Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Aishwarya    05/09/2015    5 recensioni
"La polvere e i detriti della scuola che man mano si sta sgretolando, iniziano già a ricoprire lentamente il suo corpo, in fin di vita. Una lacrima le solca la guancia sinistra, separandola in due parti che non si ricongiungeranno mai più, proprio come lei e l’uomo per cui ha dato la vita. "
Questa storia punta a dare voce ad un personaggio tanto amato quanto sfortunato.
Ripercorre la sua vita, in brevi momenti e ricordi, narrando di colei che riuscì a farlo sorridere.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Severus Piton, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


The other side of life



.

La battaglia infuria da ore fra le mura ormai notevolmente distrutte della scuola di Hogwarts. Urla di dolore, lamenti, imprecazioni e formule magiche si odono in ogni dove e creano un brusio che mescolato ai sibili degli incantesimi e al rumore della scuola che si ripiega su se stessa, crea un caos insopportabile. Odio e speranza volteggiano nell’aria fra le migliaia di corpi che si scagliano gli uni contro gli altri. Fra tutti, pochi in particolare attirano e meritano la mia attenzione. Tutto ciò che di più simile ad una famiglia mi fosse rimasto, giace sul pavimento gelido del castello. Il corpo di Lupin, mio amico e fratello, era stato spostato assieme agli altri in un angolo dove si sperava che i deceduti non potessero essere colpiti.  La sua mano è tanto vicina a quella di Tonks che sembra vogliano sfiorarsi ancora una volta.

Destiny invece, si batte come se la battaglia sia appena iniziata. Si erge eretta, all’ingresso della Sala Grande, scagliando incantesimi a raffica con la sua potente bacchetta, ad ogni mangiamorte che si ritrova sulla sua traiettoria. I capelli le ricadono, dolci e disordinati sulle spalle. Il volto, seppur marcato in un’espressione di concentrazione, è ugualmente bello e attraente, com’è sempre stato. Una ferita le si apre sul braccio e sanguinando le sporca le vesti, mentre lei sembra non accorgersene.

Combatte per la libertà del mondo magico e... per me.

Amo ancora guardarla, forse più di prima. Improvvisamente i suoi occhi vengono attratti da qualcosa in lontananza. Una chioma folta e bruna si agita sul fondo della sala, Destiny riesce a vederla appena eppure questo sembra bastarle. La vedo intraprendere una corsa verso quella donna in nero, follemente allegra,  la mia assassina, senza curarsi di ciò che le avviene attorno. La sua mente sembra sgombrata da qualunque altro pensiero. Corre, ignorando duelli e uomini agonizzanti stesi per terra, verso la sua meta. Vuole ucciderla, ne sono certo.

Bellatrix Lestrange non avrà mai occasione di duellare con Destiny.

E’ un attimo. Qualcosa, un lampo di luce verde, sfreccia nella sua direzione e colpisce quella splendida creatura dritto fra le scapole. Il suo corpo pare costellato di tagli e strappi. Un lago di sangue si spande attorno a lei e va a confondersi con il colore dei suoi capelli mentre lei si accascia sulla schiena.  I suoi occhi, così unici e grandi, si rivolgono al cielo. Nessuna smorfia di dolore le segna il volto. E’ sempre stata forte. Il suo viso non lascia quasi mai trasparire emozioni che non decide di trasmettere. In pochi siamo riusciti a capirla. Nessuno più di me.

Il dolore intenso la costringe a tremare. Fra i tagli sul suo abito, si riescono a scorgere centinaia di ferite che a breve la uccideranno.

Mi si stringe il cuore.

La polvere e i detriti della scuola che man mano si sta sgretolando, iniziano già a ricoprire lentamente il suo corpo, in fin di vita. Una lacrima le solca la guancia sinistra, separandola in due parti che non si ricongiungeranno mai più, proprio come lei e l’uomo per cui ha dato la vita.



***



Destiny Roux era una ragazza speciale, decisamente molto diversa dalle altre.
Quando la vidi varcare per la prima volta l’immenso portone dell’ingresso di Hogwarts, il mio sguardo si trattenne più del dovuto su di lei.

Era una ragazzina dal corpo esile, ammantata di nero, con dei capelli lunghi fino alla vita che sfioravano il rosso mogano. Stringeva le braccia altrettanto magre contro il corpo, come ad infondersi una fiducia che poteva darsi da sola.
Era l’unica che avesse gli occhi fissi dinanzi a se. Aveva uno sguardo rigido e fiero, ma anche intimorito dall’immensità e bellezza della scuola.
I suoi occhi non brillavano come quelli di tutti gli altri, compresi i miei, se ne stavano semplicemente puntati su una figura poco più avanti. Era difficile comprendere cosa le stesse passando per la mente. Avvicinandomi distrattamente, mi accorsi che non solo il suo sguardo era insolito, lo erano anche i suoi occhi: uno nero come la pece, l’altro grigio come il fumo. Unici, e tanto belli da stregarmi. Nessuna donzella che avrei tentato di adescare da quel momento in poi, fu meravigliosa quanto lei. L’alone di mistero che l’avvolgeva era magnetico per me.
Il mio sguardo sfrecciava distrattamente su ogni cosa che si movesse in quel magico castello, ma il mio pensiero era rivolto perennemente a lei, che accortasi delle mie insistenti attenzioni, mi rivolse uno sguardo indagatorio, ammonendo ogni mio altro tentativo di poterle rivolgere un’occhiata senza essere fulminato dalla sua impetuosa presenza.
Apparentemente, non era intimorita  o sorpresa come la maggior parte di noi, era semplicemente indifferente a ciò che la circondava, come se vivesse al castello da sempre.

