alle braccia. «Diane, sei la ragazza più in gamba che io conosca, non potrei immaginarti fallire nemmeno se ti ci mettessi di impegno».
La ragazza strinse le dita di Constance tra le sue. Forse era solo la stanchezza, la brutta sorpresa e il panico in cui quel messaggio aveva gettato lei e i suoi amici, ma sentiva di nuovo l’odore di ferro e fumo di una tempesta che si stava addensando all’orizzonte.
«Vuoi fare colazione con me?» propose madame Bonacieux. «Abbiamo un po’ di tempo prima che mio marito si svegli».
Diane sorrise. Non aveva più rivisto il mercante di stoffe da quando aveva lasciato quella casa per tornare da suo zio e non aveva alcuna voglia di incontrarlo.
«Inoltre, mi devi dire se ci sono stati progressi sulla ricerca di una casa tutta per te» aggiunse Constance, prendendo l’amica sotto braccio e pilotandola verso la porta. Una gallina zampettò via per lasciarle passare.
«La gente non si fida di una giovane donna sola, nemmeno se è la nipote del capitano dei moschettieri» sbuffò Diane. Quella di trovare un posto per sé diventava un’esigenza di giorno in giorno sempre più pressante, ma non era il momento di pensarci ora.
«Mademoiselle Leroux?». Una voce sconosciuta sorprese le donne alle spalle. Una guardia rossa si era fermata a un metro da loro, in mezzo alla piazza.
«Cosa c’è?»
«Sua Eminenza mi ha mandato a chiamarvi, ha detto che avreste compreso l’urgenza della situazione».
Constance aggrottò le sopracciglia e guardò con una punta di perplessità l’amica che ancora le teneva il braccio. Diane si divincolò gentilmente dalla sua stretta.
«Come mi avete trovata?» domandò alla guardia.
L’uomo picchiettò le dita sull’elmetto che teneva sottobraccio e storse le labbra facendo vibrare dei baffi biondicci simili a una spazzola per strigliare i cavalli.
«Sua Eminenza è sempre informato su dove trovare le persone che gli interessano» rispose secco.
«Lusingatissima» bofonchiò Diane. «Mi dispiace, Constance, sarà per un’altra volta»
«Va tutto bene?» le domandò l’amica all’orecchio, lei annuì e seguì la guardia rossa attraverso la piazza, fino all’imboccatura di un vicolo dove l’attendeva una carrozza strettissima e con fessure rettangolari come aperture, simile a quelle usate per trasportare i criminali nelle prigioni.
Sua Eminenza ha un senso dell’umorismo delizioso, pensò Diane, salendo a bordo e sistemandosi sullo scomodo sedile di legno duro.
Per tutto il viaggio verso il Louvre si sentì come un insetto dentro a una scatola.
Due guardie la scortarono dal cardinale, che si trovava ancora nel salottino dove avevano parlato ore prima.
Richelieu era steso su un sofà, teneva lo zucchetto scuro in una mano, con l’altra si massaggiava la fronte, stravolto.
«Direi che voi non avete seguito il vostro stesso consiglio di riposare, Eminenza» disse Diane.
Il cardinale sollevò una palpebra gonfia. «Nemmeno voi»
«Alla mia età sono imprudenze che si possono commettere»
«Comincio a non trovarvi più tanto simpatica» borbottò il ministro, continuando a stropicciarsi la faccia. «Non è il riposo che mi manca, mademoiselle, è la tranquillità. Ho mostrato al re il messaggio che mi avete portato stanotte, sapete cosa ha detto?»
«Ho paura a chiederlo»
«Ha detto che è una sciocchezza, e che nessuno oserà fare del male a sua sorella, che deve trattarsi di un falso allarme e che, anche se farà raddoppiare le guardie, non rinuncerà alla visita a Notre Dame»
«E volete che io provi a convincere la regina a persuadere il re? Temo stiate sopravvalutando la mia influenza, cardinale»
«Non siate modesta, mia cara».
Richelieu richiuse gli occhi e appoggiò la testa al bracciolo del divano. Se ci fosse stato uno scultore nei paraggi, sarebbe stato un soggetto perfetto per il proprio monumento funebre.
