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Autore: Castiga Akirashi    05/09/2015    1 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Quando Lily tornò a casa, era ancora molto scossa. Appena vide il padre, disse: «Oggi ci hanno parlato del Demone Rosso a scuola.»
Raphael gelò sul posto e si voltò, fissandola inorridito; dopo aver deglutito, mentre tutte le sue paure parevano materializzarsi di colpo, chiese: «Cosa… vi hanno detto?»
«La prof ce ne ha parlato e poi abbiamo visto un video. È stato… terribile.» rispose lei. Non c'erano altre parole per descrivere come si era sentita.
Raphael la guardò per un momento, tentato di rivelarle tutto. Ma per dirle cosa? Che quella belva assetata di sangue era la sua mamma? Perché di sicuro non avevano mostrato loro il lato migliore di quella che era stata il Demone Rosso; così, preso dall'angoscia e dal senso di colpa, mormorò: «Lily, è… storia.»
«Sì, storia.» borbottò lei, sentendosi presa in giro dal padre, da N, da tutti. Perché nessuno aveva il coraggio di dirle la verità? Di dirle come realmente stavano le cose? Sconvolta ma anche seccata da quella situazione, andò in camera, senza più una parola. Raphael la fissò salire le scale e sospirò affranto. Perché la sua bambina aveva dovuto conoscere sua madre nel peggiore dei modi?
«Forse avrei dovuto dirglielo prima.» mormorò, preso dal senso di colpa.
«Non crucciarti.» intervenne N, che era rimasto in disparte mentre i due parlavano: «La tua presa di posizione è più che lecita. Forse ora, sarà solo più dura cercare di convincerla che sua madre non è più così.»
«Come se fosse facile.» rispose solo lui.
Lily nel frattempo, chiuse la porta e sedette alla scrivania. Giovanni era chissà dove, quindi non si sarebbe lamentato. Accese il computer e fece una ricerca. Avrebbe voluto chiedere a N, approfittando anche della sua compagnia, ma aveva già avuto modo di vedere che lui non era intenzionato a dirle niente. Non finché non ci fosse stata l'approvazione del padre. Quindi doveva arrangiarsi.
“Da quanto dice qui, il Demone Rosso ha tre fratelli.” pensò scorrendo i risultati: “E sembra che lui sia il più grande. Ora è ad Azzurropoli. L'hanno avvistato e lo tengono d'occhio perché è un pregiudicato e non si fidano. Beh, tentare non nuoce. Infondo… è una specie di zio! Come Pidg!” concluse, chiudendo tutto, per poi cancellare la cronologia, spegnere il computer e uscire di soppiatto. Arrivò ad Azzurropoli grazie ad un volo con Wargle. Il Braviary l'aveva accompagnata nel continente di buon grado, credendo alla scusa dello studio con un'amica. Lei gli disse di tornare verso sera fuori dalla città. Lui annuì, le diede un buffetto con la testa per salutarla e decollò. La ragazzina, invece, si incamminò in città. Il cellulare le vibrava nella tasca, suo padre la cercava. Ma lei voleva sapere di più. E avrebbe scoperto tutto. Lo vide nel parco. Teneva una bancarella di panini e in quel momento era pieno di clienti. O almeno, di quelli che può avere un pregiudicato bollato a vita come un delinquente.
“Diresti mai che quello era il terribile primo tenente del Team Rocket?” si chiese Lily con un ghigno, osservandolo da lontano servire la gente lì attorno con un sorriso cordiale.
Doveva parlargli in qualche modo, ma non poteva in quel momento, davanti a tutti. Aspettare che chiudesse non le pareva il caso, dato che avrebbe fatto troppo tardi. Così le venne un’idea. Si mise a fare la coda e, quando fu il suo turno, Archer la guardò sorridendo e cominciò a dire: «Buongiorno. Che cosa desider…», ma si bloccò, squadrandola perplesso, come se vedesse un’altra persona.