In cuor suo però, come mi confessò più avanti, era completamente affascinata e persa nell’ammirare le stranezze intorno a lei.

Nel momento in cui la sua magra figura si sedette sullo sgabello e il cappello parlante l’ebbe posizionata in Serpeverde, pregai Merlino di farmi entrare in quella viscida squadriglia di serpi,  solo per poterla affiancare.
Ma il fato volle che io venissi inserito nella casa opposta alla sua: Grifondoro.
Non avrò l’occasione di scoprire a fondo quella sfuggente  ragazzina”, fu il pensiero che mi attanagliò durante tutta la cerimonia.

Conobbi tre ragazzi con cui legai in uno schiocco di dita: Remus Lupin, James Potter e Peter Minus. Quest’ulltimo era un ragazzo davvero strano, ma tutto sommato la sua compagnia era piacevole. Mai avrei immaginato che sarebbe stato autore della morte di James e sua moglie, solo pochi anni dopo.

Le prime settimane ad Hogwarts passarono spedite. I nuovi e inesplorati impegni, mi prendevano quasi tutto il tempo a disposizione. Ebbi occasione di legare con James, Remus e Peter ma non rividi Destiny, se non di sfuggita durante i pasti, per un lungo periodo.

Fu ad Novembre, quando i primi fiocchi di neve iniziarono a scendere danzanti sul parco di Hogwarts, che riuscii a salutarla per la prima volta. Non si aspettava che le parlassi. Forse non ricordava neppure chi fossi, ma io non avrei mai potuto dimenticarmi di lei. Ricordo ancora il suo dolce e particolare profumo: sapeva di cannella e gelsomino

-Ciao!- le dissi, affannato per la piccola corsa nella fretta di raggiungerla. Lei mi guardò come se fossi un essere ripugnante, ma non mi rifiutò.

-Chi sei?- chiese, dura. Gli occhi stretti in uno sguardo aggressivo.

-Mi chiamo Sirius - la guardavo intimorito, quasi pentito di essermi permesso di disturbarla -tu come ti chiami?-

-Non ho intenzione di fare la tua conoscenza- disse incamminandosi verso l’altro lato del cortile

-dai…voglio solo conoscere il tuo nome!- la seguii.

-Non sono affari tuoi!-

- E se qualcuno dovesse lanciarti una fattura che ti renda irriconoscibile proprio adesso, e io fossi l’unico a poterti aiutare? non saprei il tuo nome!- tentai, abbozzando un sorriso sghembo.

Lei si fermò di botto, forse colpita dalla mia insistenza. Certamente non era infastidita: voltandosi vidi finalmente un sorriso ben ampio sul suo viso.

Ricordo ancora come il mio cuore parve tentar la fuga, in quel momento.

-Mi chiamo Destiny Roux - disse guardandomi - Buona giornata!- e continuò il viaggio verso un albero poco più in là.

-Bella la neve, eh?- tentai, ma era già troppo lontana, o forse semplicemente ignorò il mio tentativo di trattenerla. Le mie guance scottavano tanto che la neve si scioglieva non appena le sfiorava.

Da quel momento nacque una dolce amicizia fra noi, del tipo che può nascere soltanto a quell’età. Eravamo giovani e passavamo bene il tempo assieme, nonostante quanto fossimo diversi. Io ero un ragazzino spiritoso, amavo giocare con la gente e mettermi in mostra. Non lo facevo con cattiveria, mi divertiva. Destiny, invece, era una ragazza intelligente e solitaria. Passava il suo tempo a leggere libri enormi e polverosi che trattavano di bestie magiche. Era interessata persino da quelle estinte.

Più volte, mentre passeggiavo con il resto dei Malandrini, la scorsi assieme a Mocciosus a confabulare. Ammetto che mi è antipatico anche per questo. Quando era con lui, aveva un atteggiamento diverso da quando conversava con me e così fu anche per gli anni successivi al primo. Sì incontravano al parco, o in prossimità della Foresta proibita e discutevano animatamente scarabocchiando sui libri quelli che scoprii essere incantesimi da combattimento. E’ sempre stata un’abile duellante, dopotutto. Amava, durante le lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure, essere al centro dell’attenzione mentre mostrava quanto fosse abile nel padroneggiare un certo tipo di incantesimi potenti. Lei e la sua bacchetta, erano una coppia perfetta.

Era di vite con il nucleo di corde di cuore di drago, una rarità a sentirla raccontare da lei.

Un giorno durante il terzo anno, mentre ero con James a ripercorrere gli attimi dell’ultima partita di Quidditch sotto ad un albero accanto al lago, vidi Destiny in lontananza, immobile sulla riva a fissarmi. Intuii immediatamente che volesse parlare con me, anche se era la prima volta che mi cercava lei. Salutai James che mi guardò contrariato e corsi verso la ragazza, raggiungendola.

Aveva bisogno di parlare con qualcuno. Non era solita parlare di se stessa, ma quel giorno,mentre eravamo stesi accanto alla riva per goderci i raggi del sole che finalmente iniziavano ad essere davvero caldi, si aprì con me. Non avevo idea di cosa le fosse accaduto quando era piccola. In quel momento mi furono chiari migliaia di comportamenti che, non comprendendoli, avevo sorvolato. Indossava un leggero abito bianco, che le arrivava alle ginocchia. La trovavo bellissima. Ero incantato dalle sue labbra e da come il sole vi si rifletteva addosso.  La guardavo mentre, ad occhi chiusi, mi raccontava di quelle terribili vicende.