Diane sapeva cosa stava cercando di fare il cardinale, sapeva che voleva metterla alla prova e capire fino a che punto si trovasse nelle grazie della regina, quanto pericolosa doveva ritenerla.
Non aveva tempo per i giochetti mentali, non aveva tempo per la guerra infinita tra il cardinale e i moschettieri - categoria nella quale sua Eminenza doveva ormai annoverarla per principio.
«Ma sua maestà ha almeno parlato con sua sorella del messaggio che abbiamo ricevuto? Magari lei sarà un po’ più accorta di suo fratello, dato che è della sua vita che si sta parlando» osservò Diane.
Richelieu non rispose, sembrava essersi addormentato. Lo zucchetto gli cadde di mano, andando ad afflosciarsi sul pavimento.
Potrei soffocarlo con un cuscino e nessuno lo verrebbe mai a sapere…
«EMINENZA!». La porta del salottino si aprì di schianto. Un vaso appoggiato a un treppiedi dondolò minacciosamente e Diane lo afferrò quasi inciampando.
Nello stesso momento, Richelieu si svegliò di colpo, con un sussulto talmente forte da finire sul pavimento.
Enrichetta Maria entrò come una furia e si piazzò al centro della stanza. La gonna del suo abito color ciclamino disegnava un cono perfetto attorno alla sua vita sottile.
«Vos- vostra altezza» sospirò il cardinale con voce impastata, strizzando gli occhi arrossati. «Cosa posso fare per voi?». Tentò di rimettersi in piedi con gesti lenti e goffi, drizzò la schiena e quasi si poté udire lo scricchiolio delle vertebre.
«Luigi mi ha detto che volete annullare la mia visita a Notre Dame» disse la regina d’Inghilterra.
Diane era contentissima di non essere stata notata, continuava a reggere tra le mani il vaso e sperava di riuscire a mimetizzarsi con la tappezzeria. 
«Sua maestà vi ha anche detto che ci sono state minacce piuttosto preoccupanti alla vostra persona? Credo sia meglio che vostra altezza rimanga al sicuro fino a quando non avremo fatto luce sulla questione, il capitano Treville se ne sta già occupando».
Enrichetta Maria scosse la testa, i bellissimi boccoli bruni le danzarono sulle spalle, sotto le lunghe ciglia gli occhi scuri si spalancarono come se potessero schizzarle via dalle orbite.
«Mi avete mandata a vivere in mezzo agli eretici e ai miscredenti» esclamò con un tono che assomigliava in maniera preoccupante a quello di suo fratello. «In Inghilterra professare la mia religione mi ha resa invisa a tutti, mio marito il re mi prende in giro per questo, lo sapete, sì?» [*]
«La fede di vostra altezza sarà per questo ancora più apprezzata da Nostro Signore, tuttavia non c’è alcun bisogno che vi poniate sulla via del martirio»
«Mi prendete in giro anche voi, adesso?»
«Non oserei mai, altezza»
«Mio fratello non crede a quelle minacce e così nemmeno io» concluse la giovane sovrana. «Voi non direte più una parola che lo induca ad annullare la visita. Non verrò privata della mia fede anche qui in Francia, sono stata chiara?».
Chiara e stupida, pensò Diane, stringendo un po’ più forte il vaso e indietreggiando per sparire dietro l’anta della porta, in modo che Enrichetta Maria non la notasse mentre usciva.
«Se solo vostra altezza potesse prendere in considerazione…». Richelieu alzò il dito indice e provò a sorridere, con l’effetto di assomigliare a un gatto in stato d’allerta.
«Quella visita si farà, Eminenza. E si farà oggi, esattamente come era in programma».
La donna si voltò, stringendo le pieghe della gonna con stizza. Evidentemente, trovava inconcepibile che l’avessero fatta scomodare per ribadire l’impellenza dei suoi capricci.
D’altro canto, le condizioni avverse in cui viveva alla corte londinese rendevano comprensibile il suo stolido accanimento.
Diane fu investita dal suo profumo di bergamotto quando le passò accanto come un lampo, uscendo dalla stanza.
La ragazza ascoltò il ticchettio dei passi che si allontanavano e solo quando tornò il silenzio rimise il vaso al suo posto.