Lei gli sorrise, ordinò e sedette poco lontano. Lui però non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Pareva quasi ipnotizzato. Così, si inventò una scusa per chiudere tutto e mandare via scusandosi i clienti che erano rimasti, promettendo uno sconto la volta dopo. Sistemato tutto, si avvicinò a Lily, non sapendo nemmeno come cominciare un discorso. Si schiarì la voce, per farle capire che era lì, e quando lei si voltò, borbottò:  «Qualcosa mi dice che il panino era una scusa.»
«Infatti.» sorrise lei, quasi ghignando: «Però era buono!»
«Almeno quello.» disse lui, continuando a fissarla: «Volevi parlare con me?»
Il sorriso di lei si allargò quando rispose: «Sì. Ti ricordo qualcuno?»
Archer annuì, soppesando le sue parole ma soprattutto quel ghigno furbo che tanto gli ricordava la sorellina. Dove voleva andare a parare con tutto quel mistero e quelle domande sibilline?
«Sì, ma non è possibile.» si decise a risponderle.
«E perché?» chiese invece lei, incuriosita da quel tono così definitivo.
«Perché questa persona… non può avere figli.»
«E invece sì.» negò lei con forza, balzando in piedi: «Io ne sono la prova. Non l’ho ancora vista, perché papà dice che non posso chiedere le visite, però so che è lei.»
Archer si astenne dal riderle in faccia, vedendo quanto fosse convinta di essere figlia del Demone Rosso. L’unico elemento che lo frenava dall’insultarla, darle della visionaria e rimandarla a casa era quella inquietante somiglianza con la sorella. Erano davvero due gocce d’acqua ed era troppo strano per essere una coincidenza. O comunque perché fosse possibile geneticamente, se non era imparentata con lei.
Sedendosi sulla panca, dove prima era lei, chiese: «E tuo padre chi sarebbe?»
Lei lo imitò, calmandosi anche se non capiva quella ostinata diffidenza, e rispose: «Si chiama Raphael e ha detto che una volta era una Recluta. Gli è scappato, ma sono riuscita ad estorcergli qualcosa. Non so molto però perché papà non ha mai voluto dirmi niente di preciso sulla mia mamma. Anzi, fino a poco tempo fa sosteneva fermamente fosse morta quando ero nata io.»
Archer osservò meglio la ragazzina, mentre ascoltava le sue parole, e soffermandosi sulla parte inferiore del viso, ebbe l’illuminazione; così esclamò, battendosi un pugno sulla mano: «Ma certo. Quel ragazzino che si è quasi fatto ammazzare!»
Spostato lo sguardo nei suoi occhi, chiese: «Cosa ci fai qui?»
Lily ricambiò lo sguardo e rispose: «Volevo sapere qualcosa sulla mamma. Papà e N ne parlano bene, il resto del mondo no.»
Archer la osservò bene. Il taglio degli occhi era uguale, ma il colore e soprattutto l’intensità erano tutta un’altra cosa. La ragazzina aveva uno sguardo dolce e simpatico, per nulla assassino o iracondo. Sorridendole, dato che in fin dei conti era la sua nipotina, disse: «Sai, piccola… tua madre è una persona particolare. Non è cattiva, o almeno non lo era, ma Giovanni era bravo con la mente delle persone. Soprattutto con quelle manipolabili come la sua.»
«Posso sapere la storia? Lo so che sembro piccola e non sono cose da dire e via dicendo. Però a scuola ci hanno fatto una lezione di storia contemporanea e devo dire che ho ancora la pelle d’oca.»
Archer rifletté, capendo come si sentisse. D’altronde, sentire la storia del Demone da chi l’aveva vissuta era tutto fuorché divertente. La gente del continente non sapeva delle sevizie, dei soprusi e dei tormenti psicologici a cui Athena era stata sottoposta da quel folle. Sapevano solo degli omicidi, delle stragi e dei massacri conseguenti a quelle. Così, disse: «Forse è meglio se, almeno tu, sappia com’è realmente successa.»