Era nata in Francia, in un piccolo paesino a sud, sul mare. Suo padre era un babbano e sua madre una strega. Ella però, non si era rivelata al marito parlandogli della sua reale natura. Dopo essersi trasferiti in Inghilterra, avvenne la vera tragedia: il padre scoprì cosa la madre fosse e una notte, alle sue spalle, per paura o per rabbia, la trafisse con un pugnale. Destiny ebbe la sfortuna oltre che di perdere la madre in tal modo, di ritrovarsi sulla scena un attimo dopo il misfatto. La frase che più mi colpì di quel racconto fu: “è come se avessi quell’immagine impressa a fuoco sul cuore, non credo che la dimenticherò mai”.


Fu questo a scatenare il profondo odio di Destiny nei confronti dei babbani. Per questo esatto motivo, a circa metà del quarto anno iniziammo ad essere più freddi l’uno nei confronti dell’altro. Lei era un’ottima ragazza. Quando era con me, era dolce, simpatica, persino spiritosa. Era con il resto del mondo che non trovava un legame. Era sempre fredda e distante. Nessuno riusciva ad avvicinarla. Un alone di mistero la circondava, come si addice ad una vera serpeverde. Era potente, intelligente, furba, persino un’ottima cacciatrice di Quidditch, ma i suoi amici si contavano sulle dita di una mano. Mi sottrassi anch’io a quel numero quando iniziò a frequentare compagnie che neppure io, nonostante fossi particolarmente tollerante con lei, potei accettare.

Così finì la nostra amicizia. Mi lasciò un vuoto dentro grande quanto il mondo, ma eravamo troppo diversi per riuscire a stare vicini.

Pochi anni dopo, venni a sapere che quando il gruppo di seguaci di Tom Riddle iniziò a farsi chiamare Mangiamorte, ella era una di loro. Una volta avuta questa notizia, compresi quanto fosse impossibile tentare di riavvicinarla. Dunque puntai a dimenticarla.



Uno dei momenti più oscuri, ripercorrendo la sua vita, fu quando decise di suggellare il suo legame con il gruppo dei Mangiamorte.
Lei aveva sempre desiderato essere superiore a tutti, essere un passo avanti ad ogni
persona sulla terra, doveva acquisire informazioni, giorno dopo giorno, fino a diventare la mente più brillante di tutti i tempi.

Aveva sete di sapere, era disposta a tutto pur di riuscire ad arrivare a concetti per lei irraggiungibili, e fu anche per questo motivo che decise di passare al lato oscuro.
Si era recata nel loro covo di sua spontanea volontà, accanto a lei vi era una figura che la sorpassava sempre di qualche passo.
Severus Piton, quella lurida serpe, avrebbe dovuto strisciarle lontano e non
avvicinarsi mai a lei, doveva proteggerla, doveva riservarle un angolo di luce e non trascinarla nell’oblio più totale con lui!

Varcarono la soglia di una porta, per ritrovarsi in una stanza buia, con delle figure incappucciate visibili solo grazie ad una misera luce proveniente dalle candele disposte a cerchio, come loro, al centro della sala.
Lei non ne era intimorita, anzi, ogni passo che faceva verso di loro, era un passo di più verso il sapere e questo valeva anche per la figura che le stava dinanzi, che in qualche modo cercava di coprirla, come a proteggerla dall’ignoto che li aspettava. Almeno si era degnato di fare una cosa da uomo, nella sua miserabile vita!

Quando furono al centro della Sala, le figure si scoprirono il capo, permettendo a Destiny di riuscire a decifrare i loro volti dai tratti duri, impassibili, senza ombra di emozione spiccare sui loro visi.

Una fredda voce riecheggiò fra le pareti della stanza, facendo rabbrividire Severus che le stava accanto, e quasi inciampare lei.
Un freddo penetrante era calato in quel luogo, costringendola a strofinarsi le braccia contro il petto per cercare di catturare un minimo di calore.
Poi una figura imponente, dal volto pallido come le pagine di un libro senza storia, fece il suo ingresso nella stanza, facendo inginocchiare con un gesto del polso tutti i presenti, compresi Destiny e Severus.
-Bene, abbiamo con noi i nostri due nuovi candidati…-. La sua voce era viscida e gelida, sembrava quasi di avere davanti un Dissennatore, ma era qualcosa di molto peggio di quei mostri infernali, qualcosa che non poteva essere ucciso come un uomo qualunque.
-Avete sete di sapere! Alcuni dei miei migliori servitori mi hanno suggerito di prendervi con me, spero per il vostro, e il loro bene, che mi sappiate servire adeguatamente-
Con queste parole, tutti i Mangiamorte ripresero le loro posizioni rigide e composte, al centro della Sala, mentre la ripugnante figura di Voldemort  si avvicinava ai due, impugnando con un gesto la sua elegante bacchetta.

-In piedi!-
I due si alzarono e alla vista di quello che restava di Tom Riddle, Destiny sbiancò per poi cercare di ricomporsi, ad un pizzicotto da parte di Severus sul fianco.

Quel lurido, viscido essere aveva osato sfiorarla. Se solo non fossi morto gliel’avrei fatta pagare.
Con una forza che i due sentivano non appartenere a loro, alzarono un braccio e le maniche dei loro vestiti fecero lo stesso, fino al gomito, lasciando scoperte le loro pure
pelli.

La bacchetta di Voldemort si posò sul braccio di Severus passando su tutta la sua lunghezza, mentre questi ne osservava gli eleganti movimenti.
-Crucio!-
Il corpo di Severus fu scosso da leggeri fremiti, mentre lui si mordeva le labbra per non far fuoriuscire nemmeno un lamento di dolore. Fu per lui come ricevere mille stilettate in ogni parte del corpo, come se mille finissimi aghi l’avessero trapassato di parte in parte, facendolo gemere di dolore.
-Morsmordre- disse l’Oscuro Signore, dopo aver terminato la tortura.
Destiny lo guardava con occhi spalancati, irremovibile nella sua decisione di suggellare quella promessa di eterna fedeltà.
Quando la bacchetta si fu sollevata dal pallido braccio di Severus, una macchia di inchiostro nero faceva bella vista su di esso.