«Ma è una follia» esclamò, basita.
«Mi piace l’uso che fate degli eufemismi» replicò il cardinale. «Non è nemmeno la prima volta che accade che il re decida di ignorare una minaccia»
«Ma è folle! E immagino che non serva a niente che io parli con la regina. Cosa facciamo, adesso?»
«Fate chiamare Treville. E i moschettieri. Tanti moschettieri».
 

***

 
«Se questo è il tuo concetto di prudenza, credo tu debba aggiornare il tuo vocabolario» osservò Athos, laconico.
Diane gli rifilò un’occhiataccia e assicurò una pistola alla cintura, sopra i calzoni di panno chiaro.
«Il mio posto è accanto alla regina» gli rispose, lisciandosi la giubba rossa con il ricamo dorato del giglio che sembrava scintillare.
Il moschettiere si rese conto che non aveva la facoltà di contraddirla o di fermala. Avrebbe potuto chiederle di restare a palazzo, come favore personale, ma realizzò che sarebbe stato ingiusto. Ancora una volta dovette arrendersi all’idea che quella era la strada che Diane aveva scelto, che la natura della ragazza non si sarebbe piegata a nessun compromesso.
Dietro la coltre di preoccupazione vide brillare una scintilla di orgoglio e decise che non avrebbe aggiunto altro.
Dal cortile della guarnigione arrivava il trambusto degli uomini che si stavano preparando a scortare il corteo regale a Notre Dame. Il sole del pomeriggio brillava e sbiadiva al ritmo del vento che smuoveva banchi di nuvole argentee.
Treville aveva accolto con estrema rassegnazione la notizia della decisione del re e di sua sorella di ignorare la minaccia di un possibile attentato e recarsi ugualmente all’incontro con l’arcivescovo. Aveva mandato un drappello di moschettieri a controllare tutte le vie di accesso all’Ile de la Cité, ogni ponte, ogni attracco fluviale era sorvegliato a vista e, per precauzione, tutta l’area attorno alla cattedrale era stata fatta sgombrare. 
Diane non aveva accolto con altrettanta tranquillità la notizia che la regina Anna si sarebbe unita al corteo. Il re riteneva che fosse un bene che sua moglie incinta si mostrasse al popolo, ora che la notizia della nascita dell’erede al trono aveva reso meno invisa ai francesi la sovrana spagnola. Sua maestà non aveva creduto neppure lontanamente al messaggio dell’anonimo benefattore, non gli era venuto neppure il dubbio che potesse essere vero. Per fortuna, aveva ugualmente lasciato che il capitano Treville gestisse la sicurezza del corteo come meglio credeva.
E così la ragazza si era precipitata a casa, aveva indossato i suoi abiti da battaglia e si era presentata alla guarnigione chiedendo istruzioni a suo zio come se fosse uno dei suoi soldati. Treville era sbiancato di colpo ma doveva essere giunto presto alla medesima conclusione a cui era giunto Athos: che gli piacesse o no, sua nipote stava solo facendo il suo dovere e non era possibile impedirlo.
«Prima o poi sarebbe successo» aveva detto con un filo di voce mentre Athos gli passava accanto per accompagnare Diane in armeria.
Doveva succedere, solo sarebbe stato meglio che non fosse stato così presto.
Porthos si affacciò alla porta, oscurando la luce con la sua ingombrante figura. «Siamo pronti?» chiese. «Ehi, sei il soldato più grazioso che abbia mai visto» aggiunse, rivolto a Diane.
«Non sono un soldato. Sono solo una donna a cui piace vestirsi in modo stravagante». Quel sorriso di volpe poteva molte cose, ma non poteva fermare i proiettili, come testimoniava la cicatrice a forma di V che le era rimasta tra le scapole; Athos l’aveva sfiorata con le dita, la sera prima e gli era parsa incandescente sotto i polpastrelli.
Raggiunsero il cortile. Un numero spropositato di cavalli nitriva nervoso accanto all’arcata del portone.
Aramis e d’Artagnan, già in sella, avevano preso posto accanto a Treville.
«È scoppiata la guerra e non se ne sa niente?» domandò Serge, che da sotto la tettoia osservava con un sopracciglio alzato quell’insolito dispiegamento di forze.