Lei si mise comoda, pronta ad ascoltare attentamente la storia, e lui proseguì: «Avevo dodici anni e entrai nel Team Rocket. Ero il classico bulletto che voleva di più, orfano, sballottato da una famiglia all’altra, trascorrendo il resto del tempo nell’orfanotrofio. Giovanni mi accolse. Non so cosa vedesse in me, ma dovevo sembrargli un ottimo elemento. Devi sapere che quell’uomo tendeva a portare sotto la sua ala solo ragazzi, ma soprattutto bambini, orfani perché non avevano legami all’esterno e poteva farli suoi nel vero senso della parola. Cominciai a fare missioni qua e là, e divenni il capo dei Fratelli Rocket, le Reclute più importanti. Milas era simpatico, Maxus un idiota, ma andavamo d’accordo. Ci consideravamo quasi fratelli biologici. Lei entrò nel Team un po’ di tempo dopo di me, ma non sapevo che tipo fosse. Nessuno le aveva mai parlato, perché evitava tutti; Giovanni istigava il terrore, voleva che tutti le stessero alla larga. Non doveva sentirsi amata o accettata, altrimenti il suo piano sarebbe fallito. Ma questo purtroppo lo scoprii troppo tardi. Indagando – ammetto che ero piuttosto curioso – notai che, una volta al giorno, Giovanni passava a prenderla e la costringeva a uccidere un prigioniero. Lei si divertiva e lo faceva senza obbiettare. Non si rendeva conto della differenza tra il bene e il male suppongo, ma soprattutto era il macabro divertimento che provava a essere sbagliato. Devi sapere che soffre di una malattia della mente, che la porta ad amare il sapore del sangue. Ma questo non è il problema fondamentale, perché volendo, può essere innocua, come lo è ora; benché adori uccidere, non lo fa perché sa che è sbagliato e non deve farlo. Comunque sia ora, due anni circa dopo, Giovanni capì che non poteva starle dietro, così la mandò dal generale Surge, il Leader di Aranciopoli.»
«Il nonno Surge?! Io pensavo fosse il suo papà biologico!» lo interruppe lei, incredula.
«Nonno?»
Lei annuì e aggiunse: «Sì. Papà mi ha detto che è il papà della mia mamma. Ma a quanto pare, non è così.»
«Questo punto dovrai chiarirlo con lei, o con uno dei due, credo. Comunque sia… Surge la doveva addestrare, ma quando lei tornò si rifiutava in qualunque maniera di uccidere. Giovanni era nero di rabbia, continuava a dire che Surge l’aveva rovinata e che non poteva più contare sulla sua “arma”. Il capo però non si arrese e trovò il modo di piegarla. Vedi, lei diventa pericolosa solo se si arrabbia. Altrimenti riesce a sopprimere il suo desiderio di uccidere. Giovanni cominciò a tenerla costantemente arrabbiata. Non le permetteva di calmarsi in nessun modo e lei uccideva per scaricarsi, finché non divenne l’unica cosa che la faceva sentire bene. Nulla era più importante per lei di uccidere e lui le mise in testa anche il pensiero che Surge non le aveva mai voluto bene e che quindi, quando le aveva detto che fare del male era sbagliato, l’aveva fatto solo per indebolirla. Giovanni sfruttò questa cosa anche come punizione. Il dolore fisico, le punizioni corporali, sembravano farle nulla. Così il capo trovò la punizione ideale: rinchiuderla in isolamento. Era un dolore diverso da quello fisico, una tortura psicologica che la mandava sull’orlo della follia. Io e Pidg, o come tutti lo conoscono, Deathly Eagle, cercavamo spesso di tranquillizzarla quando era in punizione, per evitare che si facesse manovrare come un burattino. Ma io ottenni solo il risultato di starle simpatico e di essere l’unico che poteva parlarle liberamente, senza il rischio di una pugnalata. Non so altro. Non so come fece a disintossicarsi, ma so solo che la rividi tre anni dopo la morte dei suoi Pokémon, che tentava di strappare un ragazzino dalle braccia della morte; quella che lei aveva causato a molte persone.»
Lily, commossa dal dolore che trapelava dalla voce dell’uomo, ma anche per la sofferenza della madre, mormorò: «Papà sa com’è andata. Io so diciamo la parte che lo riguarda direttamente. O meglio, so qualcosa a spezzoni perché non me ne ha mai voluto parlare di sua spontanea volontà.»