Un attento osservatore, che in quel momento non fisse attanagliato dal pensiero del dolore che avrebbe provato da li a poco, avrebbe sicuramente notato che la macchia di inchiostro era in realtà una strana figura: un serpente attorcigliato su se stesso con un teschio a sostituire la testa.
Una figura talmente macabra da far raggelare il sangue nelle vene.
Quando la bacchetta di Voldemort toccò il braccio di Destiny, ella era talmente impreparata che non appena la maledizione fu pronunciata dalle labbra del mostro dinanzi a lei, ella non potè far altro che urlare di dolore.
Poi intorno a lei fu buio, e il corpo privo di sensi della donna cadde al suolo, mentre una muta e involontaria protesta uscì dalle labbra di Severus.



Da quel momento, si sporcò le mani di peccati sempre peggiori. Si sentiva importante quando camminava assieme ad i suoi compagni mangiamorte. Era potente ed apprezzata, in particolar modo dal Signore Oscuro che imparò a fidarsi di lei tanto quanto si fidò di Bellatrix. Combatterono fianco a fianco durante le battaglie per l’ascesa al potere di colui-che-non-doveva-essere-nominato. Quando egli andò perduto, dopo il tentato assassinio di Harry, lei si sentì persa a sua volta. Eppure allora non avevo idea di quanto avesse sofferto per la mia cattura. Quando mi accusarono di aver ucciso Lily e James Potter e fui imprigionato ad Azkaban, la fede per il suo Signore barcollò, seppur non cadendo del tutto. Pianse ogni notte per giorni, stringendo a se il suo gonfio cuscino come a cercare un conforto che nessuno le dava. Si allontanò da Severus, non volle più parlargli e allo stesso modo si allontanò dall’intero gruppo di mangiamorte che aveva tanto stimato. Se solo avessi saputo quanto in realtà contavo per lei, non l’avrei lasciata andare. Avrei lottato per tenerla al mio fianco e strapparla a quella gente. Eppure la giovinezza, l’entusiasmo e l’orgoglio assieme, fecero in modo che ci separassimo per un lunghissimo periodo durato anni.

Durante il mio periodo di residenza ad Azkaban ebbi poche visite, anzi, posso affermare senza aver timore di mentire, di aver ricevuto visite da un’unica persona in dodici anni di sofferenze. Rinchiuso in un buco freddo, sporco, gelido e privo di qualsiasi cosa potesse strapparmi un sorriso, solo Destiny venne a trovarmi.

Il giorno della sua prima visita, ero appoggiato mollemente contro la parete, gli occhi spenti e vuoti a guardare il soffitto, il capo abbandonato su di una spalla, perso nei miei pensieri.

I primi tempi furono terribili, me ne stavo li, rannicchiato in un angolo buio della cella, col volto fra le mani a piangere.

Mi domandavo come avessero potuto pensare che io, Sirius Black, avessi venduto i miei migliori amici a Voldemort.

Poi smisi di pensarci. Sperai, desiderai fortemente che qualcuno mi tirasse fuori da quel posto, ma dovetti rassegnarmi. Avrei passato il resto della mia vita a marcire li dentro.

Dove tutto era buio, tetro e lugubre, un bagliore di luce mi riscosse dalle mie continue pene, un bagliore rosso che si avvicinava cauto in lontananza.

Pensai di avere le allucinazioni, di essere ammattito, credetti che il mio cervello avesse bruciato i neuroni che avevo conservato preziosamente.

Poi quel bagliore rosso si fece più vicino, talmente tanto che riuscii a scorgerne la figura: una piccola volpe, dal pelo rosso, gracile all'apparenza, ma dentro di se custode di una forza inimmaginabile.

Era lei, era Destiny.

La riconobbi seppur non l’avessi mai vista trasformata. I suoi occhi erano inconfondibili e meravigliosi. Ogni qualvolta li guardavo, non potevo che associarli alla sua, per così dire, doppia identità. Un occhio nero, come la sua anima da mangiamorte mentre l’altro di un polveroso grigio, come tentasse di fuggire dall’oscurità lì attorno, come se tentasse di trovare, in qualche modo, la luce.

Guardandola in volto vi si poteva leggere del dolore e disgusto. Non le piaceva il posto in cui era stata costretta ad andare, ma lei era li per me.

Mi si avvicinó lentamente, quasi con la paura che io potessi urlarle contro da un momento all'altro, ma non lo feci.

Stetti in silenzio a scrutare quel piccolo animaletto che mi si sedette accanto, reclinando il capo per guardarmi.

Avrei voluto accarezzarla, ma i miei polsi si rifiutavano di compiere qualsiasi movimento.

Polsi troppo fragili, costretti in una morsa d'acciaio che non faceva altro che squarciarli e dilaniarli, fino a farli sanguinare. Il sangue raggrumatosi attorno ad essi creava uno spettacolo macabro.

Non parlavamo da anni, ma lei venne, venne per me, per accettarsi che fossi vivo, che stessi bene.

Uno stentato sorriso mi scivolò involontariamente sulle labbra, e il piccolo animaletto mi si accovacciò sulle gambe distese sul pavimento, strofinandomi il muso contro la mano, pateticamente appoggiata sulla fredda pietra.

Ed è li che capii.

Capii di aver commesso il più grande errore della mia vita a lasciarla andare.

Capii che alle mie giornate da quando lei non c'era, mancava qualcosa, quel pizzico di non so che, che riusciva a mandarmi avanti.