«No, ma potrebbe scoppiare se qualcosa va storto» rispose Athos.
Mancavano ancora settimane al ritorno di Maria Enrichetta in Inghilterra e fino a quando non fossero riusciti a fare chiarezza sulla minaccia del sicario non sarebbe stato neppure prudente farle affrontare il viaggio verso Londra.
«Voi due e tu» disse Treville con un gesto della mano che comprendeva Porthos, d’Artagnan e Diane. «Vi voglio al fianco della nostra regina tutto il dannatissimo tempo. Al minimo segnale di pericolo la riportate in carrozza e ve la filate, non voglio colpi di testa o inutili eroismi».
I moschettieri e la ragazza annuirono.   
Il folto drappello di soldati si mise in marcia e raggiunse presto i giardini del Louvre dove il re, sua sorella e la regina li attendevano per salire in carrozza.
«Avete lasciato la guarnigione senza neanche un moschettiere, Treville?» domandò il re. «Il ponte di Saint-Michel crollerà sotto un tale peso»
«È un rischio che sono disposto a correre, maestà»
«Rischio, se sento di nuovo quella parola oggi potrei irritarmi e… Diane! L’abbigliamento da cavallerizza vi dona, ma perché mai siete armata?»
«Oh, è solo una sorta di costume tradizionale romano, vostra maestà» rispose la ragazza, agitando la mano, senza neppure preoccuparsi di quanto suonasse improbabile quella menzogna.
«Vi dona» ripeté il re.
«Grazie, maestà».
Luigi montò in carrozza e il corteo si mosse, procedendo lentamente verso il cancello della reggia.  
I moschettieri sembravano uno stormo di uccelli ammassati attorno alla carrozza dei sovrani. Guardie con l’armatura scintillante si adoperarono a sgombrare le strade e allontanare la folla che si era riversata lungo il tragitto previsto per il corteo.
La Senna scorreva con riflessi di stagno e di argento sotto il ponte di Saint-Michelle, una delle tante vie che collegava l’Ile della Cité al suolo di Parigi.
La cattedrale era un gigante che spezzava l’orizzonte irregolare dei tetti delle case, svettando verso il cielo con i mille occhi delle sue statue e il rosone come una gigantesca bocca spalancata a urlare muta nel vuoto della piazza deserta.
All’ombra della grande chiesa, Athos avvertì nell’aria il sentore della pioggia, alzò lo sguardo sulle guglie che sembravano voler arpionare le nuvole. Il riverbero del sole gli ferì la vista mentre il coreo si fermava davanti allo scalone anteriore.
Treville smontò da cavallo e si affrettò a raggiungere lo sportello della carrozza per accodarsi ai sovrani che stavano scendendo.
Aramis strinse le redini tra le dita e guardò nervoso la regina Anna emergere a fatica dallo stretto sportello della carrozza. Diane era un’ombra color porpora al fianco della sovrana.
Enrichetta Maria si sollevò appena la gonna dell’abito e si diresse a grandi passi verso il portone centrale. Meglio così, sarebbe stata più al sicuro dentro la cattedrale che là fuori.
Tra la calca di cavalli e soldati, scese un silenzio perfetto come l’attimo di stasi innaturale che risucchia ogni rumore prima di un’esplosione.
Athos avvertì d’istinto una tensione che gli gelò il sangue un secondo prima che due spari rombassero a spezzare quell’immobilità.
Una pioggia di piccioni si staccò dalle mura della cattedrale e si disperse nel cielo di Parigi; il frullare ritmico delle loro ali sembrava fare da contrappunto al suono dei due colpi.
I cavalli nitrirono e troppe bocche urlarono all’unisono, per una manciata di secondi il cielo e il bianco del lastricato si confusero in un lampo di caos totale.
Dannazione!
«Dove diavolo è?!» urlò Athos.
Aramis alzò lo sguardo verso il parapetto di marmo della facciata della cattedrale, ma il riflesso del sole non permetteva di mettere a fuoco alcun particolare.