«Cioè?» chiese lui, incuriosito; aveva sempre voluto sapere come avesse fatto a calmarsi e a cambiare così radicalmente: «Dopo che lui lasciò la base con un biglietto patetico?»
Lei lo guardò, con un ghigno simile a quello della madre, e chiese: «Che c’era scritto?»
«Lascia stare!» ridacchiò Archer: «Dimmi quello che sai piuttosto.»
Facendo spallucce, Lily proseguì: «Papà scappò dalla base e andò a cercarla. La trovò, fecero amicizia e, piano, piano si innamorarono. Però poi, dopo la mia nascita, la mamma rischiò di morire e N la portò via da papà. Lui ha vissuto quattordici anni credendo fosse morta, ma poi l’ha rivista. È un avvocato e ha preso le sue difese. Non so altro, però so che lei è rinchiusa nel carcere di Zafferanopoli. Papà ne parlava con N, ma non mi vogliono dire niente della mamma.»
Archer annuì, comprendendo le remore del padre, ma borbottò, quasi parlando con sé stesso: «Non so se sia la cosa giusta. Forse vogliono proteggerti ma meglio se sai tutto da loro che da altri no?»
«È quello che ho cercato di dire loro, ma non mi ascoltano.»
«Non è facile dire alla propria figlia che la madre era un mostro, odiata dall’intero globo.»
Lily non rispose, ricordandosi ciò che aveva visto in classe e la paura che aveva provato, ma Archer aggiunse sorridendo, capendo i suoi pensieri e i suoi dubbi: «Devi conoscerla per giudicare. Non puoi basarti solo su quello che ti dicono gli altri. Dovrai farti una tua idea personale.»
Lei annuì, rinfrancata e gli sorrise. I due parlarono ancora un po’, del più e del meno; come zio e nipote, dovevano conoscersi un po’. Poco dopo però si fece davvero tardi e Lily fu costretta ad andarsene, o il padre avrebbe chiamato chissà chi per andare a cercarla. Richiamato Wargle, tornò a Hoenn.
Archer, invece, partì il giorno dopo per Zafferanopoli. Voleva vederla e parlarle. La sua sorellina infondo gli mancava. Arrivò al carcere e chiese una visita.
«Il Demone Rosso? Archer, la libertà ti da' alla testa! È morta fattene una ragione!» rispose quasi sprezzante la guardia all’ingresso, come se fosse completamente suonato.
«Io so che è qui! Fammi entrare!» ribatté lui, cercando di passare.
«Vai a farti un giro, Archer. E qui non ci entrare mai più.»
L’uomo se ne andò seccato, pensando ad un piano per vederla, ma prima che potesse uscire dalla zona protetta, una voce chiese:«Archer?! Che diavolo vuoi?»
«Lance.» salutò lui, freddamente, una volta che si fu voltato e lo ebbe riconosciuto: «Volevo solo vedere mia sorella. Ma a quanto pare sono pazzo.»
I due si fissarono con odio, poi Lance disse: «Non so come tu faccia a saperlo ma… seguimi. E tieni la bocca cucita.»
Archer titubò, non sapendo se fidarsi o meno del suo peggior nemico, ma vedendolo andare via con passo veloce, eseguì e il Campione gli fece strada nel carcere, superando una porta protetta da una password.
«Che non si sappia in giro.» sbottò, per poi accompagnarlo da un corridoio in una stanza isolata dove c’era una cella in penombra.
Gli fece segno di non muoversi e andò verso la cella. Giunto lì, salutò con un cordiale: «Ehi, pazzoide.»
«Lancino, sei ancora qui?» chiese una voce dall’ombra, che Archer riconobbe come quella sempre sarcastica della sorella: «Avevi ragione quando mi hai detto che non ti avrei più sopportato.»
«L’avevo detto io!» rispose lui, quasi con un tono da saccente: «Non avrai nemmeno il tempo di renderti conto di essere sola. Comunque non sono qui di mia iniziativa. Ho incontrato una certa persona che muore dalla voglia di rivederti.»
Lance fece segno all’uomo di avvicinarsi e aprì la cella, per almeno permettere loro di toccarsi. D’altronde, erano fratelli e pareva non si vedessero da parecchio tempo.