Desiderai abbracciarla più che mai, ma sapevo che se l'avessi fatto, non mi sarei più allontanato da lei, e non l'avrei più lasciata andare via.

Chiusi gli occhi e inspirai il suo profumo, che si destreggiava perfettamente fra quello crudo e acre della prigione.

Strinsi gli occhi forte facendomi forza con un braccio, glielo posai sul capo e gioii nel sentire la sua testolina strusciarmisi contro.

I miei lunghi anni di prigionia mi avevano affievolito di gran lunga i sensi.

E quando vidi le orecchie pelose drizzarsi verso l'alto, non ne capii il motivo, e sobbalzai quando avvertii un rumore di passi echeggiare nel lungo e spettrale corridoio.

Destiny fuggì via dalla mia flebile presa e saltò in posizione dritta iniziando a correre verso l'uscita.

Prima di uscire dall'oscurità che regnava nella mia cella, si voltò a guardarmi.

-Torna…-

Pronunciai questa parola con una voce che non riconoscevo, e sapevo perfettamente non mi appartenesse.

Era la voce di un uomo rimasto solo per anni ed anni, senza poter avere il piacere di relazionarsi con gli altri.

L'animaletto abbassò le orecchie e annuì piano col capo rosso, prima di voltarsi e correre via.

Passarono tre mesi, e pensai di essere diventato completamente pazzo, e che quella volpe che avevo visto non fosse altro che frutto della mia immaginazione, della mia mente perversa e malata obbligata a starsene in un angolino, ripudiata da ogni singola persona di questo mondo.

Poi un giorno, vidi di nuovo quello strano animaletto dal pelo troppo rosso, il corpo troppo magro, e gli occhi troppo espressivi, per essere un animale qualunque.

Seppi di non essere impazzito, seppi che c'era qualcuno a questo mondo che non mi ripudiasse, e che addirittura mi amasse.

Mi venne a trovare ogni tre mesi, da quel giorno freddo e buio. Lei era la mia personale ancora di salvezza.

Risi amaramente, ricevendo un'occhiata confusa da parte sua.

-Buffo il destino, assomigliamo tanto ad una storia babbana, di quelle che da piccolo lessi di nascosto-.

Il piccolo principe.

Iniziai a raccontarle di come una volpe stesse sempre al fianco di un piccolo bambino biondo, che si trovava imprigionato in un mondo che non che gli apparteneva, senza sapere se sarebbe ritornato più a casa.

Poi lei andò via, e continuammo così per molto tempo: lei veniva, mi ascoltava e poi con un cenno del capo mi lasciava a ripensare ai suoi occhioni dolci e strani.

La vita non mi parve mai più bella come in quegli istanti. Forse se fossi stato libero, non avrei desiderato altro al mondo.



Eppure l’attimo più felice della mia vita, lo passai qualche mese dopo quegli incontri fortuiti. Dopo averla vista introdursi sottoforma di animagus nella prigione, passai anni a pensare di fuggire da quell’orribile luogo allo stesso modo. Non sapevo però, se i dissennatori avrebbero percepito la mia assenza nella cella abbastanza in fretta da bloccare la mia fuga e magari punirmi.

Trovai il coraggio di trasformarmi non appena riconobbi, in una foto vista per caso nella Gazzetta del profeta, un essere che credevo di non rivedere mai più. Peter Minus, il mio vecchio compagno nonchè traditore dei suoi amici ed assassino di due di questi, si ritrovava nella sua forma animale fra le braccia di uno dei ragazzi Weasley ritratti in Egitto in quell’immagine. Non ci pensai due volte. Mi trasformai in cane e corsi a perdifiato cercando di sfuggire a quel posto infernale una volta per tutte. Non importava rischiare di essere ucciso in quel momento. Harry era in pericolo. Minus gli gironzolava giorno e notte attorno. Non potevo permetterlo.



Mentre cercavo una strategia per infiltrarmi ad Hogwarts senza essere visto, la dolce Destiny s’incamminava verso Azkaban per venire ad incontrarmi ancora una volta. Giunta lì non mi trovò. Il suo pensiero fu immediatamente il più tragico: il mio povero corpo non aveva retto.

Corse con il cuore in gola, agile come una volpe quale era, verso il cimitero sempre più affollato, allestito ad Azkaban una volta appurato che la gente non ne usciva mai viva.

L’oceano infuriava con onde altissime sugli scogli tutt’attorno alla struttura nera  e squadrata. Il cimitero si ergeva grigio e desolato proprio sul cortile a destra di quel luogo. La pioggia colpiva le lapidi, rendeva il terreno fangoso e schiaffeggiava il volto della ragazza mentre cercava invano il mio nome inciso su un qualche pezzo di marmo. Mi stava cercando da umana. I capelli, dapprima stretti in una bassa e ordinata crocchia, si sciolsero e sparsero sulle sue spalle scoperte. L’abito nero aderiva perfettamente al suo corpo teso. Fu sollevata quando non lesse in alcuna tomba il mio nome, ma ugualmente distrutta perché non aveva idea di dove io fossi.

Si gettò seduta su alcuni dei gradini che portavano al carcere ed esasperata e tremante attese di avere qualche idea sul dove cercarmi.

Mi fidavo di lei e fra quei pensieri che le confidai durante una delle sue visite, vi erano il ricordo della mia innocenza e l’accusa a Minus per aver ucciso i miei migliori amici, la mia famiglia.

Fu così che seppe dove trovarmi. Sapeva che se mai fossi riuscito a fuggire da Azkaban, mi sarei recato a trovare il figlio di quelle persone che avevo perso troppo presto.