Gli spari avevano centrato con precisione mostruosa i cavalli della carrozza che si erano accasciati al suolo, trascinando con sé la vettura che si era ribaltata in terra, con i vetri dei finestrini che saltavano e andavano in frantumi.
Una mossa astuta. Ora non ci sarebbe stato modo di riportare i sovrani a palazzo tenendoli al sicuro dal fucile di qualche cecchino. L’unico modo di metterli al riparo era portarli dentro la chiesa.
Athos non ebbe tempo di chiedersi come mai un cecchino con una mira così precisa si fosse preso il disturbo di sparare ai cavalli invece di colpire direttamente il suo bersaglio umano.
Treville si era gettato sul re per fargli scudo, Porthos e d’Artagnan avevano fatto lo stesso con le due regine e Diane ora stava combattendo con l’enorme battente della cattedrale che nessuno dall’interno si era preoccupato di aprire.
Perché il cecchino - o i cecchini - aveva smesso di sparare?
«Non entrate in chiesa!» strillò Aramis di colpo, smontando con un balzo. Athos lo imitò con uno slancio automatico, senza nemmeno capire cosa stava succedendo e perché il suo compagno avesse urlato quella raccomandazione. Lo seguì mentre correva verso il capitano e lo vide afferrare Diane per un braccio e staccarla dal portone.
«È una trappola» disse Aramis con il fiato corto.
I moschettieri si erano stretti in una muraglia umana attorno ai sovrani, con le pistole in pugno si guardavano attorno aspettando un attacco che non arrivava.
«Che stai dicendo?» strillò d’Artagnan. «Non possiamo rimanere qua fuori».
«Capitano, avete fatto sgombrare la piazza, ma qualcuno ha controllato l’interno della cattedrale?» insistette Aramis.
In un attimo fu tutto chiaro. Ecco perché sparare ai cavalli e sabotare la carrozza: il sicario e i suoi complici volevano assicurarsi che i moschettieri portassero i sovrani nella chiesa.
Tutti rivolsero un’occhiata tesa al portone.
Restare là fuori era pericoloso. Entrare poteva esserlo ancora di più. Erano in trappola, una trappola meravigliosamente orchestrata. 
«Voi ora farete irruzione lì dentro e mi porterete la testa di chi ha fatto questo!» strillò il re, rannicchiato tra il muro e le spalle di Treville. L’angolo tra le semicolonne e il portone, con i moschettieri a fare da scudo sembrava il posto più sicuro del mondo per l’incolumità dei sovrani, ma era una situazione precaria che doveva essere risolta al più presto.
Il capitano annuì. Fece cenno ad Athos e ai suoi compagni e un’altra dozzina di moschettieri perché entrassero nella chiesa con lui.
«Mandate a chiamare un’altra carrozza. La voglio qui prima di subito» ordinò a un paio di guardie, poi si voltò verso Diane che ora era accanto alla regina Anna e le teneva la mano, parata tra lei e la piazza come se potesse far fronte a qualsiasi nemico. «Tu resta con sua maestà e… cerca di non farti sparare un’altra volta» concluse, prima di lanciarsi verso la porta della cattedrale che Porthos aveva aperto con un calcio.
«Questa chiesa è qui da quasi duecento anni, abbiate rispetto» pigolò il re senza che ci fosse nessuno a prendersi il disturbo di ascoltarlo.
Athos scambiò una rapida occhiata con Diane prima di lasciarsi inghiottire dalla penombra fumosa dell’immensa cattedrale e lesse la paura nei suoi occhi chiari, la stessa paura lucida che le aveva visto addosso la sera in cui erano andati al porto per sorprendere i trafficanti d’armi, la stessa di quando i criminali nascosti nell’ospedale l’avevano presa per ostaggio, quella con cui si era fatta avanti dinnanzi all’intera corte per accusare il conte Legrand.
Un gruppo di moschettieri con le pistole già cariche si fermarono sulla soglia per impedire la fuga a chiunque cercasse di uscire.
All’interno la cattedrale era uno scrigno di marmo e ombre, l’aroma pungente e dolciastro del sego delle candele, dei fiori e dell’incenso si mischiava a un altro odore che i moschettieri non riuscirono subito a distinguere, non fino a quando non videro la prima massa scura di un cadavere riverso sul marmo in una pozza di sangue che disegnava un ovale lucido sul bianco del pavimento.