Athena sbirciò fuori dalla porta con curiosità ed esclamò, con un sincero sorriso meravigliato: «Archer?!»
«Athena!» esclamò lui, correndo nella cella ed abbracciandola forte; un attacco di dolcezza del quale si pentì quasi subito, ma lei lo strinse di risposta, altrettanto felice, tranquillizzandolo; temendo, però, si fosse cacciato di nuovo nei guai, chiese: «Che ci fai qui?»
Lui probabilmente intuì il pensiero dal tono di voce, perché rispose: «Un angelo custode che ti vuole felice. Non ti dirò altro. Sto diventando un bravo ragazzo.»
«Sei così sibillino quando ti ci metti.» brontolò invece lei, non capendo a chi si riferisse e vedendo che pareva non avere alcuna intenzione di parlare chiaro.
Lui rise e assentì: «Già, lo so. Di’ un po’… tu, piuttosto. Cosa diamine ci fai qui!?»
«Mi sono consegnata, ovvio. Era giusto così…»
«Giusto… relativamente.»
«Mi ha già fatto questo discorso Raphael. Se ha perso lui, tu non hai speranze fidati.»
Lui si arrese alzando le mani e intuendo che la recluta e il famoso papà fosse questo “Raphael”. Sedettero entrambi e parlarono molto, raccontando la vita che avevano passato fino ad allora, con tutti i particolari annessi e connessi. Archer, pochi mesi dopo che lei se n’era andata dalla base, seguita a ruota da Raphael, aveva capito che il Team non avrebbe mai più avuto successo, nemmeno con tutto l’impegno possibile. Così aveva sciolto tutto e aperto un carretto ambulante di panini. All’inizio nessuno andava da lui perché era un pregiudicato, ma dopo un po’ divenne famoso. Era economico, gentile e la gente si trovava a suo agio. Imparando ad essere cordiale e beneducato, aveva rimediato a quasi tutti i problemi portati dalla sua condizione di ex galeotto. Alcuni giorni prima però, era arrivata questa persona a dirgli dov’era la sorella; e lui era ovviamente andato a trovarla.
Anche lei gli narrò tutto ciò che le era successo e lui commentò, alla fine del racconto: «Intelligente questo N. Direi che dovrei andare a ringraziarlo. Piuttosto…» aggiunse con un ghignetto furbo e malizioso insieme: «Quando avevi intenzione di dirmi della tua conquista, signorina?»
Lei avvampò, una cosa nuova per Archer, che non glielo aveva mai visto fare. La donna rispose balbettando, rossa in viso e imbarazzata: «Eh, beh, ecco… non ti ho più visto e… non c’era l’occasione, insomma.»
Archer ridacchiò di gusto, vedendola così in difficoltà e disse: «Non avrei mai detto che ti avrei mai vista imbarazzata sorellina.»
«La gente cambia, come ti ho già detto.» rispose lei, seccata dal suo divertimento: «Posso solo dire che sono migliorata.»
Lui chiese scusa, e annuì, rispondendo: «Già… sai avrei dovuto anche arrivarci. Tutta quella fatica per salvarlo…»
«Non vuol dire niente.» lo interruppe secca Athena: «Ci ho messo molto più tempo di quello che credi per ricambiarlo. Ma devo dire che ne è valsa la pena. Darei la mia stessa vita per lui, ora come ora.»
Il fratello si decise a sorridere, davvero felice della sua nuova umanità e commentò: «È bello sentirtelo dire. Vuol dire che non sei proprio il robot che tutti credevano.»
«Anche le bestie hanno un cuore. Raphael lo ha dimostrato.» alzò le spalle lei, come per sminuire.
Archer ridacchiò e rispose, facendole l’occhiolino: «Io lo sapevo già da prima. E così ora ti difende legalmente...»
«Già. È diventato avvocato dopo una separazione forzata. Ma la vedo in positivo. Dicono che nulla possa fermare l'avvocato Raphael Grayhowl quando vuole vincere.»