Riuscì a trovarmi poche settimane dopo, quando ormai era risaputo che fossi fuggito dal carcere. Non si può dire che mi stessi godendo la vita. Pativo ancora la fame e mi rodevo cuore e fegato mentre Minus se la spassava nella sala comune del mio figlioccio, ma la libertà mi aveva reso più vivo di prima.

Quando arrivò, mi ritrovò per caso in una grotta dove, mi confessò, stava entrando per nascondersi e riposare.

Fu un incontro inaspettato per me quanto per lei.

Le sue vesti erano le stesse di quando prese a cercarmi quel giorno fuori da Azkaban. Erano ormai logore e strappate in più punti ma lei non se ne curò. Mi guardò, dapprima impaurita poiché non mi aveva riconosciuto visto il buio che mi avvolgeva. Poi, quando i suoi profondi occhi si furono abituati all’oscurità, si avvicinò a me, incerta.

Ammetto che non sapevo affatto come comportarmi ma ero talmente attratto da quella figura che non potei non avvicinarmi a mia volta. Tesi la mia scheletrica mano verso di lei ed ella prontamente l’afferrò come se non stesse attendendo altro. La attirai a me con una forza ormai riacquistata e la strinsi nell’abbraccio più caldo e rassicurante della mia intera vita.

Stesi il mio mantello sul pavimento e facemmo l’amore come se fosse la prima volta.  Il suo profumo di cannella e gelsomino mi riempiva il cuore mentre ci stringevamo nudi in quella caverna che appariva terribilmente comoda ad entrambi.

Riascoltare la sua voce, dopo quasi quindici anni mi fece sentire come se stessi per toccare le stelle. In quel momento mi scordai a che compagnia fosse appartenuta. Il marchio appariva sbiadito sul suo braccio e quasi spariva al passaggio delle mie dita mentre la accarezzavo.



Ben presto però, giusto l’anno successivo, quel marchio tornò a macchiarla vivido più che mai.

Voldemort era tornato e sembrava più forte di prima.

Non la rividi più da quell’incontro se non quando fu troppo tardi per gioire della sua presenza.

Ci stavamo battendo contro i mangiamorte sui gradoni di una stanza all’Ufficio Misteri. In quel momento non sapevo neppure perché Harry ed alcuni suoi amici si trovassero in quel luogo. Quando arrivammo si stavano già scontrando con i più fedeli seguaci di Voldemort fra cui anche Destiny.

Fu come vivere un incubo. Non avrei mai avuto il coraggio di colpirla e sapevo che lei non avrebbe colpito me.

Ma come avrei dovuto comportarmi se un membro dell’Ordine l’avesse attaccata?

Non ebbi tempo per rendermene conto. Harry era in pericolo di vita e mi fiondai sull’uomo che lo premeva al muro, minacciandolo. Quel giorno rividi in lui il mio vecchio James. Aveva la stessa capacità e la stessa prontezza in combattimento. Mi sentii a casa per un attimo.

Tonks era appena stata messa fuorigioco da Bellatrix che si stava dirigendo ad occuparsi di qualcun’altro quando decisi di correrle incontro. Combattemmo sulla piattaforma dove si ergeva un arco di pietra dalla funzione sconosciuta. Un velo si muoveva all’interno di esso come mosso da un vento inesistente.

Mi mancò con uno schiantesimo.

La derisi.

Un momento dopo, mi ritrovai sospeso in aria. Mi vedevo dall’alto. Il volto sul mio corpo ancora sorridente, gli occhi spalancati e freddi. Caddi indietro e molto lentamente, quasi al rallentatore, scivolai nel velo vivente, divorato da quell’arco vacante.

Silente era appena giunto nella stanza circolare. Iniziò a mettersi male per i mangiamorte che iniziarono a fuggire in ogni direzione, Bellatrix compresa.

I miei occhi erano fissi sul dolore di Harry e sul volto di Remus, l’unico dei fedeli malandrini ancora in vita.

Destiny era semplicemente indescrivibile. Il suo volto pareva pietrificato. Si precipitò sul mio corpo prima che esso sparisse definitivamente dietro al velo e pianse. Pianse tutte le lacrime che il suo corpo riuscì a prestarle mentre io sparivo verso un luogo sconosciuto. Non fuggì assieme agli altri mangiamorte. Corse fuori dalla stanza e dall’edifico del Ministero ma non per scappare dall’Ordine. Uscì e stringendosi le braccia al petto, si smaterializzò.

Pianse ancora, ogni notte, stretta allo stesso gonfio cuscino, ma con una consapevolezza in più. Il covo dei mangiamorte non poteva più essere un suo nascondiglio. Voleva trovare giustizia per me, l’unica persona a cui era mai davvero stata legata. Non le importava quanto odiasse i babbani o quanto si sentisse potente accanto a quegli uomini. Ormai sapeva quanto potesse essere forte. Sapeva anche che non si sarebbe mai più sentita completa sapendo che non esistevo più al mondo.

Fu per questo che pochi mesi dopo organizzò un incontro con Silente stesso tramite Severus, uomo che non era più fra i suoi maggiori amici ma per cui comunque nutriva un certo rispetto. Discussero a lungo finché non convinse l’anziano e stanco preside di volersi tirar fuori dal lato oscuro. Egli la accolse quasi a braccia aperte e la ammise nell’Ordine della Fenice nei mesi successivi.



Cercò di reinserirsi nel mondo magico che dal giorno del ritorno del Signore Oscuro stava cadendo a pezzi. Cambiò taglio di capelli, cercò di mimetizzarsi fra i maghi comuni senza smettere di lavorare per conto dell’Ordine. Faceva turni di guardia e cercava alleati assieme agli altri membri, mentre il resto del tempo sostituiva l’ormai anziana proprietaria del Serraglio Stregato. Avrebbe dovuto esser felice svolgendo quel lavoro. Lei amava follemente le creature magiche. Avrebbe dovuto godersi una splendida vita a occuparsi di animali e bestie meravigliose e non combattere e rischiare la vita per poi piangere il  tempo che le restava da quegli impegni, a causa mia.