Treville e i suoi uomini guardarono con orrore la fila di morti che andavano dalla metà della navata centrale all’altare, corpi scomposti riversi tra i banchi di legno. Avevano tentato di scappare, ma invano.
«Dio misericordioso…» soffiò Aramis.
Contarono sette morti, frati con le tuniche da domenicani e un giovane curato che non poteva avere più di vent’anni: il seguito dell’arcivescovo.
Nella luce che filtrava dalle vetrate colorate dell’abside si distingueva una scia di sangue che colava vischioso da sotto l’altare.
«Non ho voglia di giocare a indovinare, ma scommetto che quello è l’arcivescovo» mormorò d’Artagnan in tono lugubre.
Notre Dame si era trasformata in un’enorme tomba. Chissà quanti angeli della morte armati di pistole erano annidati ora tra le sue colonne.
I moschettieri procedevano spalla a spalla tra le panche, cercando di mantenere la visuale in ogni direzione, pronti a sparare al minimo segno di movimento.
«Qualcosa non torna» bisbigliò Athos. «Se il sicario è spagnolo come ha pensato il cardinale… be’, uno spagnolo non avrebbe mai fatto una tale strage di religiosi cattolici».
«Il biglietto diceva anche che ha degli alleati in Francia, possibile che siano protestanti?» osservò Porthos.
«Rimandiamo le congetture a quando avremo portato a casa salva la pelle» li richiamò il capitano. La canna della sua pistola scintillava nella poca luce delle candele.
Nessuno aveva voglia di morire lì dentro.
«Continua a non avere senso» si lasciò sfuggire Aramis.
Sì, non ne aveva. Se anche la trappola avesse funzionato, gli assassini non sarebbero comunque usciti vivi da quella chiesa: perché mettere in piedi un piano tanto ingegnoso e così maledettamente suicida?
I moschettieri continuarono ad avanzare nel silenzio e nel semibuio. Un grande cero ardeva accanto al pulpito scolpito, la fiamma era una bolla di luce dorata e immobile, come sospesa.
Non mi piace, pensò Athos.
E poi lo vide, un’ombra che galleggiò per un rapidissimo istante tra le colonne.
«Fermo!» tuonò e la sua voce rimbalzò come un colpo di cannone fino agli archi del soffitto.
L’ombra continuò a correre. I moschettieri fecero fuoco alla cieca nel buio, la navata centrale si riempì di fumo denso come nebbia, i proiettili sollevarono schizzi di marmo e schegge di legno. 
Nel rettangolo di luce del portone spalancato, l’ombra divenne la figura distinta di un uomo armato di un fucile e una pistola.
Alzò il fucile contro i moschettieri schierati sulla soglia che non lo avevano visto arrivare dal buio e sparò. Non colpì nessuno ma ottenne di spezzare la fila di soldati che sbarrava il passo verso l’uscita.
«Prendetelo vivo» urlò Treville mentre correva fuori, ribaltando un candelabro votivo. 
Il criminale si lanciò a perdifiato verso la piazza, senza rendersi conto che era già spacciato. I moschettieri che accerchiavano il re gli furono addosso e lo atterrarono, ma non furono abbastanza lesti da levargli l’altra arma ancora carica dalle mani.
Lo sconosciuto fece partire un colpo, forse fu solo un gesto disperato, forse fu un riflesso non voluto.
Treville e gli altri moschettieri uscirono di corsa e il passaggio dal buio alla luce li accecò per un istante.
L’uomo che aveva sparato ora era in terra, un soldato si stava occupando di legarlo e dagli strilli e dalle frasi sconnesse che gli uscivano di bocca era facile intuire che non fosse meno francese di tutti loro.
Athos strizzò gli occhi che bruciavano per il sole. Si voltò e vide dove il proiettile sparato dal fuggiasco aveva colpito.
Gli si gelò il sangue quando vide sia Diane che la regina Anna riverse in terra. 
 
 
 
[*] È un fatto storico assodato che Enrichetta Maria, come regina della protestante Inghilterra, ebbe dei problemi a causa della sua religione cattolica.
 
 
 

 

  
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