Archer non si trattenne più e le accarezzò una guancia, stranito nel vedere che lei non cercava di scansarsi o di abbatterlo per aver osato tanto. Anzi pareva quasi piacerle. Quell’uomo l’aveva davvero cambiata; l’amore l’aveva davvero cambiata e ora apprezzava addirittura le coccole. Tolta la mano, mormorò: «Vedremo dai. Ora però sarà meglio che vada. È la quinta volta che vedo Lance passare davanti alla porta.»
Lei ridacchiò di risposta: «Lancino si agita troppo, ma sono contenta di averti visto. Stai lontano dai guai Archer, per favore.»
«Lo faccio da tanto. Attenta tu, piuttosto. Ciao, sorellina.»
Archer fece per alzarsi, ma in uno slancio di affetto lei lo abbracciò. Lui ovviamente ricambiò e quando si lasciarono, uscì dalla cella e il Campione richiuse la porta, facendole ciao con la mano ma senza farsi vedere dall’uomo. Athena gli sussurrò: «Ti vergogni che siamo amici, scimmione?» ma lui la ignorò volutamente, accompagnando l’ex tenente di fuori e tornando alla Lega per controllare la situazione.
Archer invece si allontanò pensoso dal carcere. Doveva tutto a quel ragazzino, ormai uomo probabilmente, che aveva reso umana e quindi migliore la sorellina.
“Chissà dove abita.” si chiese, per poi chiedere alla guardia.
«L’avvocato Grayhowl?» rispose lui, rimuginando: «Sì lo conosco ma non so dove vive… si è trasferito da poco. Però se vuoi lo trovi in procura il mercoledì e tutti i giorni nel suo ufficio a Zafferanopoli.»
L’ex tenente annuì e ringraziò, ma andare in procura non era una delle idee che preferiva. E nemmeno girare per uffici di avvocati. Decise di andare a ripescare la bambina che lo aveva cercato, per chiedere direttamente a lei dove abitasse con il padre. Andò alla scuola di Zafferanopoli, ricordandosi la sua età, e attese fuori con il suo carretto. Avrebbe aspettato la fine delle lezioni tirando su un po' di soldi.
«Ehi, Lily!» chiamò quando la vide uscire, ma era troppo lontano e lei non lo sentì.
La rincorse dentro ad un bosco e la vide ferma in una radura che fissava il cielo. Rallentò, alzò lo sguardo e vide un grosso rapace planare verso di lei. Archer lo fissò atterrare sbigottito, ricordandoselo in una teca di vetro all'entrata di Zafferanopoli. Togliendosi dalla testa l'opzione fantasma, visto che la ragazzina lo stava accarezzando, si decise a fare qualcosa prima che se ne andassero e così urlò: «Pidg! Ehi, Pidg!»
«Pigeo?» borbottò il Pokémon, per poi voltarsi, non capendo chi potesse chiamarlo con il suo vero nome.
Quando però vide Archer, non perse più tempo a pensare e si lanciò in volo, atterrandogli addosso e becchettandolo affettuosamente, felice di vederlo.
«Aiuto! Pidg, spostati! Ma lo sai quanto pesi?» esclamò l'uomo con il fiato mozzo e il torace compresso da quell'ammasso di penne e piume.
«Pidgeooo!!» rispose lui, becchettandolo affettuosamente, con nessuna intenzione di farlo alzare.
«Spostati, pennuto! Mi stai spiaccicando! Fantasma o zombie che tu sia, levati!»
Pidg si alzò in volo e lo becchettò ancora, giusto per esprimergli tutto il suo affetto. Archer alzò gli occhi al cielo e gli accarezzò la testa, dicendo: «Sei l’ultimo Pokémon che avrei mai pensato di vedere vivo, sai Pidg?»
«Pidgeo!» rispose lui, posandosi alla sua mano tutto contento e arruffando le piume.
Lily li raggiunse titubante e mormorò: «Zio?» intendendo Pidg, ma si voltarono entrambi. Lei ridacchiò per la scena e borbottò: «Intendevo zio Pidg, però se non è un fastidio...»
«Ci mancherebbe altro.» rispose solo lui sorridendo.
La ragazzina sorrise di risposta e chiese: «Che cosa ci fa qui?»