Anche se era da poco tempo un membro dell’Ordine, una volta scoperto quale fosse il legame che ci univa, il professor Silente rivelò a Destiny quale fosse il vecchio quartier generale dell’associazione. Le raccomandò inoltre, di evitare di entrarvi ma è inutile parlare di quanto fosse un consiglio per lei quello di visitare quel posto.
Ella però, devastata dal lutto, non visitò quel luogo finché anche l’uomo che le rivelò la sua
esistenza non fu deceduto.

Ogni persona a cui si era aggrappata era svanita nel nulla, uccisa senza una vera ragione. Non aveva un posto da poter chiamare casa per davvero. Fu per questo che decise di andare a scoprire la mia. Si materializzò nella piazzetta che si allargava di fronte all’abitazione della purissima e vanitosissima famiglia Black. Fra le abitazioni normalmente visibili, se ne aprì una terza: il numero 12 di Grimmauld Place. Aprì cautamente e si richiuse alle spalle la porta, dopo essere lentamente entrata. Pregava che la casa fosse vuota.

Non appena varcò la soglia, un’insolita polvere prese a vorticare sul suolo proprio davanti a lei. Un attimo dopo questa si alzò prendendo le sembianze di Albus Silente.

Destiny urlò dal terrore e si ritrasse indietreggiando contro la porta che si trovava alle spalle. Una volta raggiunta la ragazza, la polvere si sparse nell’aria e tutto tornò ordinario. Si accovacciò per terra, sconvolta e incapace di fare alcun passo verso il resto dell’abitazione. Si coprì il volto  e il suo corpo le donò ulteriori lacrime da spendere. Ho sempre odiato vederla piangere. Essere impotente in proposito mi fa soffrire.

Soltanto un’ora dopo ritrovò il coraggio di alzarsi e proseguire il corridoio che si trovava davanti. C’era una cosa che stava cercando in quella casa, una stanza ben precisa: la mia. Cercò in lungo e in largo la mia camera e la ritrovò al quarto piano, proprio sotto al tetto.

Tremava incontrollatamente quando aprì la porta. Trovò un letto molto impolverato e una serie di abiti e miei averi che avevo con me quando da vivo ero tornato a vivere il quel posto a me per nulla caro. Prese una mia vecchia giacca che avevo acquistato ad un mercato babbano in vista di usarla non appena fossi stato libero. La indossai in casa per poche ore e mi ritrovai a fissarla malinconicamente ogni qualvolta mi veniva vietato di lasciare il quartier generale. La prese, la indossò e la strinse forte a se. Mi parve quasi di sentire un suo caldo abbraccio, in quell’attimo. Sfiorò ogni oggetto, come per percepire la mia presenza ed infine si addormentò, sola e triste, sulle mie lenzuola

Rimase in quella casa, mentre il vecchio Kreacher faceva finta di non esistere, per qualche tempo prima che Harry, Ron ed Hermione la scegliessero come nascondiglio.

Si presero lo stesso spavento della povera ragazza non appena oltrepassarono l’uscio di casa: un cadaverico Silente li assalì e Destiny udì la povera Hermione urlare. Riconobbe le tre voci immediatamente e si diresse, la mia giacca ancora addosso, all’ingresso della casa. I tre, che ancora non avevano piena fiducia in lei, non presero subito bene la sua presenza.

-Vi prego, non agitatevi- chiese ella supplichevole -sono qua perché volevo sentirmi più vicina a…- si rivolse ad Harry - beh a Sirius-. Pronunciando il mio nome, la sua voce diventò flebile e appena udibile. I ragazzi annuirono quasi in coro e, guidati da Destiny entrarono in casa dopo aver zittito il ritratto urlante della mia adorabile madre.

La ragazza accolse i tre giovani come se si trovassero a casa sua. La vidi così bene immaginandola come una moglie! Preparò loro del tè e servì del pain au chocolat appena sfornato. Fu felice di non ritrovarsi più del tutto sola anche se i tre non sembravano ricambiare quel sentimento. La guardavano con aria scontrosa come se stesse intralciando fastidiosamente il loro cammino. Fu per questo motivo che ella decise di lasciare Grimmauld Place poche ore dopo il loro arrivo. Tornò nella mia stanza mentre i ragazzi si ambientavano e si sedette, per l’ultima volta, su quello che era stato il mio letto. Ne accarezzava le coperte quando Harry decise di raggiungerla.

-Posso?- chiese falsamente incerto sulla porta. Lei annuì senza proferir parola.

-Vorrei parlarti di Sirius- quest’ultima parola venne fuori dalle sue labbra faticosamente. Ancora una volta Destiny non rispose ma restò in attesa.

-Tu lo conoscevi, vero?- si sedette sul letto accanto a lei.

La ragazza però si alzò di botto e, stringendosi addosso la mia giacca, si avvicinò alla finestra appannata pulendone una parte per affacciarsi. Non riuscì comunque a scorgere alcunché perché i suoi occhi si riempirono di lacrime offuscandole la vista.

-E’ l’unico uomo che io abbia mai amato- pronunciò a voce ferma, mentre una lacrima fuggi dalla sua presa.

-Puoi parlarmi di lui? Ho avuto troppo poco tempo per conoscerlo…- il ragazzo si guardava le scarpe indeciso fra l’imbarazzo e il disagio.

Destiny respirò a fondo e tornò a sedersi sul letto. Sì sentì in dovere di raccontare di me ad Harry.

Ricordare le sue parole mi commuove tutt’ora.

Gli narrò di quando ci conoscemmo, di come passavamo assieme le giornate e di come fu faticoso per me avvicinarla. Gli disse che l’avevo colpita con il mio senso dell’umorismo e la mia grande cocciutagine. Raccontò di quanto io riuscissi a capirla e compresi che riuscivo meglio di quanto immaginassi. Le mancavo enormemente.

Un gesto di quel freddo pomeriggio, mi colpì particolarmente. Con questo posso affermare che Destiny fosse cambiata e cresciuta. Era dalla nostra parte col cuore e con l’anima. Si alzò, si sfilò la giacca e la porse ad Harry

-Lui vorrebbe che ce l’avessi tu-.

Il ragazzo l’afferrò, colpito quanto me e con un gesto del capo ringraziò.

-Buona fortuna Harry, ce la farai. Io e lui saremo con te, sempre-. Con questa frase si congedò.

La volta successiva in cui vide Harry Potter, fu all’ultima battaglia della Seconda Guerra Magica ad Hogwarts, che si sta svolgendo quest’oggi.



La battaglia infuria da ore fra le mura ormai notevolmente distrutte della scuola di Hogwarts. Urla di dolore, lamenti, imprecazioni e formule magiche si odono in ogni dove e creano un brusio che mescolato ai sibili degli incantesimi, e al rumore della scuola che si ripiega su se stessa, crea un caos insopportabile. Odio e speranza volteggiano nell’aria fra le migliaia di corpi che si scagliano gli uni contro gli altri. Fra tutti, pochi in particolare attirano e meritano la mia attenzione. Tutto ciò che di più simile ad una famiglia mi fosse rimasto, giace sul pavimento gelido del castello. Il corpo di Lupin, mio amico e fratello, era stato spostato assieme agli altri in un angolo dove si sperava che i deceduti non potessero essere colpiti.  La sua mano è tanto vicina a quella di Tonks che sembra vogliano sfiorarsi ancora una volta.

Destiny invece, si batte come se la battaglia sia appena iniziata. Si erge eretta, all’ingresso della Sala Grande, scagliando incantesimi a raffica con la sua potente bacchetta, ad ogni mangiamorte che si ritrova sulla sua traiettoria. I capelli le ricadono, dolci e disordinati sulle spalle. Il volto, seppur marcato in un’espressione di concentrazione, è ugualmente bello e attraente, com’è sempre stato. Una ferita le si apre sul braccio e sanguinando le sporca le vesti, mentre lei sembra non accorgersene.

Combatte per la libertà del mondo magico e... per me.

Amo ancora guardarla, forse più di prima. Improvvisamente i suoi occhi vengono attratti da qualcosa in lontananza. Una chioma folta e bruna si agita sul fondo della sala, Destiny riesce a vederla appena eppure questo sembra bastarle. La vedo intraprendere una corsa verso quella donna in nero, follemente allegra,  la mia assassina, senza curarsi di ciò che le avviene attorno. La sua mente sembra sgombrata da qualunque altro pensiero. Corre, ignorando duelli e uomini agonizzanti stesi per terra, verso la sua meta. Vuole ucciderla, ne sono certo.

Bellatrix Lestrange non avrà mai occasione di duellare con Destiny.

E’ un attimo. Qualcosa, un lampo di luce verde, sfreccia nella sua direzione e colpisce quella splendida creatura dritto fra le scapole. Il suo corpo pare costellato di tagli e strappi. Un lago di sangue si spande attorno a lei e va a confondersi con il colore dei suoi capelli mentre lei si accascia sulla schiena.  I suoi occhi, così unici e grandi, si rivolgono al cielo. Nessuna smorfia di dolore le segna il volto. E’ sempre stata forte. Il suo viso non lascia quasi mai trasparire emozioni che non decide di trasmettere. In pochi siamo riusciti a capirla. Nessuno più di me.

Il dolore intenso la costringe a tremare. Fra i tagli sul suo abito, si riescono a scorgere centinaia di ferite che a breve la uccideranno.

Mi si stringe il cuore.

La polvere e i detriti della scuola che man mano si sta sgretolando, iniziano già a ricoprire lentamente il suo corpo, in fin di vita. Una lacrima le solca la guancia sinistra, separandola in due parti che non si ricongiungeranno mai più, proprio come lei e l’uomo per cui ha dato la vita.

Arrivo amore mio”, le sento dire, e se solo potessi, piangerei con lei anch’io.



Soffro in modo incredibile. In un modo che chi sta sulla terra non riesce neppure ad immaginare. Eppure le anime della gente continuano a vivere.

Delle dita stanno scivolando fra le mie. Le riconosco, le ho bramate per anni. Mi volto e la vedo: la donna più bella del mondo, sorridendo, mi guarda con i suoi due enormi occhi entrambi grigi, proprio come ai miei.

Ormai è dei nostri.

Ormai è mia.




Angolo delle autrici

Salve a tutti.

Questa storia è il frutto di un duro lavoro di coppia che io e The Half_Blood Princess abbiamo svolto per una competizione a tema Harry Potter.

E' la prima occasione in cui ci siamo approcciate assieme con la scrittura di un testo a quattro mani, ma dobbiamo ammettere che è stato tanto piacevole quanto appagante. Ci siamo completate e divertite assieme. Ci siamo commosse e abbiamo riso all'unisono mentre stendevamo nero su bianco queste poche parole.

Con questa storia, come già detto, abbiamo voluto dar voce ad un personaggio tanto amato quanto sfortunato come Sirius Black. Gli abbiamo dato possibilità di amare e sorridere, fin proprio alla fine.

Commenti e critiche sono ben accetti.

Con affetto,

Aishwarya & The Half_Blood Princess

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Aishwarya