«Cercavo te. Ho visto Athena e mi ha raccontato quello che è successo. Così volevo conoscere tuo padre. Anzi, rivederlo.»
«Venga con me e lo zio!» rispose la bambina, indicandogli il Pokémon: «Papà sarà felice di rivederla! O almeno lo spero!»
Pidg si voltò di spalle per permettere loro di salire. Lily gli saltò in groppa, aggrappandosi al collo, e Archer si mise dietro di lei, sulla coda del Pokémon, attento a dove mettere le mani. Non sapeva se i genitori avessero acconsentito ad un contatto così ravvicinato. Lui di certo non voleva farle nulla, ma era abbastanza ambigua come cosa. Lei non sembrava per niente imbarazzata; probabilmente contava sulla parentela. Comunque fosse, Archer sperò che quel viaggio durasse il meno possibile. Arrivati, atterrarono e Lily corse in casa. Pidg la seguì volando rasoterra e Archer fece lo stesso, bussando giusto per sembrare almeno un minimo educato.
Raphael apparve dal soggiorno, perplesso dal trambusto, lo vide, ed esclamò: «Tenente Archer?!»
«Ex tenente, prego.» sorrise lui, un po’ imbarazzato, per poi dire: «Non pensavo ti avrei rivisto.»
«Lo stesso vale per me… che cosa ci fate qui?» chiese l’avvocato, non molto convinto di quella visita, per poi aggiungere: «Ah, entrate pure.»
Archer ringraziò ed entrò, sedendosi sulla sedia che gli era stata indicata e stringendo la mano a N. Prendendo la parola, disse ridacchiando: «Insomma, la piccola Athena junior è venuta a trovarmi e così ho pensato di venire a ritrovare il miracoloso pazzo che è riuscito a umanizzarla.»
Lui arrossì di risposta, visto il tono scherzoso con cui l’uomo stava parlando, e borbottò qualcosa di indefinito per sminuire la cosa, ma Archer aggiunse: «Credimi quando ti dico che da quando la conosco, non ho mai visto Athena arrossire o parlare con dolcezza di qualcuno.»
«Beh…» rispose Raphael, cercando di formulare una frase di senso compiuto: «Io non ho fatto niente infondo.»
«Niente. Relativamente.» rispose l’altro, non incline a dargliela vinta nel sminuire il suo vero e proprio miracolo: «Quando sei scappato l’avevo capito che eri andato dietro a lei. Ero un po’ preoccupato per te, perché da quanto mi ricordassi, lei era ancora instabile. Così ti ho fatto seguire. Ma quando ho visto che non era ostile nei tuoi confronti, mi sono tranquillizzato. Oggi ho avuto la conferma di aver fatto bene.»
«Non so che dire, Tenente.» borbottò solo Raphael, ancora piuttosto imbarazzato: «Ho seguito quello che provavo. Nulla in più.»
«Sei riuscito a scongelare il suo cuore. Non è da tutti, te lo assicuro. Mi ha raccontato un po’ di cose… anche che si è pugnalata piuttosto che uccidere te. Stiamo parlando del Demone Rosso, eppure ha preferito la morte all’omicidio. È un vero miracolo, non ho altro da aggiungere. E ti ringrazio per averlo fatto.»
«Miracolo, o semplicemente, la persona giusta.» buttò lì lui, sorridendo a sua volta visto che non poteva spuntarla, per poi aggiungere: «Ma non dovete ringraziarmi. In fin dei conti, ho fatto tutto pensando a me stesso.»
Archer rise, annuendo, e rispose: «Allora è una piacevole conseguenza!»
Gli sorrise grato, davvero contento che qualcuno avesse riportato la sorellina sulla via dell’umanità, sopprimendo il mostro che era in lei. Raphael ridacchiò, un po’ meno imbarazzato di prima. Dei passi però li fecero voltare e Giovanni irruppe nella stanza. Era tornato per qualche giorno dal suo viaggio, per consegnare a Raphael delle lettere da dare alla sua mamma; sarebbe ripartito il giorno successivo, alla volta di Brunifoglia. Lily lo squadrò, pronta con la battutaccia in canna.
«Ehi. E tu chi sei?» chiese invece Archer, squadrandolo, sentendo l'aria farsi d'un tratto tesa.
Il bambino lo fissò storto di rimando e rispose secco: «Chi è lei, piuttosto.»
Abbastanza irritato per quell’atteggiamento, l’uomo rispose: «Io mi chiamo Archer e…» ma Giovanni lo interruppe, cambiando di colpo modo di fare, quasi urlando, emozionato: «Cosa?! Lei è Archer?! Il fratello di Athena?!»
«Sì…» rispose, sempre più perplesso: «E tu invece sei?»
«Giovanni! Suo figlio!» si presentò il bambino, cambiando faccia, tutto contento di conoscere uno dei tre fratelli della sua mamma, dei quali lei gli aveva molto parlato.
«Adottivo.» aggiunse pungente Lily.
«Più figlio di te, di sicuro.» ribatté lui, fissando seccato la sorellastra.
«Sul piano biologico non direi.»
«Su quello emotivo, sì.»
«Solo perché io non l’ho mai conosciuta. Altrimenti ti scarterebbe!»
«Certo, perché tu sei la perfezione!»
I due cominciarono a litigare con epiteti molto coloriti. Archer li fissava perplesso, un po’ scioccato soprattutto dal nome, e Raphael, dopo una pausa, si avvicinò a lui e disse: «Fanno sempre così. Non scandalizzatevi troppo.»
«Sempre?» chiese lui.
«Sì. Non riusciamo a farli andare d’accordo. E Giovanni è difficile da gestire. Fortunatamente in questi giorni è poco qua intorno... sta andando in giro per la regione a caccia di Medaglie.»
Archer li osservò ancora un attimo, ridacchiando alle parole dell'avvocato, poi si chinò e chiese ai due bambini: «Perché vi odiate così?»
«Ha cominciato...» cominciarono a dire i due in coro, puntandosi un dito contro a vicenda, ma lui alzò la mano e disse: «Non mi interessa chi ha cominciato. Voglio sapere perché. Insomma, volete stabilire chi è il figlio migliore? Che senso ha?»
I due si guardarono, velenosi ma imbarazzati. Perché si davano guerra?
«Ammettetelo… tu Giovanni, sei invidioso di Lily perché lei è figlia biologica.»
La ragazzina lo guardò con superiorità, ma il suo ghigno venne subito smontato da Archer, che proseguì dicendo: «Mentre tu, Lilith, sei invidiosa di lui perché ha vissuto del tempo con vostra madre mentre tu no.
Quindi, perché invece di farvi la guerra, non provate ad andare d’accordo?
Giovanni, per esempio, da quanto mi ha detto Raphael, Lilith è simile a sua madre anche come carattere. Potresti sentire meno la sua mancanza stando con lei. Mentre tu, Lilith, potresti apprendere qualcosa su vostra madre da Giovanni. Non vi sembra fattibile?»
I due si fissarono a lungo, o meglio squadrarono, poi si voltarono verso Archer e urlarono in coro: «No!» correndo poi via in due direzioni diverse.
Raphael mise una mano sulla spalla dell’uomo e mormorò: «Lasciate perdere. Quei due sono zucconi alla stessa maniera. E non si lasceranno mai convincere da nessuno. O forse, dalla mia piccola paz.. ehm, dalla loro mamma.»
Archer annuì, poco convinto ma incredulo della loro testardaggine. Poi però, un po’ tanto perplesso, chiese: «Ma… davvero si chiama Giovanni?»
Raphael annuì e Archer riprese: «Ma perché?»
«Te lo spiego io.» intervenne N, visto che era stato con lui che Athena aveva scelto il nome: «L’ha proposto proprio lei. Ero perplesso anche io, ma lei mi disse che… gli avrebbe dato quel nome perché non ricordasse solo qualcuno di cattivo, come quell’uomo, ma anche qualcosa di buono. E credi a me, Athena darebbe la vita per quel bambino, anche se si chiama così.»
«Non so perché ma… da lei me lo sarei aspettato.» concluse Archer, annuendo e comprendendo le ragioni della sorella.

  
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